Birmania – In fuga lontano dalla globalizzazione
Birmania – Un passo nella storia
Birmania – Birmania, dilemma etico per il turista
Birmania – Un paese sospeso tra storia e futuro
A 900 metri di altitudine, sul lago Inle di una bellezza incomparabile. Una società fluttuante, dove la canoa non solo è un mezzo di trasporto, ma diventa anche spazio sociale. Un viaggio con Kel12 nelle tradizioni, nel credo, nei mercati e nell’artigianato di una società dove il tempo sembra essersi fermato.
Arriviamo al lago Inle all’ora del tramonto, dopo un breve spostamento in aereo. Una barca lunga e stretta, che sarà il nostro mezzo di trasporto per i prossimi giorni, ci sta aspettando per portarci all’albergo. Il sole sta per tramontare e i cielo assume tutte le sfumature dal rosso all’arancione, che si specchiano sull’acqua ferma. I contadini sulle loro barche piatte stanno remando per tornare dagli orti galleggianti alle loro case a palafitta nei villaggi. Qualche pescatore si attarda. La sua immagine allungata si riflette sulla superficie dell’acqua. Sembra un paesaggio irreale. È questa la prima immagine di questo lago, che è un mondo a sé. Siamo arrivati al nostro splendido albergo, che si affaccia sulla riva ed è gestito da un francese.
Situato a circa 900 metri di altezza e delimitato da due catene montuose il lago Inle, di una bellezza incomparabile, è lungo solo 22 chilometri e largo 11, ma da esso si dirama una vastissima ragnatela di canali navigabili. È famoso per il suo stile di vita. Una società fluttuante, dove la canoa non solo è mezzo di trasporto, ma diventa anche spazio sociale. La popolazione vive di agricoltura, di artigianato e di pesca. In birmano “in” significa lago, mentre “le” vuol dire quattro. In effetti i primi documenti risalenti al 1637 parlano di quattro villaggi. Oggi sulle rive se ne affacciano diciassette, abitati complessivamente da 70 mila persone. Ma l’intera regione, compreso chi abita sulla terraferma ma vive del lago, ne conta 130 mila.
Secondo la leggenda, nel 1359 due fratelli originari di Dawei nel sud del paese arrivarono in questa regione per lavorare al servizio di un cosiddetto “sao pha”, che significa “signore del cielo”, il titolo ereditario assegnato ai capi Shan. Fu talmente soddisfatto del duro lavoro e del comportamento dei due che chiese loro di far giungere altre trentasei famiglie da Dawei: tutti gli Intha, la principale etnia che popola le rive di queste acque, sarebbero loro discendenti. Gli Intha sono in effetti grandi lavoratori, conosciuti per la loro originale tecnica di remata, che consiste nell’utilizzare piccole imbarcazioni piatte, sospinte da un remo su cui si fa pressione con la gamba, avvantaggiandosi di una leva simile alla forca veneziana. La superficie del lago è in continua evoluzione a causa dei famosi orti galleggianti, fissati al fondo – la profondità oscilla tra due e tre metri – con un palo di bambù. Le isole e le penisole che si vengono così a formare sono collegate da una rete di canali che costituiscono le principali vie di trasporto e permettono di navigare per ore senza percorrere mai lo stesso tragitto.
Tutta la vita attorno al lago
Il mattino alle 8 la nostra barca ci attende per una splendida gita, che in tre ore lungo canali navigabili ci porterà verso sud, al villaggio di Sagar. È aperto al turismo da pochi anni, da quando il governo ha concesso uno statuto speciale alla tribù dei Pa O, di etnia Shan, che abita Sagar, ma vive soprattutto sulle montagne ed è famosa per il suo aglio, che sembra sia il migliore del paese. Per visitare il villaggio bisogna essere accompagnati da una loro guida. La tribù dei Pa O conta circa 500 mila persone e sembra bene organizzata, perché possiede un albergo e un ristorante sul lago e richiede un pedaggio a chi visita Sagar. Con queste entrate finanziano opere sociali.
La gita è particolarmente interessante per capire come queste popolazioni riescano a vivere sull’acqua. Siccome il lago è poco profondo ed è colmo di alghe, la nostra barca è dotata di un motore a scoppio con una strana elica che non affonda, ma gira a filo d’acqua causando uno spruzzo a forma di arco. Attraversiamo diversi pittoreschi villaggi con le case a palafitta. La gente vive sulle rive del lago e dei canali: i bimbi giocano con l’acqua, le donne lavano i panni, molti si lavano, altri coltivano i loro orti galleggianti a bordo delle canoe o trasportano merce, altri ancora pescano. Il paesaggio è verdissimo e cambia continuamente prospettiva. Lungo un canale incontriamo addirittura due bufali che nuotano. Finalmente arriviamo a Sagar, dove il mercato sta per chiudere. Gli abitanti ci accolgono con la consueta gentilezza, ci mostrano le loro case e ci offrono banane. La abitazioni hanno la struttura in canna di bambù e le pareti e i tetti in paglia o fogliame. Sono molto simili a quelle che abbiamo visto sulle montagne. Sulla riva visitiamo alcuni suggestivi stupa abbandonati (monumenti religiosi a forma di cono), che si specchiano nelle acque del canale. Le rare statue di Buddha sono naif e hanno uno sguardo meno dolce del solito.
Sulla via del ritorno notiamo diversi pescatori all’opera. Su minuscole canoe trasportano enormi ceste a forma di cono con un telaio in bambù avvolto da reti. Le posano sul fondo del lago rovesciate e piantano un palo di bambù per sapere dove si trovano. Quindi si spostano attorno e sbattono violentemente il remo della canoa sull’acqua per spaventare i pesci e orientarli verso la rete. Sembra che nel lago Inle ne vivano venticinque specie. Il nostro barcaiolo si avvicina alla canoa di un pescatore che ci mostra orgoglioso il suo bottino custodito sul fondo dell’imbarcazione.
Gli orti galleggianti
Siamo rimasti sul lago altri due giorni per visitare i mercati, i villaggi specializzati nell’artigianato, i luoghi di culto. Ogni giorno ci colpiva l’enorme diffusione degli orti galleggianti. Gli studiosi affermano che se si va avanti di questo passo nel giro di alcuni secoli il lago scomparirà. Creare un orto galleggiante è faticoso, ma relativamente semplice. Le piante di giacinto che crescono spontaneamente sul lago hanno infatti la proprietà di costituire piccole isole. Si tratta di staccare con grande fatica uno di questi isolotti, di trascinarlo con la canoa dove si desidera, di fissarlo con pali di bambù al fondo del lago (altrimenti fluttua e se ne va) e di ricoprirlo di alghe di cui il lago è colmo, che rendono il “terreno” fertilissimo. Questi isolotti vengono allineati in filari tra i quali i contadini entrano con le loro canoe strette e piatte. Oggi si coltivano soprattutto pomodori (ma anche fiori, frutta e altri ortaggi) che maturano ben tre volte all’anno. Quelli del primo raccolto sono di piccole dimensioni e vengono pertanto consumati localmente, ma i successivi vengono distribuiti in tutto il paese e coprono il 60 per cento del fabbisogno.
Buddha deformati dalla devozione
Le cinque statue di Buddha conservate nel tempio Phaung Daw Oo, che si affaccia sul lago, sono tra le più venerate in Myanmar. La devozione dei fedeli le ha addirittura sfigurate. In Birmania vige infatti l’usanza da parte dei pellegrini di applicare alle statue del Buddha sottilissimi lamine d’oro, che si acquistano in bustine (simili a quelle delle nostre figurine) nei luoghi di culto. Ebbene a furia di ricevere foglie d’oro queste cinque statue sono ormai sfigurate e non hanno più la parvenza del Buddha. Ogni anno, tra settembre e ottobre, quattro delle cinque statue vengono trasportate sul lago a bordo di una stupenda imbarcazione, seguita da centinaia di canoe di fedeli in festa, e accompagnate nei vari villaggi, dove trascorrono una notte di grande festa. La quinta statua, a partire dagli anni Settanta, non viene più spostata. Sembra che durante una tempesta la barca che trasportava le cinque statue si rovesciò: quattro furono ripescate, la quinta non fu ritrovata perché si trovava già al suo posto cosparsa di alghe. Da allora non viene più rimossa.
Il monastero Nag Phe Kyaung è noto per i suoi gatti saltatori, ma custodisce una splendida collezione di statue del Buddha realizzate in vari stili e in diverse epoche. I maligni sostengono che qualche volta anche i monaci buddisti si annoiano. Qualcuno di loro si è allora dedicato ad ammaestrare gatti, che sollecitati saltano dentro un cerchio, come fanno le tigri e i leoni al circo.
Un altro luogo mistico di grande fascino è Shwe Inn Thein, uno straordinario complesso di stupa del XVII secolo costruiti su una collina che purtroppo sono stati danneggiati dall’azione degli elementi naturali, ma finora non ancora sottoposti a restauro. Ed è proprio questo stato di abbandono a conferire a quel luogo un’atmosfera magica e di pace. Al sito si giunge percorrendo un cammino coperto sotto un colonnato lungo quasi due chilometri, che collega il luogo sacro al paese. Purtroppo il turismo ne ha in parte snaturato la magia, perché lungo il corridoio si allineano bancarelle che vendono chincaglierie di cattivo gusto. E dire che l’artigianato di qualità in questo paese non manca!
Un artigianato di qualità
In Myanmar in generale e al lago Inle in particolare si può ancora trovare un artigianato di elevata qualità, accanto a chincaglierie di cattivo gusto prodotte per turisti frettolosi. In questo paese l’industrializzazione non si è espansa al di fuori dei centri principali, per cui si costruiscono ancora molti oggetti artigianalmente e si sono conservate abilità manuali andate perse ormai quasi ovunque. I prodotti artigianali più preziosi del lago Inle sono certamente i tessuti ottenuti filando la fibra contenuta nel fusto del fior di loto. È l’unico posto al mondo dove avviene questa lavorazione, che richiede tempi lunghissimi. Ma qui la mano d’opera costa poco, troppo poco: una tessitrice non arriva a guadagnare 100 dollari al mese. Quasi in ogni casa è presente un telaio. Al lago Inle, come ad Amarapura, la città imperiale vicino a Mandalay si tesse il filato di seta proveniente dalla Cina, ottenendo stoffe di elevatissimo pregio. In altre parti del Myanmar, anche sulle montagne vengono invece prodotti teli variopinti in cotone con soggetti tradizionali di grande bellezza. I più belli si acquistano sul luogo di produzione.
Sul lago Inle esistono anche centri di lavorazione dell’argento, di produzione della carta fatta a mano e dei sigari con le foglie di tabacco coltivato negli orti.
Lungo una strada di Mandalay, alcune centinaia di chilometri a sud rispetto al lago Inle, un’intera via è dedicata agli atélier dove si lavora il marmo e si producono soprattutto Buddha di dubbio gusto. Bagan, la città che ospitò il primo impero birmano tra l’XI e il XIII secolo è invece famosa per i suoi preziosi oggetti in lacca, la cui lavorazione richiede alcuni mesi.
Una terra di mercati
Non puoi conoscere un paese senza visitare i suoi mercati. E questo vale soprattutto per una nazione poco industrializzata come il Myanmar. Il mercato forse più interessante e pittoresco che abbiamo visitato durante il viaggio è quello del villaggio di Nan Pan, il più grande che si tiene sulle rive del lago Inle, dove ogni giorno della settimana cambiano le sedi dei mercati. In questo luogo affluisce sia la gente che viene dal lago, sia quella che scende dalle vicine montagne. L’afflusso dalla riva è caotico perché le imbarcazioni sono moltissime ed è quasi impossibile ormeggiare. Una volta a terra il mercato è enorme e vi si trova di tutto. La parte dedicata ai turisti è per fortuna molto ristretta. Tutto il resto è per gli indigeni. Il più variopinto è il settore ortofrutticolo. È incredibile la varietà dei prodotti alimentari. Qui si utilizza tutto di tutto. Non si butta via niente. Lo abbiamo notato in tutti i mercati durante il viaggio. May, la nostra graziosa guida, che è anche una buongustaia, ci mostra tutti i cibi e ci spiega come si cucinano.
Praticamente ogni giorno durante il nostro itinerario in Myanmar abbiamo visitato mercati. I più interessanti sono quelli a cui affluiscono i contadini da varie parte della regione, come accade al lago Inle, ma anche a Kyaing Tong nel nord-est e a Bagan. Notissimo è anche il mercato di Yangon, dove si trova di tutto, ma non il fascino della campagna.