L’itinerario che vi propongo oggi, percorso in aprile con una visita guidata promossa dall’associazione del locale museo, ci porta in Val Verzasca. Parte da Sonogno, dove proprio nel museo etnografico potete scoprire le radici di questa valle povera, che nei secoli scorsi costringeva molti giovanetti a lasciare la famiglia nel periodo invernale per guadagnarsi la pagnotta come spazzacamini.
Il personaggio più noto di Sonogno è certamente Cherubino Patà (1827-1899), il pittore che in giovane età emigrò in Francia e lavorò per quel grande maestro, riconosciuto dalla storia dell’arte universale, che fu Gustave Courbet. Dei rapporti tra i due artisti si raccontano molte storie: chi ritiene che Patà dipingesse opere poi firmate da Courbet e chi invece considera delle “patasserie” le opere meno riuscite attribuite al grande maestro. La chiesa parrocchiale di Sonogno, appena restaurata, è affrescata da opere giovanili del Patà. A ventun anni, espulso dalla Lombardia, il pittore tornò al suo paese nativo e dipinse una Natività, un’Annunciazione e alcune figure di santi.
Prima di avviarci verso il fondovalle in direzione della val Redorta, ci soffermiamo ancora davanti a un affresco attribuito al pittore Rotanzi, dipinto sulla facciata di una casa che appartiene a lontani antenati del Patà. Il dipinto, della fine del Settecento, è particolarmente curioso, perché palesemente ispirato dal Giudizio universale, capolavoro realizzato da Michelangelo nella Cappella Sistina a Roma.
L’itinerario prosegue lungo il lato destro del fiume. Si attraversa uno splendido lariceto, considerato come ci spiega il professor Carlo Branca – uno degli alberi più nobili della flora alpina. D’inverno, a differenza per esempio dell’abete rosso molto presente in valle, perde gli aghi. Questo permette alla neve polverosa di cadere invece di fermarsi sui rami. Non trattenendo la neve i larici non si rovesciano e raggiungono altezze molto elevate, con tronchi diritti. D’estate inoltre nei lariceti cresce l’erba e questo permette il pascolo.
Risalendo il fiume si giunge alla cascata della Froda. È piacevole ascoltare il frastuono dell’acqua che precipita da un’altezza particolarmente elevata in un romantico laghetto. Poco più avanti nei prati, prima di attraversare il ponticello che porta sulla strada asfaltata, potete osservare una rarità botanica: il licopodio. Si tratta di una piantina che ha origini lontanissime: 300 milioni di anni fa erano alberi altissimi, che oggi sono regrediti fino a confondersi nell’erba.
Al termine della strada asfaltata, prima di imboccare il sentiero per Püscen Negro, si sale sulla destra per raggiungere in cinque minuti la località Scim i Mott. Su un muretto accanto alle case, Franco Binda, grande esperto in materia, ci mostra un masso cuppellare. Si tratta di sassi misteriosi, dove sono stati scavati canaletti e spazi tondi. Sono presenti su molte delle nostre montagne, ma non si sa a cosa servissero. Si sono fatte molte congetture, ma nessuna è provata scientificamente.
Torniamo sui nostri passi e saliamo verso il monte Püscen Negro. Un cammino famoso perché si racconta che anticamente veniva percorso dalle ragazze della Valmaggia che andavano in sposa ai sonognesi (e viceversa). In tre quarti d’ora circa si raggiunge la meta. Interessante notare la trasposizione del nome direttamente dal latino al dialetto: da Picea, che significa abete, deriva Püscen. Negro sta invece per il colore austero della pianta. Questo monte costituiva una tappa di transizione verso il più lontano alpe Redorta, che si raggiungeva in piena estate. Al ritorno si percorre lo stesso cammino. È consigliato fermarsi, prima di giungere a Sonogno, al grotto Efra, dove si possono gustare ottime specialità locali.