Cambogia – L’estasi davanti ai templi di Angkor

Cambogia – Un angelo svizzero medico in Cambogia
Laos – La sua linfa vitale è il fiume Mekong
Laos – Il Laos “no stress” tra passato e presente

Nei secolari e imponenti siti archeologici cambogiani è facile rimanere senza parole per la simbologia che esprimono, per l’eccezionale contesto naturale in cui si trovano e per l’armonia con la foresta che li ospita.

Potete aver visitato qualsiasi angolo del mondo, ma davanti ai templi di Angkor in Cambogia rimarrete estasiati. Per la loro imponenza, per la simbologia che esprimono, per l’eccezionale contesto naturale in cui si trovano, per l’armonia con la foresta che li ospita trasformatasi a sua volta in grande artista e architetto quando le radici dei suoi alberi abbracciano questi monumenti secolari, per i canti degli uccelli, per gli indimenticabili tramonti. Per poter vivere tutte queste emozioni vale la pena di recarsi all’alba sui siti archeologici, quando ancora non sono invasi dai turisti, taluni ahimé rumorosi. E non sottovalutate l’ampiezza del sito. Checché ne dicano le agenzie di viaggio dedicare un solo giorno ad Angkor è davvero troppo poco!
Visitando oggi la Cambogia (13,5 milioni di abitanti) non può non sorprendere il forte contrasto tra gli splendori del passato e la dura realtà del presente. L’orgoglio per i grandi fasti imperiali, dopo gli anni bui dei Khmer Rossi, è fortissimo e Angkor è diventata il simbolo dell’identità nazionale, per cui la si vede rappresentata ovunque: sulla bandiera, sulle lattine della birra nazionale, sulle sigarette, così come sulle insegne di molti alberghi.

Le testimonianze
C’era una torre d’oro, in cima alla quale dorme il re. Secondo gli abitanti di questo Paese, dentro questa torre vi è un Genio, dalla forma di serpente a nove teste, che è il vero signore di tutto il regno…”. Così descriveva Angkor nel 1296 il diplomatico cinese Chou Ta-Kuan. E pensare che a quei tempi l’impero khmer era già in fase di decadenza. Nei due secoli precedenti era arrivato a dominare quasi l’intera area dell’Indocina e nel 1285 era stato visitato da Marco Polo. “Sappiate – scriveva il mercante veneziano ne “Il Milione” – che ‘quel regno non si può maritare neuna bella donzella che non convegna che ‘l re la provi, e se li piace, sì la tiene, se no, sì la marita a qualche barone. E sì vi dico che negli anni Domini 1285, secondo ch’io Marco Polo vidi, quel re avea 326 figliuoli, tra maschi e fimine, chè ben n’a 150 da arme. In quel regno à molti elefanti, e legno aloe assai, e ànno molto del legno onde si fanno li calamari”, cioè l’ebano.

La storia
L’impero khmer non nacque certo di colpo o per miracolo, ma fu il punto di arrivo di una lunga serie di eventi. Ben prima del IX secolo, infatti, in questa zona esistevano già diversi regni alquanto potenti. A Sambor Prei Kuk, tra Phnon Penh e Angkor, si possono visitare le imponenti testimonianze monumentali immerse nella foresta dell’antica capitale di uno di questi regni, quello dei Chenla.
Ma è solo a partire dal IX secolo che accadde qualcosa di completamente nuovo, quando un sovrano di nome Jayavarman II (“varmann” significa protettore) fondò una nuova capitale nei pressi dell’attuale Angkor, si proclamò dio-re e creò un nuovo culto imperniato sull’adorazione del sovrano divinizzato. Nasceva così la dinastia che avrebbe portato alla costituzione del più grande impero che il Sud-est asiatico continentale abbia mai conosciuto, lasciando ai posteri quella straordinaria eredità costituita dai templi di Angkor. Un impero che affondava storicamente le sue radici nella cultura indiana, sia per quanto attiene alle pratiche religiose, sia all’organizzazione del regno. I cambogiani accolsero dapprima la religione induista per poi passare al buddismo. Nei monumenti di Angkor queste due religioni convivono una accanto all’altra.
La chiave di successo di questo impero fu legata alla capacità di sfruttare l’acqua edificando un sofisticato sistema idrico che permise agli antichi khmer di governare gli elementi naturali. Lo sviluppo del regno alternava momenti di grande prosperità e di unione ad altri di caos e di lotte interne. Gli antichi sovrani-divinità s’impegnarono uno dopo l’altro a costruire templi che superassero quelli dei loro predecessori per dimensioni, ornamenti e armonia simmetrica. Tutte queste opere sono giunte a noi, ad iniziare dall’Angkor Watt, considerato il più imponente edificio sacro al mondo. L’uomo che portò l’impero all’apice della sua gloria e introdusse la religione buddista nell’impero fu Jayavarman VII (regno 1181-1219), il più grande sovrano di Angkor, considerato una sorta di eroe nazionale, la cui immagine è oggi onnipresente in Cambogia. Fu lui l’artefice dell’edificazione della città sacra di Angkor Thom, una delle mete principali dei tre milioni di turisti che ogni anno visitano questi siti archelogici. La civiltà di Angkor gli sopravvisse per più di due secoli, ma dopo Jayavarman VII iniziò il declino: non venne più edificato alcun monumento in pietra ed è come se con lui si fosse esaurita la vena creatrice del popolo khmer. Sovrani sempre più inetti salirono al potere e trascurarono la manutenzione del sistema idrico che rendeva la terra fertile e l’agricoltura rigogliosa.

La visita
L’impero khmer durò oltre 600 anni, dall’801 al 1432 (invasione thai), ma ebbe soltanto quattro secoli di splendore. I templi tramandati fino ai nostri giorni risalgono infatti a un periodo che va dal IX al XII secolo. Abbandonati alla giungla per secoli furono riscoperti dai francesi nella metà dell’Ottocento e saccheggiati da eserciti e tombaroli. Considerati tra i più importanti siti archeologici al mondo, affascinano il visitatore per le imponenti dimensioni, per la qualità architettonica e per le splendide decorazioni (bassorilievi).
Le centinaia di templi tuttora esistenti non costituiscono però che lo scheletro sacro del vasto centro politico, religioso e sociale, perché si riteneva che soltanto gli dèi potessero dimorare in strutture di mattoni o in pietra. Attorno ad essi sorgevano abitazioni, edifici pubblici e palazzi costruiti in legno e ormai scomparsi. Si pensa che la capitale del regno avesse oltre un milione di abitanti, quando Londra non contava che 50 mila anime. Come dicevamo, le dimensioni sono imponenti. Angkor Wat era circondato da un fossato colmo d’acqua largo 190 metri che racchiudeva un gigantesco rettangolo di 1,5 per 1,3 chilometri di lato. Angkor Thom aveva dimensioni ancora più rilevanti: raggiungeva i 10 chilometri quadrati di superficie. Il fossato era largo 100 metri e circondava un muro di cinta alto 8 metri e lungo 12 chilometri. Gli edifici erano costruiti in arenaria proveniente da una cava lontana 50 chilometri. Le pietre venivano trasportate su enormi zattere via acqua. I monumenti svolgevano al tempo stesso funzione di tempio funerario, che ospitava le ceneri del re defunto, e di tempio di culto consacrato a Vishnu, la divinità hindu con la quale il sovrano si identificava. Le cittadelle rappresentavano una riproduzione in miniatura dell’universo e una sorta di luogo di transito attraverso il quale l’essere umano raggiungeva la dimora degli dèi.
Oltre ai monumenti citati, che sono i più importanti, se ne possono visitare molti altri nelle vicinanze. Particolarmente suggestiva la “cittadella delle donne”, costruita in arenaria rosa e nota per i suoi delicatissimi bassorilievi.

Phnon Penh
Conosciuta un tempo come la “perla dell’Asia” la sua fama è stata offuscata negli anni Settanta dalla triste ombra di una guerra civile particolarmente cruenta che ha causato oltre 2 milioni di morti. Tanti quanti sono oggi gli abitanti di questa città, completamente distrutta nel 1772 dai thailandesi e in seguito ricostruita. Oggi Phnon Penh, capitale della Cambogia sin dall’inizio del XV secolo, dopo la caduta dell’impero khmer, si presenta come una metropoli in transizione tra una certa nostalgia per il passato e il caos di una città moderna. L’impronta del periodo coloniale francese (1863-1954) è ancora molto presente, soprattutto nel centro città. A quell’epoca risalgono i due edifici di maggiore interesse turistico: il palazzo reale, costruito su ispirazione di quello di Bangkok, e il museo nazionale.
Il palazzo reale reinterpreta un’architettura tipica cambogiana. È balzato spesso alla ribalta della cronaca alla fine del XX secolo, in quanto sede di quel re Sihanouk, ultimo dio-re del paese, famoso in gioventù per le sue prodezze amatorie e personaggio dal passato politico camaleontico, che è riuscito a salvare la monarchia (oggi sul trono siede suo figlio Sihamoni) nonostante tutte le tempeste attraversate dal suo paese. Statista di livello internazionale, generale, presidente, regista cinematografico (ha realizzato una trentina di film) è amato e considerato il padre della nazione da molti cambogiani, “ma per altri è l’uomo che ha tradito alleandosi con i Khmer Rossi. Per molti versi – commentano gli autori della guida Lonely Planet – le sue contraddizioni corrispondono a quelle della Cambogia contemporanea”.
Il Museo Nazionale racchiude alcuni fra i più significativi e rimarchevoli tesori dell’arte khmer. La visita è un passo preliminare indispensabile per meglio comprendere e apprezzare sia l’arte figurativa di Angkor, caratterizzata da uno stupefacente realismo, sia quella del periodo precedente.

Itinerario
1° giorno
Milano-Bangkok
2° giorno
Bangkok-Chiang Rai-Chieng Khong-Huey Xai
3° giorno
Navigazione da Huey Xai a Pakbeng
4° giorno
Navigazione da Pakbeng a Luang Prabang
5° giorno
Luang Prabang
6° giorno
Luang Prabang-Vientiane
7° giorno
Vientiane-Phnom Penh
8° giorno
Phnom Penh-Sambor Prei Kuk-Siem Reap (Angkor)
9° giorno
Siem Reap (Angkor)
10° giorno
Siem Reap (Angkor)-Bangkok-Milano

Bibliografia
Cambogia Lonely Planet, Torino 2011
Cambogia Polaris, Firenze 2008
Vietnam-Cambogia Meridiani n. 145, Milano 2006
Cambogia Guide Ulysse Moizzi, Milano 2011
Angkor National Geographic, Torino 2006

Egitto – Al sud, tra Nilo e deserto

Egitto – La città di Luxor, l’antica Tebe
Egitto – Un’autostrada del turismo
Egitto – I diversi volti dell’Islam

I templi dell’epoca tarda (300-30 a.C.) di Aswan, Kom Ombo,Idfu e Esna. La diga degli anni Sessanta che ha cambiato la vita del paese. La spettacolare Abu Simbel, salvata dalle acque del Lago Nasser grazie all’intervento dell’Unesco

Quando si pensa alla civiltà egiziana ci si dimentica spesso che ci si riferisce a un periodo lunghissimo che va dal 3000 a.C., quando nasce la prima dinastia faraonica, fino al 30 a.C., quando l’Egitto diventa una provincia romana. Un periodo quindi di quasi tremila anni, che ha conosciuto alti e bassi. I momenti migliori hanno sempre coinciso con un forte potere centrale, quelli difficili sono invece stati caratterizzati da divisioni politiche e sociali del paese. Un altro elemento fondamentale per comprendere questa straordinaria civiltà è il ruolo del Nilo, che quando nel corso dell’estate straripava ricopriva le rive, su un’estensione di alcuni chilometri, depositando un prezioso limo che rendeva fertilissima la terra. La grande ricchezza di questo paese, stretto tra due deserti, era legata al suo fiume, sulle cui sponde pulsava la vita allora, come avviene ancora oggi.
Il nostro itinerario segue dunque il tragitto del Nilo, ma a ritroso nel tempo. Nel senso che partiamo dall’epoca tarda faraonica cioè dal 300 a.C. al 30 a.C., quando il paese aveva trovato una difficile convivenza tra la civiltà egizia e quella greca, e giungiamo al periodo aureo toccato durante la XVIII dinastia (1540-1292 a.C.) e l’inizio della XIX (1292-1186 a.C.). La visita dello straordinario museo egizio del Cairo e delle piramidi è prevista per un altro viaggio, che contemplerà anche il deserto e la mediterranea Alessandria fondata da Alessandro Magno.
Non si tratta quindi dell’itinerario classico, sia per quanto riguarda il tragitto, sia il mezzo di trasporto: l’automobile invece della crociera in nave sul Nilo. Il nostro percorso scorre da sud a nord, da Aswan – con una puntatina in aereo nell’estremo sud, nel deserto nubiano, per visitare Abu Simbel – a Luxor, per raggiungere più a nord anche gli splendidi templi di Abydos e Dendera.
La prima tappa del viaggio è Aswan, che raggiungiamo in aereo da Milano, facendo scalo al Cairo. Qui visitiamo il Tempio di File e poi verso nord quelli di Kom Ombo, Idfu e Esna. Si tratta di monumenti risalenti all’epoca tolemaica (300 a.C. – 30 a.C.) frutto di un’interazione tra due grandi culture: quella egizia e quella greca. Come scrive Ernst H. Gombrich nella sua storia dell’arte “i maestri greci andarono alla scuola degli egizi, e noi tutti siamo allievi dei greci. Per questo l’arte egizia assume per noi un’importanza incalcolabile”.

I Greci in Egitto
Dopo oltre due millenni di storia sul trono dei faraoni, a partire dal VII secolo a.C., sedettero sovrani stranieri, che in molti casi cercarono di rispettare la cultura egizia. È quanto accadde alla dinastia dei tolomei (300 – 30 a.C.), che salì al potere dopo la conquista dell’Egitto da parte di Alessandro Magno e la sua incoronazione a faraone. Alla morte del grande condottiero, uno dei suoi amici più fedeli, il greco Tolomeo si proclamò re d’Egitto e fondò una dinastia che sarebbe durata tre secoli donando al paese una tarda fioritura anche nel mondo dell’arte e dell’architettura. Il tempio di File ad Aswan e quelli di Kom Ombo, Idfu e Isna, che si incontrano in quest’ordine lungo la strada che sale a nord verso Luxor, appartengono a quest’epoca.
Dedicato alla dea Iside il Tempio di File si trova su una suggestiva isola sul Nilo, che si raggiunge in barca. Per evitare che venisse sommerso dalle acque dopo la costruzione della grande diga costruita da Nasser negli anni Sessanta fu letteralmente smontato in 42 mila blocchi numerizzati e rimontato. Questo intervento, realizzato con l’aiuto dell’Unesco, ha richiesto otto anni di lavoro.
Iniziato nel IV secolo a.C. il luogo di culto fu abbellito dagli ultimi faraoni e ultimato durante l’impero romano. Il suo grado di conservazione è eccezionale e ci propone alto e bassorilievi di grande pregio artistico dedicati alla leggenda di Iside, sorella e consorte di Osiride, che venne ucciso dal fratello ma fu riportato in vita grazie a un battito d’ali della dea trasformatasi in uccello. Dalla loro unione nacque Horus, a cui è dedicato il tempio di Idfu, che è giunto a noi quasi intatto permettendoci quindi di penetrare dentro i misteri di un luogo di culto egizio. Cosa assolutamente proibita alla gente del tempo, costretta a rimanere nel cortile esterno, quindi lontana dal sacrario che si trovava nella parte posteriore e custodiva la statua d’oro del dio a cui era dedicato il tempio.
A Kom Ombo, immerso in uno splendido paesaggio in riva al Nilo attorniato da verdissimi campi coltivati a granturco e canna da zucchero, mi hanno particolarmente colpito alcuni bassorilievi che illustrano l’elevato livello raggiunto dalle arti mediche all’epoca dei faraoni. I sacerdoti presenti nei templi, oltre che a celebrare gli dei, praticavano infatti anche la medicina e l’astrologia. Di enorme interesse anche il cosiddetto nilometro, un marchingegno che permetteva di misurare il livello del Nilo durante le piene e dal quale dipendeva l’ammontare della tasse: minori se l’acqua era poca, maggiori se era molta.

Con le dighe cambia la vita
A partire dall’inizio del Novecento le piene del Nilo sono controllate dalle dighe: la cosiddetta Diga Vecchia fu costruita dagli inglesi nel 1902, la più recente risale invece agli anni Sessanta. Un’opera voluta da Nasser che ha permesso di aumentare del 30 per cento la superficie delle terre coltivabili, di raddoppiare le risorse energetiche e di regolarizzare l’irrigazione, consentendo un notevole sviluppo delle risaie e stabilizzando le acque del fiume favorendo in tal modo la navigazione permanente. Tutti questi vantaggi hanno però comportato un prezzo elevato per le popolazioni che vivevano lungo le rive del Nilo a nord di Aswan nella regione dove oggi si trova il lago Nasser. Le acque hanno infatti sommerso i villaggi dove vivevano 100 mila nubiani costretti a trasferirsi in altre parti del paese e in particolare in nuovi villaggi costruiti appositamente dal governo a nord, nei pressi di Kom Ombo, ma lontani dal Nilo. Un interessante museo di recente inaugurazione ad Aswan, presenta la cultura nubiana e il suo sviluppo nei secoli. A livello paesaggistico il lago, circondato dalle dorate sabbie del deserto, non sembra opera dell’uomo, ma una magia della natura.

Aswan, ponte tra le culture
La più meridionale delle città egiziane, famosa per il suo granito rosa, anticamente occupava unicamente l’isola Elefantina situata nel mezzo del Nilo in uno splendido paesaggio caratterizzato dalle sabbie del deserto. Storicamente sede di un importante mercato, ha favorito gli scambi economici e culturali tra il mondo arabo e l’Africa nera. Situata nei pressi della prima cataratta, una sorta di cascata, ha svolto un importante ruolo strategico, perché permetteva agli eserciti dei faraoni di controllare gli afflussi dalla regione della Nubia e quindi dall’Africa. Oggi è una graziosa cittadina, dove si può passeggiare lungo il Nilo, sulla cosiddetta Corniche in ricordo dell’epoca coloniale, ben rappresentata anche dal prestigioso hotel Old Cataract, purtroppo attualmente in restauro. Il vasto suk (mercato) ha in parte perso la sua tipicità. Sebbene di forte impronta turistica non si può rinunciare a una gita in feluca, dove “l’ozio acquisisce tutta la sua nobiltà”, mentre le vele spinte dal vento inoltrano i passeggeri in un paesaggio desertico e silenzioso, che permette di viaggiare con il pensiero ai tempi dei faraoni.

Indimenticabile Abu Simbel
Abu Simbel è una delle mete più interessanti del viaggio. Non ci troviamo più di fronte a monumenti dell’epoca tolemaica, ma risalenti a mille anni prima. Questo luogo di culto è stato costruito da Ramsete II (1279-1213 a.C.), uno dei più grandi faraoni della storia. Situato alle porte dell’Africa nel deserto nubiano è completamente scavato in uno sperone di roccia per un’altezza di 33 metri e una larghezza di 38. Nonostante queste dimensioni gigantesche gli scultori hanno saputo creare un’opera perfetta.
Ramsete II fu un grande costruttore, un grande guerriero, ma anche un uomo di pace, perché concluse con gli Ittiti forse il primo trattato scritto di pace della storia, che prevede numerose clausole, tra cui addirittura alcune dedicate alle estradizioni.
Due sono i monumenti che si visitano ad Abu Simbel: il Grande tempio, dedicato da Ramsete II a sé stesso e il Tempio di Hathor, offerto invece alla sua sposa preferita, la regina Nefertari, che in lingua egiziana antica significa la più bella tra le belle. Secondo alcuni storici il faraone costruì questo edificio maestoso per dimostrare la sua potenza ai possibili invasori provenienti dall’Africa.
L’atmosfera che si respira nei due templi è molto diversa. Quello di dimensioni più ridotte, dedicato alla moglie, è decisamente più leggero. Le figure di donna slanciate ed eleganti dipinte sulle pareti danno effettivamente l’impressione di entrare in un universo femminile. Più imponente e molto più ampio è invece il tempio grande. Sulle pareti sono rappresentate scene della famosa battaglia di Qadesh combattuta da Ramsete II contro gli Ittiti. Curioso il modo utilizzato per rendere l’idea del movimento: lo sdoppiamento dell’immagine. Due giorni all’anno – probabilmente quello del compleanno e quello dell’incoronazione del faraone – i raggi del sole penetrano attraverso un’angusta finestra illuminando sull’altare le figure del re sole e di Ramsete II, che si trovano accanto agli dei Amon-Ra e Ptah.
Impressionante immaginare che questo monumento sia stato smontato in mille blocchi e rimontato 62 metri più in alto per evitare di soccombere sotto le acque del lago Nassar.

Bibliografia
Egitto La Guida Verde Michelin, Milano 2002
Egitto Touring Club Italiano, Milano 2007
Egitto Lonely Planet, Torino 2008
Egitto Polaris, Firenze 2004
Hermann A. Schlegl, L’Antico Egitto Il Mulino, Bologna 2005
Sergio Donadoni, L’uomo egiziano Editori Laterza, Bari 2003