Un mondo svelato dalla Via della Seta

Cina – La Cina immaginata e quella della realtà
Tibet – Un viaggio sul tetto del mondo sfiorando le nuvole con le dita
Tibet – Il Tibet è un Paese occupato dai cinesi

I cinesi raccontano che a Shanghai avete la possibilità di assaporare gli ultimi 150 anni della storia del loro paese, a Pechino gli ultimi mille, mentre a Xian incontrerete la Cina più antica. Queste tre città ricche di storia permettono un approccio ai diversi volti della Cina.

A Shanghai avete la possibilità di assaporare gli ultimi 150 anni della storia cinese. A Pechino gli ultimi 1000, da quando cioè divenne capitale dell’impero. A Xian, punto di arrivo e di partenza della mitica Via della Seta, incontrerete le vestigia della Cina più antica. Sono queste le mete principali del nostro itinerario, che prevede anche un soggiorno di cinque giorni in Tibet. Un viaggio del genere non permette certamente di conoscere un paese, ma fornisce stimoli di riflessione, provoca sensazioni e pone interrogativi.

Xian, culla della civiltà cinese
Confesso che prima di preparare questo viaggio non avevo mai sentito parlare di Xian, eppure è la culla della civiltà cinese. È qui che Qin Shi Huang nel 221 a.C. riuscì a unificare il paese per diventare il primo imperatore della Cina e gettò le basi di una coscienza nazionale. Abolì il feudalesimo e diede al paese un’organizzazione burocratica, lo protesse verso nord collegando nella Grande Muraglia i tratti di mura preesistenti, unificò i pesi e le misure, le distanze tra le ruote dei carri per pianificare le strade, impose un’unica moneta, un solo sistema di ideogrammi per unificare la scrittura e la lingua parlata, impose un unico sistema legale. Questo imperatore visionario, ma anche crudele e megalomane, si costruì un monumento funerario al quale lavorarono per 38 anni 700 mila operai. Quando nel 210 a.C. morì durante la sua campagna di unificazione, si racconta che la sua salma fu calata nella sala principale del palazzo delle tenebre assieme alle mogli, alle concubine, a guardie e operai sacrificati in suo onore. L’ingresso del mausoleo venne quindi mimetizzato e il terreno circostante coltivato a cereali. Fu per caso che nel 1974 un contadino, che oggi firma il volume pubblicato sul sito, scavando un pozzo fece la più importante scoperta archeologica del XX secolo, che l’ex presidente francese Chirac, in visita nel 1991, decretò giustamente ottava meraviglia del mondo. Il sito è finora stato scavato solo in parte. Finora sono state portate alla luce tre grandi fosse. La prima (230 metri per 62) contiene 6 mila guerrieri di statura reale che rappresentano la guardia imperiale schierata con cavalleria e 35 carri da guerra. La seconda presenta un esercito di 900 soldati diviso in tre battaglioni. Nella terza, 31 soldati delle guardia d’onore attendono l’imperatore. Un museo presenta altre statue e due straordinari carri in bronzo.
La sola visita di questo sito vale il viaggio in Cina. Tutti noi abbiamo sentito parlare dei guerrieri cinesi di terracotta e li abbiamo ammirati in documentari, ma vederli dal vivo provoca un’emozione eccezionale. Ognuno di loro ha un viso e un’espressione che sottintendono una storia di vita. Gli scavi continuano e altre meraviglie verranno portate alla luce. Al di là di queste scoperte archeologiche Xian è oggi un’importante città commerciale con oltre 7 milioni di abitanti. Il suo centro è racchiuso nel perimetro di 12 chilometri delle sue mura, che risalgono all’epoca Ming (1368-1644). È animatissimo e molto curato con negozi e shopping center di chiara impronta occidentale. Suggestive le torri della Campana (epoca Tang 618-917) e del Tamburo (epoca Ming). Il cuore della città ospita anche un coloratissimo bazar nel quartiere abitato da una minoranza musulmana cinese. Al centro si può visitare un’interessante moschea risalente al VIII secolo, che presenta un curioso incrocio di stile arabo e cinese.

Pechino, il cuore del Paese
Non è certamente facile riassumere ciò che offre Pechino in poche righe di giornale, ma ci proverò. La città è priva di piazze e di un centro. Per questo Mao Tse Tung nel 1949, dopo aver vinto la guerra civile contro i nazionalisti di Chiang Kai Shek creò la piazza Tian’anmen. Un luogo tristemente noto per l’intervento dell’esercito cinese, che nel 1989 entrò con i carri armati aprendo il fuoco contro i dimostranti desiderosi di riforme e di libertà e facendo migliaia di morti. Con i suoi 400 mila metri quadrati di superficie è il più grande spazio pubblico al mondo, è il cuore pulsante della Cina ed il testimone per eccellenza degli eventi che hanno plasmato la storia della Repubblica Popolare sin dai suoi esordi. È qui che il primo ottobre del 1949 Mao Tse Tung pronunciò il discorso della liberazione alle folle in giubilo. Sulla piazza, per la verità molto fredda, si affacciano i musei della storia e della rivoluzione, il Grande Palazzo del popolo, sede del parlamento, il mausoleo del presidente Mao che accoglie la sua salma.

La città proibita
Oltrepassando un arco sopra il quale troneggia l’effigie di Mao, si entra in una delle meraviglie di questa città: la città proibita. Fulcro per cinque secoli – vi regnarono 24 imperatori delle dinastie Ming e Qing – dell’impero e per i cinesi dell’universo. Anche qui gli spazi sono vastissimi. Si tratta di una vera e propria città nella città con oltre 800 edifici, che risalgono quasi tutti al Quattrocento, quando l’imperatore Yongue riportò la capitale da Nanchino a Pechino. Tutti i padiglioni sono disposti secondo le teorie geomantiche basate sull’equilibrio fra energia negativa (yin) e positiva (yang). In questa sorta di vastissima gabbia dorata il popolo non poteva entrare e nemmeno avvicinarsi. Vi si accede dalla porta meridionale (Wumen), la più importante, dove i Figli del Cielo si rivolgevano alla corte e dove i generali di ritorno da guerre vittoriose si presentavano con i prigionieri per deciderne la sorte. Proseguendo si accede ad altri ambienti pubblici (padiglioni delle Cerimonie), prima di giungere agli appartamenti imperiali, dove l’imperatore alloggiava con la moglie e le concubine gestite dagli eunuchi, che diventarono sempre più potenti all’interno del palazzo ordendo intrighi di ogni genere. Quest’ultima parte della città presenta, oltre ad un intimo giardino, costruzioni più piccole e affascinanti, ambienti cinesi, dove bisogna prendersi il tempo per passeggiare senza meta.

Il Tempio del Cielo
Un altro luogo di grande significato storico è il Tempio del Cielo, che sorge in un’altra parte della città e che per cinque secoli ha rappresentato il cuore dei cerimoniali e del simbolismo imperiale. Edificato anch’esso all’inizio del XV secolo era considerato il luogo di contatto fra la terra (considerata quadrata) e il cielo (rotondo), la cui simbologia rappresenta parte integrante anche del progetto architettonico. Intermediario tra terra e cielo era naturalmente l’imperatore che in occasione del solstizio d’inverno si recava qui e pregava per il raccolto. Decisamente meno suggestiva risulta invece la visita alla residenza imperiale estiva, distrutta dagli inglesi durante la seconda guerra dell’Oppio e in parte ricostruita.

Le tombe dei Ming
Ma l’emozione torna a livelli elevati durante la visita alla tomba degli imperatori Ming, la dinastia che regnò dal 1368 al 1644. Tredici dei sedici figli del cielo sono sepolti in una dolce valle che sorge a una quarantina di chilometri da Pechino. Oltrepassato un magnifico arco in marmo bianco, si giunge a una grande Porta Rossa, dove inizia il suggestivo Viale degli Spiriti lungo 7 chilometri e fiancheggiato da alberi e da statue di animali mitologici, di mandarini e di militari. Al termine dei vialetti portano alle tombe monumentali. Ognuna è divisa in tre parte principali: la stele, la sala delle offerte e il tumulo dove si trova la salma.

La grande muraglia
È una delle sette meraviglie del mondo. È un’impresa ingegneristica sbalorditiva. È lunga 6350 chilometri, una distanza equivalente dal Ticino a New York. È nata con l’avvento della dinastia dei Quin nel 221 a.C. per difendersi contro le orde di nomadi attratte dalle fertili terre della pianura del bacino del Fiume Giallo, su idea del primo imperatore cinese, lo stesso che si è fatto seppellire con l’esercito di terracotta. Il lavoro principale fu quello di collegare tra loro le muraglie già esistenti e di consolidare il tutto in un’unica difesa murata. La sommità della muraglia è costituita da una via lastricata larga 5 metri che rappresenta anche un’importante via di comunicazione essendo percorribile totalmente sotto protezione e quindi un mezzo di comunicazione tra genti diverse. Oggi sono milioni i turisti che nel corso di un anno visitano quest’opera e ne percorrono dei tratti a piedi.

Lo stadio olimpico
Oltre alla sua storia, ai suoi monumenti e ai suoi simboli storici Pechino è un’interessante e moderna città densa di grattacieli di stile americano, poco inquinata contrariamente a quando pensavo, dove si può passeggiare tranquillamente. La sua via principale – un centro vero e proprio non esiste – si dice sia percorsa giornalmente da un milione e mezzo di persone. Me la immaginavo simile alle città russe dell’ultimo periodo sovietico, ma ho trovato un ambiente dove i turisti occidentali sono ben accolti. Deludente, perché troppo turistico, il quartiere antico Hutong. Splendido, in compenso il centro olimpico con lo stadio degli architetti Jacques Herzog e Pierre Demoron che visto dal vero è un’opera architettonica emozionante. E anche qui spazi enormi, come è nelle tradizioni cinesi, ai quali noi europei non siamo abituati.

Shanghai, tra Cina Europa e Usa
È il fulcro dello straordinario boom economico cinese. Il suo obiettivo, praticamente già raggiunto, è diventare il più grande centro finanziario dell’Asia. La sua densità abitativa è il quadruplo di quella di New York, che supera anche quanto a numero di grattacieli. Nel corso degli ultimi quindici anni la sua popolazione è più che raddoppiata e raggiunge oggi quasi 25 milioni. Il reddito pro capite è aumentato dai 1’000 dollari del ’97 ai 6’000 del 2007. Il suo porto, dove transita oltre il 50% del commercio cinese, è uno dei più attivi al mondo. Le gru – non gli animali ma quelle da costruzione – sono considerate ironicamente la mascotte di questa metropoli straordinaria, dove si respira aria di euforia, di voglia di cambiamento. Si calcola che qui gli stipendi siano mediamente il doppio rispetto al resto della Cina e spropositati se paragonati alla realtà rurale del paese. Ed è per questo che proprio a Shanghai si manifestano più evidenti i contrasti del colosso asiatico.
Data questa premessa ci si potrebbe aspettare che si tratti di una città finanziaria senz’anima. E invece non è così. È una splendida metropoli, che affascina perché armonizza tre mondi diversi, tre culture: quella cinese soprattutto moderna ma anche antica, quella europea e quella delle metropoli americane. Passeggiando per l’affollatissima via Nanchino che dal lungofiume porta in Piazza del Popolo, cuore della città, si respira l’aria di una metropoli occidentale. La città vecchia propone viuzze alla cinese con caratteri un po’ troppo calcati, tanto da renderla una piccola, ma simpatica Disneyland. Al suo interno si possono visitare gli splendidi giardini Yu creati nel XVI secolo. Un po’ più lontano dal centro, nel tempio buddista di Yufo, si può ammirare lo splendido Buddha dall’espressione estremamente dolce, scolpito in Birmania da un unico blocco di giada bianca. Il vecchio quartiere francese – che all’inizio del Novecento in epoca coloniale veniva definito la “Parigi d’Oriente” – dove si può camminare senza meta è certamente una delle zone più affascinanti. Ma qualsiasi turista, dopo aver visitato questa metropoli, non potrà mai dimenticare la splendida passeggiata lungo il fiume Huangpu. Da una parte il cosiddetto Bund, la sponda con grandi edifici e palazzi in stile anglo-orientale restaurati con cura e risalenti all’epoca delle concessioni straniere. Dall’altra, il Pudong – affascinante soprattutto di notte – con la sua selva di modernissimi grattacieli che si perdono a vista d’occhio, tra i quali ne spiccano alcuni di altissimo pregio architettonico. Fino a pochi decenni fa questa zona era ancora occupata da risaie. Ma d’altra parte tutta la città si è sviluppata dal XIX secolo con l’arrivo degli stranieri. Con il trattato di Nanchino (1842) gli inglesi furono i primi ad arrivare, seguiti cinque anni dopo dai francesi, nel 1863 dagli americani e nel 1895 dai giapponesi. Ogni quartiere, in base al principio dell’extraterritorialità, costituiva un piccolo stato governato dalle leggi del paese coloniale di riferimento. Questa situazione fece sì che gli stranieri a Shanghai erano più numerosi dei cinesi, peraltro sfruttati nelle fabbriche. Non è un caso se il partito comunista del futuro del presidente Mao è nato proprio in questa città, nei pressi del quartiere francese.

Itinerario

1° giorno
Milano-Pechino

2° giorno
Pechino e Tempio del cielo, che per cinque secoli ha rappresentato il cuore dei cerimoniali e del simbolismo imperiale

3° giorno
Tomba dei Ming – Grande Muraglia, un’impresa ingegneristica sbalorditiva, lunga 6.350 chilometri

4° giorno
La città proibita, una vera e propria città nella città con oltre 800 edifici – Crociera sul lago Kumming

5° giorno
Xining – Monastero di Kumbum – Lhasa

6°giorno
Ferrovia tibetana – Lhasa, nota anche come “Tibet Express”, oltre 1.100 km per collegare Cina e Tibet

7° giorno
Lhasa – Palazzo Potala – Tempio Jokhang

8° giorno
Monastero di Drepung

9° giorno
Lago Yamdrok – Gyantse

10° giorno
Xigatse, sorge alla confluenza del Yarlung e del Nyangchu

11° giorno
Lhasa, capitale della Regione Autonoma del Tibet. In passato anche residenza tradizionale del Dalai Lama

12° giorno
Da Chengdu, punto di snodo per i trasporti e le comunicazioni della Repubblica popolare cinese, a Shanghai, una delle città più popolose al mondo

13° giorno
Shanghai, con oltre 18.5 milioni di abitanti

14° giorno
Shanghai-Milano

Tibet – Un viaggio sul tetto del mondo sfiorando le nuvole con le dita

Tibet – Il Tibet è un Paese occupato dai cinesi
Cina – Un mondo svelato dalla Via della Seta
Cina – La Cina immaginata e quella della realtà

Con la Transtibetana, chiamato il “treno dei cieli”, alla scoperta di una cultura portata storicamente a prediligere l’essere all’avere. Nonostante si tratti di un Paese militarmente occupato dai cinesi, l’animo mistico di questo popolo lo si respira visitando gli affascinanti monasteri.

A Lahsa con la ferrovia più alta del mondo
Proseguo con la parentesi Tibetana il mio diario di un viaggio di approccio alla Cina e al Tibet. Un viaggio a volte faticoso a causa dell’altezza elevata: Lahsa è situata a 3600 metri e durante gli spostamenti si toccano i 5 mila. Dopo un periodo di acclimatazione di un paio di giorni ci si muove comunque di nuovo senza fatica.
Il treno che ci porterà nella capitale lo prendiamo a Xining, a 90 minuti di volo da Pechino. A 37 chilometri da Xining sorge Ta Er Si, Kumbum nella lingua del Paese delle Nevi, città natale di Tsong Kha pa (1357-1419) il fondatore del buddismo tibetano, a cui è dedicato un vasto monastero fondato nel 1560. Non lontano da quel luogo il 6 luglio 1935 è nato anche l’attuale capo religioso del Tibet, il XV Dalai Lama, in esilio in India e molto noto in occidente per aver vinto il premio Nobel per la pace.

Il treno dei cieli
Inizia con la visita di questo luogo sacro, con pellegrini che giungono da tutto il paese, il nostro itinerario tibetano, che ci porterà a Lahsa con la Transtibetana, la linea ferroviaria che collega Pechino alla capitale del Tibet. Soprannominato il “Treno dei cieli” questo capolavoro ingegneristico è frutto di un’idea del presidente Mao, ma è stato costruito recentemente ed inaugurato nel 2006, dopo cinque anni di lavori. È una ferrovia sul tetto del mondo: il suo percorso si snoda sempre sopra i 4 mila metri e a tratti supera i 5 mila. Una buona metà del tracciato poggia sul ghiaccio. Per evitare la deformazione dei binari, a causa del disgelo estivo, è stato necessario realizzare in molte tratte un sistema di raffreddamento con tubature sotterranee che mantengono il terreno ghiacciato durante tutto l’anno. Secondo il presidente cinese Hu Jintao quest’opera serve a “consolidare l’unità nazionale”, mentre a parere del Dalai Lama è solo un tassello della politica di cinesizzazione del Tibet. Al di là di queste tristi considerazioni politiche il viaggio sulle carrozze pressurizzate della Transtibetana è estremamente suggestivo. Soprattutto quando per una decina di ore si attraversa un vastissimo altipiano ricco di piccoli villaggi rurali, dove l’attività principale è costituita della pastorizia. Dai finestrini si vedono migliaia di yak, una mucca locale, pascolare in paesaggi mai monotoni ed in continuo divenire. Ai confini della smisurata pianura, attraversata da fiumi e laghi d’inverno gelati, si intravedono le cime innevate delle montagne, che toccano i 7 mila metri. Durante il percorso in treno sono rimasto come un bimbo per ore e ore con il naso incollato al finestrino, incantato da quel paesaggio tanto differente dal nostro, anche se di alta montagna. Prima di giungere in Tibet si passa un territorio desertico, non abitato, e quindi meno interessante, anche se ci ha permesso di osservare alcuni animali selvatici. Dopo 24 ore di treno da Xining e una notte trascorsa nelle cuccette si arriva a Lahsa.

La mistica Lahsa
Tra anonimi viali a più corsie e squallidi quartieri dormitorio sopravvivono interessanti monumenti del passato. Il luogo più piacevole della città è senza dubbio il cosiddetto Barkhor, il quadrilatero di animatissime stradine su cui si affaccia un coloratissimo mercato che circonda il Jokhang, l’edificio sacro più venerato del paese. Come fa giustamente notare l’autore della guida Lonely Planet, “si tratta di una zona che non ha eguali in tutto il Tibet per il modo straordinario in cui le più sincere espressioni di fede si armonizzano con le manifestazioni di un’improvvisata economia di mercato”, simpaticamente espressa da bancarelle e negozietti che hanno resistito a qualsiasi infiltrazione del mondo moderno. Così come sembra appartenere ad altre epoche la religiosità dei numerosi pellegrini che pregano con tutto il corpo e si prostrano gettandosi a terra davanti al tempio, tanto da aver lucidato nel corso dei secoli le grosse pietre del selciato. In questo quartiere si respira ancora la magica atmosfera di un tempo, malgrado la minacciosa presenza di giovani militari cinesi catapultati dal potere politico in un mondo a loro estraneo. La sera, di ritorno dalle gite fuori città, si torna sempre volentieri in questo centro storico, dove è bello lasciarsi trascinare lungo il cammino percorso in senso orario dalla massa di pellegrini che si recano al Jokhang, il tempio che ospita la statua del Buddha più venerata del Tibet. La visita di questo luogo sacro è una delle esperienze più autentiche che si possono vivere in questo paese.

Potala tesoro tibetano
Ma il simbolo del “Tetto del Mondo” è il Potala, considerato uno dei tesori più preziosi dell’intera architettura asiatica. Era il cuore pulsante e il punto di riferimento religioso, sociale e culturale di tutto lo sterminato “Paese delle Nevi”. Prima di entrarvi i pellegrini lo circoambulano con deferenza. Si tratta di un’imponente struttura seicentesca, simile per molti aspetti a un’inviolabile fortezza, che non mancherà di stregarvi. È stata per molti secoli sede del governo tibetano e dimora di tutti i Dalai Lama che si sono susseguiti. Dopo aver salito a fatica gli scalini che vi portano ai tredici piani di questo monumento è deludente notare come sia ormai privo di pathos: è infatti stato trasformato in museo dai cinesi, persino nella sua parte religiosa (Il Palazzo Rosso), dove al posto dei monaci vi accolgono guardie armate.
Decisamente più vissuto è invece il Drepung, situato a 8 chilometri dalla capitale. Un tempo, con i suoi 8 mila monaci, era considerato il più grande monastero al mondo. Fu costruito nel XV secolo ed i Dalai Lama esercitarono da queste mura il loro potere religioso prima di trasferirsi nel Potala. Visto da lontano assomiglia a un piccolo villaggio con i suoi edifici bianchi ammassati sul fianco della collina. Quando lo abbiamo visitato, la settimana precedente il capodanno tibetano, era frequentatissimo da pellegrini, che giungevano dalla campagna. Questo monastero, come quello di “Sera”, che dista pochi chilometri, era famoso per i suoi colleghi dove si insegnava il buddismo.

Verso il Nepal
Lasciamo Lahsa il mattino di buonora per una gita di due giorni in torpedone lungo l’antica strada che porta verso Kathmandu nel Nepal. Attraversiamo paesaggi lunari, brulli, color della pietra, dove tutto ad un tratto sbuca un ghiacciaio. Le case dei contadini sono in sasso. Il piano terreno è solitamente adibito a stalla, sopra abita la famiglia. Data l’assenza assoluta di legna, per riscaldare gli ambienti durante l’inverno, si utilizza lo sterco d’animale seccato a forma di mattonelle durante la bella stagione e ordinatamente sistemato in bella vista davanti alle abitazioni. Dopo alcune ore di viaggio raggiungiamo un piccolo pianoro a quota 4794 metri da cui si gode una splendida vista sul lago Yamdrock dall’insolita forma tortuosa e con la superficie ghiacciata. A sud svettano le alte montagne innevate dell’Himalaya. Si notano piccoli terrazzamenti che nella bella stagione sono coltivati ad orzo, cereale che cresce anche sopra i 4000. Il lago è considerato sacro dai tibetani. Credono sia la dimora delle divinità irate, ma ospita anche la maggiore centrale idroelettrica del paese. Proseguiamo e di tanto in tanto sulle vette scorgiamo i cosiddetti cavalli del vento, corde a cui sono appese bandierine colorate che recano preghiere stampate, trasportate simbolicamente di montagna in montagna e di valle in valle dal vento che qui non manca mai. Dopo aver superato il passo più alto del viaggio a quota 5200 metri raggiungiamo Gyantse, un’affascinante cittadina cinta dalle mura e dominata da un imponente castello, considerata anticamente la porta del Nepal. Circondato da un uno splendido anfiteatro di monti aridi che lo proteggono naturalmente, sorge il grande complesso architettonico del monastero del Pelkor Chode, che accoglieva quindici monasteri in cui coesistevano tre diversi ordini del buddismo tibetano. È certamente uno dei siti più suggestivi visitati durante il soggiorno in Tibet, per la sua autenticità e l’elevato numero di pellegrini che si recano in quel luogo per pregare. Il sito ospita un tempio quattrocentesco, unico al mondo, costruito con la forma di un mandala a 108 facce e composto da 112 cappelle riccamente affrescate, che i fedeli percorrono in senso orario pregando.
In serata raggiungiamo Xigatse, dove trascorriamo la notte e il mattino seguente visitiamo un altro suggestivo monastero, Tashilhunpo, molto frequentato dai credenti. È la discussa sede ufficiale dei Panchen Lama: l’undicesimo scelto dai cinesi risiede qui a Pechino. È considerato oggi la più grande sede monastica del Tibet. Fondato alla metà del Quattrocento è perfettamente conservato e appare ai visitatori come un’imponente città fortificata. Custodisce, oltre alle tombe dei Panchen Lama, la più grande statua dorata al mondo. Raffigura il Buddha del futuro e per realizzarla sono stati impiegati 300 chilogrammi d’oro.
La nostra parentesi tibetana è terminata. Rientriamo a Lahsa per una strada in gran parte non asfaltata, che percorre due valli disabitate e offre paesaggi lunari. Giungiamo nella capitale troppo tardi per visitare la residenza estiva del Dalai Lama – Norbulingka – da cui nel 1959 fuggì travestito da soldato tibetano l’attuale leader religioso in esilio.

Itinerario

1° giorno
Milano-Pechino

2° giorno
Pechino e Tempio del cielo, che per cinque secoli ha rappresentato il cuore dei cerimoniali e del simbolismo imperiale

3° giorno
Tomba dei Ming – Grande Muraglia, un’impresa ingegneristica sbalorditiva, lunga 6.350 chilometri

4° giorno
La città proibita, una vera e propria città nella città con oltre 800 edifici – Crociera sul lago Kumming

5° giorno
Xining – Monastero di Kumbum – Lhasa

6°giorno
Ferrovia tibetana – Lhasa, nota anche come “Tibet Express”, oltre 1.100 km per collegare Cina e Tibet

7° giorno
Lhasa – Palazzo Potala – Tempio Jokhang

8° giorno
Monastero di Drepung

9° giorno
Lago Yamdrok – Gyantse

10° giorno
Xigatse, sorge alla confluenza del Yarlung e del Nyangchu

11° giorno
Lhasa, capitale della Regione Autonoma del Tibet. In passato anche residenza tradizionale del Dalai Lama

12° giorno
Da Chengdu, punto di snodo per i trasporti e le comunicazioni della Repubblica popolare cinese, a Shanghai, una delle città più popolose al mondo

13° giorno
Shanghai, con oltre 18.5 milioni di abitanti

14° giorno
Shanghai-Milano

Cina – La Cina immaginata e quella della realtà

Cina – Un mondo svelato dalla Via della Seta
Tibet – Un viaggio sul tetto del mondo sfiorando le nuvole con le dita
Tibet – Il Tibet è un Paese occupato dai cinesi

Immaginavo la Cina diversa da come l’ho trovata. Certo, un breve viaggio non permette sicuramente di conoscere un paese, fornisce però stimoli di riflessione, provoca sensazioni e pone interrogativi.
La prima sensazione è la vastità del territorio con campagne sconfinate e città popolatissime: quelle di 2 milioni sono considerate piccole, sopra i 5 medie, oltre i 10 grandi. La seconda impressione riguarda l’enorme disparità di tenore di vita tra le città e le zone rurali. Il segno distintivo di qualsiasi metropoli cinese sono i grattacieli, solitamente anonimi ma talvolta di grande pregio architettonico, come quelli di Pechino e soprattutto di Shanghai. Si vedono gru ovunque. L’esodo dalle campagne verso le città è elevatissimo. Nelle zone rurali la popolazione vive in casupole in sasso o in mattoni di terracotta e le condizioni di vita sono spesso da terzo mondo, mentre nei centri delle metropoli si respira un’atmosfera occidentale, con la presenza di negozi di gran lusso – Armani, Rolex, Gucci, ecc. – e di grandi magazzini simili a quelli europei o americani. Le modernissime vie dei centri cittadini sono percorse da vetture di lusso, BMW, Audi, Mercedes e molte, molte VW. È ovvio che i contadini siano attratti da questo benessere. Come è accaduto in Occidente nel dopoguerra, i giovani abbandonano la campagna e si trasferiscono nelle città, dove trovano lavoro nelle fabbriche solitamente di proprietà dello stato. Le paghe sono basse e la vita costosa. Grazie alla politica dei bassi salari la Cina è diventata la seconda potenza economica dopo gli Stati Uniti.
Se dalle sensazioni passiamo alle riflessioni e agli interrogativi, visitando questo paese ci si chiede fino a quando gli operai accetteranno una situazione che favorisce i funzionari e una classe media emergente. Riuscirà la Cina a gestire in modo indolore il passaggio di centinaia di milioni di cittadini da una civiltà rurale antiquata a una società moderna? Il capitalismo di stato sarà in grado di vincere questa sfida, che comporterà inevitabilmente anche aperture politiche e sociali oggi difficilmente immaginabili? Sono domande a cui non so dare una risposta, ma che scaturiscono spontanee da un viaggio in questo paese.
L’itinerario, organizzato da Mondial Tours, offre un rapido approccio alla Cina e al Tibet, che suo malgrado fa parte della Cina. Dico suo malgrado perché visitandolo si ha l’impressione di entrare in un paese occupato. Fu Mao Tse Tung nel 1950 a occuparlo e ad imporre il modello comunista cinese nel paese del Dalai Lama, dove il credo buddista ha radici profonde diffuse in tutta la società. Percorrendo le strade che dalla capitale Lhasa portano ai principali monasteri si attraversano zone rurali che stridono fortemente con la civiltà degli splendidi grattacieli di Pechino o di Shanghai disegnati dai grandi architetti americani. Mentre i contadini tibetani si recano nei templi buddisti con abiti identici a quelli dei loro avi, le classi agiate a Pechino e Shanghai o a Xian fanno shopping da Armani o da Gucci e i giovani vestono Zara.
L’itinerario del nostro viaggio passa bruscamente dal Tibet, dalla cultura portata a prediligere l’essere all’avere, alla realtà metropolitana cinese, che non presenta solo gli aspetti più spinti del consumismo occidentale, ma anche i patrimoni storici di una civiltà antichissima, che ha sempre affascinato l’Occidente.

Tibet – Il Tibet è un Paese occupato dai cinesi

Tibet – Un viaggio sul tetto del mondo sfiorando le nuvole con le dita
Cina – Un mondo svelato dalla Via della Seta
Cina – La Cina immaginata e quella della realtà

Le mie camminate, i miei viaggi sono stati e sono ancora oggi, in fondo, una fuga: non la fuga da sé stessi, l’eterna fuga dell’interiorità verso l’esterno, ma proprio il contrario: un tentativo di fuga da questo tempo della tecnica e del denaro, della guerra e dell’avidità, da un tempo che pretende avere splendore e grandezza, ma che la parte migliore di me non può né accettare né amare, al massimo sopportare”. Questa riflessione dello scrittore tedesco Hermann Hesse può essere una buona introduzione per un viaggio alla scoperta della cultura tibetana, storicamente portata a prediligere l’essere all’avere, ma duramente minacciata dall’ “occupazione” cinese, che allo spiritualismo del Dalai Lama contrappone il suo materialismo.
Prosegue, dunque, con la parentesi tibetana, il mio diario di un viaggio di approccio alla Cina e al Tibet. Senza nessuna presunzione di dire cose nuove, propongo unicamente alcune sensazioni e riflessioni politiche ispirate dal viaggio.
Giungendo in Tibet avete la netta impressione di trovarvi in un paese occupato. I militari cinesi, che invasero il paese nel 1950 all’indomani dell’ascesa al potere di Mao in Cina, si trovano ovunque. Alla fine di febbraio, pochi giorni prima del capodanno tibetano, quando si è svolta la nostra visita, i turisti erano pochissimi e a partire dal primo marzo l’ingresso al paese era vietato agli stranieri, perché si temevano manifestazioni di protesta contro gli occupanti. Il clima era gelido in tutti i sensi, ma i monasteri agibili erano frequentati da moltissimi contadini impossibilitati a coltivare le terre proprio a causa del gelo. La potente Cina, immersa nel pragmatismo dopo aver perso la sua fede nel comunismo, si trova in difficoltà a gestire la profonda religiosità di questo popolo, che non potrà certo sconfiggere con la forza. Sta tentando di risolvere il problema “cinesizzando” il Tibet, con una politica che premia la migrazione verso il cosiddetto tetto del mondo nell’intento – sostengono – di “modernizzarlo”. Ed i tibetani sono già diventati una minoranza in casa propria. Anche la costruzione della modernissima ferrovia che collega il Paese delle Nevi alla Cina è considerata dal Dalai Lama in esilio come un importante strumento di questa politica di cinesizzazione, mentre il presidente Hu Jintao l’ha trionfalmente presentata come un importante tassello per consolidare l’unità nazionale. D’altra parte la Cina sta cercando di museizzare i principali monasteri, considerati turisticamente interessanti ma pericolosi se favoriscono la religiosità locale non controllata. Sembra provocatorio che i pellegrini debbano addirittura pagare il biglietto d’entrata per recarsi a pregare. Dopo la morte di Mao, comunque, l’esercizio del culto non è più proibito. La politica cinese nei confronti del Tibet, non a caso è stata denominata “genocidio culturale” da diversi studiosi occidentali.
Questa politica di cinesizzazione ha invaso anche la sfera religiosa tentando di controllarla. Dopo la morte, nel 1989, del decimo Panchen Lama, che deteneva una carica considerata al secondo posto nella gerarchia delle autorità spirituali tibetane, toccava al Dalai Lama in esilio identificare la reincarnazione del prossimo Panchen Lama. Così vuole la tradizione. Nel 1995 lo ha individuato in un bambino di sei anni: Gedhun Choeky Nyima. Nel giro di un mese le autorità cinesi lo hanno fatto sparire “per proteggerlo” e di lui – considerato il più giovane prigioniero politico al mondo – si sa solo che è ancora vivo, ma non dove si trovi. Il governo di Pechino ha chiesto in seguito ai Lama anziani del monastero di Tashilhhunpo di effettuare una nuova nomina gradita al governo. È stato scelto un figlio di genitori iscritti al Partito comunista. Una mossa importante per i cinesi, perché alla morte dell’attuale Dalai Lama spetterà al Panchen Lama in carica l’identificazione del successore.