Stati Uniti – Grand Canyon e Monument Valley

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I parchi nazionali del “Far West” negli Stati Uniti offrono certamente alcuni dei paesaggi più spettacolari e straordinari al mondo. L’itinerario che tocca gli stati della California, dell’Arizona, dello Utah e del Nevada richiede tra i 15 e i 20 giorni per visitare velocemente anche Los Angeles, San Francisco e la suggestiva costa atlantica che collega queste due metropoli molto particolari.
Un volo Swiss diretto collega Zurigo a Los Angeles in tredici ore all’andata e undici al ritorno. Si arriva nella metropoli californiana la sera e il mattino seguente si può iniziare subito l’itinerario, rimandando la visita di Los Angeles alla fine del viaggio, oppure si può fare il contrario.

Da Los Angeles a Palm Springs
Lasciata Los Angeles ci inoltriamo quasi subito nel deserto e in un paio d’ore – 200 chilometri circa – si raggiunge Palm Springs, una sorta di oasi di lusso assurta agli onori della cronaca negli anni Sessanta quando veniva scelta come meta di vacanza da artisti famosi come Frank Sinatra ed Elvis Presley. Da allora molte persone facoltose hanno costruito le loro ville in quartieri con strade perpendicolari che paiono tracciate con il righello. Prima dell’arrivo degli Yankee la zona era abitata dalle tribù indiane dei Cahuilla (oggi gestiscono le case da gioco della valle) attratte dalle acque che scendono dalle San Jacinto Mountains, che costituiscono il vero punto di interesse del luogo. In dieci minuti, con una funivia di fabbricazione svizzera e rotante su sé stessa – per garantire la splendida vista a tutti gli occupanti – si sale fino a 3 mila metri, passando dal deserto a una vegetazione alpina e compiendo un’escursione termica equivalente a quella che si registra spostandosi in automobile dal Messico al Canada. Il panorama spazia dal deserto all’oasi di Palm Springs punteggiata da campi da golf e da centri di villeggiatura d’élite, che contrastano con i pini caratteristici dei percorsi escursionistici che si diramano dalla vetta. Ma per noi è ora di proseguire verso la regione del Grand Canyon. Facciamo tappa per la notte a Kingman in Arizona, un anonimo agglomerato di stazioni di servizio e di motel, in uno dei quali ci fermiamo posteggiando la nostra automobile sotto la camera che ci ospiterà per la notte: proprio come si vede nei film americani.
Il mattino seguente partiamo per il Grand Canyon percorrendo un lungo tratto della mitica Route 66, quella che il romanziere John Steinbeck chiamò la “Mother Road”, la madre di tutte le strade, costruita nel 1926 per collegare Chicago con la lontana Los Angeles. Ricordate il film “On the road” in cui il protagonista percorre questa storica arteria a bordo di una Harley Davidson?
Città di riferimento del famoso parco è Grand Canyon Village, solito centro squadrato e senz’anima, ricco di motel e stazioni di servizio, che raggiungiamo in fine mattinata. Se si prenota con molto anticipo si ha forse la fortuna (che noi non abbiamo avuto) di trovare posto a El Tovar hotel, una struttura in legno d’inizio Novecento situata sui bordi del precipizio del Grand Canyon.

Grand Canyon l’arte della natura
Nessuna fotografia e nessuno testo può descrivere ciò che si vede e si prova di fronte al Grand Canyon. È un’esperienza che va vissuta di persona e che vi consiglio caldamente di fare. Ogni descrizione rischia di essere banale. Posso solo dire che mentre camminavamo per circa quattro ore lungo il precipizio e ci si presentavano visioni sempre diverse con colori continuamente differenti, esaltati dalle diverse posizioni del sole, pensavo che nessun essere umano riuscirà mai ad eguagliare la straordinaria potenzialità artistica della natura.
Ci sono voluti quasi due miliardi di anni per creare questa meraviglia, una fessura lunga 445 chilometri, larga 16 e profonda circa 1600 metri, con centinaia di canyon laterali. All’alba e al tramonto la luce colora in modo intenso e magico le pareti rocciose: strisce di verde, blu, porpora, rosa, arancione, oro, giallo e bianco definiscono una successione di antichi strati, che permettono di effettuare uno straordinario viaggio geologico a ritroso nel tempo.
Questo luogo affascina i visitatori sin dai primi anni della rivoluzione industriale, quando giungevano nel canyon alla ricerca dell’ideale romantico della natura selvaggia per abbracciare il concetto di bellezza sublime. Oggi è visitato annualmente da cinque milioni di turisti provenienti da ogni angolo del mondo. In automobile si giunge fino al Visitor center del versante sud (quello nord è raramente visitato), da cui si prosegue con un efficiente servizio gratuito di bus navetta che collega i vari punti panoramici. Una comoda passeggiata di circa 12 chilometri a picco sul precipizio collega i “view points” più spettacolari del lato sud-ovest. Vale la pena di percorrerla in 3-4 ore perché i panorami si modificano davanti a voi come in un caleidoscopio. Sul fondo si scorge dall’alto il tranquillo percorso del fiume Colorado, che ha scavato il canyon nel corso di milioni di anni. I più allenati possono anche scendere al fiume, ma l’escursione richiede due giorni, dato l’elevato dislivello (oltre 1600 metri) e le temperature del periodo estivo, che soprattutto in basso superano facilmente i 40 gradi.

Antelope Canyon e Monument Valley
Il mattino seguente percorriamo in automobile il lato sud-est, che propone altri belvedere con panorami spettacolari. In tre ore (220 km) raggiungiamo la cittadina di Page, da dove parte un’escursione organizzata (è necessario prenotare, anche via internet), per visitare l’Antelope Canyon, uno straordinario corridoio tra due pareti rocciose in arenaria considerato il paradiso dei fotografi e riprodotto in migliaia di immagini, ma stranamente trascurato dalle principali guide turistiche. L’escursione in fuoristrada attraversa alcuni chilometri di deserto in una riserva della tribù indiana Navajo prima di giungere al profondissimo e strettissimo canyon – in alcuni punti ci passa a malapena una persona – illuminato dalla luce che penetra dall’alto creando immagini molto particolari. La roccia è levigata e propone tutte le tonalità dal rosa al rosso porpora. Le fotografie che mostrano le sue venature e forme strane, esaltate dalla luce zenitale tenue, ricordano opere di scultura moderna. Lo spettacolo mi fa di nuovo riflettere sulle potenzialità artistiche della natura.
Usciti dal canyon, ci troviamo vicino al Lake Powell, un vastissimo lago artificiale navigabile. Ha sommerso una vallata e offre visioni surreali con spuntoni di roccia che emergono minacciosi e imponenti dalle acque tranquille. Lo si visita noleggiando imbarcazioni a bordo delle quali si possono trascorrere alcuni giorni. Il nostro programma di viaggio non prevede purtroppo questa opportunità, per cui proseguiamo verso la Monument Valley, che raggiungiamo nel tardo pomeriggio dopo altre due ore e mezzo di automobile (180 km). Si trova in una riserva indiana dei Navajo situata a cavallo tra gli stati dell’Arizona e dello Utah, dove cambia anche il fuso orario: è un’ora più avanti. Decidiamo di rimandare la visita del Parco nazionale all’indomani mattina anche perché alloggiamo al Goulding’s Lodge, un albergo storico che propone un piccolo museo sulla storia cinematografica del luogo, dove si può visitare la camera di John Wayne e assistere, in una piccola sala cinematografica, alle proiezioni di opere indimenticabili come “Il massacro di Fort Apache” del 1948 o “I cavalieri del Nord Ovest” dell’anno seguente che furono girati qui. Dal 1938, quando il celeberrimo regista John Ford girò in questi luoghi “Ombre rosse” con uno sconosciuto John Wayne nel ruolo di Ringo Kid, la Monument Valley divenne infatti il set prediletto dei film western. Il piccolo museo è un po’ trasandato e decadente, ma è forse proprio questo il suo fascino. Le fotografie ingiallite sono numerosissime e presentano gli attori che hanno alloggiato al Goulding’s. Molti anche i cartelloni di quei film che per me hanno rappresentato l’immagine dell’America del West.
La mattina alle 9 parte la nostra gita organizzata della durata di circa quattro ore in fuoristrada lungo le piste della Monument Valley guidati da un Navajo. Nudi contrafforti in arenaria e impervi pinnacoli di roccia si ergono fino a 300 metri di altezza da un terreno desertico relativamente piatto di sabbia rossa. Il sole basso del mattino esalta con una luce sorprendentemente intensa i colori della roccia. Con l’immaginazione vedo John Wayne cavalcare veloce in quel paesaggio da sogno, sicuramente tra i più spettacolari di tutta l’America.
Queste terre non vanno però purtroppo ricordate solo per i racconti epici dei film western, bensì anche in quanto teatro di una delle vicende più vergognose della storia statunitense: il trasferimento forzato di alcune migliaia di Navajo, noto come Long Walk (lunga marcia), per 500 chilometri verso il New Mexico. Dopo quattro anni di stenti fu infine concesso loro di tornare nelle loro terre. Oggi qui vivono ancora circa 100 mila nativi americani che parlano la propria lingua, un linguaggio così complesso che è stato usato come codice segreto dall’esercito statunitense durante la seconda guerra mondiale.

Itinerario

1° giorno
Zurigo-Los Angeles

2° giorno
Los Angeles

3° giorno
Los Angeles-Palm Springs (194 km)
Palm Springs-Kingman (386 km)

4° giorno
Route 66
Kingman-Seligman (140 km)
Seligman-Grand Canyon (160 km)

5° giorno
Grand Canyon-Page (220 km)
Page-Monument Valley (180 km)

6° giorno
Monument Valley-Arches Np (270 km)

Stati Uniti – Bryce Canyon e Death Valley

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Prosegue il nostro itinerario attraverso i parchi nazionali dell’America dell’Ovest. Dopo il Grand Canyon, l’Antelope Canyon e la Monument Valley ci dirigiamo nello Utah verso l’Arches National Park. Il trasferimento richiede poco più di tre ore d’automobile (270 km) attraversando paesaggi desertici tanto incantevoli che il governo degli Stati Uniti sta pensando di trasformare in Parco nazionale l’intero stato dello Utah. La città di riferimento dell’Arches National Park è Moab, un villaggio minerario (si estraeva uranio fino agli anni Cinquanta) con strade perpendicolari, sviluppatosi soprattutto negli ultimi anni per accogliere i turisti che visitano Arches e Canyonlands.

Arches National Park, architettura naturale
La nostra visita inizia nel tardo pomeriggio e prosegue il mattino seguente. Percorriamo dapprima la strada asfaltata di circa 30 chilometri che serpeggia attraverso il Parco: unica traccia umana in un territorio lunare composto da dune pietrificate e massicci speroni di arenaria dalle forme più disparate. Nella roccia milioni e milioni di anni di erosione provocati da acqua, sole, vento e gelo, hanno scolpito oltre ottocento archi naturali di varie forme e dimensioni. I colori della pietra vanno dal verde all’ocra, dal bianco al rosso e si mescolano con il verde scuro dei ginepri. Il più spettacolare, a mezz’ora di cammino dalla carrozzabile, è il Landscape Arch, che con i suoi 93 metri di diametro figura tra i più ampi al mondo. Ma il monumento naturale più bello del parco è certamente il “Delicate Arch”, un piccolo arco del trionfo in roccia abbarbicato sull’orlo di un profondo canyon. Nessuno potrebbe mai immaginare che sia solo opera della natura. Lo si può raggiungere con una lunga passeggiata o ammirare da un belvedere più lontano camminando per mezz’ora. Imponente il “Double Arch”: una coppia di archi robusti che si sostengono a vicenda. È situato in una zona facilmente accessibile (Window), dove si trova la maggiore concentrazione di archi del parco.
Il nostro viaggio delle meraviglie prosegue verso un altro luogo di grande suggestione e di fama mondiale: il Bryce Canyon, dal quale ci separano oltre 400 chilometri, circa 7 ore di automobile, durante le quali si passa sorprendentemente da splendidi paesaggi desertici a una vegetazione di tipo alpino quando si sale a quasi 3000 metri. La strada panoramica HWY 12 prevede anche l’attraversamento del Capitol Reef National Park, caratterizzato da rocce variopinte che contrappongono la loro imponenza all’amenità delle fresche oasi ricche di piante da frutta che costeggiano il serpeggiante corso del Fremont River.

L’anfiteatro del Bryce Canyon
Il Bryce in effetti non è un canyon, ma un anfiteatro in pietra immerso in un vasto altopiano ammantato di fitto bosco a un altezza di 2400 metri. Lo spettacolo che offre è costituito da un tripudio di guglie e pinnacoli dai colori diversi e tutti caldi, che vanno dal giallo, al rosso e all’arancione. Queste straordinarie sculture naturali sono state erose nell’arenaria fangosa dal connubio fra inverni gelidi (qui la temperatura scende al di sotto dello zero per duecento notti all’anno) e precipitazioni estive. I pinnacoli presentano un cappello di roccia dura che si forma quando il fusto, più soffice, viene dilavato dalle piogge. Gli indiani Paiute, che vivevano in questa regione, diedero al luogo il complesso nome di “rocce rosse in piedi come uomini, in un canyon a forma di scodella”. Per i primi coloni che si dedicavano invece all’allevamento questo era considerato “un diavolo di posto dove perdere una mucca”.
Una strada panoramica di circa 30 chilometri percorre il parco e dà accesso a numerosi belvedere da cui ammirare l’incredibile anfiteatro naturale. I view points più spettacolari sono certamente il Bryce Point e, a poca distanza, i due punti Sunset e Sunrise che sono collegati tra loro da un sentiero che corre sul bordo superiore del Bryce Amphitheater, vicino al Visitor center. Se si ha la fortuna di trovare una stanza in uno dei semplici ma simpatici bungalow del Bryce Canyon Lodge si alloggia nel cuore di questo spettacolare belvedere. Ma la parte più emozionante e da non perdere della visita è una passeggiata di due ore scarse che scende in mezzo alle guglie e segue un sentiero che collega Sunset e Sunrise. Percorrendolo si ha l’impressione di passeggiare in un paesaggio surreale e incantato, indescrivibile a parole e pure con le immagini. Provare per credere!

A Las Vegas via Zion Park
Circa cinque ore di automobile – oltre 400 chilometri – separano la pace del Bryce Canyon dal frastuono di Las Vegas, la capitale mondiale del gioco d’azzardo. Ma prima di raggiungere questa incredibile città immersa nel deserto, dopo due ore di guida, giungiamo allo Zion National Park, che attraversiamo e visitiamo velocemente. Creato nel 1919, fu uno dei primi parchi nazionali americani. Si tratta di un canyon lungo 13 chilometri, largo e profondo 800 metri, una gola spettacolare incastrata fra imponenti pareti rocciose che amplificano il rumore delle fresche cascate. A valle delle alte falesie si trova un’oasi lussureggiante in cui scorre il Virgin River. In estate i collegamenti tra i punti più belli del parco sono affidati a un efficiente servizio navetta gratuito, che parte a intervalli regolari dal Visitor center. L’offerta escursionistica è amplissima, ma il nostro itinerario non prevede passeggiate, anche perché si tratta di un tipo di paesaggio a noi più familiare rispetto ai precedenti.
In altre tre ore raggiungiamo Las Vegas: caotica, affollata, caldissima. È un’altra America rispetto a quella dei giorni precedenti e di quelli che ci attendono. Si fatica a credere che un tempo fosse una città normale e che l’attuale fastoso Boulevard fosse un’arteria polverosa costeggiata dai soliti motel di periferia. Oggi ospita alberghi lussuosissimi e kitchissimi, come la piramide a 36 piani del Luxor o il castello pseudomedievale con tanto di ponte levatoio e torri merlate dell’Excalibur. Propone ricostruzioni esuberanti e meticolose della Grande Mela al New York–New York, di Venezia con tanto di campanile di San Marco, Palazzo dei Dogi e Ponte del Rialto al Venetian, della Tour Eiffel, ridotta a metà delle dimensioni, al Paris, dell’idilliaco villaggio sul lago di Como al Bellagio. Al Caesars Palace si è serviti da centurioni romani mezzi nudi e al Mirage si assiste ogni 15 minuti alle eruzioni di un vulcano. Ovunque macchinette mangiasoldi e tavoli verdi dove si può tentare la fortuna assieme a un popolo effervescente. Sbalorditi e storditi torniamo in camera non troppo tardi perché il giorno seguente ci attende una delle tappe più interessanti del viaggio: la Death Valley.

Il caldo torrido della Death Valley
È una delle zone più calde e incontaminate del pianeta. In estate la temperatura supera facilmente i 50 gradi. Un termometro lasciato esposto al sole può salire rapidamente oltre i 65 e letteralmente esplodere. Gli americani ci vengono dall’inizio di febbraio ad aprile, ma noi stranieri non ci lasciamo sfuggire anche in altre stagioni una visita in questo luogo che evoca tutto ciò che nella nostra immaginazione associamo ai deserti: paesaggio inospitale, caldo infernale, solitudine totale. Questo territorio ha rappresentato un ostacolo insormontabile per le carovane di emigranti che nell’Ottocento attraversavano l’America. Deve il suo nome proprio a un gruppo di disperati che nel 1849 cercò per settimane una via d’uscita da questa valle. Quando la trovarono, una donna si voltò ed esclamò “Good–bye, death valley”. Per noi turisti europei appare invece come un luogo incantato con gigantesche dune di sabbia, canyon marmorizzati, crateri di vulcani estinti, oasi ombreggiate, che si contrappongono a montagne di oltre 3 mila metri. Una straordinaria vista panoramica dall’alto si gode dal Dante’s View a quota 1668, che si raggiunge in automobile.
Gli appassionati di cinema ricorderanno l’indimenticabile “Zabriskie Point” di Michelangelo Antonioni, quando due giovani alla ricerca di se stessi fanno l’amore tra queste dune di sabbia pietrificate, dal nome appunto di Zabriskie Point. Una strada asfaltata conduce a Badwater, uno dei luoghi più bassi del pianeta, situato 86 metri sotto il livello del mare, sulle rive di un bianchissimo lago salato. Due piste a senso unico (Twenty Mule Team Canyon e Artists Drive) permettono di penetrare in un paesaggio desolato tra dune e colline con sfumature dal rosso cupo, al marrone e al color sabbia: si ha l’impressione di trovarsi fuori dal mondo, soprattutto se la sera prima si era a Las Vegas. Se si trova posto, vale la pena alloggiare nello storico Furnace Creek Inn, che accoglie turisti sin dal lontano 1927.
Il nostro itinerario tra i parchi nazionali volge al termine, ma ci attendono ancora una breve visita allo Yosemite e una piacevole sorpresa.

Un villaggio dimenticato
Senza molta convinzione seguiamo una deviazione raccomandata dalle guide verso Bodie State Historic Park e troviamo una piccola chicca: un antico villaggio minerario sperduto tra le montagne abbandonato all’inizio del Novecento. L’amministrazione dei parchi nazionali non è intervenuta con restauri, ma ha lasciato tutto com’era, senza nemmeno ordinare ciò che si trovava all’interno delle case, offrendo così ai visitatori uno spettacolo incredibile. Sembra di passeggiare sulla strada principale di uno di quei villaggi tipici dei film western con la chiesa, la scuola, la prigione, il saloon, l’albergo, il barbiere, eccetera. Mancano solo i cowboys, lo sceriffo e le ragazze al bancone che servono il whisky. Durante la corsa all’oro, nella seconda metà dell’Ottocento, questa cittadina aveva 10 mila abitanti e una pessima reputazione: si dice vi regnasse l’illegalità. Esaurito l’oro andò quindi decadendo e nel 1932 venne in gran parte distrutta da un incendio. Si sono salvati solo 150 edifici, che bastano però per far rivivere l’atmosfera ottocentesca dei periodi della febbre dell’oro.

Lo Yosemite, piccola Svizzera
Lo Yosemite è uno dei parchi più rinomati degli Stati Uniti – venne dichiarato Parco Nazionale dal Congresso nel lontano 1890 – e uno dei più amati dagli americani, ma per noi è meno sorprendente per i suoi paesaggi, splendidi ma familiari e molto simili a quelli alpini più idilliaci: prati verdi con le mucche al pascolo, foreste di conifere, placidi laghetti alimentati da romantici ruscelli. Offre innumerevoli possibilità di escursionismo ed è affollatissimo. Nei pressi di Yosemite Village il paesaggio diventa imponente, caratterizzato da mastodontiche pareti rocciose in granito, tra cui El Capitan, la rupe a picco ininterrotta più alta del mondo. La maggiore attrazione di questa zona è costituita da una sorprendente cascata che precipita per oltre 700 metri, dando vita a tre spettacolari salti. Purtroppo il tempo a disposizione è limitato e ci costringe ad operare delle scelte. Dedichiamo così poco, forse troppo poco tempo, alla visita di questo parco. Ci spostiamo per la notte nella zona sud, per avvicinarci ai boschi di sequoie giganti che abbiamo in previsione di visitare il mattino seguente, ma alle 9 il parcheggio è già esaurito e bisogna attendere. Decidiamo quindi di proseguire per la Napa Valley e per San Francisco che raggiungiamo passando dal mitico Golden Gate.

Itinerario

7° giorno
Moab-Bryce Canyon (440 km)
HWY12 (panoramica) Hanksville-Cannonville

8° giorno
Bryce Canyon-Las Vegas
– Bryce Canyon-Zion NP (150 km)
Zion NP-Las Vegas (270 km)

9° giorno
Las Vegas-Death Valley
Las Vegas-Furnace Creek (230 km)

10° giorno
Death Valley-Yosemite
Furnace Creek-Bodie (420 km)
Bodie-Fish Camp (200 km)

11° giorno
Yosemite-San Francisco
Fishcamp-Napa Valley (372 km)
Napa Valley-San Francisco (50 km)

Tenerife – Sulla cima di Spagna, ma alle Canarie

La Gomera

Un viaggio alla scoperta di una Tenerife discosta dai centri più rinomati. Nei suoi splendidi parchi nazionali, a cominciare dai paesaggi lunari del vulcano del Teide, la montagna più alta di Spagna, per poi scendere verso le scogliere selvagge ad est e ad ovest dell’isola.

Non dimenticate di mettere gli occhiali da sole se arrivate per la prima volta sulla punta sud occidentale di Tenerife. Ne avrete bisogno per proteggervi non solo dal sole accecante, ma anche per non restare abbagliati dalle insegne al neon, dalla sabbia bianca (importata dal Sahara) e dai turisti nordeuropei rossi come gamberi. Grandi resort pieni di piscine e con buffet all-you-can-eat hanno trasformato questa sonnolenta costa di pescatori in uno dei più importanti motori economici di Tenerife”. La guida Lonely Planet presenta così le spiagge più famose – Los Cristianos, Playa de las Americas e Adeje – della costa sud che hanno reso celebre l’isola nel mondo ed ogni anno ospitano 10 milioni di turisti. Senza nulla voler togliere a chi opta per una settimana di sole e mare per allontanarsi dal freddo dei nostri inverni, esiste anche un’altra Tenerife, molto meno nota, ma straordinaria, con paesaggi particolarmente suggestivi. È alla scoperta di questa Tenerife, discosta dai centri più rinomati e per fortuna non ancora invasa dal cemento armato degli enormi alberghi e apparthotel, che ho organizzato un viaggio l’autunno scorso. L’itinerario prevedeva anche la visita della vicina isola di La Gomera. Ne è nata una vacanza meravigliosa, al di là delle mie aspettative, che consiglio a chi ama immergersi in una natura incontaminata tra mare e montagne.

Il vulcano del Teide, un paesaggio lunare
Eravamo molto delusi quando dalla costa nord dell’isola guardavamo in alto la strada che attraversando la valle di Orotava sale verso il Teide, la montagna più alta di Spagna (3718 metri). Ma dato che avevamo prenotato per la notte al Parador de la Canada del Teide, a quota 2’200 metri, siamo saliti in ogni caso. Dopo aver attraversato una densissima nebbia, che non avremmo mai associato con il clima delle Canarie, tutt’a un tratto siamo sbucati in un paesaggio lunare con un cielo blu molto terso. Iniziava lo spettacolo. Davanti a noi sua maestà il vulcano, all’interno del quale gli indigeni dell’isola anticamente credevano vivesse il diavolo Guyota, che un bel giorno decise di uscire dalla sua tana sotterranea e vide il sole. Ingelosito dalla sua luce, lo rubò per nasconderlo nel suo covo, portando morte, distruzione e oscurità su tutta l’isola. I Guanci pregarono allora Chaman, il dio del sole, che sconfisse Guyota e riportò la luce. Questa leggenda è legata a un’eruzione che avvenne nel XIII secolo, quando una nube di cenere oscurò il sole e l’unica luce che gli abitanti potettero vedere per giorni è quella che veniva dalla bocca del vulcano. Ciò li indusse a credere che il sole fosse intrappolato al suo interno. Terminata l’eruzione, la cenere si depositò sul terreno e il sole tornò a splendere.
Il Parco Nazionale del Teide è di una bellezza mozzafiato. Le guide spiegano che qui si trova più dell’ottanta per cento delle formazioni vulcaniche del mondo, con terreni, rocce e pinnacoli di lava di ogni colore e forma. Il nostro primo impatto è stato ancora più incantevole perché era l’ora del tramonto, con il cielo che si illumina di tutte le tonalità dal giallo, all’arancione, al rosso fuoco riflettendo i suoi colori sulle rocce cangianti. Quando piomba la notte invece si gode lo spettacolo delle stelle.
Il mattino seguente ci siamo alzati di buonora per camminare lungo i sentieri che i Guanci prima e i pastori spagnoli poi percorrevano per portare al pascolo le capre. Si tratta delle “cañadas”, ossia i sette “sentieri dei greggi al pascolo”, detti anche “strettoie” o gole. Una gita pianeggiante di circa 17 chilometri ai piedi del vulcano, della durata di 5 ore, che collega i due punti di informazione del Parco (bisogna partire entro le 9 per poter rientrare con il bus delle ore 15). Lungo il tragitto il paesaggio muta in continuazione. Sulla destra si ergono montagne rocciose levigate e lavorate dal vento. Sulla sinistra domina imponente la vista del Teide, una montagna multicolore, dove si vedono ancora le colate rosso scuro dell’ultima eruzione avvenuta nel Settecento. La montagna è brulla, ma ospita un po’ di sterpaglia che arricchisce di qualche tonalità di verde una gamma che in autunno varia dal color sabbia, passando per tutte le gradazioni del marrone e terminare al rosso scuro delle colate di lava. Tra il sentiero che corre lungo le rocce e il Teide si estendono vasti campi lavici molto scuri, alcuni nero cupo con componenti luccicanti che brillano ai raggi del sole. Pochi gli arbusti. Alcuni verdi, la maggior parte bruni. Qua e la spiccano originali pennacchi simili a code di volpe, tipici della zona, e rocce dalle forme singolari. A tratti sembra di intravedere forme modellate da un artista, ma è tutta opera della natura. Quando giungiamo al termine del percorso siamo stanchi, ma anche delusi che lo spettacolo a cui abbiamo assistito sia terminato.
Questi sentieri sono deserti: in una giornata abbiamo incontrato solo due altri turisti. Non è così per salire in teleferica (made in Switzerland) sul Teide. Ogni anno trasporta 4 milioni di persone. Già per la prima corsa alle 9 di mattina si fa la coda. Arrivati in cima, la vetta è riservata a sole 150 persone al giorno: bisogna essere in possesso di un permesso speciale (che si può scaricare da internet). La salita richiede mezz’ora. Più ci si avvicina alla bocca del vulcano addormentato, più si sente un forte odore di zolfo. Dall’alto si può godere lo spettacolo della vallata vulcanica estendersi maestosamente sotto di noi e le isole di La Gomera, La Palma ed El Hierro emergere dall’Atlantico.

Da una punta dell’isola all’altra
Oltre al Parco Nazionale del Teide, Tenerife offre al viaggiatore altre due meraviglie: le punte ovest ed est dell’isola decretate “parchi rurali”, quindi zone protette.
Le spiagge di sabbia, che hanno reso celebre Tenerife a livello internazionale, terminano a Los Gigantes, una località turistica sulla costa ovest, a partire dalla quale inizia una zona scogliosa che si protrae fino alla splendida punta del Teno. Da Los Gigantes la strada sale verso Santiago del Teide, da cui prendendo a sinistra si entra in un paesaggio montagnoso a picco sul mare con splendidi panorami fino al villaggio di Masca, diventato molto turistico perché facilmente raggiungibile dalle spiagge più affollate. Da qui un percorso panoramico molto spettacolare porta a Buenavista, da cui si può raggiungere la Punta del Teno, oltrepassando cartelli indicatori che intimano di fermarsi, ma che nessuno osserva. Montagne solitarie si ergono come giganti verso l’interno, mentre le onde poderose dell’oceano si infrangono contro gli scuri scogli lavici e sulla nera spiaggia vulcanica. Solo un faro ricorda la presenza dell’uomo.
In un paio d’ore di automobile si può raggiungere la punta opposta di Tenerife, quella a est. Una comoda autostrada conduce fino all’antica capitale, San Cristobal de la Laguna. Viaggiando in direzione del Parque Rural di Anaga la strada inizia a salire e si attraversa una zona di boschi di lauro con splendidi “mirador” (punti panoramici) sulle vallate e sul mare. Vale la pena di ridiscendere fino a Benijo, dove il paesaggio marino ricco di scogli è di una bellezza indimenticabile. La costa in questa zona colpisce per la sua struttura frastagliata e per le bizzarre formazioni laviche che spuntano dal mare e vengono investite con violenza dalle impetuose onde dell’Oceano. La regione è ricca di sentieri, ma non sempre ben segnalati.

L’architettura canaria a Laguna e Orotava
Dal 1999 La Laguna è stata inserita dall’Unesco nell’elenco dei luoghi Patrimonio dell’Umanità. E in effetti il suo centro storico è un gioiello ricco di edifici pittoreschi, di sontuose ville, di strette viuzze. La sua struttura risale agli inizi del Cinquecento, quando gli spagnoli, dopo avere conquistato l’isola alla fine del secolo precedente, vi costituirono la capitale che in seguito fu adottata come modello urbanistico per molte altre città coloniali nelle Americhe.
Un’altra cittadina coloniale degna di nota è certamente Orotava, uno dei siti più apprezzabili in stile “canario” di tutto l’arcipelago, con i suoi palazzi dotati dei tipici balconi in legno. La cittadina è molto bella anche dall’alto. In particolare dal mirador dedicato al viaggiatore tedesco del Settecento Alexander von Humboldt, che si dice cadde in ginocchio sopraffatto dalla bellezza di questo paesaggio – oggi purtroppo molto costruito – affermando: “Devo confessare di non aver mai visto altrove un’immagine così armoniosa, varia e affascinante, caratterizzata da un alternarsi di verde e roccia”.

Bibliografia
Spagna del Sud La Guida Verde, Milano 2006
Isole Canarie Lonely Planet, Torino 2008
Spagna del Sud Touring Club It., Milano 2004
Canarie Le Guide Mondadori, Milano 2011
Canarie Traveller, Milano febbraio 2003
Attilio Gaudio, Canarie Milano 1991
Tenerife Low Cost, Milano 2008
Tenerife Ada Pocket, Modena 1993