Birmania – In fuga lontano dalla globalizzazione

Birmania – Un passo nella storia
Birmania – Un lago, un mondo
Birmania – Birmania, dilemma etico per il turista
Birmania – Un paese sospeso tra storia e futuro

Un paese che non è stato ancora del tutto colonizzato dalle mode straniere, che ha salvaguardato una propria identità, la Birmania. Ed è proprio la Birmania il motivo per cui si visita questo paese. Un viaggio con Kel12, tra le popolazioni di montagna del Triangolo d’Oro, dove si coltiva l’oppio.

A causa del suo isolamento più o meno autoimposto – si legge sulla guida Lonely Placet – il Myanmar non è stato ancora del tutto colonizzato dalle mode straniere”. “Confrontato con Vietnam, Cambogia, Tailandia, Cina e col resto del Sud-Est Asiatico – si legge nel documento di Kel12, l’agenzia che ha organizzato in modo ineccepibile il nostro viaggio – è il paese meno stravolto nello stile di vita dai modelli occidentali. Se da una parte il suo rinchiudersi in sé stesso non ha consentito lo svilupparsi di forme di reale partecipazione popolare nella gestione della cosa pubblica, dall’altra ne ha salvaguardato l’identità, la ‘birmanità’. E la ‘birmanità’ è il motivo per cui si visita questo paese”.
E la ‘birmanità’, cioè una forte identità, la si percepisce in tutto il paese, dalla metropoli di Yangon ai villaggi sperduti del nord-ovest, dove vive la ribelle etnia Shan. A differenza di molti paesi in via di sviluppo, il Myanmar non ha ancora conosciuto il fenomeno della migrazione di massa verso le grandi città. Yangon non offre molte possibilità di lavoro. Uomini e donne vestono ancora il tradizionale ‘longyi’, una sorta di gonna lunga molto confortevole nei climi tropicali. In tutto il paese le donne si tingono ancora le guance con una crema naturale chiamata ‘Thanaka’. Se entrate in un grande magazzino della metropoli, trovate un clima assolutamente occidentale, anche se le marche dei prodotti sono diverse, che stride con quanto vedete a due passi dal centro, per esempio nel vastissimo quartiere cinese.
Dopo l’arrivo a Yangon, il nostro itinerario si sviluppa all’interno del paese, alla scoperta delle popolazioni di montagna, di quelle che vivono attorno al lago Inle e delle città imperiali, testimonianza di un passato di cui rimangono suggestivi monumenti soprattutto di architettura religiosa.
Un valore fondamentale della ‘birmanità’, che percepite appena posate piede su questo territorio, è la gentilezza e l’ospitalità innate. In città, come in campagna o nei villaggi di montagna, la gente vi invita a partecipare alla sua quotidianità, senza farvi sentire estranei. A Yangon, durante la visita a una pagoda a cui è annessa la facoltà di teologia, nella mensa dell’università una famiglia facoltosa di commercianti offriva il pranzo ai monaci (è una consuetudine in questo paese). Non appena ci hanno visti, ci hanno invitati a sederci per condividere il pasto con loro. Poco distante, mentre visitavamo un monastero per i novizi (ogni giovane buddista trascorre alcune settimane o mesi in un monastero) dove si teneva un’importante cerimonia, siamo stati invitati a partecipare. Il ricco commerciante che offriva doni a un folto gruppo di novizi orfani ci ha chiesto di distribuire i regali assieme a lui. Così come sulle montagne, quando vi accostate a una casa dove stanno festeggiando una ricorrenza vi invitano ad entrare e vi offrono il loro distillato di riso, molto simile alla nostra grappa. Noi, poco abituati a questo tipo di ospitalità, rimaniamo commossi da tanta generosità, comune a tutte le etnie che popolano questo paese vasto due volte l’Italia, ma con più o meno lo stesso numero di abitanti: circa 60 milioni.

Le popolazioni delle montagne
Da Yangon volo a Kyaing Tong, nello stato Shan al nord-est del paese vicino al confine con la Thailandia. I voli interni non sono diretti, ma fanno scalo nelle varie località. Chi è arrivato a destinazione scende, chi prosegue rimane a bordo: come sul bus. Osservando il paesaggio dall’alto noto che le strade sono pochissime e i villaggi pure. Il fattore di principale richiamo della valle dove siamo diretti e che si trova a 1200 metri di altitudine, è rappresentato dal suo estremo isolamento (si registrano 30 abitanti per chilometro quadrato). È meta ideale per brevi trekking nei villaggi molto distanti tra loro e popolati da tribù Shan. Un’etnia dal punto di vista etnico, culturale e linguistico molto affine alla popolazione thailandese che vive oltre confine. Questa terra è ricchissima: abbondano oro, argento, zinco, pietre preziose, piombo, ferro. Si tratta di una zona aperta al turismo solo a partire dal 2004. Lo forti spinte autonomiste sono state represse, dapprima con le armi e poi concedendo a questa regione uno statuto speciale. Si tratta di una zona calda perché situata nel cosiddetto ‘triangolo d’oro’, tristemente noto per le piantagioni di papavero da cui si ricava l’oppio. Oggi la produzione di questa sostanza nel Myanmar è notevolmente diminuita, perché ufficialmente proibita. Si sa però che in queste zone il papavero viene ancora coltivato.
La popolazione Shan vive di agricoltura ed è storicamente suddivisa in tribù, con costumi e idiomi molto diversi tra loro. Luogo ideale per rendersi conto di questa varietà è il mercato di Kyaing Tong, che attira dalle colline circostanti un coloratissimo afflusso di etnie, merci e artigianato della regione. La guida locale che ci accompagna sulle montagne, acquista cibo, medicine naturali e shampoo da portare in omaggio agli abitanti dei villaggi. Si è dimostrata una buona idea perché nessuno ci ha chiesto soldi e tutti erano molto soddisfatti. Più le nostre mete sono lontane da Kyaing Tong e dalle rare strade, più sono interessanti, perché poco frequentate dai pur pochi turisti che visitano questa zona. Visitando questi villaggi, salendo un dislivello di alcune centinaia di metri, si ha l’impressione che il tempo si sia fermato. Le capanne in cui vive la popolazione hanno la struttura in legno di bambù e le pareti di paglia e fogliame. Sono solitamente costruite su palafitte e non lontano, ben sollevato da terra c’è il deposito per il riso. All’interno, il locale di lavoro e di soggiorno è separato da quello dove si dorme. Nella tribù Akha, di religione animista, uomini e donne dormono in spazi separati e non hanno diritto di avere rapporti sessuali in casa. I numerosi animali da cortile – cani, maiali, galline, oche, eccetera – vivono al suolo e ‘passeggiano’ indisturbati per le vie del borgo. Un’abitazione importante, nei villaggi animisti, è quella dello stregone, dal quale ci si reca per tenere a bada gli spiriti. In qualche paesino meno discosto si notano anche rarissime case in muratura. Sono considerate le residenze dei ricchi: solitamente commercianti di prodotti agricoli o di oppio.
Il discorso sulla religione è alquanto complesso. In un villaggio sperduto su una montagna abbiamo trovato tre ‘quartieri’: uno buddista, uno cristiano e uno animista. La convivenza evidentemente è possibile, ma sembra non risulti sempre facile, perché queste tre religioni hanno credi profondamente diversi. In Myanmar anche i buddisti più praticanti amano Buddha, ma temono i cosiddetti Nat. Storicamente ogni Nat incarnava lo spirito di qualche celebre e leggendario personaggio storico, morto generalmente in modo drammatico. Moltissime pagode propongono le statue dei Nat, ai quali i fedeli chiedono conferme e favori.
Normalmente nei paraggi di ogni villaggio si trova una scuola, ma i genitori di religione animista spesso non permettono ai loro figli di frequentarla perché considerano lo studio una perdita di tempo. I giovani maestri, prima di poter insegnare in città, devono fare un’esperienza di alcuni anni in villaggi discosti. Abbiamo visitato più di una scuola e siamo sempre stati accolti con interesse.
Gli abiti variano di villaggio in villaggio. Gli uomini non vestono il ‘longji’, ma pantaloni molto larghi e una casacca scura. Assai più spettacolare e colorato è l’abbigliamento delle donne, che portano copricapi molto originali tramandati spesso di generazione in generazione. Ogni villaggio che si rispetti ha poi un luogo dove si distilla il riso. Queste tribù sono spesso in festa, soprattutto in coincidenza con le notti di plenilunio. A Kiaing Tong abbiamo assistito a un’affollatissima festa con canti, balli e lotterie. A un certo momento il cielo si è illuminato con una miriade di lanterne che volteggiavano nell’aria in direzione della luna piena. Uno spettacolo suggestivo e indimenticabile!

Quella pagoda che vale il viaggio
Ritengo non vi sia nulla di così stupefacente al mondo” commentava Ralph Fitch, il primo inglese a raggiungere il Myanmar nel 1558. “È un mistero dorato sull’orizzonte, una meraviglia che splende nel sole”, aggiungeva Kypling nelle sue ‘Lettere dall’Est’ pubblicate nel 1889. Sir Somerset Maugham descrisse invece la pagoda “come un’improvvisa speranza nelle tenebre dell’anima”. Non c’è davvero nessuna esagerazione in questi autorevoli pareri. Non saprei descrivere la Pagoda Shwedagon in altro modo che come un sogno ad occhi aperti. Avevo letto di questo monumento prima di partire, ma la mia immaginazione non era andata tanto lontano. Quando arrivate lassù su quella vastissima piattaforma (280 per 220 metri) è come guardare in un magico caleidoscopio: davanti a voi un immenso stupa a forma di cono e ovunque volgete lo sguardo trovate una miriade tabernacoli, tempietti, statue di Buddha e altre divinità, immagini di animali, edicole e decine di altri stupa di tutte le dimensioni. Visibile da qualsiasi punto della città, questo monumento ne è diventato il simbolo e da solo vale il viaggio in Myanmar. È uno dei luoghi buddisti con maggior significato religioso e ogni birmano spera di visitarlo almeno una volta nella sua vita. I pellegrini si radunano qui per pregare, per incontrarsi e per assaporare la pace incredibile che si sprigiona in questo luogo.
Secondo la leggenda, questo tempio avrebbe 2500 anni, ma secondo gli archeologi risale invece a un’epoca tra il VI e il X secolo. Ha subito l’impeto di ben otto terremoti. Il più violento, nel 1768, comportò un importante restauro che ce lo ha consegnato così come lo vediamo oggi.
Ho voluto visitarlo più volte per ammirarlo con le varie luci del giorno e della notte e non avrei mai voluto andarmene. Sarei rimasto lì per ore ad osservare la gente raccolta in piccoli gruppi a pregare o in meditazione, la magia di quei templi e dei loro tetti che si stagliano nel cielo. Ho avuto la fortuna di essere presente la notte in cui si celebra la festa delle luci. Gli ori dei templi, illuminati da una miriade di candele in contrasto con il blu scuro della notte sono diventati ancora più scintillanti. E’ stato uno spettacolo commovente. Molte famiglie sistemavano una stuoia sul pavimento e si preparavano per trascorrere la notte sotto la luna piena. Arrivava sempre più gente. Nessuno beveva, nessuno spingeva. Quando ci guardavano sorridevano e noi non ci sentivamo intrusi, ma partecipi di quella festa indimenticabile!

Birmania – Un lago, un mondo

Birmania – In fuga lontano dalla globalizzazione
Birmania – Un passo nella storia
Birmania – Birmania, dilemma etico per il turista
Birmania – Un paese sospeso tra storia e futuro

A 900 metri di altitudine, sul lago Inle di una bellezza incomparabile. Una società fluttuante, dove la canoa non solo è un mezzo di trasporto, ma diventa anche spazio sociale. Un viaggio con Kel12 nelle tradizioni, nel credo, nei mercati e nell’artigianato di una società dove il tempo sembra essersi fermato.

Arriviamo al lago Inle all’ora del tramonto, dopo un breve spostamento in aereo. Una barca lunga e stretta, che sarà il nostro mezzo di trasporto per i prossimi giorni, ci sta aspettando per portarci all’albergo. Il sole sta per tramontare e i cielo assume tutte le sfumature dal rosso all’arancione, che si specchiano sull’acqua ferma. I contadini sulle loro barche piatte stanno remando per tornare dagli orti galleggianti alle loro case a palafitta nei villaggi. Qualche pescatore si attarda. La sua immagine allungata si riflette sulla superficie dell’acqua. Sembra un paesaggio irreale. È questa la prima immagine di questo lago, che è un mondo a sé. Siamo arrivati al nostro splendido albergo, che si affaccia sulla riva ed è gestito da un francese.
Situato a circa 900 metri di altezza e delimitato da due catene montuose il lago Inle, di una bellezza incomparabile, è lungo solo 22 chilometri e largo 11, ma da esso si dirama una vastissima ragnatela di canali navigabili. È famoso per il suo stile di vita. Una società fluttuante, dove la canoa non solo è mezzo di trasporto, ma diventa anche spazio sociale. La popolazione vive di agricoltura, di artigianato e di pesca. In birmano “in” significa lago, mentre “le” vuol dire quattro. In effetti i primi documenti risalenti al 1637 parlano di quattro villaggi. Oggi sulle rive se ne affacciano diciassette, abitati complessivamente da 70 mila persone. Ma l’intera regione, compreso chi abita sulla terraferma ma vive del lago, ne conta 130 mila.
Secondo la leggenda, nel 1359 due fratelli originari di Dawei nel sud del paese arrivarono in questa regione per lavorare al servizio di un cosiddetto “sao pha”, che significa “signore del cielo”, il titolo ereditario assegnato ai capi Shan. Fu talmente soddisfatto del duro lavoro e del comportamento dei due che chiese loro di far giungere altre trentasei famiglie da Dawei: tutti gli Intha, la principale etnia che popola le rive di queste acque, sarebbero loro discendenti. Gli Intha sono in effetti grandi lavoratori, conosciuti per la loro originale tecnica di remata, che consiste nell’utilizzare piccole imbarcazioni piatte, sospinte da un remo su cui si fa pressione con la gamba, avvantaggiandosi di una leva simile alla forca veneziana. La superficie del lago è in continua evoluzione a causa dei famosi orti galleggianti, fissati al fondo – la profondità oscilla tra due e tre metri – con un palo di bambù. Le isole e le penisole che si vengono così a formare sono collegate da una rete di canali che costituiscono le principali vie di trasporto e permettono di navigare per ore senza percorrere mai lo stesso tragitto.

Tutta la vita attorno al lago
Il mattino alle 8 la nostra barca ci attende per una splendida gita, che in tre ore lungo canali navigabili ci porterà verso sud, al villaggio di Sagar. È aperto al turismo da pochi anni, da quando il governo ha concesso uno statuto speciale alla tribù dei Pa O, di etnia Shan, che abita Sagar, ma vive soprattutto sulle montagne ed è famosa per il suo aglio, che sembra sia il migliore del paese. Per visitare il villaggio bisogna essere accompagnati da una loro guida. La tribù dei Pa O conta circa 500 mila persone e sembra bene organizzata, perché possiede un albergo e un ristorante sul lago e richiede un pedaggio a chi visita Sagar. Con queste entrate finanziano opere sociali.
La gita è particolarmente interessante per capire come queste popolazioni riescano a vivere sull’acqua. Siccome il lago è poco profondo ed è colmo di alghe, la nostra barca è dotata di un motore a scoppio con una strana elica che non affonda, ma gira a filo d’acqua causando uno spruzzo a forma di arco. Attraversiamo diversi pittoreschi villaggi con le case a palafitta. La gente vive sulle rive del lago e dei canali: i bimbi giocano con l’acqua, le donne lavano i panni, molti si lavano, altri coltivano i loro orti galleggianti a bordo delle canoe o trasportano merce, altri ancora pescano. Il paesaggio è verdissimo e cambia continuamente prospettiva. Lungo un canale incontriamo addirittura due bufali che nuotano. Finalmente arriviamo a Sagar, dove il mercato sta per chiudere. Gli abitanti ci accolgono con la consueta gentilezza, ci mostrano le loro case e ci offrono banane. La abitazioni hanno la struttura in canna di bambù e le pareti e i tetti in paglia o fogliame. Sono molto simili a quelle che abbiamo visto sulle montagne. Sulla riva visitiamo alcuni suggestivi stupa abbandonati (monumenti religiosi a forma di cono), che si specchiano nelle acque del canale. Le rare statue di Buddha sono naif e hanno uno sguardo meno dolce del solito.
Sulla via del ritorno notiamo diversi pescatori all’opera. Su minuscole canoe trasportano enormi ceste a forma di cono con un telaio in bambù avvolto da reti. Le posano sul fondo del lago rovesciate e piantano un palo di bambù per sapere dove si trovano. Quindi si spostano attorno e sbattono violentemente il remo della canoa sull’acqua per spaventare i pesci e orientarli verso la rete. Sembra che nel lago Inle ne vivano venticinque specie. Il nostro barcaiolo si avvicina alla canoa di un pescatore che ci mostra orgoglioso il suo bottino custodito sul fondo dell’imbarcazione.

Gli orti galleggianti
Siamo rimasti sul lago altri due giorni per visitare i mercati, i villaggi specializzati nell’artigianato, i luoghi di culto. Ogni giorno ci colpiva l’enorme diffusione degli orti galleggianti. Gli studiosi affermano che se si va avanti di questo passo nel giro di alcuni secoli il lago scomparirà. Creare un orto galleggiante è faticoso, ma relativamente semplice. Le piante di giacinto che crescono spontaneamente sul lago hanno infatti la proprietà di costituire piccole isole. Si tratta di staccare con grande fatica uno di questi isolotti, di trascinarlo con la canoa dove si desidera, di fissarlo con pali di bambù al fondo del lago (altrimenti fluttua e se ne va) e di ricoprirlo di alghe di cui il lago è colmo, che rendono il “terreno” fertilissimo. Questi isolotti vengono allineati in filari tra i quali i contadini entrano con le loro canoe strette e piatte. Oggi si coltivano soprattutto pomodori (ma anche fiori, frutta e altri ortaggi) che maturano ben tre volte all’anno. Quelli del primo raccolto sono di piccole dimensioni e vengono pertanto consumati localmente, ma i successivi vengono distribuiti in tutto il paese e coprono il 60 per cento del fabbisogno.

Buddha deformati dalla devozione
Le cinque statue di Buddha conservate nel tempio Phaung Daw Oo, che si affaccia sul lago, sono tra le più venerate in Myanmar. La devozione dei fedeli le ha addirittura sfigurate. In Birmania vige infatti l’usanza da parte dei pellegrini di applicare alle statue del Buddha sottilissimi lamine d’oro, che si acquistano in bustine (simili a quelle delle nostre figurine) nei luoghi di culto. Ebbene a furia di ricevere foglie d’oro queste cinque statue sono ormai sfigurate e non hanno più la parvenza del Buddha. Ogni anno, tra settembre e ottobre, quattro delle cinque statue vengono trasportate sul lago a bordo di una stupenda imbarcazione, seguita da centinaia di canoe di fedeli in festa, e accompagnate nei vari villaggi, dove trascorrono una notte di grande festa. La quinta statua, a partire dagli anni Settanta, non viene più spostata. Sembra che durante una tempesta la barca che trasportava le cinque statue si rovesciò: quattro furono ripescate, la quinta non fu ritrovata perché si trovava già al suo posto cosparsa di alghe. Da allora non viene più rimossa.
Il monastero Nag Phe Kyaung è noto per i suoi gatti saltatori, ma custodisce una splendida collezione di statue del Buddha realizzate in vari stili e in diverse epoche. I maligni sostengono che qualche volta anche i monaci buddisti si annoiano. Qualcuno di loro si è allora dedicato ad ammaestrare gatti, che sollecitati saltano dentro un cerchio, come fanno le tigri e i leoni al circo.
Un altro luogo mistico di grande fascino è Shwe Inn Thein, uno straordinario complesso di stupa del XVII secolo costruiti su una collina che purtroppo sono stati danneggiati dall’azione degli elementi naturali, ma finora non ancora sottoposti a restauro. Ed è proprio questo stato di abbandono a conferire a quel luogo un’atmosfera magica e di pace. Al sito si giunge percorrendo un cammino coperto sotto un colonnato lungo quasi due chilometri, che collega il luogo sacro al paese. Purtroppo il turismo ne ha in parte snaturato la magia, perché lungo il corridoio si allineano bancarelle che vendono chincaglierie di cattivo gusto. E dire che l’artigianato di qualità in questo paese non manca!

Un artigianato di qualità
In Myanmar in generale e al lago Inle in particolare si può ancora trovare un artigianato di elevata qualità, accanto a chincaglierie di cattivo gusto prodotte per turisti frettolosi. In questo paese l’industrializzazione non si è espansa al di fuori dei centri principali, per cui si costruiscono ancora molti oggetti artigianalmente e si sono conservate abilità manuali andate perse ormai quasi ovunque. I prodotti artigianali più preziosi del lago Inle sono certamente i tessuti ottenuti filando la fibra contenuta nel fusto del fior di loto. È l’unico posto al mondo dove avviene questa lavorazione, che richiede tempi lunghissimi. Ma qui la mano d’opera costa poco, troppo poco: una tessitrice non arriva a guadagnare 100 dollari al mese. Quasi in ogni casa è presente un telaio. Al lago Inle, come ad Amarapura, la città imperiale vicino a Mandalay si tesse il filato di seta proveniente dalla Cina, ottenendo stoffe di elevatissimo pregio. In altre parti del Myanmar, anche sulle montagne vengono invece prodotti teli variopinti in cotone con soggetti tradizionali di grande bellezza. I più belli si acquistano sul luogo di produzione.
Sul lago Inle esistono anche centri di lavorazione dell’argento, di produzione della carta fatta a mano e dei sigari con le foglie di tabacco coltivato negli orti.
Lungo una strada di Mandalay, alcune centinaia di chilometri a sud rispetto al lago Inle, un’intera via è dedicata agli atélier dove si lavora il marmo e si producono soprattutto Buddha di dubbio gusto. Bagan, la città che ospitò il primo impero birmano tra l’XI e il XIII secolo è invece famosa per i suoi preziosi oggetti in lacca, la cui lavorazione richiede alcuni mesi.

Una terra di mercati
Non puoi conoscere un paese senza visitare i suoi mercati. E questo vale soprattutto per una nazione poco industrializzata come il Myanmar. Il mercato forse più interessante e pittoresco che abbiamo visitato durante il viaggio è quello del villaggio di Nan Pan, il più grande che si tiene sulle rive del lago Inle, dove ogni giorno della settimana cambiano le sedi dei mercati. In questo luogo affluisce sia la gente che viene dal lago, sia quella che scende dalle vicine montagne. L’afflusso dalla riva è caotico perché le imbarcazioni sono moltissime ed è quasi impossibile ormeggiare. Una volta a terra il mercato è enorme e vi si trova di tutto. La parte dedicata ai turisti è per fortuna molto ristretta. Tutto il resto è per gli indigeni. Il più variopinto è il settore ortofrutticolo. È incredibile la varietà dei prodotti alimentari. Qui si utilizza tutto di tutto. Non si butta via niente. Lo abbiamo notato in tutti i mercati durante il viaggio. May, la nostra graziosa guida, che è anche una buongustaia, ci mostra tutti i cibi e ci spiega come si cucinano.
Praticamente ogni giorno durante il nostro itinerario in Myanmar abbiamo visitato mercati. I più interessanti sono quelli a cui affluiscono i contadini da varie parte della regione, come accade al lago Inle, ma anche a Kyaing Tong nel nord-est e a Bagan. Notissimo è anche il mercato di Yangon, dove si trova di tutto, ma non il fascino della campagna.

Birmania – Un paese sospeso tra storia e futuro

Birmania – In fuga lontano dalla globalizzazione
Birmania – Un passo nella storia
Birmania – Un lago, un mondo
Birmania – Birmania, dilemma etico per il turista

È con la cultura che si innesca il progresso, perché senza di essa l’uomo è condannato a vedere nell’altro sempre e solo un nemico”. Questa frase del sociologo algerino K.F. Allam, mi sembra spieghi bene il senso del viaggiare e soprattutto di un viaggio in Birmania, un paese che non è stato ancora colonizzato dalle mode straniere e che ha salvaguardato una propria identità, la ‘birmanità’. Ed è proprio questo il motivo per cui vale la pena di visitare la Birmania.
Sette persone su dieci in Myanmar lavorano la terra. L’11% circa dei 52 milioni di abitanti vive nella capitale, dove non si conosce ancora il fenomeno della migrazione di massa verso la grande città. La vasta pianura centrale con il suolo più fertile del paese solcato dalle acque del fiume Ayeyarwady, lungo oltre duemila chilometri, è sempre stata dominata dal gruppo che nelle varie epoche si è rivelato il più forte: i Bamar o Birmani che con il 68% costituiscono la maggioranza della popolazione. Si ritiene siano migrati anticamente dall’Himalaya e già nell’XI secolo dominavano buona parte del territorio dalla loro capitale Bagan, una delle meraviglie di questo paese. In Myanmar gli etnologi riescono a distinguere ben 135 gruppi etnici differenti, mentre una ricerca fatta negli anni Quaranta aveva recensito 242 lingue e dialetti diversi. Tutti questi popoli si sono stanziati lungo il fiume Ayeyarwadi, sovrapponendosi gli uni agli altri senza però mai meticciarsi completamente e conservando ognuno le proprie identità culturali e linguistiche. L’orgoglio e i pregiudizi tra le varie etnie della Birmania sono spesso causa di tensioni, tanto che una delle maggiori difficoltà incontrate dai governi che si sono succeduti nel paese è sempre consistita nel mantenere la pace e la stabilità dei confini. Anche gli Inglesi, durante la loro dominazione coloniale (1824-1948) riuscirono a stento a mantenere l’ordine, alternando promesse di semi-autonomia all’uso della forza. Come fanno notare gli autori della guida turistica Lonely Planet, “benché sia passato oltre un secolo e il governo sia cambiato, la situazione è rimasta pressoché invariata. Gli scontri tra le truppe a maggioranza Bamar e i gruppi etnici minoritari, protrattisi nei quattro decenni successivi all’indipendenza, sono stati ormai quasi tutti sedati. Le etnie che hanno firmato accordi di cessate il fuoco con le autorità hanno ottenuto in cambio una limitata autonomia economica, mentre quelle che continuano a combattere contro il governo vengono trattate con brutalità”. Diverse regioni considerate ancora ‘calde’ (definite dai locali ‘zone nere’, le più pericolose, e ‘zone marroni’, le meno bellicose) sono tuttora chiuse al turismo. Recentemente però alcune sono state aperte perché il governo ha trovato un compromesso con le tribù locali.
Tutte le persone che ho incontrato si augurano che il governo cambi al più presto, ma quando si parla del futuro molti si dicono preoccupati per l’unità del paese e temono che il Myanmar si possa dividere come è avvenuto tragicamente in Jugoslavia dopo la caduta del regime. Una delle regioni storicamente più autonomiste è quella abitata dall’etnia Shan, a sua volta suddivisa in diverse tribù con lingue e religioni differenti. Si tratta di una terra splendida e con un sottosuolo ricchissimo. È stata la prima destinazione del mio viaggio in Birmania e mi ha permesso, di visitare diversi villaggi di montagna dove si ha davvero l’impressione che il tempo si sia fermato. La stessa atmosfera la si trova anche a Bagan e nelle altre città imperiali e sul lago Inle.