Stati Uniti – I nostri legami con la California attraverso la storia degli emigranti

Stati Uniti – Grand Canyon e Monument Valley
Stati Uniti – Bryce Canyon e Death Valley
Stati Uniti – Da San Francisco a Los Angeles
Stati Uniti – Quando la natura diventa artista, ecco il fascino dei grandi parchi

In primavera, quando il volo per gli States era già stato prenotato, ho notato un certo fermento familiare attorno al computer. Mia moglie, che già ci lavora buona parte del giorno, si piazzava davanti allo schermo anche dopo la cena, momento solitamente consacrato alla conversazione, allo scambio di notizie, programmi e pareri. Aveva pure un fare un po’ misterioso. Facebook, ho pensato. Sta a vedere che si è lasciata incantare dai social network. Qualche giorno più tardi – e dopo molte ore a tu per tu con il Mac – mi annuncia trionfante che attraverso la rete ha ricostruito la storia dei suoi antenati emigrati in California e, addirittura, ha scoperto dei cugini americani con cui è riuscita a mettersi in contatto.
I fratelli di sua nonna, racconta, sono partiti da Vogorno all’inizio del Novecento, prima uno, poi l’altro un paio di anni dopo. Entrambi neanche ventenni, prima di allora usciti dalla Verzasca forse solo per qualche inverno da spazzacamino nella vicina Lombardia. Con qualche dato anagrafico ha trovato le loro tracce negli elenchi di Ellis Island, la grande porta d’entrata d’America, dove tutti gli immigrati venivano registrati (www.ellisisland.org). Purtroppo le ricerche sono complicate, mi confessa che ha impiegato tantissimo tempo: la grafia incerta dei nostri avi che avevano poca dimestichezza con la penna è spesso trascritta in modo approssimativo, fatto sta che Giuseppe è diventato Guiseppe, mentre Paolo si è trasformato in Caslo. Ha fatto molti tentativi, giocando un po’ con l’intuito. Ma ora sa quando e dove sono partiti, con quale nave, quando sono arrivati a New York. E, con il mazzetto di lettere che la nonna le ha affidato quand’era ragazza – quelle lettere che per qualche anno dopo la partenza i due hanno inviato a casa -, con i dati di internet, molta costanza e un po’ di fortuna, ecco che trova in California i discendenti di uno dei due fratelli. Il nostro viaggio ormai è programmato, ma un incontro bisogna proprio organizzarlo. E così diamo appuntamento ai cugini americani via mail e, nonostante il breve preavviso, tre si presentano con mariti e mogli. Una serata piacevole nella generale confusione di una conversazione multilingue: un po’ di inglese studiato tanti anni fa e mai praticato, un po’ di spagnolo che alcuni di loro conoscono perché siamo comunque poco lontano dal Messico, un po’ di dialetto ticinese. Eh, sì, perché il marito di una cugina, anch’esso discendente di emigranti ticinesi, ha imparato dal nonno qualche modo di dire tipico di qui… ed è strano per noi sentire quelle espressioni antiche, del dialetto di un Ticino che non c’è più. È un mondo che si apre al confronto. Ci raccontano dell’attaccamento che, nonostante siano di terza generazione, nutrono per la Svizzera, delle radici che conoscono poco, perché il nonno (e cioè il diciottenne partito da Vogorno) è morto giovane e non hanno ricordi di lui. Festeggiano il primo agosto ma sono americani fino al midollo, e amano pescare, il barbecue, Obama (alcuni sì, altri meno). Sono fieri di quelle origini lontane, del coraggio di quei giovani che hanno lasciato la terra natia per cercare di migliorare la loro vita.

New York – Le mille storie diverse che vivono in una sola città

New York – Alla riscoperta degli itinerari dei nostri antenati emigranti
New York – New York riassume il mondo moderno
New York – Due volti diversi per gli Stati Uniti

Visitata ogni anno da 50 milioni di turisti è una città dove ci si sente a proprio agio, dove di giorno e di sera si passeggia senza pericoli e non ci si sente sopraffatti dallo stress: un’immagine molto diversa dalle mie attese

Ogni anno è visitata da 50 milioni di turisti che portano un indotto di 32 miliardi di dollari. Il tempo minimo per farsi un’idea della città è una settimana. In questa sede non ha senso suggerire itinerari. Avendo pochi giorni a disposizione la nostra visita si limita all’isola di Manhattan: lunga 20 chilometri e larga 3,5, che è facilmente percorribile in metropolitana. Per allestire il vostro programma a seconda dei vostri interessi consiglio di consultare la “Guida Verde” della Michelin. Nelle prossime righe cercherò di elencare le principali tematiche su cui si è concentrata la mia visita.

Un’antologia della nostra civiltà
Quando si pensa alla Grande Mela vengono prima di tutto alla mente i suoi grattacieli. I primi sorsero a cavallo tra l’Otto e il Novecento in stile Art Déco. Il più noto è certamente l’Empire State Building realizzato nel 1931 e che per 40 anni rimase l’edificio più alto al mondo. Offre una straordinaria vista su Manhattan e su tutta la città. Percorrendo i notissimi viali di Manhattan che attraversano tutta la metropoli (Avenue of the Americas, Fifth Avenue, Madison Avenue, Park Avenue e le street laterali 42ma, 57ma,…) si potrà ammirare l’evoluzione dell’architettura newyorchese, fino ad arrivare alle opere più moderne dei cosiddetti archistar, cioè gli autori di maggior fama. “Qui abbiamo sempre avuto il mito dell’altezza – ha spiegato a ”Meridiani” (New York, dic. 2010) Rick Bell, il direttore del Center for Architecture – e quindi tutti hanno cercato di stupire costruendo edifici via via più alti. Da qualche anno, però, si tenta di meravigliare con forme architettoniche originali e futuristiche, elaborate e spettacolari”. La nuova architettura sfrutta moltissimo la luce per migliorare la qualità di vita. Per avere una città sempre più vivibile il sindaco Bloomberg (al suo terzo mandato) si è impegnato a realizzare aree verdi e pedonali. “L’importante – osserva Bell – è che ci si sia resi conto che le metropoli sono fatte per le persone e non per le automobili”. Gli spazi verdi in città sono ricercatissimi e curatissimi. Alcuni grattacieli propongono addirittura giardini interni al piano terreno.
Un’opera estremamente interessante è stato il recupero di una vecchia ferrovia sopraelevata trasformata in un lungo e stretto giardino paesaggistico curato e di sicura bellezza denominato High Line nella zona di Chelsea, da cui si guarda sulla città con occhi nuovi e da un appassionante punto di vista. Ma il polmone verde di Manhattan rimane Central Park, un microcosmo di flora e fauna in simbiosi con grattacieli e traffico, inquinamento e turisti. Realizzato nella metà dell’800 offre 340 ettari di alberi, rocce, laghetti, stagni, percorsi pedonali, dove è piacevolissimo rilassarsi dopo le impegnative visite agli straordinari musei che si affacciano sul parco. Nel giro di poche centinaia di metri si trovano quattro musei che offrono una panoramica straordinaria e unica sulla storia dell’arte universale. Consiglio di visitarne uno al giorno il mattino, quando si è freschi, e di dedicare il pomeriggio alla visita dei vari quartieri della città.

Lezione eccezionale di storia dell’arte
Definirei addirittura scoraggiante il Metropolitan Museum, dove potreste trascorrere settimane, perché espone opere eccezionali a partire dall’arte egizia ai nostri giorni. Le audio guide sono mal fatte e trovare un percorso relativamente veloce per apprezzare le opere più straordinarie è difficile. Vale la pena di preparare la visita da casa.
Invece, il museo Frick propone un’incredibile collezione privata esposta in una splendida villa di inizio Novecento. Quasi ogni opera è un capolavoro ed il percorso (circa 3 ore) è agevolato da un’ottima audio guida. Così come al Guggenheim Museum (circa 2 ore) dove la visita consiste in una straordinaria lezione di storia dell’arte sul periodo che va dalla fine dell’800 fino alla Prima Guerra Mondiale (gli allestimenti cambiano periodicamente). Non solo i contenuti, ma anche il contenitore è un’opera artistica di grande valore del famoso architetto Frank Lloyd Wright (1867-1959), padre della moderna architettura americana. Il Museum of Modern Art (MOMA) propone, invece, una panoramica della scultura e della pittura dal 1880 ad oggi con interessanti sezioni dedicate anche al design e alla fotografia (calcolare 3 ore, con una buona audio guida).

Ogni quartiere è un mondo a sé
Manhattan propone una miriade di quartieri diversissimi tra loro che costituiscono ciascuno un mondo a sé e sono estremamente interessanti da esplorare. La parte alta della città (Uptown) che si sviluppa attorno a Central Park è caratterizzata dalle residenze di lusso. Più a nord si trova Harlem, il quartiere dei latinoamericani. Sotto Central Park sorgono i grattacieli, le vie commerciali, gli alberghi più prestigiosi, e Times Square, dove si concentrano teatri, cinema, locali notturni, bar e dove schermi giganteschi proiettano immagini televisive e pubblicità generando un incredibile sfavillio di luci e bagliori. A est di Times Square, all’altra estremità della 42ma strada, si trova la sede delle Nazioni Unite, dove si può visitare la sala dell’assemblea generale, il governo del mondo. Nonostante i suoi detrattori, l’ONU rimane l’unica istituzione a livello mondiale dove tutte le nazioni si possono confrontare pacificamente. Composta da 191 paesi membri, ha come scopo la “difesa della pace e della sicurezza internazionale, la promozione dell’autodeterminazione e della parità dei diritti, dell’incoraggiamento del benessere economico e sociale”. Principi sacrosanti, che purtroppo riesce a garantire solo in parte. Ma almeno ci prova!
Più a sud si trovano i quartieri più pittoreschi. East Village, Greenwich Village, Soho, Lower East Side, Little Italy, Chinatown e Tribeca che presentano ognuno una propria personalità e rappresentano un tassello di quell’unico microcosmo interrazziale e multiculturale che è Downtown (la città bassa). Oggi gli edifici rimessi a nuovo ospitano scintillanti boutiques, hotel, musei dalle forme sperimentali e templi della gastronomia. Certo, perché tra le arti contemporanee, oltre alla moda e al design, va annoverata anche la cucina. Potete trovare ristoranti di tutte le nazionalità: la guida rossa della Michelin (New York City, Restaurants, 2011) propone indirizzi qualificati riguardanti la cucina di 50 paesi. La stessa guida vi propone anche una vasta scelta di alberghi. Vi consiglio di risiedere a Downtown, a Soho o a Greenwich, dove la sera potrete passeggiare lungo vie animate alla ricerca della gastronomia etnica (in generale è preferibile prenotare).
Sulla punta meridionale di Manhattan, dove nel XVII secolo sorsero le prime abitazioni, si trova il cosiddetto Financial District, caratterizzato come la Middle Town da grattacieli modernissimi. È qui che l’11 settembre 2001 avvenne il tragico attacco terroristico alle torri gemelle del World Trade Center ed è qui che nel 1792 ventiquattro intermediari si riunirono per fondare il primo mercato borsistico di New York. Nella camera blindata della Federal Reserve, che sorge a poca distanza (visitabile solo prenotando con settimane di anticipo), sono conservate le riserve auree di un’ottantina di stati. È considerato il maggiore deposito di oro al mondo con un valore di mercato di 90 miliardi di dollari.
A poche centinaia di metri partono i battelli che portano alla statua della libertà e ad Ellis Island, porta d’entrata per milioni di persone in America tra il 1892 e il 1954.

Da vedere
High Line Chelsea La vecchia ferrovia sopraelevata trasformata in giardino
Empire State Building Realizzato nel 1931, per 40 anni rimase l’edificio più alto al mondo
Central Park Un microcosmo di flora e fauna grande 340 ettari
Guggenheim Museum Progettato dal famoso architetto Frank Lloyd Wright
Museum of Modern Art (MOMA) Offre un’importante panoramica di opere dal 1880 ad oggi
Soho La sera potrete passeggiare lungo le vie animate
Financial District Nel 1792 qui venne fondato il primo mercato borsistico di New York
Ellis Island Porta d’entrata per milioni di persone in America

Le guide
Consiglio di utilizzare soprattutto New York Michelin, la guida verde e di leggere il libro di Corrado Augias “I segreti di New York“, Oscar Mondadori.

Altre guide
New York Washington Touring Editore
New York City Lonely Planet
New York Meridiani, dicembre 2010

Per scoprire ristoranti e alberghi affidatevi all’insuperabile guida Michelin rossa dedicata esclusivamente a New York City.

New York riassume il mondo moderno

New York – Le mille storie diverse che vivono in una sola città
New York – Alla riscoperta degli itinerari dei nostri antenati emigranti
New York – Due volti diversi per gli Stati Uniti

È un vero peccato scoprire New York solo dopo aver compiuto i 60 anni, perché è una splendida città che si presta ad essere goduta in diversi momenti della vita. L’ho visitata spinto da mia moglie, che ne ha sempre sentito parlare in famiglia come prima tappa americana dei parenti emigrati in California. Mi aspettavo una città caotica, opprimente. Non ho trovato nulla di tutto questo e ho trascorso una settimana piacevolissima. Ho alloggiato a Soho, nella Downtown, la zona certamente più pittoresca della città, che da una decina di anni è diventata molto alla moda: è vivace ed è la meta preferita di chi ama lo shopping, ma anche di chi apprezza la buona cucina! Fino a non molti anni fa era un quartiere malfamato, dove proliferavano prostituzione, droga e malavita. Oggi si esce tranquillamente la sera per passeggiare lungo stradine vivacissime, animate da negozi, bar e ristorantini molto frequentati dai giovani.
Della Grande Mela si è detto per anni che fosse una città pericolosa. Oggi ci si sposta sia di giorno che di sera senza problemi sentendosi assolutamente a proprio agio. Anche perché i newyorchesi sono molto gentili. Se ti fermi in strada a consultare una piantina, subito qualcuno si avvicina e ti chiede se hai bisogno di spiegazioni. In Ticino, dove i turisti sono a malapena tollerati, abbiamo davvero da imparare a questo proposito…
Come scrive il noto giornalista italiano Corrado Augias nel suo libro “I segreti di New York”, questa “è la città dove è nata la vita moderna, intendo dire il luogo in cui la vita moderna ha assunto, anche se nata altrove, un suo stile, una cifra riconoscibile che le ha consentito di imporsi ovunque come paradigma della modernità”.È stata la prima metropoli (nel 1898 era la città più popolata del mondo): qui sono sorti i primi grattacieli, è stata costruita la prima metropolitana, è stato realizzato il primo ascensore, le prime reti di radiodiffusione hanno trasmesso da New York. Wall Street ha dato le origini alla finanza moderna, Madison Avenue alla pubblicità. La Grande Mela ha visto nascere i più interessanti fenomeni culturali, letterari e visivi del XX secolo. Oltre 300 anni fa, quando era ancora una colonia britannica, qui si posero le basi per la libertà di stampa.
A New York – osserva ancora Augias – l’Europa c’è, si sente, si vede, senza l’Europa New York semplicemente non esisterebbe. Tuttavia anche la presenza europea, quella fisica degli individui e quella immateriale della cultura, su questa sponda dell’Atlantico si è trasformata, resta riconoscibile, è vero, ma è anche diventata un’altra cosa”. Fatta di molte etnie, piena di italiani, di ebrei, di latinoamericani, di cinesi, di neri, di anglosassoni e ora anche di russi di nuova immigrazione, la Grande Mela ha una fisionomia composita dove nessuno sembra riuscire ad imporre il suo tratto distintivo. Secondo un recente studio nella città americana più raccontata dalla letteratura e dal cinema si parlano 800 lingue. Chi conosce bene gli Stati Uniti sostiene che New York non è una tipica città americana. No, certamente, è la capitale del mondo occidentale. E non solo perché ospita le Nazioni Unite, ma perché è un’antologia vivente, nel bene e nel male, dello sviluppo del mondo moderno. Rappresenta un simbolo di quell’America aperta e liberale, che ho amato ed amo, dei Roosevelt, dei Kennedy, e ora anche di Obama. Un paese che persegue gli ideali della libertà e cerca di garantire ai suoi cittadini pari opportunità di partenza. È un’affermazione molto discutibile – ne sono conscio – perché questo stesso paese ha rappresentato a tratti anche la negazione di questi ideali.

New York – Alla riscoperta degli itinerari dei nostri antenati emigranti

di Carla Rezzonico Berri

New York – Le mille storie diverse che vivono in una sola città
New York – New York riassume il mondo moderno
New York – Due volti diversi per gli Stati Uniti

Il pellegrinaggio della memoria inizia a Manhattan, al molo di Battery Park, dove salpano i traghetti per le due isolette della baia dell’Hudson: Liberty Island e Ellis Island La “corona” della Statua della Libertà, miraggio per i viaggiatori di terza classe delle navi, è ritornata ad essere visitabile dopo otto anni di chiusura seguiti al tragico 11 settembre.

Anni ’60, in un villaggio della Valle Verzasca. Arriva la postina con la sua borsa di cuoio, si ferma davanti alla casa e bussa alla porta, che comunque non è mai chiusa a chiave. Lascia sul tavolo della cucina il quotidiano. Di lettere ne arrivano poche, ma questa mattina una busta di colore azzurrino, con un bordo blu e rosso, di carta leggerissima, spicca sopra il giornale. “Hanno scritto ‘quelli d’America’ ” , commenta mio padre.
Una scena così chissà in quante case ticinesi era consueta, quando cellulari e posta elettronica non avevano ancora invaso le nostre giornate e – soprattutto – quando i legami transoceanici creati dall’emigrazione non si erano ancora affievoliti. Sì, perché in ogni casa – o quasi – qualcuno, a fine Ottocento, a inizio Novecento, aveva solcato i mari inserendosi in quell’immenso flusso migratorio che svuotò le regioni più povere del Ticino (e dell’Europa) di forze giovani.
Erano lettere di emigranti che con lungimiranza e un incredibile lavoro di ricerca lo studioso e storico Giorgio Cheda riunì negli anni ’70, prima che quei legami si allentassero con le generazioni che si susseguono e la lingua comune che si perde – e le testimonianze finissero nel fuoco, nella spazzatura o presso qualche antiquario.
Ne avevo un mazzetto anch’io, custodite con cura dalla nonna per decenni e poi affidatemi forse perché le conservassi dopo di lei, a ricordo di quei fratelli andati lontano e mai più tornati.
E così, avendo l’opportunità di visitare New York, la mia “prima America”, non ho potuto fare a meno di andare a rileggerle. Certo, la magnifica porta degli States i miei antenati l’hanno appena intravvista prima di dirigersi verso la California dove erano attesi da parenti e compaesani. Scrive un fratello della nonna, partito appena diciannovenne: “19 novembre 1915. (…) siamo stati sull’acqua 15 giorni per arrivare a New Jork. (…) Quando siamo (s)barcati non abbiamo potuto scrivere perche siamo partiti subito col treno per San Francisco, ed abbiamo impiegato altri 6 giorni di treno”. Ma il viaggio sul mare è stato buono, aggiunge, quasi un divertimento. Non ha avuto i problemi dell’emigrante di Someo che racconta delle acque agitate, di dieci giorni di burrasca continua: “Il giorno 25 si ebbe lo sbarco a New Jork al primo mettere piede fermo in terra stentavo andare in piedi e dondollavo come un ubbriaco” (entrambe le lettere in G. Cheda, L’emigrazione ticinese in California, Dadò 1981).
New York per loro, per tanti emigranti, era solo un luogo di passaggio. Il grande porto che accoglieva milioni di persone in cerca di fortuna. Per noi oggi, alla ricerca di radici familiari, il pellegrinaggio della memoria inizia a Battery Park, dove salpano i traghetti che portano sulle due isolette situate nella baia, alla foce del fiume Hudson: Liberty Island, con la simbolica e celebre Statua della Libertà, e Ellis Island, per lunghi anni ingresso obbligato per chi sbarcava negli Stati Uniti.
Siamo in centinaia, di ogni nazionalità, sull’imbarcazione che percorre lentamente il tragitto che separa Liberty Island da Manhattan. L’emozione di tutti è palpabile: foto a raffica, mentre la grande statua (“Miss Liberty”, la chiamano, e qualche giorno più tardi la vedremo in una bella mostra al museo dei nativi americani rifatta a mo’ di bambola) si avvicina e alle nostre spalle i grattacieli si fanno più piccoli, con il caratteristico profilo che si staglia contro il cielo.
La statua, che celebra l’amicizia franco-americana – fu un dono al Nuovo Mondo della Francia –, è alta 46 metri (a cui si aggiungono 47 metri di piedistallo) e raffigura una donna incoronata che calpesta la tirannia simbolizzata da catene; nella mano sinistra regge la tavola con la dichiarazione dell’indipendenza (1776), con la destra alza la torcia con il fuoco della libertà. La corona ha sette punte, quanti i continenti e i mari verso cui irradia sentimenti di speranza e libertà. Costruita a Parigi, fu donata agli Stati Uniti nel 1883 e varcò l’oceano in casse: fu assemblata a New York e inaugurata nel 1886. Alla sua creazione parteciparono illustri personalità dell’epoca: Édouard René de Laboulaye ne fu l’ideatore, Frédéric Auguste Bartholdi il progettista, Gustave Eiffel, che costruì la famosa torre, partecipò all’impresa quale ingegnere. Costituita da un’armatura in acciaio rivestita da 300 placche in rame, con il tempo ha assunto il caratteristico colore. Negli anni Ottanta, in occasione del suo centesimo compleanno, è stata restaurata.
Per visitarla occorre prenotarsi per tempo. Se l’intenzione è di accedere solamente all’isola per vedere la Libertà da vicino, e da tutte le angolazioni, basta prenotare il traghetto online all’indirizzo www.statuecruises.com (si eviteranno così le code che possono essere assai lunghe). Se invece volete salire sul basamento o mirate addirittura in alto, alla corona, sappiate che le visite sono ridotte a poche centinaia di visitatori al giorno e i tempi di attesa possono essere di settimane.
Ci accontentiamo dell’isola. Un gruppo di turisti si improvvisa coro – niente male, per la verità – e intona canti di libertà. Fioccano gli applausi. Contempliamo a lungo questo simbolo con sentimenti contrastanti: America uguale libertà? Il discorso è lungo e aperto.
Risaliamo sul traghetto e in pochi minuti sbarchiamo a Ellis Island. Qui, dal 1892 al 1954, sono passati circa 20 milioni di persone provenienti da ogni dove, sbarcati in America da navi su cui avevano viaggiato in terza classe (i passeggeri di prima e seconda erano sottoposti a controlli meno severi prima dello sbarco). La struttura è composta di diversi edifici e dal 1990 ospita il museo dedicato all’immigrazione.
L’inizio del percorso museale è di grande impatto. Una catasta di valigie, ceste in vimini, bauli in legno, sacchi e fagotti legati alla bell’e meglio, uno sopra l’altro, di ogni dimensione, di ogni provenienza. Qui si arrivava con bagagli, pene, preoccupazioni, speranze. La chiamano l’isola delle lacrime. Dietro ad ogni arrivo c’è stata una partenza: i familiari lasciati, la casa, gli amici, il proprio paese. Grandi fotografie in bianco e nero mostrano uomini, donne, bambini, vecchi all’arrivo. Sguardi stanchi e timorosi. Occhi che interrogano il futuro. La trafila burocratica per avere accesso al suolo americano comprendeva dapprima una visita medica, in particolare un temutissimo esame degli occhi (si cercavano i segnali di una malattia contagiosa, il tracoma, in presenza della quale il rimpatrio era immediato). Chi non superava questo primo scoglio veniva segnato con un gesso: una X sulla spalla che significava ulteriori approfondimenti. Anziani, malati mentali e contagiosi potevano essere rimpatriati immediatamente (statistiche ufficiali parlano del 2% di esclusi); le immagini dei respinti sono strazianti.
Arriviamo nella vastissima sala di registrazione, la “Registry Room”, e proseguiamo attraverso le sale del museo che seguono i migranti nelle loro peripezie esponendo documenti, immagini, oggetti, testimonianze orali: le lunghissime file agli sportelli, i controlli, la registrazione dei dati anagrafici, il cambio della valuta, l’acquisto dei beni di ristoro e quello dei biglietti ferroviari. Un’avventura che per alcuni durava qualche ora, per altri alcuni giorni. Lasciata alle spalle Ellis Island e sbarcati a Manhattan, di avventura ne iniziava un’altra.
La nostra giornata sulle isole è stata una lezione di storia. Non potevamo non concluderla con una puntata all’American Family Immigration History Center. Con 5 dollari avete accesso ai computer medianti i quali potete cercare le tracce dei vostri antenati nella vastissima banca dati dove sono stati registrati i passaggi a Ellis Island. Si calcola che 100 milioni di americani abbiano qui qualcosa da trovare delle loro radici. Una semplice ricerca permette di avere notizie sui passeggeri qui transitati: dati anagrafici, età all’arrivo, data di arrivo, nome della nave, ecc. Si possono anche acquistare copie facsimile dei documenti. Ricerche simili si possono fare sul sito www.ellisisland.org.

Due volti diversi per gli Stati Uniti

New York – Le mille storie diverse che vivono in una sola città
New York – Alla scoperta degli itinerari dei nostri antenati emigranti
New York – New York riassume il mondo moderno

Vi ho parlato del mio amore per l’America aperta e “liberal” dei Roosevelt, dei Kennedy e ora anche di Obama, un Paese che a tratti ha perseguito e persegue gli ideali di libertà e ha cercato e cerca di garantire ai suoi cittadini pari opportunità di partenza. In modo certamente meno ideologico, questo paese ha rappresentato per molti ticinesi, nel periodo a cavallo tra Otto e Novecento, la speranza di una vita migliore. Si veda a questo proposito l’articolo scritto da mia moglie Carla, nel quale narra la storia dei suoi antenati che hanno lasciato la Verzasca in cerca di fortuna oltre Oceano. Dopo due settimane calcati nella stiva di una nave sono giunti, come molti altri, nel Mondo Nuovo accolti dall’imponente mole della Statua della Libertà. Un monumento emblematico dell’America migliore, quella carica di valori su cui si sono costruite le nostre moderne democrazie. Ma purtroppo c’è stata ed è sempre in agguato anche un’altra America, quella che ha tradito questi suoi ideali per seguire una squallida realpolitik, quella che ha sostenuto spietate dittature in tutto il mondo ed ha contribuito a rovesciare governi democraticamente eletti per sostituirli con feroci giunte militari. Sono queste le due Americhe con cui si è confrontata la mia generazione. Per questo in certi momenti della mia vita ho amato questo paese e in altri l’ho detestato. Quando ero ragazzo, avevo undici anni, J. F. Kennedy è stato eletto presidente. Era il mio primo incontro con la politica. Un bell’incontro. Mi ero comprato il libro con i suoi discorsi e avevo fatte mie molte delle sue idee. Poi l’assassinio. Quel giorno lo ricordo come fosse oggi, sebbene siano passati quasi cinquant’anni. Mentre scrivo mi vengono ancora i brividi alla schiena. Ricordo che piansi moltissimo. Per me era un sogno infranto. Ma poi la speranza tornò con suo fratello Bob. Quando anche lui fu assassinato piansi meno ingenuamente e provai una forte rabbia. Avevo 19 anni: aveva vinto l’America negativa, buia, quella dei potenti che non volevano il progresso e che ricorrevano addirittura al crimine di stato per garantire i loro interessi. Qualche tempo dopo, mentre studiavo scienze politiche a Firenze, fu questa America che con i suoi servizi segreti aiutò a rovesciare Salvador Allende e a portare al potere una delle più odiose dittature dei nostri tempi, quella di Pinochet e dei suoi militari. Per me fu il colpo di grazia. Sperai allora che il progresso potesse giungere dalle nuove interpretazioni del socialismo: quelle dei paesi dell’Europa del nord e quella del compromesso storico di Enrico Berlinguer, che voleva unire le forze progressiste italiane di radice antifascista. Con l’America mi riconcilio a tratti, quando sale un presidente del partito democratico. Apprezzo Obama, che penso stia facendo il possibile in un mondo difficile, dove i valori dell’America aperta e “liberal” trovano tanta difficoltà ad affermarsi. Il mio pensiero torna allora ai nostri emigranti che agli albori del Novecento lasciarono un Ticino non in grado di garantire loro un futuro e partirono all’avventura per un mondo nuovo. Penso alla nostra politica nei confronti degli stranieri, a certe sparate della Lega e dell’Udc e mi vergogno, anzi mi indigno. Un Paese come il nostro, che ha lasciato partire tanti giovani, un secolo più tardi dimentica le sue radici storiche e umilia gli stranieri, siano essi esuli politici oppure gente alla ricerca di un futuro vivibile. Li dileggia nonostante ci aiutino a costruire il nostro benessere. Mi vergogno e mi arrabbio con la mia generazione, che sembra non essere riuscita a trasmettere nemmeno questi valori ai giovani che si accalcano alle urne per votare Lega e Udc. È la chiusura verso quegli ideali rappresentati dalla Statua della Libertà che accoglieva i nostri emigranti nel Mondo Nuovo.