Francia – A Bordeaux, la capitale mondiale del vino

Francia – Dove nascono i migliori vini rossi al mondo

Questo itinerario non presenta nessuna punta eclatante, ma si compone di una serie di perle che inanellate una dopo l’altra in un filo conduttore permettono di assemblare una collana davvero piacevole costituita da natura, cultura ed enogastronomia.

La Francia, come anche l’Italia e la Spagna, rappresenta una meta vicina, ricca di spunti e di scoperte. Rimango sempre più affascinato dall’atmosfera che si percepisce nelle cittadine francesi e dalla pace che ispirano i vasti panorami di campagna. L’itinerario che sto per descrivere non presenta nessuna punta eclatante o particolarmente spettacolare, ma si compone di una serie di perle che infilate una dopo l’altra in un filo conduttore coerente permettono di assemblare una collana davvero piacevole, costituita da natura, cultura ed enogastronomia. La meta del viaggio è la regione di Bordeaux con la sua straordinaria tradizione enologica. Il nostro intento non era però quello di girare per cantine, bensì alla scoperta di un territorio che dà origine ai migliori vini al mondo. Anche lungo la strada di andata e ritorno dal Ticino, grazie alla guida sicura della Michelin Verde, abbiamo scoperto alcune chicche.

Borghi medievali lungo il tragitto
Ed iniziamo allora da una di queste scoperte: Le Puy-en-Velay, a circa sei ore d’auto dal Ticino. Situata nel fertile bacino bagnato dalla Loira, la città è famosa per i suoi picchi di origine vulcanica (i puys) che sorgono dalla pianura e dai quali si godono splendidi panorami. Il sobrio centro storico, caratterizzato da austeri edifici in granito e lava, è dominato dalla splendida cattedrale romanica (XI e XII secolo) di influenza araba. Costituiva una tappa, come altri edifici religiosi che incontreremo successivamente, sul cammino dei fedeli in pellegrinaggio verso Santiago de Compostela. Sin dal XVII secolo Le Puy-en-Velay è nota anche per i suoi pizzi al tombolo. In campo gastronomico sono rinomate le sue lenticchie, che si possono gustare nel ristorante con alloggio di Francois Gagnaire, cuoco stellato Michelin.
Prima di raggiungere il Bordolese zigzaghiamo tra l’Auvergne e il Périgord alla scoperta di due altri borghi medievali: Conques e Rocamadour. Oltre tre ore di automobile su strade secondarie ci separano dalla prima meta, situata in una valle sperduta. Tanto che ci chiediamo se valesse davvero la pena di allungare il percorso. Un dubbio che scompare immediatamente quando ci troviamo davanti uno splendido borgo con i suoi edifici dorati dai raggi del sole. Qui il tempo sembra essersi fermato e si può immaginare lo stupore dei pellegrini in cammino per Santiago di fronte a questa piccola perla costruita a forma di conchiglia (da qui il nome). Forse per la sua posizione discosta il villaggio è poco compromesso dal turismo, sebbene la sua chiesa dell’XI secolo offra uno splendido portale romanico e un tesoro di oreficeria religiosa tra i più importanti di Francia.
In posizione spettacolare, situato sulle falesie della gola scavata dal piccolo fiume Alzou, sorge il borgo di Rocamadour, dominato dal suo castello, che si erge a 125 metri dal fondovalle e con il quale è collegato da un ascensore. A metà montagna, tra l’abitato e il castello, sorge la città religiosa del XII secolo, importante meta di pellegrinaggio nel passato. Lungo il fiume si allinea invece una pittoresca confusione di vecchie case, vie a gradini, torri, piccole piazze a terrazza, chiese e cappelle. Data la sua posizione vicina all’autostrada che collega Parigi a Toulouse e avendo fatto molte concessioni al turismo Rocamadour non ha la magia di Conques. Non si lasci il villaggio prima di aver assaggiato il torrone locale (nougat): una vera leccornia!

Da Sauternes verso Bordeaux
In serata – siamo al secondo giorno di viaggio – giungiamo a Sauternes. Poche case, strette attorno a una chiesetta, sorgono all’interno di un’enorme estensione di vigneti. Il villaggio che dà il suo nome al vino bianco più famoso al mondo: Château d’Yquem Sauternes. Solo le cantine di una zona molto ristretta hanno però diritto a stampare sull’etichetta la prestigiosa denominazione.
In autunno in questa vallata, attraversata dal fiume Ciron (affluente della Garonne), quando la temperatura cala si formano le prime nebbie e l’umidità si posa sui grappoli. Nel corso della giornata, quando l’aria si riscalda, dalle bucce umide dell’uva spunta un fungo chiamato Botrytis cinerea, che ha la proprietà di togliere l’acqua dagli acini e di incrementarne così il contenuto di fruttosio e di glicerina, facendo raggrinzire e marcire i grappoli. È a questo punto che si vinifica. Secondo una leggenda il marchese Romain-Bertrand de Lur-Saluces scoprì questo fenomeno quando, a causa di un contrattempo, fu costretto a prolungare un viaggio in Russia. Tornato al Château d’Yquem provò ugualmente a vinificare e … nacque il Sauternes.
Non più di 50 chilometri di territorio completamente vignato lungo il fiume Garonne ci separano da Bordeuax. Ma in queste zone (Première Côte de Bordeaux e Entre Deux Mer) non si producono i grandi vini della regione. Le percorriamo zigzagando per la campagna alla scoperta di testimonianze del passato: pittoreschi villaggi, sontuosi castelli, chiesette romaniche e monasteri immersi nei vigneti. La prima tappa è il borgo medievale di Saint-Macaire, un villaggio da cartolina ma molto vissuto e non ancora trasformato in museo all’aperto. A Verdeleais, lungo la Garonne, visitiamo la tomba del celebre pittore Toulouse-Lautrec e saliamo su una collina con una vista sterminata sui vigneti. Non molto distante sorge l’idilliaco Château de la Brède, residenza del barone di Montesquieu (1689-1755), uno dei padri della democrazia moderna. Fa parte di un’immensa tenuta, gestita dal filosofo francese, che oltre ad essere stato presidente del parlamento di Bordeaux produceva vino e lo vendeva agli Inglesi. Nella regione dell’Entre-deux-Mers visitiamo tre graziose chiesette romaniche tra i vigneti (Ste-Croix-du-Mont, Huax e St-Genès-de-Lombaud), con le campane incorporate nella facciata, e le affascinanti rovine dell’abbazia benedettina Sauve-Majeure, che fu fondata nel 1079 da San Gerardo e vanta un passato di grande prestigio. In serata raggiungiamo Bordeaux.

Bordeaux, tra passato e futuro
È amore a prima vista. Bordeaux appare austera, ma anche vivace e dinamica. Il suo centro storico, che si può piacevolmente visitare a piedi, è caratterizzato soprattutto da un’architettura settecentesca, di cui conserva oltre 5mila palazzi in pietra di un caldo color ocra. L’unità stilistica la si nota soprattutto lungo la piacevole passeggiata che costeggia la “rive gauche” della Garonne, il fiume che pochi chilometri più avanti si getta in un’insenatura del mare. Ed è proprio il collegamento con l’Oceano Atlantico uno dei fattori del successo economico di Bordeaux, oltre naturalmente il privilegio di essere la capitale della regione vinicola più prestigiosa al mondo. Ma la città vecchia, animata da numerose piazzette su cui si affacciano i tipici “café” alla francese, è ricca anche di testimonianze architettoniche medievali. Tra gli edifici religiosi il più imponente è certamente la cattedrale, caratteristica per il suo campanile (flèche) separato dal corpo principale, ciò che la accomuna alla vicina basilica St-Michel. Tra i palazzi pubblici spiccano il Grand Théâtre, orgoglio cittadino, che domina Place de la Comédie, e la Borsa, che caratterizza l’omonima piazza in riva al fiume e si specchia sdoppiandosi in un’originale fontana concepita da Michel Courajoud. Quest’opera sembra voler evidenziare quanto questa città intenda valorizzare il proprio passato, ma anche volgere lo sguardo verso il futuro. Lo dimostra pure la presenza di altri interessanti interventi architettonici moderni come il Tribunal de grande instance costruito nel 1998 dall’architetto Richard Rogers, autore del Centre Pompidou a Parigi, e il Quartier Mériadeck che ospita gli edifici dell’amministrazione regionale progettati negli anni Settanta con interessanti proposte architettoniche. Molti di questi palazzi avrebbero ormai bisogno di qualche intervento di manutenzione.
Per chi ama lo shopping consigliamo di percorrere le piacevoli vie pedonali Rue Ste-Catherine e il Cours de l’Intendance che sfociano entrambe in Place de la Comédie. Chi invece è appassionato di vino si stupirà di trovare a Bordeaux meno Winebar con i grandi vini francesi di quanti non ne troverebbe in qualsiasi altra capitale europea.

Itinerario

1° giorno
Locarno-Le Puy-en-Velay (612 km)

2° giorno
Le Puy-en-Velay-Conques-Rocamadour-Sauternes (586 km)

3° giorno
Sauternes-La Brède-Bordeaux (107 km)

4° giorno
Bordeaux

5° giorno
Bordeaux-Arcachon-Pyla sur Mer (80 km)

6° giorno
Bordeaux-Haut Médoc-Libourne (140 km)

7° giorno
Libourne-Pétrus-St. Émilion (70 km)

8° giorno
St. Émilion-Périgord Noir-Sarlat (150 km)

9° giorno
Sarlat-Locarno (924 km)

Bibliografia
Francia Guida Michelin, Milano 1997
Francia Touring Club Italiano, Milano 1994
Francia Sud-Ovest La Guida Verde Michelin, Milano 2008

Francia – Dove nascono i migliori vini rossi al mondo

Francia – A Bordeaux, la capitale mondiale del vino

Un itinerario tra mare e colline, nelle regioni dell’Haut-Médoc, del Pomerol e del Saint Èmilion, alla scoperta di un territorio che dà origine ai migliori vini al mondo e ad altre prelibatezze per il palato come gli allevamenti di ostriche nel Bassin d’Arcachon con la duna più grande d’Europa.

Prosegue il nostro itinerario nella regione di Bordeaux con la sua straordinaria tradizione enologica. Il nostro intento non era però quello di girare per cantine, bensì alla scoperta di un territorio che dà origine ai migliori vini del mondo e ad altre prelibatezze per il palato. Anche lungo la strada del ritorno in Ticino, grazie alla guida sicura della Michelin Verde, abbiamo scoperto luoghi romantici e meravigliosi nel Périgord lungo le rive della Dordogna.

Nella patria delle ostriche
Il mattino del quinto giorno di viaggio lasciamo a malincuore – perché l’abbiamo molto amata – Bordeaux per dirigerci verso il Bassin d’Arcachon e verso l’Oceano Atlantico. Il bacino è un’insenatura lungo l’oceanica Costa d’Argento che si estende verso la Spagna, una laguna pescosa con l’acqua dolce del fiume Eyre e il sale delle maree. Simbolo di questo bacino è la cosiddetta Pinasse, un’imbarcazione dai colori vivaci a chiglia piatta costruita in legno di pino (da qui il nome). Pittoresche anche le variopinte capanne dei pescatori che si affacciano sullo specchio d’acqua. Ma il Bassin, sin dal tempo dei romani, è famoso per le sue ostriche. Fino a metà Ottocento erano selvatiche, in seguito iniziarono a scarseggiare e si dovettero allora escogitare metodi di allevamento. Si depositano così nell’acqua mattoni rivestiti di calce, sui quali si insediano le larve delle ostriche. Attraverso numerosi interventi manuali i molluschi vengono trattati per tre anni prima di finire sui tavoli dei più rinomati ristoranti di Francia. Il procedimento è bene illustrato alla “Maison de l’huître” nel villaggio di Guyan-Mestras, la capitale delle ostriche.

Tra mare, pinete e dune di sabbia
La regione del Bassin d’Arcachon offre innumerevoli possibilità di svago a contatto con la natura: passeggiate, gite in canoa, un centro ornitologico. Ma per chi non ha troppo tempo a disposizione l’attrazione più spettacolare è certamente rappresentata dalla Dune du Pilat. Lunga 2,7 chilometri, larga 500 metri e alta 105 è la più elevata d’Europa. È situata tra l’oceano (a ovest) e una fitta pineta (a est). Una passeggiata lungo la cresta della duna, accompagnati dal rumore del vento e delle onde che si infrangono sulla spiaggia, offre un’indimenticabile vista sull’Atlantico, sul mare di sabbia e sulla foresta, in un tripudio di colori.
Prima di lasciare questa splendida regione vale la pena di visitare Arcachon, una località balneare di fine Ottocento. Voluta da due astuti banchieri (i fratelli Pereire) fu concepita ex novo, grazie al prolungamento della ferrovia da La Teste, ex luogo di villeggiatura dei bordolesi, fino alla nuova Arcachon, dove vennero create moderne infrastrutture e costruite villette ai bordi del bosco e non lontano dal mare. Qui si veniva non tanto per la tintarella e i bagni di mare quanto per l’aria salubre. Da quando Napoleone III vi fece visita diventò una località alla moda frequentata da nobili, uomini d’affari, letterati, artisti e musicisti di grido come Toulouse-Lautrec, Sartre, Debussy, Alexandre Dumas, Cocteau e molti altri. Sulla collina, una sorta di Beverly Hills alla francese, rimangono molte di quelle costruzioni di fine Ottocento-inizio Novecento. Parecchie sono state restaurate, altre sono chiuse, ma passeggiando per le “Allée” (così si chiamano le strade) sembra di tornare indietro negli anni e di rivivere il tempo della Belle époque.

I sontuosi châteaux dell’Haut-Médoc
Il nostro viaggio volge al termine, ma i prossimi due giorni, il sesto e il settimo, sono dedicati alla scoperta delle regioni da cui provengono i vini rossi più prestigiosi del mondo: Haut-Médoc, Pomerol e Saint-Èmillion.
Iniziamo dall’Haut-Médoc, una regione che si estende sulla sponda destra della Gironde, un’insenatura del mare, dove i fiumi Dordonne e Garonne si incontrano prima di sfociare nell’oceano. Poco oltre la confluenza dei due fiumi, in direzione del mare, alla fine del Seicento fu costruito Fort Médoc (si può visitare), che faceva parte di un sistema di difesa per impedire alla flotta inglese di raggiungere Bordeaux.
La tradizione viticola della regione risale ai tempi del re Sole. È questa la patria per eccellenza dei Grands Crus Classés, voluti da Napoleone III nel 1855 in occasione dell’esposizione universale di Parigi per mettere il più possibile in luce i prodotti francesi di qualità. Si distinsero così diversi livelli: dal premier fino al cinquième grand cru. Questa classificazione, che fu decisa dai commercianti e non da un giudice super partes, detta legge ancora oggi. Percorrendo la strada statale D2 si attraversano immense e armoniose distese di vigneti suddivisi in sei giurisdizioni comunali: Margaux, Moulis, Listrac, Saint-Julien, Pauillac e Saint-Estephe. I vigneti più pregiati sorgono lungo pendii rivolti verso la Gironde e hanno la caratteristica di immagazzinare il calore durante il giorno per poi restituirlo durante le ore notturne. Nella regione, che fornisce solo l’8 per cento dei vini del bordolese, si coltivano i vitigni Merlot, Cabernet-Sauvignon, Cabernet Franc, Petit Verdot e Malbec. Da un’assemblaggio di queste uve nascono bottiglie prestigiose vendute a prezzi vertiginosi. Per visitare gli châteaux più rinomati, quasi tutti ottocenteschi e frutto della cosiddetta “aristocratie du bouchon”, è necessario prenotare con molto anticipo. Ma ci si può fare un’idea del loro valore economico e del business che si nasconde dietro edifici tanto sontuosi anche vedendoli dall’esterno. Vale pertanto la pena di soffermarsi, viaggiando da sud a nord, davanti a Château Siran appartenuto agli avi del pittore Toulouse-Lautrec, all’armonioso Château Margaux, a Château Beychevelle, al maestoso Château Lafite-Rothschild e al curioso Château Cos-d’Estournel dalla silhouette orientale.
Lasciamo l’Haut-Médoc attraversando la Gironde in traghetto da Lamarque verso Blaye per dirigerci, sempre tra paesaggi vignati, ma di prestigio minore, verso altre mecche del vino: Pomerol e St-Èmilion.

Nella patria di Petrus
Qui il clima meno marittimo e più continentale rispetto al Médoc, quindi più fresco andando verso l’autunno, fa sì che il Cabernet Sauvignon incontri sovente difficoltà a maturare completamente: ecco quindi che il taglio viene maggiormente caratterizzato dal Merlot, integrato dal Cabernet Franc: è questo che fa la differenza rispetto al Médoc. A nord-est della graziosa cittadina di Libourne, con la sua bella piazza centrale, si trova la piccolissima regione del Pomerol, dove viene prodotto forse il più grande vino rosso al mondo, il Petrus (100% Merlot). La sua cantina è anonima e non segnalata, ma costituisce una mecca per gli amanti del vino. A sud-est di Libourne si estende invece la regione del Sain Èmilion, dove è piacevole perdersi per le stradine tra i vigneti alla ricerca di graziose chiesette romaniche (Montagne, St-Georges, St-Christophe-des-Bardes, St-Hippolyte) e di castelli più antichi di quelli dell’Haut-Médoc, come per esempio Château de Pressac dove venne firmato il trattato che mise fine alla guerra dei Cent’anni. Tra queste vigne gloriose scorgiamo anche un segno del Ticino, tracciato dalla penna dell’architetto Mario Botta: lo splendido Château Faugères che dialoga magistralmente con il paesaggio circostante.
Questa regione non soddisfa però solo le papille gustative ma anche il “plaisir des yeux” , come dicono i francesi. Saint-Èmilion è infatti uno splendido borgo medievale costruito con una pietra dorata, ricco di graziose piazzette e sinuose viuzze e iscritto nella lista dei Patrimoni mondiali dell’Unesco. Di particolare interesse l’Èglise monolithe, una chiesa benedettina a tre navate che a partire dal IX secolo fu scavata nella roccia: quindi più opera scultorea che creazione architettonica. Unica in Europa per le sue dimensioni: 38 metri di lunghezza, 20 di larghezza e 11 di altezza.

Nel Périgord Noir lungo la Dordogne
Eccoci giunti all’ultimo giorno di visite, prima del viaggio di rientro. Ci spostiamo verso est per circa 100 chilometri per visitare un’incantevole e romantica regione – il sud del Périgord Noir – risalendo il fiume Dordogne lungo un’opulenta valle dominata da una schiera di roccaforti. Il percorso del fiume si snoda tra campi fioriti delimitati da pioppi. Il paesaggio è incantevole, fiabesco. La prima tappa è il Castello di Milandes, dove visse a lungo la nota e provocante artista Joséphine Baker (1906-1975). Un percorso museografico racconta la sua vita avventurosa. Più avanti i castelli di Beynac e di Castelnaud (archetipo del castello medievale dei libri di storia), situati uno in faccia all’altro, ci ricordano le interminabili battaglie tra Francesi e Inglesi nel XIII e nel IVX secolo. Da Domne, un incantevole villaggio che domina una collina, la vista abbraccia tutta la valle della Dordogna segnata dal fiume che si snoda tra i campi disseminati di villaggi e fattorie. Forse il più incantevole di questi borghi è La Roque-Gageac, aggrappato a una falesia con le case dai colori caldi della pietra allineate lungo la Dordogne. Sulla cresta della falesia si può passeggiare lungo i viali dei Giardini di Marqueyssac per raggiungere un belvedere che domina la valle a picco sopra il villaggio La Roque-Gageac. Beynac-et-Cazenac è un altro borgo abbarbicato su un’altra impressionante falesia. Ultima meta, dulcis in fundo, è Sarlat-la-Caneda, una romantica cittadina medievale costruita con una pietra color ocra biondo, in cui è piacevole perdersi per le strette viuzze che sfociano in graziose piazzette. Il borgo, spesso utilizzato come set cinematografico, è stato scelto nel 1962 dal Governo francese come intervento pilota di salvaguardia dei nuclei storici di valore.

Itinerario

1° giorno
Locarno-Le Puy-en-Velay (612 km)

2° giorno
Le Puy-en-Velay-Conques-Rocamadour-Sauternes (586 km)

3° giorno
Sauternes-La Brède-Bordeaux (107 km)

4° giorno
Bordeaux

5° giorno
Bordeaux-Arcachon-Pyla sur Mer (80 km)

6° giorno
Bordeaux-Haut Médoc-Libourne (140 km)

7° giorno
Libourne-Pétrus-St. Émilion (70 km)

8° giorno
St. Émilion-Périgord Noir-Sarlat (150 km)

9° giorno
Sarlat-Locarno (924 km)

Bibliografia
Francia Guida Michelin, Milano 1997
Francia Touring Club Italiano, Milano 1994
Francia Sud-Ovest La Guida Verde Michelin, Milano 2008

Tenerife – Sulla cima di Spagna, ma alle Canarie

La Gomera

Un viaggio alla scoperta di una Tenerife discosta dai centri più rinomati. Nei suoi splendidi parchi nazionali, a cominciare dai paesaggi lunari del vulcano del Teide, la montagna più alta di Spagna, per poi scendere verso le scogliere selvagge ad est e ad ovest dell’isola.

Non dimenticate di mettere gli occhiali da sole se arrivate per la prima volta sulla punta sud occidentale di Tenerife. Ne avrete bisogno per proteggervi non solo dal sole accecante, ma anche per non restare abbagliati dalle insegne al neon, dalla sabbia bianca (importata dal Sahara) e dai turisti nordeuropei rossi come gamberi. Grandi resort pieni di piscine e con buffet all-you-can-eat hanno trasformato questa sonnolenta costa di pescatori in uno dei più importanti motori economici di Tenerife”. La guida Lonely Planet presenta così le spiagge più famose – Los Cristianos, Playa de las Americas e Adeje – della costa sud che hanno reso celebre l’isola nel mondo ed ogni anno ospitano 10 milioni di turisti. Senza nulla voler togliere a chi opta per una settimana di sole e mare per allontanarsi dal freddo dei nostri inverni, esiste anche un’altra Tenerife, molto meno nota, ma straordinaria, con paesaggi particolarmente suggestivi. È alla scoperta di questa Tenerife, discosta dai centri più rinomati e per fortuna non ancora invasa dal cemento armato degli enormi alberghi e apparthotel, che ho organizzato un viaggio l’autunno scorso. L’itinerario prevedeva anche la visita della vicina isola di La Gomera. Ne è nata una vacanza meravigliosa, al di là delle mie aspettative, che consiglio a chi ama immergersi in una natura incontaminata tra mare e montagne.

Il vulcano del Teide, un paesaggio lunare
Eravamo molto delusi quando dalla costa nord dell’isola guardavamo in alto la strada che attraversando la valle di Orotava sale verso il Teide, la montagna più alta di Spagna (3718 metri). Ma dato che avevamo prenotato per la notte al Parador de la Canada del Teide, a quota 2’200 metri, siamo saliti in ogni caso. Dopo aver attraversato una densissima nebbia, che non avremmo mai associato con il clima delle Canarie, tutt’a un tratto siamo sbucati in un paesaggio lunare con un cielo blu molto terso. Iniziava lo spettacolo. Davanti a noi sua maestà il vulcano, all’interno del quale gli indigeni dell’isola anticamente credevano vivesse il diavolo Guyota, che un bel giorno decise di uscire dalla sua tana sotterranea e vide il sole. Ingelosito dalla sua luce, lo rubò per nasconderlo nel suo covo, portando morte, distruzione e oscurità su tutta l’isola. I Guanci pregarono allora Chaman, il dio del sole, che sconfisse Guyota e riportò la luce. Questa leggenda è legata a un’eruzione che avvenne nel XIII secolo, quando una nube di cenere oscurò il sole e l’unica luce che gli abitanti potettero vedere per giorni è quella che veniva dalla bocca del vulcano. Ciò li indusse a credere che il sole fosse intrappolato al suo interno. Terminata l’eruzione, la cenere si depositò sul terreno e il sole tornò a splendere.
Il Parco Nazionale del Teide è di una bellezza mozzafiato. Le guide spiegano che qui si trova più dell’ottanta per cento delle formazioni vulcaniche del mondo, con terreni, rocce e pinnacoli di lava di ogni colore e forma. Il nostro primo impatto è stato ancora più incantevole perché era l’ora del tramonto, con il cielo che si illumina di tutte le tonalità dal giallo, all’arancione, al rosso fuoco riflettendo i suoi colori sulle rocce cangianti. Quando piomba la notte invece si gode lo spettacolo delle stelle.
Il mattino seguente ci siamo alzati di buonora per camminare lungo i sentieri che i Guanci prima e i pastori spagnoli poi percorrevano per portare al pascolo le capre. Si tratta delle “cañadas”, ossia i sette “sentieri dei greggi al pascolo”, detti anche “strettoie” o gole. Una gita pianeggiante di circa 17 chilometri ai piedi del vulcano, della durata di 5 ore, che collega i due punti di informazione del Parco (bisogna partire entro le 9 per poter rientrare con il bus delle ore 15). Lungo il tragitto il paesaggio muta in continuazione. Sulla destra si ergono montagne rocciose levigate e lavorate dal vento. Sulla sinistra domina imponente la vista del Teide, una montagna multicolore, dove si vedono ancora le colate rosso scuro dell’ultima eruzione avvenuta nel Settecento. La montagna è brulla, ma ospita un po’ di sterpaglia che arricchisce di qualche tonalità di verde una gamma che in autunno varia dal color sabbia, passando per tutte le gradazioni del marrone e terminare al rosso scuro delle colate di lava. Tra il sentiero che corre lungo le rocce e il Teide si estendono vasti campi lavici molto scuri, alcuni nero cupo con componenti luccicanti che brillano ai raggi del sole. Pochi gli arbusti. Alcuni verdi, la maggior parte bruni. Qua e la spiccano originali pennacchi simili a code di volpe, tipici della zona, e rocce dalle forme singolari. A tratti sembra di intravedere forme modellate da un artista, ma è tutta opera della natura. Quando giungiamo al termine del percorso siamo stanchi, ma anche delusi che lo spettacolo a cui abbiamo assistito sia terminato.
Questi sentieri sono deserti: in una giornata abbiamo incontrato solo due altri turisti. Non è così per salire in teleferica (made in Switzerland) sul Teide. Ogni anno trasporta 4 milioni di persone. Già per la prima corsa alle 9 di mattina si fa la coda. Arrivati in cima, la vetta è riservata a sole 150 persone al giorno: bisogna essere in possesso di un permesso speciale (che si può scaricare da internet). La salita richiede mezz’ora. Più ci si avvicina alla bocca del vulcano addormentato, più si sente un forte odore di zolfo. Dall’alto si può godere lo spettacolo della vallata vulcanica estendersi maestosamente sotto di noi e le isole di La Gomera, La Palma ed El Hierro emergere dall’Atlantico.

Da una punta dell’isola all’altra
Oltre al Parco Nazionale del Teide, Tenerife offre al viaggiatore altre due meraviglie: le punte ovest ed est dell’isola decretate “parchi rurali”, quindi zone protette.
Le spiagge di sabbia, che hanno reso celebre Tenerife a livello internazionale, terminano a Los Gigantes, una località turistica sulla costa ovest, a partire dalla quale inizia una zona scogliosa che si protrae fino alla splendida punta del Teno. Da Los Gigantes la strada sale verso Santiago del Teide, da cui prendendo a sinistra si entra in un paesaggio montagnoso a picco sul mare con splendidi panorami fino al villaggio di Masca, diventato molto turistico perché facilmente raggiungibile dalle spiagge più affollate. Da qui un percorso panoramico molto spettacolare porta a Buenavista, da cui si può raggiungere la Punta del Teno, oltrepassando cartelli indicatori che intimano di fermarsi, ma che nessuno osserva. Montagne solitarie si ergono come giganti verso l’interno, mentre le onde poderose dell’oceano si infrangono contro gli scuri scogli lavici e sulla nera spiaggia vulcanica. Solo un faro ricorda la presenza dell’uomo.
In un paio d’ore di automobile si può raggiungere la punta opposta di Tenerife, quella a est. Una comoda autostrada conduce fino all’antica capitale, San Cristobal de la Laguna. Viaggiando in direzione del Parque Rural di Anaga la strada inizia a salire e si attraversa una zona di boschi di lauro con splendidi “mirador” (punti panoramici) sulle vallate e sul mare. Vale la pena di ridiscendere fino a Benijo, dove il paesaggio marino ricco di scogli è di una bellezza indimenticabile. La costa in questa zona colpisce per la sua struttura frastagliata e per le bizzarre formazioni laviche che spuntano dal mare e vengono investite con violenza dalle impetuose onde dell’Oceano. La regione è ricca di sentieri, ma non sempre ben segnalati.

L’architettura canaria a Laguna e Orotava
Dal 1999 La Laguna è stata inserita dall’Unesco nell’elenco dei luoghi Patrimonio dell’Umanità. E in effetti il suo centro storico è un gioiello ricco di edifici pittoreschi, di sontuose ville, di strette viuzze. La sua struttura risale agli inizi del Cinquecento, quando gli spagnoli, dopo avere conquistato l’isola alla fine del secolo precedente, vi costituirono la capitale che in seguito fu adottata come modello urbanistico per molte altre città coloniali nelle Americhe.
Un’altra cittadina coloniale degna di nota è certamente Orotava, uno dei siti più apprezzabili in stile “canario” di tutto l’arcipelago, con i suoi palazzi dotati dei tipici balconi in legno. La cittadina è molto bella anche dall’alto. In particolare dal mirador dedicato al viaggiatore tedesco del Settecento Alexander von Humboldt, che si dice cadde in ginocchio sopraffatto dalla bellezza di questo paesaggio – oggi purtroppo molto costruito – affermando: “Devo confessare di non aver mai visto altrove un’immagine così armoniosa, varia e affascinante, caratterizzata da un alternarsi di verde e roccia”.

Bibliografia
Spagna del Sud La Guida Verde, Milano 2006
Isole Canarie Lonely Planet, Torino 2008
Spagna del Sud Touring Club It., Milano 2004
Canarie Le Guide Mondadori, Milano 2011
Canarie Traveller, Milano febbraio 2003
Attilio Gaudio, Canarie Milano 1991
Tenerife Low Cost, Milano 2008
Tenerife Ada Pocket, Modena 1993

La Gomera – L’isola di Cristoforo Colombo

Tenerife

Boschi incantati che ti danno l’impressione di entrare in una fiaba, valli lussureggianti, scogliere impenetrabili interrotte da piccole spiagge incontaminate, formazioni rocciose che sembrano enormi sculture.

Boschi incantati che ti danno l’impressione di entrare in una fiaba, valli lussureggianti, scogliere impenetrabili interrotte da piccole spiagge incontaminate, formazioni rocciose che sembrano enormi sculture prodotte dall’antica attività vulcanica, bianchi paesini molto pittoreschi, una storia legata alle grandi imprese di Cristoforo Colombo: la poco conosciuta isoletta La Gomera, appartenente all’arcipelago delle Canarie, è tutto questo! Qui il turismo dei grandi numeri non arriva, salvo in una spiaggia a sud, nella Valle del Gran Rey. Fino agli anni Cinquanta, quando venne inaugurato un piccolo molo che apriva la strada al trasporto in traghetto e al commercio, quest’isola era stata isolata dal mondo ed era praticamente autosufficiente. Oggi è stata riconosciuta patrimonio dell’umanità dall’Unesco per i suoi boschi magici, che fanno parte del Parco Nazionale de Garajonay, e per un particolare linguaggio fischiato, il “silbo”, grazie al quale gli abitanti comunicavano tra loro da una vallata all’altra. Si può partire da questi due riconoscimenti per descrivere le particolarità di questo piccolo paradiso immerso nelle acque dell’oceano Atlantico.
Iniziamo dal “silbo”, questo antico linguaggio più simile al modo di comunicare degli uccelli che a quello degli umani. In condizioni ideali i messaggi fischiati potevano essere uditi fino a 4 chilometri di distanza risparmiando agli isolani la fatica di andare su e giù per i ripidi pendii soltanto per portare un messaggio a un vicino. Nato probabilmente per segnalare pericoli, con il tempo il “silbo” si è sviluppato fino a diventare un vero e proprio linguaggio. È certamente stata la conformazione del paesaggio gomero ad aguzzare l’ingegno dei suoi abitanti per elaborare questo singolare modo di comunicare a distanza. Se si guarda infatti l’isola dall’alto appare come una fortezza impenetrabile con montagne al centro che degradano verso il mare proponendo ripide scogliere. Strade strettissime e serpeggianti corrono tra pareti rocciose e gole disseminate di bianchi villaggi aggrappati a dirupi apparentemente inaccessibili.
Anche le peculiarità del Parco Nazionale servono a spiegare l’esistenza di questa isola, dove Cristoforo Colombo fece scalo durante le sue quattro spedizioni prima di affrontare l’Oceano verso le Americhe. Cercava viveri, ma soprattutto acqua. Sì perché La Gomera è ricca d’acqua. Come mai? Gli alisei, quegli stessi venti che fecero veleggiare le caravelle di Colombo alla scoperta del Nuovo Continente, avvicinandosi all’isola incontrano l’ostacolo della montagna e salendo trovano aria più fredda che si condensa sotto forma di nebbia. Queste nuvole accarezzano le foreste di lauri di cui sono ricchi i boschi e provocano le condizioni ideali affinché sugli alberi si formino delle muffe, che ricoprono completamente i tronchi e i rami creando un’atmosfera magica. Grazie a queste muffe l’umidità viene catturata e trasformata in goccioline che penetrano delicatamente nel terreno e si trasformano in graziosi ruscelli.

Strade panoramiche a strapiombo sul mare
Il modo migliore per visitare La Gomera è certamente quello di percorrerla in auto e di fare tappa agli innumerevoli “miradores” per godersi panorami eccezionali. Per apprezzare l’isola ci vogliono almeno due giorni: uno dedicato al giro del suo territorio, un altro al Parco Nazionale. La Gomera è raggiungibile in aereo dai copoluoghi dell’arcipelago oppure con la nave in un’ora di navigazione dalla spiaggia di Los Cristianos a Tenerife. Offre uno splendido Parador con ottima cucina a prezzi contenuti (fa parte della catena di alberghi gestita dallo Stato spagnolo) e una magnifica vista sul mare.
L’escursione del giro dell’isola richiede un’intera giornata su strade molto agevoli, che portano dal mare alla montagna e viceversa nel giro di pochi minuti. Salendo si gioca a nascondino con le nuvole, poi, quando ci si avvicina al mare il sole torna a splendere come per incanto. I panorami sono da mozzafiato: sul mare, sulle ridenti vallate che scendono verso l’Oceano, sulle montagne brulle e su altre di un verde rigoglioso. A ogni curva lo scenario si modifica e diventa sempre più avvincente. È una gita che non si vorrebbe finisse mai, tanto sono spettacolari i paesaggi attraversati.
Ho girato tante isole, ma raramente ho trovato strade panoramiche tanto affascinanti. La Gomera è bella nel suo insieme, non offre villaggi o spiagge particolari, ma merita davvero di essere visitata. Anche per scoprire il suo Parco Nazionale. Camminare nel Parco è un’emozione. Attraversando i boschi di lauro sembra di inoltrarsi in un racconto di fantascienza. Le piante paiono non avere tronco, perché sono completamente ricoperte di muschio: in alcuni luoghi piatto, in altri rigonfio per cui ne raddoppia il diametro. Anche i rami vengono completamente ricoperti di verde, che in certi casi si trasforma in una sorta di barba ballonzolante. È difficile esprimere a parole le emozioni che si provano, così come nessuna foto riesce a descrivere il mistero di questi boschi. Per apprezzarne la magia bisogna viverli, percorrerli per ore lasciandosi condurre da Riccardo, che ne conosce gli angoli più suggestivi.
Se avrete fortuna potete incontrare Luis, un personaggio molto alternativo e uno dei pochi sull’isola in grado di interpretare il “silbo”, il linguaggio segreto di questi luoghi. Abbiamo incontrato Luis in un ristorante sulla graziosa piazzetta di Vallehermoso. Ci ha spiegato e dimostrato, sotto gli occhi dei turisti attoniti, la filosofia di quel modo di comunicare che lui ha appreso da suo nonno e che teme stia scomparendo nonostante sia protetto dall’Unesco. Mentre ci dirigevano verso l’auto parcheggiata ad alcune centinaia di metri ci accompagnava il suo saluto, interpretato fischiando in tutte le lingue.

Tutto ricorda Colombo
Nel capoluogo dell’isola, San Sebastian de La Gomera, tutto ricorda Cristoforo Colombo. Un piccolo museo nella Casa de la Aguada ripercorre le tappe della scoperta del Nuovo Mondo. Sopra il pozzo che si trova nel patio, dove secondo la tradizione Colombo si rifornì di acqua prima di affrontare l’Oceano, si legge la scritta: “Con quest’acqua fu battezzata l’America”. Nella graziosa chiesetta della Virgen de la Asuncion viene ricordato che Colombo e i suoi uomini si recarono a pregare prima di mettersi in viaggio. Poco distante sorge la Casa de Colon, costruita nel luogo in cui si suppone abbia alloggiato il celebre navigatore durante la sua permanenza sull’isola, che sembra non fosse dettata solo dalla necessità di imbarcare acqua e provviste, ma anche da una piccante storia sentimentale con Beatrice di Bobadilla. La bella moglie del crudele governatore spagnolo Hernan Peraza non fece girare la testa solo a Colombo, ma persino al re di Spagna Ferdinando il Cattolico, suscitando l’odio della regina Isabella.

Bibliografia
Spagna del Sud La Guida Verde, Milano 2006
Isole Canarie Lonely Planet, Torino 2008
Spagna del Sud Touring Club It., Milano 2004
Canarie Le Guide Mondadori, Milano 2011
Canarie Traveller, Milano febbraio 2003
Attilio Gaudio, Canarie Milano 1991