Un piccolo paradiso sulla porta di casa

Amo molto viaggiare e scoprire paesi lontani con culture e mentalità diverse dalla nostra. Apprezzo però moltissimo anche il Ticino con i suoi laghi, le sue valli e le sue montagne. Purtroppo non sono un alpinista, per cui certe mete mi sono precluse. Con mia moglie cerchiamo però di scoprire itinerari che siano alla nostra portata. E ce ne sono davvero molti, anche per semplici escursionisti della domenica. Quando scopro paesaggi meravigliosi poco distanti da casa, mi chiedo come sia possibile che non li abbia conosciuti prima e, quasi, mi arrabbio con me stesso.
Vorrei suggerire oggi un’escursione ai laghetti alpini Tremorgio e Leit in valle Leventina, sopra Rodi Fiesso. La gita è davvero alla portata di tutti. In pochi minuti una teleferica sale dal fondo valle fino alla capanna Tremorgio, che si affaccia sullo splendido laghetto. Come racconta Plinio Grossi nei suoi splendidi itinerari dedicati ai laghetti alpini (cfr. www.laghettialpini.ch) la leggenda narra che Tremor, luogotenente di Carlo Magno aveva il suo castello su uno sperone roccioso del Tremorgio e doveva sempre lottare contro la Befana, che gli giocò un perfido tiro: Tremor sposò un’affascinante principessa ma un giorno s’accorse che al posto dei piedi aveva le zampe d’oca. La giovane moglie era l’odiata Befana travestita. Vistasi scoperta scatenò un terribile terremoto e al posto del castello di Tremor apparve una voragine piena d’acqua azzurra, così profonda che si dedusse fosse collegata con l’inferno. Attorno al lago cresceva l’Aquilegia alpina con la corolla sormontata dalla corona ducale a cinque punte. La Befana aveva mutato in fiore il luogotenente di Carlo Magno. Il laghetto è quindi un luogo di poesia e di leggende. Secondo alcuni geologi la sua origine sarebbe addirittura legata all’impatto con un meteorite di qualche decina di metri di diametro.
Fatto sta che il luogo è paradisiaco, anche se le sue acque sono sfruttate da quasi un secolo per produrre energia elettrica (attualmente dall’Azienda Elettrica Ticinese, che è proprietaria anche della filovia e della capanna).
In poco meno di un’ora di cammino si raggiunge la vasta piana dell’Alpe Compolungo, un luogo idilliaco, solcata da un limpidissimo e silenzioso ruscello. È nota soprattutto per i suoi minerali esaminati da molti studiosi. Un esemplare classificato come Alessandrite, addirittura esposto al museo di storia naturale di Milano nella collezione del conte Borromeo. I prati in estate presentano una vegetazione ricchissima e variopinta. Salendo verso il lago Leit, che si raggiunge in circa 45 minuti, il pascolo si fa roccia. Il paesaggio cambia fisionomia e “obbedisce agli ordini rigorosamente montani del Pizzo Prèvat – come osserva Plinio Grossi – che l’ombra rende ancora più liscio”. Salito un promontorio si scopre d’improvviso il laghetto, “stupendamente diviso – spiega Grossi – in quattro distinti e indipendenti settori tonali: c’è dapprima all’esterno il verde, segue il marrone chiaro, vi è quindi il viola e infine l’azzurro messo lì per far da contrasto con il bianco quasi irreale del Passo Campolungo”. In ulteriori 45 minuti, su un sentiero piuttosto ripido e disagevole, si raggiunge un’altra perla, il lago Varozzeira, un po’ nascosto con una graziosa isoletta che lo contraddistingue. Si ritorna alla capanna Leit, aperta fino a metà ottobre, dove la guida alpina Luciano Schacher cucina la polenta servita con gli squisiti formaggi dell’alpe Geira in Val Piumogna oppure dell’alpe Cadonigo. Più in basso, vicino all’arrivo della teleferica, alla capanna Tremorgio aperta fino a inizio ottobre potrete gustare l’ottima cucina nostrana dell’estroverso Stelio Colombo.

Dalle Centovalli all’Onsernone

L’itinerario che vi propongo oggi spazia tra due valli, Centovalli e Onsernone, e percorre una delle più belle mulattiere del Cantone: quella che collega Loco in valle Onsernone a Intragna. Di origini antichissime, sicuramente antecedente al Cinquecento, era molto importante perché consentiva agli onsernonesi i rapporti con i mercati di Locarno e di Ascona, ma veniva utilizzata anche per il transito del bestiame del Locarnese che in estate veniva trasferito sugli alpeggi dell’Onsernone.
Si tratta di un itinerario facile, molto piacevole e interessante, che si può percorrere in mezza giornata: sono circa 3 ore di cammino (poco più di 7 chilometri), se non siete velocissimi, oltre naturalmente alle fermate, che possono essere numerose. Meglio partire il mattino presto, ma anche se volete dormire un po’ più a lungo non preoccupatevi perché il tragitto è quasi tutto ombreggiato.
Il punto di partenza più indicato è la fermata dell’autopostale “Intragna ponte”, che potete raggiungere con la vostra automobile (c’è un costoso posteggio). Da lì in circa un quarto d’ora salite al villaggio. Al termine dell’itinerario, quando arriverete a Loco, in una ventina di minuti l’autopostale di linea per Locarno vi riporterà dove avete parcheggiato.
Intragna merita certamente una prima sosta per visitare la barocca chiesa parrocchiale di San Gottardo (con le decorazioni pittoriche ottocentesche degli artisti locali Giacomo Antonio Pedrazzi, Giovanni Antonio Vanoni e Agostino Balestra) con la torre campanaria più alta del Ticino (65 metri) e la cinquecentesca Casa Maggetti, sede di un curato e interessante museo etnografico.
Dalla chiesa parrocchiale si segue uno stretto vicolo che porta all’ottocentesco oratorio del Sacro Cuore, da cui parte la mulattiera su cui si sviluppa il nostro itinerario.
Rimaste sostanzialmente ai margini dei grandi assi di traffico – spiega Massimo Colombo, responsabile di Via Storia per il Ticino – le valli del Locarnese sono state risparmiate dal notevole sviluppo subito dalla rete viaria che in alcune zone del cantone ha decisamente marcato il territorio. Ciò ha consentito la conservazione di gran parte delle secolari mulattiere contadine, ancor oggi ricche di grande fascino, che costituiscono una delle principali attrattive turistiche della regione: tra queste, la mulattiera che collega Intragna a Loco può essere considerata, a giusto titolo, una delle più belle del Ticino”.
Le frazioni che si trovavano sopra l’attuale villaggio di Intragna erano molto abitate, tanto che disponevano di una scuola propria davanti alla quale passa il nostro itinerario. In una trentina di minuti di salita si arriva a Pila, con un bel gruppo di rustici, dove si trova appunto la scuola. La vista è splendida e spazia sul villaggio sottostante, sull’imbocco delle Centovalli e dell’Onsernone, sulle Terre di Pedemonte fino ad abbracciare il lago Maggiore sullo sfondo. La mulattiera prosegue quindi verso Vosa, ancora frazione di Intragna. In lontananza si sente scorrere il fiume Isorno. Da qui il nome di Intragna, intra amnes, cioè tra due fiumi: Melezza e Isorno. Giunti all’oratorio Sacro Cuore di Gesù, eretto alla fine dell’Ottocento, si entra nel comune di Loco. Si giunge dapprima a Vosa di Dentro, per poi scendere verso le suggestive gole dell’Isorno. Oltrepassato il ponte in ferro, che ha sostituito quello cinquecentesco in pietra spazzato via dall’alluvione del 1978, la mulattiera risale in direzione di Loco. Sul tragitto si incontrano alcune cappelle porticate che offrivano rifugio ai viandanti. Incantevole la posizione di Niva, dove da quasi vent’anni si è ritirato a vita eremitica fra Bartolomeo Schmitz. Purtroppo il villaggio è in via di abbandono, ma grazie agli aiuti finanziari di diverse associazione si sta procedendo ad interessanti restauri. Si passa quindi dalla frazione di Rossa, prima di giungere a Loco, un tempo rinomato centro di lavorazione della paglia. Nel villaggio si consiglia di visitare il museo etnografico e la parrocchiale di San Remigio con le opere di un interessante pittore locale, Giovanni Samuele Meletta, e un’Ultima cena realizzata nel 1683 da Gottfried Maes di Anversa, offerta alla comunità da un emigrato arricchitosi.

In Vallemaggia sulle orme di Zoppi

Rima, dolce piano, luogo di sosta, paradiso del ciliegio!” Sono parole di Giuseppe Zoppi, tratte da “Il libro dell’alpe”, l’opera più nota di questo autore ticinese d’inizio Novecento, che forse qualche lettore ricorderà di avere studiato a scuola. Vi propongo oggi un itinerario circolare che da Broglio sale ai monti di Rima, che hanno ispirato questi versi a Zoppi, scende verso Prato-Sornico, per poi tornare a Broglio. Per percorrerlo calcolate al massimo quattro ore di cammino, più il tempo necessario per diverse soste. Per meglio apprezzare questo comodo e ombreggiato itinerario, vi consiglio di procurarvi (alla sede dell’ente turistico a Maggia o al negozio di artigianato Artis in piazza a Cevio) il pieghevole “Sentieri di pietra” dedicato a Broglio e a Prato-Sornico. Fa parte di una serie di una ventina di bellissimi prospetti che vi permetteranno di scoprire la Vallemaggia, soffermandovi davanti a luoghi e monumenti che senza le necessarie indicazioni difficilmente scoprireste e soprattutto apprezzereste.
Il nostro itinerario parte da Broglio, che raggiungete in circa tre quarti d’ora da Locarno. Raccolto attorno alla sua chiesa, che sulla facciata presenta un notevole San Cristoforo del Quattrocento, questo villaggio è circondato da una vasta campagna che era nota per i suoi gelsi. Furono piantati nel XIX secolo dalla famiglia Pometta. Le foglie servivano per nutrire i bachi allevati appositamente per ottenere la seta.
Imboccando il sentiero per i monti passate davanti alla casa dove nacque Giuseppe Zoppi (1896-1952), che ambientò in quei luoghi i suoi innumerevoli scritti. In un’ora circa raggiungete i monti di Rima. Sul percorso incontrate cinque cappelle di cui quattro affrescate nella seconda metà dell’Ottocento dal pittore valmaggese Giovanni Antonio Vanoni di Aurigeno. A questo proposito vi consigliamo di consultare il pieghevole della stessa collana “Aurigeno… e il Vanoni”. La prima cappella, che rappresenta una Deposizione, fu offerta come ex voto da un emigrante appena tornato dall’America, in segno di ringraziamento per essere scampato ad una burrasca in mare. Accanto alle cappelle si trovano alcune semplici croci in ferro per ricordare i contadini caduti sul versante opposto della valle mentre facevano il fieno di bosco o cercavano le capre. Una “caraa”, cioè un sentiero delimitato da muretti per impedire al bestiame in transito di uscire nei prati, vi introduce al monte, con le sue splendide torbe che si affacciano sul “dolce piano, luogo di sosta, paradiso del ciliegio” cantato da Zoppi. Un tempo soggiornavano qui per buona parte dell’anno gli abitanti di Broglio da una parte e quelli di Prato dall’altra. Le torbe in legno edificate su uno zoccolo in muratura, usate ai tempi come abitazione o come stalla, sono molto ben conservate. Anche quelle ristrutturate hanno in generale rispettato il valore architettonico originale.
Dai monti di Rima un comodo sentiero nel bosco di larici e faggi scende verso Prato-Sornico. Un villaggio che nel corso dei secoli ebbe un’importanza civile e religiosa particolare. A testimonianza di questo passato nel nucleo si conservano edifici di elevato valore storico: la chiesa parrocchiale, il campanile, il palazzo della giudicatura, la torba, la casa parrocchiale, i palazzi signorili e una casa in legno.
Seguite ora i cartelli indicatori per Broglio. Giunti in località Lovalt, immersa in una splendida campagna, su un’abitazione ammirate due interessanti affreschi a soggetto religioso del Seicento e del Settecento. Proseguite sul sentiero, attraversate il ponte sospeso sulla profonda gola scavata dal “Ri della Valle di Prato”, per giungere all’oratorio di Vedlà in un luogo idilliaco immerso nel verde. In una ventina di minuti arrivate di nuovo a Broglio.

Attorno a Carona tra arte e natura

Una passeggiata nel bosco adatta a tutti con splendidi panorami sul lago Ceresio, con un tocco di arte e di cultura. È l’itinerario che vi propongo oggi sul monte Arbostora sopra Lugano. Posteggiate a Carona, lo splendido villaggio caratte­ristico per le sue antiche viuzze con palazzi pregevoli e con la secentesca chiesa dedicata a San Giorgio, all’entrata del paese, famosa per i suoi affreschi.
Il nostro itinerario inizia con la visita del Parco bota­nico San Grato, situato dieci minuti a piedi dopo il borgo. La sua storia è legata a due industriali: Mar­tin Wintheralter, ex proprietario della fabbrica di cer­niere lampo Riri di Mendrisio, e Luigi Giussani, am­ministratore delle acciaierie Monteforno. Il primo ne fece una propria residenza, il secondo aprì il risto­rante, creò il parco e costruì la piscina (oggi comu­nale). La proprietà passò poi all’Ubs che la donò nel 1997 a Lugano Turismo. Il parco è famoso soprattut­to per la sua collezione di azalee e rododendri che fioriscono in maggio, ma offre anche una straordina­ria varietà di conifere. Una serie di itinerari tematici vi permetteranno di scoprire gli angoli più suggestivi. Seguite quello panoramico, dal quale parte il comodo sentiero verso l’Alpe Vicania. La vista è davvero spet­tacolare: va dal San Salvatore al Camoghé, dal Mon­te Boglia al Sighignola, dal Monte Generoso ai vil­laggi rivieraschi. Un percorso ombreggiato ampio e pianeggiante vi porterà in poco più di un’ora all’Alpe Vicania, che si apre davanti a voi all’improvviso con i suoi ridenti prati. È di proprietà di un’interessante azienda agricola, così come lo splendido castello vi­sconteo sottostante. Il maniero quattrocentesco è cir­condato da un vigneto storico che trova le sue radici nel Medioevo. L’azienda agricola Vicania, che può contare su 172 ettari di natura incontaminata, coltiva la vigna e l’ulivo, pratica la frutticoltura e l’apicoltu­ra e alleva asini e cavalli. Offre la possibilità di effet­tuare escursioni equestri, con pony per i più piccoli. Propone la vendita dei propri prodotti, ma è nota so­prattutto per il suo ristorante di elevata gastronomia. In un ambiente di charme lo chef Andrea Muggiano cucina piatti ispirati alla tradizione mediterranea con prodotti dell’azienda e della regione. Su prenotazione uno degli enologi più interessanti del Ticino, Michele Conceprio, propone degustazioni di vini.
Dopo una stimolante sosta in questo luogo delizioso in tutti i sensi, il nostro itinerario prosegue ritornan­do a Carona percorrendo l’altro versante del Monte Arbostora. Il sentiero nel bosco, anche sulla via del ritorno, è ampio e ombreggiato e propone due appun­tamenti artistici di grande interesse: il santuario del­la Madonna d’Ongero e l’ex monastero di Torello con la suggestiva chiesa romanica di Santa Maria Assun­ta.
Il secentesco santuario di Madonna d’Ongero, che si raggiunge in circa 45 minuti di cammino dall’Alpe Vicania, è considerato un piccolo capolavoro dell’ar­te barocca in Ticino, con le notevoli decorazioni a stucco di Alessandro Casella e con gli affreschi sette­centeschi del grande artista ticinese Giuseppe Anto­nio Petrini contenuti nella navata.
Dalla Via Crucis che introduce al santuario scende un sentiero che in una ventina di minuti porta all’ex monastero di Torello. Venne consacrato all’inizio del Duecento da monaci agostiniani. Il monastero esten­deva i suoi diritti su numerose terre vicine: a Grancia aveva il deposito del grano e possedeva terreni a Ca­rabbia, Pazzallo, Figino e Bioggio. Nel corso dei se­coli venne poi trasformato in masseria. Sopravvissuto fino ai giorni nostri in un panoramico spazio verde che ricorda la Toscana, questo monumento conserva un fascino incredibile. Tornate a Madonna d’Ongero e da lì a Carona. Se siete accaldati potete fermarvi per un tuffo rinfrescante nella bella piscina comuna­le, immersa nel verde.

L’incanto alpino dei tre laghetti

Passo buona parte delle mie giornate in ufficio, davanti al computer, al telefo­no o in riunione, perciò il mio tempo libero lo voglio trascorrere all’aria aperta. D’inverno, sulle piste di sci, e non mi pesa­no nemmeno le levatacce o i chilometri da macinare per giungere nelle località più lontane; d’estate vado sul lago, che mi atti­ra come una calamita, oppure in montagna o nelle valli a camminare.
La mia montagna non è né ardita né speri­colata, ma non per questo meno avvincente. Quest’anno i paesaggi più affascinanti li ho incontrati nella regione dove si produce il mio formaggio preferito, il Piora, in Alta Leventina.
Questi alpeggi si raggiungono facilmente: c’è la funicolare a cremagliera del Ritom, che porta a quota 1800 metri. Parte da Piot­ta, è la più ripida d’Europa e ha una pen­denza massima che arriva fino all’87%. Al­la stazione di arrivo s’imbocca la strada che porta in breve tempo alla diga. Se inve­ce si vuole arrivarci con l’auto, o con la bi­cicletta, una strada stretta ma ben percorri­bile sale da Altanca (per chi arriva dall’au­tostrada l’uscita è quella di Quinto). Ai pie­di della diga c’è un parcheggio a pagamen­to.
Il paesaggio alpino della val Piora, lunga circa otto chilometri, è idilliaco, con pasco­li verdi e una miriade di laghetti, particola­mente frequentati durante la stagione della pesca. Molto interessanti anche la flora e la fauna e, con un po’ di fortuna, si rischia di incontrare camosci, caprioli, marmotte e magari un’aquila. Tra i fiori, stupende le orchidee selvatiche. Gli spazi sono vasti, c’è un grande silenzio. Noi abbiamo fatto il percorso attorno ai tre laghi Ritom, Cada­gno e Tom, partendo proprio dalla diga e costeggiando a sinistra il Ritom fino alla de­viazione segnalata per il lago Tom. Si sale per una trentina di minuti e si arriva in una conca veramente incantevole, dove si trova­no il laghetto e la cascina dell’alpeggio. I colori vivissimi, l’aria tersa, un incanto! La pensano come noi parecchi pescatori che placidamente aspettano le loro prede, e an­che qualche famigliola che ha scelto questo luogo per il pic nic domenicale. Continuia­mo il nostro percorso lungo le rive del lago e, sul versante opposto, saliamo fino al cri­nale. Sotto di noi il terzo lago, il Cadagno, che raggiungiamo di buon passo scendendo verso il piccolo nucleo. Più tardi, documen­tandomi su questo laghetto, scopro che ha una particolarità curiosa e rara: è compo­sto in pratica di due laghi sovrapposti che non entrano in contatto tra loro grazie alla presenza di colonie di batteri: una delle ra­gioni che spiega la presenza di un Centro di Biologia Alpina a queste latitudini.
Eccoci all’alpe Piora, dove visitiamo il ca­seificio che produce l’ottimo formaggio omonimo. Purtroppo per noi non c’è vendi­ta diretta di quella delizia. Ci consoliamo acquistando burro e ricotta. Tutti ottimi pro­dotti: sfido, non ho mai visto mucche in un posto tanto bello. Per forza il loro latte dev’essere eccellente! Proseguiamo fino al­la capanna Sat Cadagno, dove ci gustiamo la polenta col Piora e la ricotta. Il ritorno, con passo un po’ rallentato, lo facciamo sul versante opposto, passando nella magnifica pineta.

Lungo il cammino delle spose

L’itinerario che vi propongo oggi, percorso in aprile con una visita guidata promossa dal­l’associazione del locale museo, ci porta in Val Verzasca. Parte da Sonogno, dove proprio nel museo etnografico potete scoprire le radici di que­sta valle povera, che nei secoli scorsi costringeva molti giovanetti a lasciare la famiglia nel periodo invernale per guadagnarsi la pagnotta come spaz­zacamini.
Il personaggio più noto di Sonogno è certamente Cherubino Patà (1827-1899), il pittore che in giova­ne età emigrò in Francia e lavorò per quel grande maestro, riconosciuto dalla storia dell’arte univer­sale, che fu Gustave Courbet. Dei rapporti tra i due artisti si raccontano molte storie: chi ritiene che Pa­tà dipingesse opere poi firmate da Courbet e chi in­vece considera delle “patasserie” le opere meno riuscite attribuite al grande maestro. La chiesa par­rocchiale di Sonogno, appena restaurata, è affresca­ta da opere giovanili del Patà. A ventun anni, espul­so dalla Lombardia, il pittore tornò al suo paese na­tivo e dipinse una Natività, un’Annunciazione e al­cune figure di santi.
Prima di avviarci verso il fondovalle in direzione della val Redorta, ci soffermiamo ancora davanti a un affresco attribuito al pittore Rotanzi, dipinto sul­la facciata di una casa che appartiene a lontani an­tenati del Patà. Il dipinto, della fine del Settecento, è particolarmente curioso, perché palesemente ispira­to dal Giudizio universale, capolavoro realizzato da Michelangelo nella Cappella Sistina a Roma.
L’itinerario prosegue lungo il lato destro del fiume. Si attraversa uno splendido lariceto, considerato ­come ci spiega il professor Carlo Branca – uno degli alberi più nobili della flora alpina. D’inverno, a dif­ferenza per esempio dell’abete rosso molto presente in valle, perde gli aghi. Questo permette alla neve polverosa di cadere invece di fermarsi sui rami. Non trattenendo la neve i larici non si rovesciano e rag­giungono altezze molto elevate, con tronchi diritti. D’estate inoltre nei lariceti cresce l’erba e questo permette il pascolo.
Risalendo il fiume si giunge alla cascata della Froda. È piacevole ascoltare il frastuono dell’acqua che pre­cipita da un’altezza particolarmente elevata in un ro­mantico laghetto. Poco più avanti nei prati, prima di attraversare il ponticello che porta sulla strada asfal­tata, potete osservare una rarità botanica: il licopo­dio. Si tratta di una piantina che ha origini lontanis­sime: 300 milioni di anni fa erano alberi altissimi, che oggi sono regrediti fino a confondersi nell’erba.
Al termine della strada asfaltata, prima di imbocca­re il sentiero per Püscen Negro, si sale sulla destra per raggiungere in cinque minuti la località Scim i Mott. Su un muretto accanto alle case, Franco Bin­da, grande esperto in materia, ci mostra un masso cuppellare. Si tratta di sassi misteriosi, dove sono stati scavati canaletti e spazi tondi. Sono presenti su molte delle nostre montagne, ma non si sa a cosa servissero. Si sono fatte molte congetture, ma nessu­na è provata scientificamente.
Torniamo sui nostri passi e saliamo verso il monte Püscen Negro. Un cammino famoso perché si rac­conta che anticamente veniva percorso dalle ragaz­ze della Valmaggia che andavano in sposa ai sono­gnesi (e viceversa). In tre quarti d’ora circa si rag­giunge la meta. Interessante notare la trasposizione del nome direttamente dal latino al dialetto: da Pi­cea, che significa abete, deriva Püscen. Negro sta invece per il colore austero della pianta. Questo monte costituiva una tappa di transizione verso il più lontano alpe Redorta, che si raggiungeva in pie­na estate. Al ritorno si percorre lo stesso cammino. È consigliato fermarsi, prima di giungere a Sono­gno, al grotto Efra, dove si possono gustare ottime specialità locali.

In Val Calnègia tra pietra e cielo

Vi invito a percorrere una valle selvaggia e emozionante come solo i luoghi veri possono essere, la Val Calnègia sopra Foroglio. Incontaminata nel senso bello della parola, dove l’opera dell’uomo c’è ma è discreta, si sposa al paesaggio naturale, rispetta l’essenzialità delle linee e delle forme, non invade, non deturpa.
Ho pensato alla stupenda architettura di Jean Nouvel per la sala della musica di Lucerna, quando ho visto per la prima volta la “Splüia bela” in Val Calnègia. Quel “tetto” di pietra che si allunga a fendere il vuoto sopra il rifugio dell’alpigiano ricorda in bellezza e potenza quell’opera dell’architetto francese. Non è stata la sola sorpresa della gita: come non stupirsi di fronte alla forza del paesaggio di questa valle che si snoda tra dirupi, pietraie e macigni? O di fronte alla testimonianza viva delle fatiche dei contadini valmaggesi che d’estate trasferivano famiglia e bestie in Bavona e poi su, negli alpi, a contendere l’erba al cielo? Le cascine e le stalle sono perlopiù minuscole, i prati rubati al bosco. Ogni anfratto, ogni macigno veniva sfruttato come riparo per gli uomini e per le bestie. Sono i luoghi di Plinio Martini e del suo “Fondo del sacco”. Dello scrittore conservo un ricordo vivo, quello dell’ultima intervista che gli feci – era il 1977 – quando lavoravo per la Radio della Svizzera italiana. Già toccato dalla malattia, era in procinto di partire per Zurigo per curarsi, ma disponibile come sempre a parlare di letteratura, di politica, di religione.
Per raggiungere la Val Calnègia, meta ideale per una camminata di fine estate, si percorre la Vallemaggia fino a Foroglio, conosciuto per la magnifica cascata (e dai buongustai per l’ottima cucina di Martino Giovanettina e della sua famiglia al grotto Froda). Il sentiero segnalato porta in meno di mezz’ora di salita all’entrata della valle, proprio sopra la cascata. È l’unica fatica, perché poi il sentiero scorre abbastanza pianeggiante. Il primo maggengo, Puntid, è idilliaco, con le piccole case in pietra, prati verdissimi, lo scorrere del fiume che forma invitanti pozzi. Da qui si può raggiungere il rifugio sottoroccia di cui si parlava, quella “splüia” tanto grande da dare ospitalità a uomini e bestie, e c’era pure posto per conservare alimenti, utensili, legna. Tornati a Puntid si attraversa il fiume su un romantico ponticello e si continua il percorso tra impressionanti pareti rocciose. Un altro bel maggengo si raggiunge mediante una deviazione di pochi minuti: si chiama Gerra, ghiaia, e anche qui l’uomo conviveva con la pietra, sfruttando ogni possibilità, modificando quando poteva, adattandosi dove non era possibile fare altro. Tornati sul sentiero principale, si giunge in breve a Calnègia, ultimo nucleo prima della ripidissima salita verso gli alpi, un’escursione, questa, riservata ad escursionisti esperti. Per chi volesse informazioni supplementari segnalo il prospetto che fa parte della serie “Sentieri di pietra”, da chiedere a Vallemaggia Turismo tel. 091/753 18 85.