Puglia – Nel magico Salento

Puglia – Dall’incanto dei Trulli sconfinando in Basilicata sino alla misteriosa Matera

Da Lecce e poi lungo la costa, un viaggio attraverso regioni dove si parla ancora un dialetto greco, per approdare a Otranto, “la bianca”. Le tappe sulla spettacolare litoranea che percorre il tacco dello “stivale” d’Italia per raggiungere Gallipoli, l’isola fortezza collegata alla terraferma da un antico ponte.

Occorre almeno una settimana per visitare i luoghi più significativi della Puglia, dal Salento al Gargano, con un breve sconfinamento in Basilicata per ammirare Matera, che da sola vale il viaggio. Il nostro affascinante itinerario circolare permette di scoprire le meraviglie del Barocco pugliese soprattutto a Lecce, Nardò e Martina Franca, le magnifiche e austere chiese romaniche sparse su tutto il territorio, borghi orientaleggianti rimasti intatti per secoli con case basse e bianchissime, spettacolari litorali, campagne armoniose popolate da uliveti millenari e vastissimi vigneti, paesaggi di fata come quelli dei trulli di Alberobello. Ma si fanno anche incontri speciali, come quello con Federico II, nipote del Barbarossa, che tanto amò queste terre, dove lasciò numerose testimonianze della sua poliedrica cultura. In particolare quel Castel del Monte, che potrebbe aver progettato lui stesso, ma che avrebbe potuto essere disegnato da un grande architetto del nostro tempo, tanto è essenziale la sua struttura. Se a tutto questo si aggiunge una cucina straordinaria, un’interessante produzione enologica, strutture ricettive di qualità, ci sono tutti gli ingredienti per una vacanza perfetta.
L’itinerario descritto si articola su circa 1.300 chilometri. Bari, da cui prende avvio il nostro viaggio in Puglia, è facilmente raggiungibile in aereo da Bergamo. Giunti sul posto è però indispensabile noleggiare un’auto.

Capitale del barocco
La più bella città italiana si trova in un lontano angolo del tacco: si ha l’impressione che architetti e scultori abbiano ereditato lo spirito e l’ingegno delicato dei greci, che anticamente hanno abitato queste zone”. Così scriveva nel 1717 il teologo irlandese George Berkeley nel suo diario di viaggio del Grand Tour. Sono passati tre secoli, ma lo stupore del turista davanti alle meraviglie del Barocco leccese rimane lo stesso. La città ha mantenuto inalterato il suo stile; si passeggia per una giornata intera nel centro storico, in gran parte pedonalizzato, senza vedere una costruzione moderna. I momenti più suggestivi per visitare Lecce sono il tramonto – quando gli edifici si tingono d’oro – e la notte, grazie a una splendida illuminazione.
La Firenze del Barocco”, come l’ha definita nell’Ottocento lo storico tedesco Ferdinand Gregorovius, è un museo all’aperto. I luoghi di maggiore fascino sono senz’altro la chiesa di Santa Croce, massima espressione del Barocco leccese, e l’imponente e armoniosa piazza del Duomo, salotto della città che si apre tra via Libertini e via Vittorio Veneto. Il Barocco a Lecce rappresenta uno dei momenti più sorprendenti e coinvolgenti dell’arte italiana. È fiorito tra il Seicento e il Settecento per celebrare la potenza e la ricchezza dei nobili latifondisti locali. Palazzi, chiese e conventi sono stati costruiti e ristrutturati interpretando in modo esuberante e fantasioso questo stile. Ne sono scaturiti suggestivi portoni, finestre, altari e facciate eleganti, decorati con incredibili ceselli, colonne tortili, vasi, fiori, frutta e mostri ricavati dalla pietra locale tenera e docile allo scalpello.
Ma la città non si ferma al Barocco. Propone anche testimonianze di epoche più remote come il teatro e l’anfiteatro romani, che si trovano pure nel centro storico.
Uno dei piaceri di un viaggio in Puglia è rappresentato dalla gastronomia. A Lecce c’è solo l’imbarazzo della scelta: noi abbiamo gustato un eccellente pasto nella semplice ma ottima osteria “Semiserio”, situata alle spalle di piazza Sant’Oronzo.

Otranto, l’orientale
La seconda giornata del nostro itinerario è piuttosto impegnativa. Si concentra sulla costa del tacco. Prima di raggiungere il mare facciamo però tappa a Galatina per visitare gli splendidi affreschi nella chiesa di santa Caterina d’Alessandria, considerata uno dei più significativi monumenti dell’arte romanica in Puglia. I meravigliosi dipinti, che ricoprono interamente la basilica, furono realizzati nella prima metà del Quattrocento da pittori di scuola giottesca e raccontano storie del Vecchio e del Nuovo Testamento.
Prima di raggiungere la costa si attraversa una regione dove si parla ancora un dialetto, il griko, che risale ai tempi della colonizzazione dell’antica Grecia. Siccome le rive elleniche distano appena una settantina di chilometri da quelle pugliesi, dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453 arrivarono in Puglia altri cittadini greci che rivitalizzarono l’influenza storica della loro patria importando anche riti ortodossi sopravvissuti per un paio di secoli. Il declino del griko ha coinciso con l’obbligo dell’insegnamento dell’italiano nelle scuole di tutto lo stivale a partire dal Novecento.
Poche decine di chilometri ci separano dalla candida e bianchissima Otranto, la città situata più a oriente d’Italia. Solare e mediterranea, dal cuore bizantino e dalla memoria saracena, circondata da possenti mura, i suoi stretti vicoli convergono verso la cattedrale. Per cinque secoli fu uno dei porti più importanti dell’impero bizantino, punto d’imbarco strategico verso l’Oriente. A testimonianza di quell’epoca rimane la chiesetta di San Pietro del IX-X secolo, officiata per lungo tempo dal clero greco che convisse con quello locale.
A ricordare il periodo saraceno rimane un triste episodio. Nel 1480 Otranto fu assediata da un esercito di 18mila musulmani. Dopo quindici giorni capitolò. Ottocento residenti, che si erano rifugiati nella cattedrale, vennero trucidati dopo essersi rifiutati di convertirsi all’Islam.
Lo splendido centro storico custodisce un’opera d’arte unica in Occidente: il mosaico della sua cattedrale romanica, risalente al 1163, sopravvissuto alla furia dei Turchi. Misura 54 metri di lunghezza e 28 di larghezza e si compone di 600mila piastrine. Il soggetto è un albero della vita, sorretto da due elefanti, attraverso il quale viene rappresentata la cultura del tempo, frutto di un’originalissima sintesi tra la tradizione locale e quella orientale. Presenta temi biblici, come quelli della torre di Babele o del diluvio universale; storici, come il trionfo di Alessandro Magno; e altri decisamente popolari, che raccontano la vita dei contadini, dei cacciatori, storie di animali e segni zodiacali. Per evitare spiacevoli disguidi meglio verificare gli orari di apertura, perché la chiesa fa una lunga pausa dalle 12 alle sino alle 15.

Lungo la costa del “tacco”
Riprendiamo il tragitto seguendo la litoranea che si snoda verso Marina di Leuca e propone uno dei più spettacolari paesaggi costieri della penisola. Là dove le acque dell’Adriatico s’incontrano con quelle del mar Ionio si ammirano bellissimi panorami sugli scogli. In particolare dal castello di Castro, un borgo medievale che offre anche una bella passeggiata lungo le mura.
All’estrema punta del Salento si raggiunge il santuario di Santa Maria di Leuca, che sorge a picco sul mare, in un luogo dove anticamente si pensava che finisse la terra (finis terrae). Secondo la tradizione, la basilica sarebbe stata fondata da San Pietro, che dopo aver convertito la popolazione trasformò un tempio pagano dedicato a Minerva in un luogo di culto cristiano. Meta di pellegrinaggio, distrutto a più riprese, si presenta oggi nella versione del 1720, quando fu ricostruito dopo le incursioni saracene.
Proseguiamo verso Gallipoli sulla strada nell’entroterra (S274), più veloce della poco spettacolare litoranea.

Gallipoli, la “città bella”
Il centro storico della bianchissima e orientaleggiante Gallipoli, caratterizzata come Otranto da case basse e vicoli stretti, si trova su un’isoletta collegata alla terraferma da un ponte edificato nel Seicento. La “Città bella”, dal greco kalé polis, circondata da possenti mura, acquista ancora maggiore fascino di notte, sia per la discreta illuminazione, sia perché ci sono meno turisti. È davvero piacevole perdersi nel labirinto di viuzze su cui si affacciano chiese e palazzi barocchi. Vale la pena pernottare nel centro storico, dove si trovano due affascinanti alberghi (Relais Corte Palmieri e Palazzo Mosco Inn) situati in antichi edifici.
Proseguendo in direzione di Matera, distante tre ore di automobile, è d’obbligo una tappa a Nardò, che si contende con Lecce il primato di perla del Barocco. Anch’essa conobbe il suo periodo di massimo splendore nel XVII e XVIII secolo con la presenza di un’università e di accademie letterarie. Colpita nel 1743 da un terribile terremoto venne in seguito in gran parte ricostruita. Per questa ragione conserva un insieme architettonico particolarmente omogeneo giunto fino ai giorni nostri.

Itinerario
1° giorno (150 km) Bari – Lecce
2° giorno (170 km) Lecce – Galatina – Solito – Otranto – Marina di Leuca – Marina di Pesculuse – Gallipoli
3° giorno (170 km) Gallipoli – Nardò – Massafra – Matera
4° giorno (100 km) Visita guidata dei Sassi di Matera – Matera – Altamura – Castel del Monte – Montegrosso
5° giorno (241 km) Montegrosso – Mattinata – Vieste – Peschici – Vico del Gargano – Monte Sant’Angelo – Mattinata
6° giorno (220 km) Mattinata – Trani – Polignano a Mare – Monopoli – Ostuni
7° giorno (80 km) Ostuni – Martina Franca – Locorotondo – Alberobello – Cisternino
8° giono (90 km) Ostuni – Bari

Per saperne di più
Puglia Carta geografica Michelin, Italia 363, Milano 2016
Puglia La guida verde Michelin, Milano 2009
Puglia Lonely Planet, Torino 2015
Puglia Le guide Mondadori, Milano 2015
Puglia Touring Club Italiano, Milano 2004
Puglia Meridiani Anno XXVIII n° 22s6, Milano agosto t2015
Italie du Sud Guides Bleus, Vannes 2015
Italia La guida Michelin 2016, Alberghi e Ristoranti, Milano 2016
Salento Touring Editore, Milano 2015
Basilicata Touring Club Italiano, Milano 2004
Salento Meridiani Anno XXIII n° 189, Milano giugno 2010

Puglia – Dall’incanto dei Trulli sconfinando in Basilicata sino alla misteriosa Matera

Puglia – Nel magico Salento

Visitare la città dei sassi è un’esperienza indimenticabile, che da sola vale un viaggio. Alla scoperta di Federico II e del suo Castel del Monte. Le spettacolari coste del Gargano, con la cattedrale di Trani a picco sul mare, per terminare ad Alberello, un autentico paesaggio di fate.

Prosegue il nostro viaggio in Puglia. Dopo aver visitato il Salento con Lecce, capitale del Barocco pugliese, i borghi orientaleggianti di Otranto e Gallipoli e lo splendido litorale del “tacco”, il nostro itinerario circolare in automobile sconfina in Basilicata per visitare Matera, proseguendo poi verso il Gargano e ritornando lungo la costa adriatica con tappa a Trani per terminare il viaggio nel paesaggio fatato di Alberobello.

Una inattesa rinascita
Ero stato assieme a mia moglie a Matera oltre trent’anni fa. Avevamo provato un sentimento di desolazione, quasi di angoscia, di fronte ai “Sassi”, le case-grotta allora abbandonate. Eravamo curiosi di vedere come era cambiata la città in questi decenni e siamo rimasti stupiti. Da vergogna nazionale, come era stata definita all’inizio degli anni Cinquanta, oggi è diventata patrimonio mondiale dell’Unesco. Nel corso degli ultimi decenni le sorti di Matera si sono ribaltate: come mai? Lo si può spiegare rileggendo la storia recente. A portare alla ribalta nazionale e internazionale il suo degrado, quando intere famiglie vivevano nelle case-grotta assieme ai loro animali, fu lo scrittore Carlo Levi con il suo romanzo “Cristo si è fermato a Eboli”, nel quale denunciava la condizione dei contadini del Mezzogiorno italiano. Matera assurse a simbolo della povertà nell’Italia del sud. Per rimediare a questa situazione, nel 1952 il governo democristiano di Alcide De Gasperi votò una legge che prevedeva il risanamento dei “Sassi” in due fasi: dapprima il trasferimento dei 16-20mila abitanti in nuovi quartieri e in seguito il recupero del patrimonio architettonico, nel frattempo abbandonato ed espropriato dallo Stato. Una nuova legge, varata nel 1986, decretò che i “Sassi” potevano essere concessi a costo zero per 99 anni a privati, a condizione che li ristrutturassero rispettando precise condizioni. Oggi circa il 60 per cento delle casegrotta ospita residenti, commerci, strutture ricettive e culturali. La città nel 2015 ha conosciuto un incremento turistico del 44 per cento. Il recupero in corso è attuato con estremo garbo e nel rispetto dei valori del passato, tanto che nel 1993 Matera è stata iscritta dall’Unesco nell’elenco dei beni culturali mondiali e nel 2019 sarà capitale europea della cultura. La visita ai “Sassi” è un’esperienza umana e spirituale unica, è come sfogliare un libro di storia dal vivo. Sì perché le colline delle Murge sono state abitate sin dalla preistoria e nel corso dei secoli hanno visto passare greci, romani, bizantini, normanni, francesi, spagnoli.
La regione dei “Sassi” è tappezzata di scale, porte, finestre, balconcini, case sovrapposte le une alle altre, dove le terrazze sono spesso in corrispondenza al tetto di abitazioni sottostanti. Un labirinto di dimore disposte a gruppi attorno a cortili dove si trova il pozzo comune per recuperare l’acqua piovana attraverso un ingegnoso sistema di canalizzazioni. Si potrebbe dire che si tratta di una città sotterranea, perché dietro alle facciate in mattoni si nascondono profonde grotte scavate nella tenera roccia calcarea.
Nella parte alta della città, sopra i “Sassi” si trovano chiese romaniche ed eleganti palazzi barocchi, costruiti soprattutto tra il Cinquecento e il Settecento, dove vivevano le classi abbienti.
Di fronte alla città, nel Parco della Murgia Materana, si possono visitare antichi villaggi di pastori o di comunità di monaci, pure scavati nella roccia, con romantiche chiesette rupestri (talune affrescate). Dal Parco si gode un panorama straordinario sui ”Sassi” e sulla città alta.
La bellezza di Matera è stata immortalata da grandi registi cinematografici come Pier Paolo Pasolini (Il Vangelo secondo Matteo), i fratelli Taviani (Allonsanfan), Francesco Rosi (Cristo si è fermato a Eboli), Giuseppe Tornatore (L’uomo delle stelle), Mel Gibson (La Passione di Cristo).
Matera merita un soggiorno di una, meglio due notti. Vale forse la pena di visitarla con una guida del posto, soprattutto il Parco della Murgia Materana. Luigi Mazzoccoli, per esempio, che ci ha fatto scoprire la sua terra come fosse un vecchio amico (tel. 0039347 0622542 e-mail info@guida-matera.it). Se ne avete la possibilità soggiornate inoltre all’hotel Sextantio che dispone di splendide camere ricavate da antiche case-grotta; ma anche molti altri alberghi e bed&breakfast offrono questa esperienza.

Castel del Monte
Tornando in Puglia, la prossima meta del nostro itinerario è Castel del Monte, designato dall’Unesco, come Matera, patrimonio dell’umanità. Di forma ottagonale, scandito agli angoli da otto torri anch’esse ottagonali, presenta una pianta essenziale, che avrebbe potuto essere disegnata da un grande architetto del nostro tempo. La struttura ottagonale si suppone che derivi da un compromesso tra il quadrato, che rappresenta l’uomo e la terra, e il cerchio, che corrisponde al cielo e a Dio. Il castello è stato edificato con l’utilizzo di tre pietre: una calcarea di colore beige, la breccia corallina del vicino Gargano ed eleganti marmi venati di grigio importati dall’Oriente. La costruzione durò vent’anni e sulla sua destinazione – a scopi difensivi o ritrovo di caccia? – gli storici discutono tuttora. Non si sa nemmeno chi sia stato il progettista, ma si pensa che avrebbe potuto essere lo stesso committente Federico II di Svevia, imperatore del Sacro Romano Impero e nipote del Barbarossa: un incontro davvero interessante. Personaggio poliedrico, considerato “grande cavaliere dell’intelletto”, fu importante statista e innovatore in campo legislativo. Innamorato del sud Italia – trascorse l’infanzia in Sicilia – e della Puglia, alla sua corte ospitò letterati, matematici, astronomi, musicisti e medici.

Sulla litoranea nel Gargano
Proseguiamo verso nord alla scoperta del Parco nazionale del Gargano, che ammiriamo in un primo approccio dalle torri del castello di Monte Sant’Angelo – un’altra creazione di Federico II – da cui il panorama è davvero eccezionale. Ma prima di raggiungere la costa percorrendo la spettacolare S89, che porta a Mattinata, visitiamo il santuario, uno dei più antichi della cristianità e anch’esso patrimonio dell’umanità. Secondo la tradizione, nell’anno 490 l’arcangelo San Michele, capo delle milizie celesti, sarebbe apparso al vescovo di Siponte. Per celebrare l’avvenimento fu edificata una chiesa, in parte scavata nella roccia, che all’epoca delle crociate divenne una tappa obbligatoria sulla via verso la Terrasanta.
Giunti a Mattinata, per ammirare i magnifici paesaggi costieri è necessario seguire le indicazioni “litoranea” che portano sulla statale P53. La tratta più spettacolare è quella tra Mattinata e Vieste, passando dalla Baia delle Zagare e deviando sulla P54 verso Pugnochiuso e le due torri a picco sul mare di Portogreco e Campi. Ritornati sulla P53 si ammirano splendidi panorami anche da Testa del Gargano. All’entrata di Vieste, a Pizzomunno, si viene accolti da un singolare scoglio isolato sulla spiaggia che sembra una scultura moderna. La bianca cittadina con pittoreschi vicoli offre belle vedute sul mare, in particolare dal castello di Federico II. A questo punto vale la pena tornare a Mattinata percorrendo un tratto di Foresta Umbra: boschi fittissimi di faggi, aceri, pini, tigli, querce e castagni.

La cattedrale in riva al mare
La tappa successiva del nostro itinerario è Trani, città particolarmente amata da Federico II, con il castello e la cattedrale in riva al mare, un pittoresco porto con un bel nucleo medievale alle spalle e alcune vie signorili con palazzi seicenteschi. L’Adriatico è splendido. Tanto che la principessa Diana nel 1981, durante il suo viaggio di nozze con Carlo d’Inghilterra, lo definì di seta. Ed è proprio sul blu di queste acque che si staglia la cattedrale, ambasciatrice del romanico pugliese con la sua sobria austerità. Solitaria, in riva al mare, è dedicata a san Nicola. Fondata nell’XI secolo è stata costruita sopra la precedente basilica di santa Maria, dietro al cui altare si apre la cripta di san Nicola. A sua volta Santa Maria poggia sull’Ipogeo di san Leucio del V secolo. Si tratta insomma di tre chiese sovrapposte.

Borghi incantati
Il nostro percorso circolare continua verso Polignano a mare, una delle località più fotografate dell’intera costa adriatica. Il suo candido e pittoresco centro storico, di origine greca, arroccato sulle scogliere a picco sul mare presenta uno splendido quadro d’insieme. Le case basse imbiancate a calce sono addossate l’una all’altra e si affacciano su una ragnatela di viottoli. Molte sono provviste di terrazze con vista sul mare azzurro tanto caro a Domenico Modugno, il cittadino più celebre del borgo. La falesia è caratterizzata alla sua base da numerose grotte erose dal mare. Il moto ondoso offre uno spettacolo spumeggiante con suoni impetuosi.
Ciò che sorprende di questo viaggio in Puglia è certamente la bellezza dei numerosi borghi e cittadine. Un’altra perla è Ostuni, che sorge su una collina a pochi chilometri dal mare, circondata da uliveti centenari che affondano le loro radici nella terra rossa. Il centro storico della cosiddetta “città presepe” è racchiuso da mura e torrioni cilindrici. Per sfruttare lo spazio all’interno della muraglia protettiva anche qui le case sono addossate le une alle altre e collegate tra loro da archi e scalinate in un tortuoso dedalo di vicoli, molti dei quali a fondo cieco. Splendida la quattrocentesca facciata della cattedrale che sorge sulla cima della collina, a cui si accede dalla via principale che si snoda fra palazzi signorili.
La Masseria Cervarolo, situata a 7 chilometri da Ostuni sulla strada per Martina Franca è un ottimo luogo dove pernottare. Si tratta di una struttura cinquecentesca convertita in elegante dimora di campagna con raffinati arredi di artigianato pugliese. Tre camere sono situate in altrettanti trulli, che facevano parte del complesso. Ottima anche la cucina e la selezione di vini locali.

La terra degli ulivi
Ed eccoci immersi allora nella magica zona dei trulli, che si estende tra Cisternino, Locorotondo, Alberobello e Martina Franca (Valle dell’Itria). Una campagna armoniosa e fertile, dalla terra rossa cosparsa di ulivi e di trulli che attribuiscono un tocco fiabesco al paesaggio intervallato da villaggi rupestri e borghi medievali. Tra questi ultimi spiccano Cisternino, spettacolare punto panoramico sulla valle dei trulli con il suo antico fascino un po’ orientale, e Locorotondo, con le basse case bianche raccolte in tondo (da qui il nome) attorno all’imponente chiesa matrice di san Giorgio.
Una svagatezza, una dolcezza del vivere che sembra impressa nei suoi lineamenti”. Così lo scrittore Carlo Castellaneta ha definito Martina Franca, unica città della Valle dell’Itria. Il centro storico, cinto da bastioni, conserva nelle vie centrali un pittoresco complesso barocco e rococò. Man mano che ci si allontana dalle vie “nobili” i palazzi signorili lasciano il posto alle piccole case bianche e basse tipiche della regione.

La capitale dei trulli
Il nostro viaggio in Puglia si conclude in un paesaggio incantato. Se nella valle dell’Itria si incontrano piccoli agglomerati di trulli dispersi nella campagna, ad Alberobello essi formano invece un vero e proprio villaggio protetto dall’Unesco come patrimonio dell’umanità. Nella capitale dei trulli questi camini delle fate sono infatti addossati l’uno all’altro. Il bianco delle pareti cilindriche contrasta con il grigio dei tetti in pietra. Gli ambienti interni sono a pianta quadrata con nicchie e vani lungo le pareti. Tutte le stanze comunicano con quella del trullo centrale, come si può ben vedere nel Museo del Territorio, che racconta la storia di queste costruzioni. La città è disposta su due colline: quella di Aia Piccola, che ospita 590 trulli adibiti soprattutto ad abitazione, e quella del più vasto Rione Monti, una zona che mantiene il suo fascino nonostante quasi tutti i trulli siano stati destinati a scopi turistici.
Curiosa è l’origine di queste abitazioni. Si racconta che un ingegnoso conte di Acquaviva, soprannominato il Guercio di Puglia, non possedendo l’autorizzazione regia per fondare un nuovo villaggio, emanò un decreto con il quale impose ai suoi contadini di costruire abitazioni a secco, senza l’uso di malta, cosicché, in caso di ispezioni governative le case avrebbero potuto essere smontate e poi riedificate.

Itinerario
1° giorno (150 km) Bari – Lecce
2° giorno (170 km) Lecce – Galatina – Solito – Otranto – Marina di Leuca – Marina di Pesculuse – Gallipoli
3° giorno (170 km) Gallipoli – Nardò – Massafra – Matera
4° giorno (100 km) Visita guidata dei Sassi di Matera – Matera – Altamura – Castel del Monte – Montegrosso
5° giorno (241 km) Montegrosso – Mattinata – Vieste – Peschici – Vico del Gargano – Monte Sant’Angelo – Mattinata
6° giorno (220 km) Mattinata – Trani – Polignano a Mare – Monopoli – Ostuni
7° giorno (80 km) Ostuni – Martina Franca – Locorotondo – Alberobello – Cisternino
8° giono (90 km) Ostuni – Bari

Per saperne di più
Puglia Carta geografica Michelin, Italia 363, Milano 2016
Puglia La guida verde Michelin, Milano 2009
Puglia Lonely Planet, Torino 2015
Puglia Le guide Mondadori, Milano 2015
Puglia Touring Club Italiano, Milano 2004
Puglia Meridiani Anno XXVIII n° 22s6, Milano agosto t2015
Italie du Sud Guides Bleus, Vannes 2015
Italia La guida Michelin 2016, Alberghi e Ristoranti, Milano 2016
Salento Touring Editore, Milano 2015
Basilicata Touring Club Italiano, Milano 2004
Salento Meridiani Anno XXIII n° 189, Milano giugno 2010

Barolo – La terra del vino dei re e re dei vini

Da uno splendido paesaggio nasce il Barolo, “vino dei re”

Un itinerario nelle Langhe, a sud di Alba, tra armoniose colline su cui sorgono villaggi con graziose chiesette addossate a poderosi castelli. Dove la vigna è protagonista del paesaggio e della cultura.

Un itinerario nella terra del “vino dei re e del re dei vini”: il Barolo. Nelle Langhe a sud di Alba, il nostro percorso si snoda tra armoniose colline battute dal vento. Sul crinale sorgono villaggi con graziose chiesette addossate a poderosi castelli. Protagonista del paesaggio è la vigna “che sale sul dorso di un colle fino a incidersi nel cielo” con i suoi filari ordinati come “quinte di una scena favolosa, in attesa di un evento” (Cesare Pavese, “Feria d’agosto”). La stagione migliore per visitare questa incantevole regione è l’autunno, quando i vigneti si tingono di un tripudio di colori, che vanno dal giallo al rosso. Ma è affascinante anche in primavera, quando le nebbioline del mattino si alzano lentamente e le colline appaiono come “se si togliesse loro il vestito da sotto in su” (Beppe Fenoglio, “I ventitrè giorni della città di Alba”), così come in estate, quando il sole avvolge la vigna portandola a maturazione.
Già Plinio diciassette secoli fa scriveva che le argille attorno ad Alba erano adatte alla vite. Secondo gli storici, per trovare le origini del vino Barolo bisogna però risalire al XIII secolo, quando i membri della famiglia Falletti, acquistando un castello dal comune di Alba, divennero Marchesi di Barolo. A intuire l’enorme potenzialità viticola della regione fu agli inizi dell’Ottocento una nobildonna francese, Juliette Colbert di Maulévrier pronipote del famoso ministro delle finanze di Re Sole, che sposò nel 1807 il Marchese di Barolo Carlo Tancredi Falletti. Juliette comprese che per rivelare tutte le qualità tipiche del suolo e del vitigno era necessaria una lunga fermentazione e un prolungato affinamento in botti di legno.
La tradizione narra che re Carlo Alberto di Savoia (1798-1849) rimproverasse la marchesa “imperocché mai gli aveva fatto gustare quel famoso vino del quale tanto aveva sentito parlare”. Cosicché, secondo la leggenda, la marchesa caricò una lunga fila di carri trainati da buoi con 325 carrà, piccole botti, una per ogni giorno dell’anno, escluso il periodo della Quaresima. Ogni botte, di circa 500 litri ciascuna, conteneva vino proveniente dalle diverse tenute della proprietà. La soddisfazione di Carlo Alberto fu tale che decise di acquistare il castello di Verduno con gli annessi vigneti e affidò la vinificazione delle uve a un generale e famoso enologo, Paolo Francesco Staglieno, il quale introdusse nuovi metodi di vinificazione. Alcuni anni più tardi fu un altro sovrano, Vittorio Emanuele II, a dare lustro all’etichetta acquistando pure lui un’importante tenuta: quella di Fontanafredda a Serralunga d’Alba, nel cuore della regione, alla quale è legata la piccante storia di cronaca rosa che legò il re alla Bella Rosin.
Un’altra famosa figura della storia d’Italia lega il suo nome al Barolo: il conte Camillo Benso di Cavour, proprietario del castello di Grinzane e dei contigui vigneti, che a metà Ottocento modernizzò la produzione e commercializzò il Barolo rendendolo famoso nelle corti di tutta Europa.

Tra le colline del Barolo
Il Barolo viene vinificato in undici comuni: Barolo, Castiglione Falletto, Serralunga (dove si produce esclusivamente questo vino), Monforte d’Alba, Novello, La Morra, Verduno, Grinzane Cavour, Diano d’Alba, Cherasco e Roddi. Per gli amanti del trekking esistono 250 chilometri di sentieri segnalati che attraversano tutta le regione collegando queste undici località. Anche l’itinerario in automobile che proponiamo in questa pagina tocca tutti i comuni, iniziando a percorrere il perimetro della zona per poi entrare nel cuore della regione e terminare al museo del vino di Barolo.
La nostra prima tappa prevede la visita di un altro interessante museo, dedicato alla storia e allo sviluppo del “vino dei re”, oltre che del tartufo. Il percorso inizia infatti dalla visita di Grinzane e del suo imponente castello, che fu abitato dal 1832 al 1849 dal grande statista Camillo Benso di Cavour, padre dell’unità d’Italia. L’ottima audioguida del museo racconta l’impegno del conte di Cavour per rinnovare la produzione del Barolo e per diffonderlo in tutto il continente. La maestosa costruzione, realizzata attorno alla torre centrale della prima metà dell’XI secolo, ospita ogni anno un prestigioso premio letterario e l’asta mondiale del tartufo, che si tiene a fine ottobre-inizio novembre e alla quale sono collegati via internet gourmet da tutto il mondo: l’anno scorso ha fruttato oltre 300 mila euro.
Si prosegue in direzione di Sinio, dove il locale castello ospita un interessante albergo gestito da una cittadina italo americana. Si prosegue, lungo una strada romantica, verso Serralunga, un piccolo borgo ad anelli concentrici, che si arrampica a spirale sulla collina fino al suo imponente e slanciato maniero duecentesco, che dal terzo piano offre un panorama straordinario sui dolci declivi della Langa, punteggiata da paeselli. La tappa successiva è Monforte d’Alba, dove una ragnatela di viuzze culmina in un’antica torre campanaria. Novello è caratterizzato dal castello in stile neogotico, dalla parrocchiale barocca e dalla Bottega del vino ospitata nella cripta di una chiesa sconsacrata. A Cherasco, capitale italiana delle lumache, il castello visconteo rievoca il passato di piazzaforte militare dei Savoia. La graziosa cittadina propone ampie strade porticate con nobili architetture, che vanno dal medioevo all’età barocca. Il nostro circuito perimetrale ad anello si conclude a Verduno e a Roddi, dove dai rispettivi manieri si aprono splendidi panorami su Langhe, Monferrato e Alpi.
A questo punto l’itinerario prosegue penetrando nel cuore della regione, dapprima a Castiglione Falletto, quindi all’antico borgo medioevale di La Morra, che si distende a ventaglio e offre panorami mozzafiato sul borgo di Barolo, ultima tappa del nostro percorso. Situato in una conca aperta, tra armoniose colline, le sue case sono addossate all’importante castello dei Falletti, Marchesi di Barolo, che diedero il nome al “vino dei re”. Un interessante e innovativo museo, con ottima audioguida, si sofferma sul vino nella storia e nell’arte, in cucina e nel cinema, nella musica e nella letteratura, nei miti universali e nelle tradizioni locali. L’esposizione è anche un omaggio alla storia del castello e ai personaggi illustri che lo hanno abitato: la nobildonna francese Juliette Colbert che divenne marchesa di Barolo e fu la prima, come abbiamo visto, a intuire nella prima metà dell’Ottocento le grandi potenzialità di questo vino e il patriota Silvio Pellico, uno dei grandi protagonisti del Risorgimento italiano, che qui fu bibliotecario dei Falletti e di cui sono conservate intatte la camera e lo studio.
L’itinerario si conclude nel modo più appagante negli scantinati del castello, che tennero a battesimo questo vino leggendario e che oggi ospitano l’Enoteca Regionale del Barolo, rappresentativa degli undici borghi della regione, con una vastissima scelta di etichette e di annate memorabili.

Soggiornare al Castello come a casa di amici
Quando arrivate al Castello di Sinio avete l’impressione di essere accolti a casa di amici. Suonate a un cancello che si affaccia sulla piazza del borgo, vi aprono, salite per un centinaio di metri in auto ed entrate nell’incantevole corte del maniero: ad attendervi c’è la proprietaria Denise Pardini con il suo staff, che vi spiega tutto della regione e dei suoi straordinari vini. L’albergo ha una ventina di camere, a prezzi accessibili per quanto offre, e dal mercoledì alla domenica sera la signora Denise vi delizia con la sua cucina tipica piemontese, ritoccata con un pizzico di modernità. “Conosco bene le ricette tailandesi, cajun e marocchine, ma in questa regione non mi permetterei mai – afferma – di allontanarmi dalla tradizione”. La carta dei vini è notevole e oltretutto la signora conosce tutte le bottiglie e le relative annate perché le ha acquistate lei stessa dai produttori, così come ogni piatto presentato in tavola esce dalle sue mani. Un posto davvero unico e particolare, come la storia della sua affascinante proprietaria.
Denise Pardini è nata a San Francisco da una famiglia lucchese di emigrati italiani. Le sue prime esperienze in cucina risalgono all’età di sette anni, quando talvolta preparava il pranzo ai suoi sei fratelli. La passione per l’enogastronomia la spinge verso la ristorazione e la induce ad aprire due ristoranti nella metropoli californiana: uno di cucina italiana. Dopo qualche anno cambia vita e si dedica al marketing nella vicina Silicon Valley. “A quei tempi – ricorda – era ancora possibile vivere nuove esperienze anche senza una formazione specifica”. Raggiunge posizioni al vertice in due aziende informatiche. Nel 1990 si prende un anno sabbatico, che decide di trascorrere in Italia approfondendo la lingua italiana parlata nell’infanzia in famiglia, ma ormai quasi dimenticata. Visita la Toscana, sua terra d’origine, le Marche, l’Umbria, il Lazio per poi approdare in Piemonte, dove viene a sapere che il castello di Sinio è in vendita. È amore a prima vista, “anche se si trovava in condizioni pietose”. Dedica quindici anni della sua vita e investe tutti i suoi averi nel progetto di trasformarlo in un elegante ma familiare albergo, che ha aperto i battenti nel 2005. Da dieci anni questo castello è un’oasi di accoglienza: provare per credere!

Itinerario
L’itinerario visita 11 comuni in cui viene prodotto il vino Barolo; ha una lunghezza di un centinaio di chilometri e richiede circa due giorni. Si incontrano nell’ordine: Grinzane Cavour, Diano d’Alba, Serralunga (passando per Sinio), Monforte d’Alba, Novello, Cherasco, Verduno, Roddi, Castiglione Falletto, La Morra e Barolo.

Per saperne di più
Piemonte Guida d’Italia, Touring Club Italiano, Milano 1976
Piemonte, Valle d’Aosta Guide d’Italia, Touring Club Italiano, Milano 2001
Italia La Guida Michelin 2015 (alberghi e ristoranti)

Da uno splendido paesaggio nasce il Barolo, “vino dei re”

Barolo – La terra del vino dei re e re dei vini

Da oltre trent’anni frequento l’Enoteca Bava a Cannobio sul Lago Maggiore e dal suo titolare Giuseppe Bava ho imparato ad apprezzare il vino e a capire che i gusti evolvono. La grande passione dell’amico Giuseppe è sempre stata il Barolo, che io non ho mai saputo apprezzare più di tanto. Ogni volta che ci incontravamo per una degustazione mi diceva: “Vedrai che prima o poi arriverai a capire questo grande vino”. Non vi dico la sua soddisfazione quando ho iniziato a gradire il cosiddetto “vino dei re”. “Certo – mi dice Giuseppe – ci hai messo molti anni, ma il Barolo è un punto di arrivo, non di partenza. Comunque chi ama il vino prima o poi finisce per capirlo”. “A un cliente giovane – afferma Francesco, uno dei due figli che lavorano con Giuseppe – non offrirei mai un Barolo. Inizierei con altri vini, più facili”. Come i Chianti o i cosiddetti Supertuscan? “Sono vini che hanno un raggio di gradimento più vasto, mentre il Barolo è un po’ come il Bourgogne, difficile da vinificare e anche da gustare”. Ma, chiedo ancora a Giuseppe Bava, non è che i Baroli moderni siano più semplici rispetto a quelli classici? “Quelli di oggi sono pronti per essere bevuti, mentre quelli classici andavano invecchiati per dare il meglio. Sono però del parere che il vino vada acquistato per essere bevuto, non per finire in cantina, per cui credo che nella vinificazione del Barolo siano stati compiuti grandi progressi negli ultimi trent’anni. Anch’io preferisco ai classici i moderni, che per altro sopportano benissimo anche l’invecchiamento”.

Pure Paolo Basso, il campione del mondo dei sommelier, non ha dubbi in proposito: “In trent’anni – afferma – il Barolo ha fatto passi da gigante”. Come mai? “Fino agli anni Ottanta erano in pochi a vinificarlo. Tutto è cambiato quando alcuni giovani enologi, preparati, diplomati, con grande talento, hanno creato le loro cantine di produzione e hanno saputo andare oltre al cosiddetto Barolo classico – dietro al quale talvolta si nascondevano anche palesi difetti – pur rimanendo fedeli alla tradizione. Più che di vini moderni – aggiunge Basso – parlerei di prodotti più professionali che migliorano invecchiando”. Anche se lei consiglia di non conservare troppo a lungo i vini in cantina. “Diciamo che un Barolo entra nella sua pienezza dopo 10 anni. È come con le persone: si può essere simpatici da giovani, così come quando si raggiunge la maturità”. Non manca chi rimpiange i vecchi metodi di produzione… “Sa, è un po’ come chi preferisce alle auto moderne quelle d’epoca, che sono scomode, pericolose e inquinanti, ma magari ricordano loro gli anni spensierati della giovinezza”. Come considera il “vino dei re” a livello internazionale? “Come uno dei grandi al mondo, che oggi, grazie alla qualità e a un marketing intelligente, non può mancare sulla carta di un grande ristorante”. E quanto all’abbinamento con il cibo? “Certamente si accorda con i gusti della tradizione piemontese carni a lunga cottura e tartufi – o simili”. Qui vi presento un itinerario nella regione del Barolo

Marche – Una vacanza tra spiaggia e città d’arte

Il mare incontaminato della “Riserva naturale regionale del Conero”. Colline armoniose, ricoperte di vigneti, ulivi e gialli girasoli. Artistici centri urbani come Ascoli, Piceno, con una delle piazze più belle d’Italia, e la rinascimentale Urbino

Colline armoniose ricoperte di vigneti, ulivi e gialli girasoli che si estendono fino al mare. Spiagge sterminate che si impreziosiscono avvicinandosi alla “Riserva naturale regionale del Conero”. Due splendide città medioevali come Urbino e Ascoli Piceno. Piccoli borghi cinti da possenti mura come i famosi Offida e Gradara. Monasteri romanici immersi in una natura incontaminata. Una ricca proposta enogastronomica condita dai tartufi, con punte di diamante nei ristoranti due stelle Michelin a Senigallia. La patria degli outlet nel paradiso delle scarpe e dell’abbigliamento, ma anche dei teatri: all’inizio del Novecento si contavano oltre 100 palcoscenici, dei quali se ne sono conservati una settantina.
Le Marche sono tutto questo. Ma non pensate di trovare una fotocopia della Toscana, perché rischiereste di rimanere delusi, come è accaduto al sottoscritto. In un itinerario ipotetico segnalerò i luoghi più suggestivi visitati durante una vacanza tra mare e visite. Sì, perché le Marche, a differenza di altre regioni d’Italia, permettono di conciliare la vita di spiaggia con la scoperta di paesaggi, borghi e città.

Una delle piazze più belle d’Italia
Per l’omogeneità dei suoi edifici in travertino Ascoli Piceno, che si raggiunge in circa 6 ore d’automobile dal Ticino, è chiamata la piccola Siena. Il cuore della città è costituito dalla Piazza del Popolo, considerata una delle più belle d’Italia con i suoi edifici gotici e rinascimentali e gli eleganti portici. Il suo lastricato in travertino è reso lucido dalle passeggiate degli ascolani nel corso dei secoli. Ancora oggi uno dei riti della città consiste nel darsi appuntamento nel salotto cittadino per un aperitivo, possibilmente al Caffè Meletti per assaggiare la celebre anisetta, che il locale produce da oltre un secolo. Altro punto cardine cittadino è Piazza Arringo, su cui si affacciano la cattedrale ed i palazzi comunale e vescovile con l’interessante pinacoteca. Passeggiare per le vie del centro storico, ricco di monumenti in travertino che assumono sfumature di colore diverse a seconda del volgere delle ore, è molto rilassante. Un’atmosfera poco stressata ci ricorda di essere ormai alle porte del Mezzogiorno. Per gli appassionati d’arte moderna vale la pena di visitare la sezione della Galleria d’arte contemporanea dedicata al pittore Osvaldo Licini (1894-1958), che nacque vicino ad Ascoli, studiò a Bologna assieme a Modigliani e poi, sempre assieme lui, fece carriera a Parigi. Il museo si affaccia su Corso Mazzini, la via nobile della città fiancheggiata da palazzi di varie epoche. Ascoli è denominata anche la città delle 100 torri, di cui ne rimangono però ben poche, dopo che nel XIII secolo Federico II ne distrusse ben 91. Non lasciate Ascoli prima di avere assaggiato al ristorante “Gallo d’oro” le famose olive fritte all’ascolana, che sotto la doratura nascondono un ripieno sopraffino.

Tra vigneti e uliveti
Uscendo da Ascoli in direzione nord verso Offida si entra in un’armoniosa campagna collinare cosparsa di vigneti e di uliveti. Offida propone un piccolo centro con edifici medioevali conservati molto bene. Passeggiando per le strette viuzze che confluiscono nella bella Piazza del Popolo non si può non rimanere incantati da un’immagine che sa di antico: le donne che lavorano il tombolo davanti all’uscio di casa, seguendo una tradizione che si tramandano da generazioni. In un così piccolo villaggio sorprende poi di scoprire l’imponente teatro Serpente Aureo, recentemente restaurato e con un ricco cartellone. Ma nelle Marche ogni paesino che si rispetti ha il suo teatro, di cui è orgoglioso. Ai margini del borgo sull’apice di una collina, da cui si gode uno splendido panorama sulla campagna circostante, sorge l’austera Santa Maria della Rocca con splendidi affreschi del XIV secolo.
Il nostro itinerario prosegue verso nord in direzione di Fermo, passando per Monterubbiano, in un mosaico di campi, vigne, uliveti, che è una gioia per gli occhi.
Fermo, secolare città antagonista di Ascoli Piceno, circondata da possenti mura, è nota soprattutto per la sua piazza principale – non poteva non chiamarsi Piazza del Popolo – che affascina per la sua armonia e per le sue ampie proporzioni. Sul balcone del Palazzo dei Priori, che si affaccia sulla piazza, siede papa Sisto V, forse per simbolizzare la secolare fedeltà professata da questa città al papato. Dal piazzale Girfalco, che domina il borgo ed ospita il duomo con un bellissimo portale del XIII secolo, il panorama sul paesaggio circostante è splendido.

Tra sacro e profano
Si prosegue in direzione nord verso Sant’Elpidio a Mare, il regno della calzatura, che contrariamente all’apparenza si trova nell’entroterra. Qui viene fabbricata la maggior parte delle scarpe italiane esportate in tutto il mondo. L’outlet più noto è quello delle Tod’s Hogan, ma si trovano anche quelli di altre firme prestigiose come Fratelli Rossetti, Prada, eccetera.
Proseguendo sempre in direzione nord si giunge nella Valle del Chienti, dove a pochi chilometri di distanza uno dall’altro si trovano interessanti luoghi spirituali: il convento benedettino di Santa Maria a Piè di Chienti (1125), la chiesa di San Claudio (XI secolo) con l’originale portale fiancheggiato da due torri e l’interessante Abbazia di Fiastra, che merita una visita approfondita. Seguendo l’ottima audioguida si ripercorre la vita nel monastero nel corso dei secoli ammirando l’originaria architettura cistercense, che esprime in modo suggestivo la semplicità e l’umiltà su cui si fonda la riforma monastica operata da San Bernardo di Chiaravalle. Una delle regole, di origine benedettina, recita “ora et labora” (prega e lavora). Il lavoro, accanto alla preghiera, è sempre stato tenuto in grande considerazione dall’ordine, come si può notare visitando il “Cellarium” (deposito delle merci), la “Sala delle Oliere”, dove veniva prodotto l’olio, nonché le “Grotte” e le “Cantine”, dove veniva conservato e prodotto il vino.
Le Marche ospitano anche uno dei santuari più celebri della penisola e uno dei maggiori della Cristianità, visitato nel corso dei secoli da una miriade di pellegrini e ancora oggi da 4 milioni all’anno. Si tratta del santuario della Santa Casa di Loreto, attorno al quale è sorto un villaggio, circondato da possenti mura, dove la maggior parte dei cittadini vivono di turismo religioso. Oltrepassate le mura attraverso la porta Romana, lungo Corso Boccalini si raggiunge la tardorinascimentale piazza della Madonna, su cui si affaccia il santuario. Secondo la leggenda quattro angeli avrebbero trasportato da Nazareth dapprima all’Istria e quindi a Loreto la casa della Madre di Cristo per proteggerla dai musulmani. Sembra che le pietre dell’abitazione provengano effettivamente dalla grotta annessa alla casa dei genitori di Maria, ma furono trasportate in nave dai crociati. All’inizio del XVI secolo, attorno alla casa, venne costruito un rivestimento marmoreo di grande pregio, considerato “l’espressione più complessa della scultura cinquecentesca”.

Tra mare e colline
Il Parco naturale del monte Conero costituisce uno dei rarissimi tratti rocciosi della costa marchigiana e propone certamente le spiagge più suggestive di tutta la regione. Talune sono di difficile accesso, ma la zona è un paradiso per chi ama trascorrere le vacanze in gommone. La terrazza più suggestiva da cui si può ammirare la bellezza di questa parte della costa si trova in piazza Vittorio Veneto a Sirolo, un pittoresco villaggio che si erge su una falesia.
Un chilometro e mezzo di cinta muraria abbraccia invece la parte più antica della graziosa città di Jesi. Il tessuto urbano è scandito da un susseguirsi di piazze in un complesso architettonico compatto che integra armoniosamente tra loro edifici storici di epoche diverse. Anello di congiunzione tra la parte più antica della città e quella cinquecentesca è Piazza della Repubblica, su cui si affaccia il settecentesco teatro Pergolesi, uno dei maggiori templi della lirica italiana.
Proseguendo in direzione nord verso Senigallia e quindi Gradara, vale la pena di fare due brevi soste a Morro d’Alba, dove si può camminare sulle mura, e a Ostra, un grazioso villaggio dove in Piazza dei Martiri troneggia una suggestiva torre medioevale e si affaccia un graziosissimo teatro, che non pensereste mai di trovare quassù.
Si può dire quello che si vuole, ma Gradara, nonostante sia un villaggio estremamente turistico, mantiene il suo fascino. Con la sua doppia cinta muraria e le 17 torri appare scenografica sin da lontano. La rocca è celebre perché vi si sarebbe svolta la tragica storia d’amore di Paolo e Francesca narrata da Dante nella “Divina commedia” e ripresa da Boccaccio, da D’Annunzio e da numerosi pittori famosi. Paolo aveva chiesto la mano di Francesca per il fratello Giovanni, deturpato da un piede caprino. Ma i due cognati s’innamorarono uno dell’altro e continuarono a frequentarsi anche dopo il matrimonio. Quando Giovanni sorprese la coppia in atteggiamenti dolci li uccise entrambi.

La bella Urbino, città di Raffaello
Non per caso chiudiamo il nostro itinerario con Urbino: la tappa più bella di un viaggio bisognerebbe infatti lasciarla possibilmente sempre per ultima. Eletta patrimonio culturale dell’umanità dall’Unesco questa città permette di passeggiare sulle tracce del Rinascimento italiano, non solo visitando l’imponente Palazzo Ducale, ma passeggiando per tutto il centro urbano. Il suo periodo di massimo splendore lo conobbe sotto la signoria del duca Federico da Montefeltro (1442-1482), saggio condottiero, fine letterato e collezionista, protettore degli artisti. Fu durante il suo regno che venne progettato e costruito da Luciano Laurana il Palazzo Ducale, capolavoro di gusto ed equilibrio. Al suo interno ospita la Galleria Nazionale delle Marche con capolavori come la “Profanazione dell’ostia” di Paolo Uccello, la “Madonna di Senigallia” e la “Flagellazione” di Piero della Francesca, “La Muta” di Raffaello. Proprio quel Raffaello Santi, detto Sanzio, che venne al mondo nel 1483 in questa città e di cui si può visitare la casa natale, dove sono esposte opere del padre Giovanni Santi. Prima di andare a zonzo per vicoli, palazzi e chiese, vale la pena di visitare ancora l’Oratorio di San Giovanni, completamente decorato con splendidi affreschi del XIV secolo di Jacopo e Lorenzo Salimbeni. Cuore della città è l’animatissima Piazza della Repubblica. Sedendovi al tavolo di uno dei suoi caffè per l’aperitivo vi renderete conto di quale sia il ruolo dell’università in questa città: si dice che il numero degli studenti superi quello degli abitanti.

Bibliografia
Italia La Guida Verde Michelin, Milano 2002
Marche Dumont, Milano 2011
Marche Touring Club Italiano, Milano 2008

Sul lago di Como a mezz’ora da Lugano

La regione del lago di Como, spesso trascurata dai ticinesi nonostante sia a due passi da casa, è di grande interesse e adatta per una gita di una o due giornate. Da Lugano ci si dirige verso Gandria e Porlezza e quindi Menaggio, che si raggiunge in poco più di mezz’ora. È questa la prima sosta del nostro percorso. Questo borgo, che si affaccia sulla parte settentrionale del lago di Como, offre un gradevole centro storico e un’interessante chiesa – S. Stefano – di impianto romanico. Si prosegue per pochi chilometri in direzione sud verso Cadenabbia, situata in posizione incantevole di fronte a Bellagio ed unita da un viale di platani, la via del Paradiso, a Tremezzo. Qui si trova la tardo barocca Villa Carlotta, dove i capolavori della natura e dell’ingegno umano convivono in perfetta armonia. Commissionata nel XVII secolo dal marchese Giorgio Clerici, che desiderava un edificio imponente ma sobrio, fu con il successivo proprietario – l’imprenditore e collezionista d’arte Gian Battista Sommariva – che la villa toccò il suo sommo splendore. Il giardino fu trasformato in uno straordinario parco romantico e la dimora venne impreziosita con opere di Canova, Thorvaldsen e Hayez. L’ultimo proprietario, il duca di Saxe-Meiningen, appassionato botanico, diede il tocco finale al parco, favorito dalla fertilità del terreno. Una piacevole passeggiata (calcolate circa 2 ore per la visita), tra alberi secolari, rododendri, azalee e rarità botaniche, offre splendide vedute sul lago e su Bellagio. L’itinerario prosegue in direzione sud fino a Lenno, dove un servizio di motoscafi garantisce i collegamenti con la deliziosa Villa Balbianello, il cui fascino si sprigiona dall’ambiente nel suo insieme. È forse la più seducente delle numerose dimore del lago per la sua posizione isolata, immersa tra acqua e verde in un paesaggio quasi selvaggio, ingentilito dalle raffinate forme dell’architettura settecentesca. Si ritorna a Tremezzo, dove in traghetto si raggiunge Bellagio. Situata in splendida posizione alla base del promontorio che divide il lago nei rami di Como e di Lecco, questa località di fama internazionale offre un interessante centro storico e la visita di due ville di grande interesse: Serbelloni e Melzi. La leggenda vuole che Villa Serbelloni sorga sulle rovine della residenza di Plinio il Giovane. Molto piacevole la passeggiata (attenzione: solo con visite guidate, due volte al giorno, durata circa 2 ore) nel vastissimo parco; tratti di bosco con piante secolari percorsi da sentieri si alternano a radure e piante esotiche si intrecciano a coltivazioni di fiori. La tranquillità del sito e gli spettacolari punti di vista sulle diverse diramazioni del lago di Como rendono questa visita indimenticabile. Tornati in paese un itinerario storico (chiedere il prospetto all’ufficio del turismo) accompagna a Villa Melzi. Fu costruita all’inizio dell’Ottocento da un illuminato politico milanese, stimato da Napoleone Bonaparte. Le linee ed i volumi architettonici dovevano essere sobri ed eleganti per mettere in risalto il meraviglioso paesaggio circostante. L’insieme configura un luogo di rara armonia ammirato da grandi artisti come Stendhal e Franz Liszt, che vi soggiornarono. Nel giardino, ricchissimo di piante rare ed esotiche, si avvicendano alberi secolari, siepi di camelie, boschi di azalee e rododendri giganti, con raffinati monumenti ed opere d’arte. Giunti a questo punto la vostra giornata volgerà al termine, così come lo spazio offerto da questa rubrica. Prima di riprendere la strada per il Ticino, se vi rimane ancora un po’ di tempo, raggiungete il pittoresco borgo di Varenna con il traghetto. Vi potrete visitare Villa Monastero con il suo bel parco.

Assisi – Ripercorrendo strade e valli di un soldato diventato santo

Assisi – A lezione di umiltà e gioia lungo la strada del silenzio

In compagnia di Padre Callisto sulle tracce di San Francesco, lungo conventi, simboli sacri e preziose chiese che si sono miracolosamente salvati dal terribile terremoto di qualche anno fa.

Chiunque salga sul colle della città serafica non può sfuggire a una suggestione indescrivibile, misteriosa, impalpabile, del tutto diversa dalla bellezza della valle umbra”. Così Lina Duff-Gordon, compagna di viaggio del critico d’arte Bernard Berenson, descriveva nel 1900 la sua emozione davanti ad Assisi. Un’emozione che prova anche il viaggiatore contemporaneo di fronte a questa città così unitaria e ricca di significati legati alla straordinaria figura di San Francesco il cui messaggio rimane sempre di grande attualità. La visitiamo con padre Callisto Caldelari, frate ticinese molto amato dalla gente, perché cerca ogni giorno, e con successo, di interpretare in chiave moderna il messaggio di Francesco. La nostra visita sarà cronologica e seguirà le tappe principali della vita del santo.
Giunti ai piedi della collina su cui sorge questa incantevole cittadina umbra, ci fermiamo per ammirarne l’unità architettonica. “Il villaggio – ci spiega la nostra guida d’eccezione – è costruito in pietra rosa proveniente dai monti del Subasio, le montagne retrostanti dove Francesco si ritirava a meditare. Le case moderne in cemento sono colorate di rosa per non compromettere il colpo d’occhio da lontano”.

La casa natale di San Francesco
Il nostro itinerario inizia davanti alla Chiesa Nuova eretta nel 1615, a spese di re Filippo III di Spagna, sui resti della supposta casa paterna di San Francesco. Davanti alla chiesa un monumento è dedicato ai genitori del santo. Il padre, Pietro Bernardone, era un commerciante di stoffe che acquistava il materiale in Provenza e aveva laboratorio ad Assisi. Durante un viaggio d’affari conobbe donna Pica, che diventò sua moglie. Per questa ragione Francesco parlava bene la lingua provenzale. Dalla madre ereditò anche il suo spirito allegro.
Nella seconda metà del XIII secolo, al tempo di Francesco, si stava profilando una nuova classe sociale, quella dei ricchi commercianti, a cui apparteneva anche la sua famiglia. Pietro Bernardone aveva però l’ambizione di far acquistare al suo casato il titolo nobiliare. Per ottenerlo esisteva una sola strada: distinguersi in guerra. Francesco venne destinato a questo compito. Giovane brillante e vivace, combatté dapprima una battaglia contro i Perugini e quindi decise di partire per le crociate. Ma giunto a Spoleto, distante pochi chilometri da Assisi, secondo la tradizione un sogno gli rivelò che stava compiendo una scelta sbagliata. Tornò allora nella sua città natale e decise di cambiar vita, deludendo le aspettative del padre. Fece voto di povertà, curò i lebbrosi, vendette le stoffe dell’azienda di famiglia per distribuire il ricavato ai poveri. Per queste sue scelte venne rifiutato dal suo ceto sociale e Pietro Bernardone lo denunciò e lo imprigionò per furto (secondo il diritto romano il padre aveva diritto di vita e di morte sui figli e sulla moglie). Sotto le fondamenta della Chiesa Nuova sono ancora conservate la prigione che ospitò il santo, la sua abitazione e il negozio di Pietro Bernardone. È giunta fino ai nostri giorni anche la cosiddetta “porta dei morti”. Nel Medioevo i defunti lasciavano la casa da una porta speciale che veniva aperta solo per il passaggio delle bare. Utilizzarla da vivi portava male, ma Francesco abbandonò la sua casa natale passando simbolicamente proprio da questa porta per abbracciare una nuova vita.
La sua prima dimora fu la graziosa chiesetta di San Damiano, che si trovava fuori dalle mura della città.

Chiara segue Francesco
Prima di lasciare il centro storico per scendere a San Damiano, padre Callisto ci conduce alla basilica di Santa Chiara e racconta la storia di Chiara, una giovinetta che si era probabilmente innamorata di Francesco e che all’età di diciotto anni lasciò pure lei la propria casa (fu poi seguita da due sorelle e dalla madre), fece voto di povertà e come Francesco dedicò la sua vita ai poveri nel convento di San Damiano, la prima dimora di Francesco che poi l’abbandonò per cederla a Chiara e alle sue compagne. Quando Chiara morì a San Damiano nel 1252, il papa invitò le suore a lasciare quella chiesetta fuori dalle mura, perché ritenuta poco sicura, per trasferirsi nella chiesa di San Giorgio in attesa che venisse costruito il convento di Santa Chiara, che avrebbe ospitato l’ordine della clarisse. Si narra che il papa riconobbe l’ordine proprio il giorno prima della morte di Chiara. Le suore lasciarono San Damiano per trasferirsi in città, ma portarono con loro il crocefisso che secondo la tradizione aveva parlato a Francesco, confermandolo nella sua vocazione (“Francesco, va e ripara la mia casa che, come vedi, va tutta in rovina”). Si tratta di un crocefisso bizantineggiante con il Cristo vivo attorniato dai santi. Lo si può ammirare nella chiesa di Santa Chiara, che ospita anche la suggestiva tomba della santa.

La prima dimora di Francesco
Ma torniamo a Francesco, che dopo aver rotto con il padre (“Non dirò più padre mio Pietro di Bernardone, ma unicamente Padre nostro che sei nei cieli”) ed aver lasciato la sua casa si ritirò a San Damiano. La chiesetta si trova ancora oggi immersa nella splendida campagna umbra. Il sentiero che in un quarto d’ora circa porta dal convento di Santa Chiara a San Damiano scorre tra ulivi e cipressi in un paesaggio di pace. Quando Francesco giunse in questo luogo la chiesetta esisteva già, era amministrata da un sacerdote e molto mal ridotta. Assieme a un gruppo di compagni, che lo seguirono nonostante fosse stato ripudiato dalla sua famiglia e dal suo ceto sociale, Francesco sistemò per bene San Damiano prima di cederlo a Chiara, dove la santa trascorse la sua vita con le compagne. Mentre era ancora a San Damiano Francesco chiese al suo vescovo l’autorizzazione di predicare. Questi non si assunse la responsabilità di quella decisione e lo mandò dal papa, che gli concesse il permesso.
Questa idilliaca chiesetta immersa nel verde si presenta in ottime condizioni. Si possono visitare i luoghi in cui visse Chiara con le sue monache: il refettorio, il dormitorio, l’infermeria in cui la santa, morta a 59 anni, venne curata e la cappella da cui ascoltava la messa.

Verso la chiesetta della Porziuncola
Lasciato San Damiano a Chiara, Francesco si trasferì nel piccolo “tugurio” detto Rivotorto, che dista non molti chilometri. Francesco non vi rimase a lungo perché un contadino rivendicò quel luogo per ospitare i suoi asinelli. Da lì Francesco, che era spesso assente da Assisi perché viaggiava moltissimo (in Italia, Francia, Spagna e persino in Egitto e in Palestina), si trasferì verso la sua ultima dimora: la chiesetta della Porziuncola. Prima di raggiungerla si passa davanti al luogo in cui vivevano i lebbrosi, emarginati dai sani e segnalati con un campanello al collo.
Da lontano si scorge l’imponente chiesa di Santa Maria degli Angeli, dentro la quale è conservata la chiesetta della Porziuncola, dove il santo morì. “Frate Francesco – scrisse Giosuè Carducci – quanto d’aere abbraccia/ questa cupola bella del Vignola, / dove incrociando a l’agonia le braccia / nudo giacesti sulla terra sola!” (Rime Nuove, XV, 1861-67). Il maestoso edificio, costruito attorno alla chiesetta, nascose agli occhi del poeta la sede autentica di Francesco, la cappella annerita e minuscola miracolosamente salva dal terremoto del 1832: è questa la miglior metafora di un personaggio tradito dalla ricezione della storia.
Francesco e i suoi seguaci vivevano in capanne sparse attorno alla graziosa chiesetta, molto ben conservata. Quando Francesco sentì che la morte si avvicinava si fece trasferire in una capanna vicino alla Porziuncola e posare nudo sulla terra. Spirò cantando “Laudato sii mi Signore per sora nostra morte corporale…”.

Assisi – A lezione di umiltà e gioia lungo la strada del silenzio

Assisi – Ripercorrendo strade e valli di un soldato diventato santo

Insieme a Padre Callisto sulle tracce di San Francesco tra i luoghi della cristianità. Chiese e cripte ricche d’arte che vengono visitate da centinaia di pellegrini. La storia delle spoglie scomparse dopo la costruzione della “doppia basilica”.

Sotto l’influenza dell’ordine religioso fondato da Francesco, la città vide sbocciare un’arte nuova che segnò una svolta nella storia artistica dell’Italia. La sua lezione spirituale fatta di rinuncia, accettazione umile e gioia mistica, determinò una nuova visione artistica espressa nella purezza e nell’eleganza dell’arte gotica.
Due anni dopo la morte di Francesco era pronta la cripta della chiesa per accogliere le sue spoglie. Fu disegnata dal suo successore Elia e ad affrescare la basilica di San Francesco vennero chiamati i più importanti artisti del momento, tra cui Giotto che realizzò qui uno dei suoi capolavori narrando la vita del santo. Il grandioso complesso, tra i maggiori templi della cristianità, è formato dalla sovrapposizione di due chiese che lasciano individuare due differenti fasi costruttive. Il progetto della doppia basilica evidenziava la duplice funzione cui doveva rispondere la struttura, destinata inferiormente a chiesa tombale e a cripta, e superiormente ad aula monastica, di predicazione e cappella papale.
Le spoglie del santo, custodite per un paio d’anni nella chiesa di San Giorgio vicino a Santa Chiara, furono trasportate verso la nuova basilica, ma quando arrivarono nelle vicinanze si scontrarono due diverse visioni dell’ordine: chi riteneva che la chiesa fosse troppo ricca e quindi non fedele alle idee di Francesco e chi invece la riteneva idonea. Fatto sta che le spoglie scomparvero. La tradizione vuole però che il santo sia sepolto nella cripta della basilica inferiore, che si può visitare. Ed in effetti è probabile che il corpo di Francesco sia stato veramente sepolto in quella sede. Nel 1790 papa Pio VII ordinò dei lavori, che vennero eseguiti di notte per evitare pettegolezzi, per cercare il sepolcro. Sotto l’altare venne trovata una bara in pietra con le spoglie di un uomo, che vennero esaminate con metodi moderni nel 1940. Si stabilì che si trattava di un uomo di circa quarant’anni. È quindi probabile che si tratti di Francesco. Un ultimo esame eseguito negli anni Ottanta ha confermato questa tesi.
Del santo rimane comunque la storia della vita narrata da Giotto in diciannove superlativi affreschi. L’artista non terminò però il lavoro, perché partì per Firenze dove fu chiamato ad affrescare Santa Croce. Il lavoro venne proseguito dai suoi discepoli, ma confrontando le tavole del maestro con quelle dei suoi allievi, si apprezza ancor più la capacità di sintesi e l’essenzialità di Giotto.

Le Carceri, luogo di meditazione
Molti sono i luoghi francescani che si potrebbero ricordare, ma uno non può essere tralasciato perché di particolare importanza: “le Carceri”. Non si tratta di una prigione, ma di un sito appartato dove Francesco e i suoi compagni si ritiravano in silenzio a meditare. Si trova a mezza costa sul Monte Subasio. Lo si può raggiungere comodamente in automobile, ma molti pellegrini vi arrivano con il noto cavallo di San Francesco, cioè a piedi. In quel luogo il santo aveva prescritto una regola particolare che suggeriva penitenza e assoluto silenzio. Si narra che fece zittire anche degli uccelli che disturbavano la meditazione. Gli assisiani scoprirono molto presto quel bosco e iniziarono a frequentarlo rubandogli la pace. Il santo si ritirò quindi dapprima su un’isoletta del lago Trasimeno, in seguito sul più lontano monte de La Verna, dove per dirla con Dante ricevette “l’ultimo sigillo”, le stigmate.

Mondo etrusco – La civiltà più colta prima dei Romani

Mondo etrusco – Quattro tappe tra turismo e cultura

L’itinerario si sviluppa tra colline, laghetti e pianure, attraversa romantici villaggi appesi alla cima dei colli a cavallo di tre regioni – Toscana, Umbria e Lazio – che diedero origine ad un grande e misterioso popolo.

Un itinerario a tema alla scoperta del mondo etrusco: la civiltà di più elevato livello che abitò la penisola italica prima dei Romani. Un popolo particolarmente aperto agli influssi delle culture con cui venne in contatto grazie alla sua abilità nella navigazione, alla ricchezza di ferro delle sue montagne, alla fertilità del suo terreno. Commerciò con la Sardegna, con il Medio Oriente, con la Grecia e con l’Europa del nord. Tanto aperto che sulle sue origini nacquero diverse leggende. Si parlò di popolazioni giunte dal Medio Oriente o addirittura dal nord. Gli Etruschi semplicemente seppero cogliere gli influssi di altre civiltà per poi adattarli alle loro necessità.
L’itinerario si sviluppa tra colline, laghetti e pianure, attraversa romantici villaggi appesi alla cima dei colli nei territori della Toscana, dell’Umbria e del Lazio che diedero origine al popolo etrusco. La cosiddetta “Etruria propria”, cioè quella originaria, si estendeva infatti dall’Arno al Tevere ed era delimitata ad ovest dal Tirreno e ad est giungeva fino alle attuali Perugia, Orvieto e Viterbo. Nei periodi di maggior espansione e prima di essere romanizzato il popolo etrusco giunse fino alla costa adriatica, alla Padania e alla Campania.
Il nostro percorso, di circa 800 chilometri, parte da Firenze, dove si visita uno dei principali musei di arte etrusca, per concludersi a Cerveteri. In queste due città si possono infatti visitare i due principali musei di arte etrusca. I luoghi ricchi di testimonianze di questo popolo nella fascia fra Firenze e Roma sono moltissimi. Ne abbiamo scelti quattro particolarmente “spettacolari” dal profilo turistico e rappresentativi della cultura etrusca: Populonia, importante per le sue attività siderurgiche e unica città in riva al mare, che si affaccia sullo splendido golfo di Baratti; il triangolo dei romantici villaggi di Sovana, Sorano e Pitigliano scavati nelle impressionanti colline di tufo, una pietra particolarmente modellabile; Tarquinia per le sue incredibili pitture giunte a noi in ottimo stato di conservazione; e Cerveteri, forse il luogo più suggestivo del viaggio, dove percorrendo la città dei morti si ha la sensazione che il tempo si sia fermato.
Si consiglia di visitare questi straordinari siti archeologici accompagnati da una guida per meglio coglierne il significato profondo, sebbene tutte queste testimonianze siano giunte fino a noi in buono stato, così da poterne facilmente capire la funzionalità. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare non si tratta quindi di un viaggio per specialisti archeologi. Nei musei, soprattutto di Firenze e Roma ma anche di Tarquinia e Cerveteri, si possono ammirare soprattutto i corredi funerari scoperti nei sepolcri non derubati dai tombaroli di tutte le epoche, a partire da quella romana. Sì, corredi funerari, perché della civiltà etrusca ci rimangono soprattutto le testimonianze del culto dei morti. E’ infatti attraverso le tombe e gli oggetti ritrovati al loro interno che si è riusciti a studiare questo popolo. I defunti nella loro vita ultraterrena andavano infatti ad “abitare” case scavate nella roccia che riproducevano le abitazioni, molto più fragili perché costruite in legno e argilla, utilizzate nella vita terrena. Anche il corredo funebre era rappresentato da oggetti di uso giornaliero. I soggetti che appaiono nelle tombe affrescate (soprattutto a Tarquinia) e quelli incisi sulle ceramiche, nonché la funzionalità degli oggetti ritrovati (arredi, statue, ex voto) hanno permesso agli studiosi di capire come gli Etruschi abitavano, si vestivano, quali sport praticavano, quale musica ascoltavano, quali erano le loro credenze religiose. Ne esce l’immagine di un popolo molto evoluto, dove per esempio la donna, a differenza di quanto avveniva in Grecia e più tardi a Roma, occupava un posto importante nella famiglia e nella società.
L’arte per l’arte – spiegano Antonio Giuliano e Giancarlo Buzzi – agli Etruschi non interessava: le opere obbedivano a scopi funzionali”, a differenza di quanto avveniva nella cultura greca. Il periodo di maggior maturità artistica, spiegano i due studiosi, viene raggiunto nel VI secolo a.C. (a questo periodo risalgono gli affreschi di Tarquinia) quando gli Etruschi “fanno proprio il gusto dei Greci… ma lo correggono con spunti veristici, con una maggiore concretezza e immediatezza delle figurazioni”.

La cronologia
Prima di Gesù Cristo dieci secoli densi di storia e grandi scoperte
La cronologia dello sviluppo della civiltà etrusca va dal IX al I secolo prima della nascita di Cristo.
Perché nella regione che si estende tra Firenze e Roma e si affaccia sul Tirreno si è sviluppato il popolo etrusco? Le montagne dell’Etruria erano ricche soprattutto di ferro, ma anche di rame, stagno, piombo, zinco, argento e persino di sale. Come spiega Giovannangelo Camporeale, professore di etruscologia all’Università di Firenze e autore di numerosi saggi, si può equiparare, per la ricchezza della regione, l’importanza per quell’epoca della presenza di giacimenti di ferro a quella attuale di petrolio. Le manifatture etrusche raggiunsero un elevato livello. Gli oggetti in metallo venivano esportati in tutto il Mediterraneo e nel nord Europa, assieme a quelli in bucchero: una terra cotta che riscaldata in assenza di ossigeno e debitamente laccata assomigliava enormemente al bronzo, ma costava molto meno.
Il suolo, molto fertile, era adatto alla coltivazione di cereali (si parlerà più tardi dell’Etruria come del granaio di Roma), di vite (il vino etrusco veniva esportato) e di olivi. Le zone interne erano inoltre ricche di boschi, il cui legname serviva a rifornire i forni metallurgici e i cantieri navali. Gli Etruschi erano infatti abili navigatori e trasportavano nei paesi che si affacciavano sul Mediterraneo i loro prodotti e le loro ricchezze. Erano però anche molto aperti, come abbiamo visto, agli scambi culturali.
Sia attorno alle origini del popolo etrusco che della sua lingua, la tradizione ha costruito un alone di mistero. In effetti sono scarsissimi i documenti storici scritti giunti fino a noi, salvo qualche iscrizione su tombe o su oggetti che ha permesso di stabilire come l’alfabeto fosse molto simile a quello greco. “Strutturalmente però la lingua non è inseribile in uno dei gruppi linguistici che conosciamo” (Antonio Giuliano e Giancarlo Buzzi). Data la scarsità di documenti scritti, molto di quanto sappiano su questo popolo lo desumiamo dai ritrovamenti archeologici (tombe e corredi funebri) e da testimonianze latine e greche dei periodi in cui la civiltà tirrenica era però già in fase di decadenza.
Anche per quanto concerne le origini degli Etruschi si è voluto creare un alone di mistero immaginando migrazioni di interi popoli dal Medio oriente o dal nord Europa. “Non è il caso di pensare – osservano Antonio Giuliano e Giancarlo Buzzi – a una civiltà venuta dal di fuori che si impose, soppiantandole, a civiltà locali, ma a una tradizione culturale locale ben evidente e solida che si aprì a influssi esterni, a diverse e molteplici sollecitazioni”.
Il territorio era organizzato in città-stato simili a quelle greche, i cui vertici si incontravano una volta all’anno in un luogo non ancora identificato.
Dopo un periodo iniziale in cui “è ragionevole supporre fosse emerso un ceto aristocratico, durante il VII secolo a.C. si affermò un nuovo ceto di imprenditori e di trafficanti, che accumulava ricchezze e finiva per costituire un più vasto gruppo gentilizio, nelle cui mani si concentrava il potere”. Tra la fine del VII secolo e il principio del VI si afferma la città (alcune raggiunsero, secondo gli studiosi, alcune decina di migliaia di abitanti). “Artigiani, mercanti, agricoltori formavano un nuovo ceto, estremamente dinamico, la cui ricchezza non era più basata sulla proprietà immobiliare, ma sulla produzione e sullo scambio”. Pertanto la città è una conquista innanzitutto sociale.
Un’altra tappa fondamentale nel percorso storico del popolo etrusco è rappresentata dalla battaglia di Cuma del 474 a.C., quando i Siracusani vincono gli Etruschi e diventano padroni del Tirreno. Le metropoli costiere, a causa del declino della potenza marinara, si rivolgono allora verso l’interno, da una parte rivitalizzando le città-stato agricole, ma dall’altra creando fonti di conflitto.
Ci stiamo avviando verso il declino della civiltà etrusca. Un secolo più tardi inizia il lento processo di romanizzazione. La prima città-stato romanizzata è Veio nel 396 a.C. Seguiranno lentamente le altre. In alcuni casi il processo avverrà in maniera pacifica, in altri meno.

L’itinerario

1° giorno
Locarno – Firenze (425 km)

2° giorno
Museo Archeologico di Firenze

3° giorno
Firenze – Populonia (169 km)
Populonia – Valpiana (40 km)

4° giorno
Valpiana – Sovana (115 km)

5° giorno
Sovana – Tarquinia (73 km)
Tarquinia – Bracciano (68 km)

6° giorno
Bracciano – Cerveteri (18 km)
Cerveteri – Firenze (314 km)

7° giorno
Firenze – Locarno (425 km)

Mondo etrusco – Quattro tappe tra turismo e cultura

Mondo etrusco – La civiltà più colta prima dei romani

Il nostro percorso, di circa 800 chilometri, parte da Firenze per concludersi a Cerveteri. I luoghi ricchi di testimonianze di questo popolo nella fascia fra Roma e Toscana sono moltissimi.

Il nostro itinerario inizia dal Museo archeologico nazionale di Firenze, dove sono raccolti alcuni capolavori di arte etrusca e di arte greca rinvenuti in tombe etrusche. Di particolare pregio sono le statue in bronzo: accanto a una serie di bronzetti votivi troneggiano la “Chimera” (fine V-inizio IV secolo a.C.) proveniente da Arezzo e “L’Arringatore” (II secolo a.C.) ritrovato nella zona di Perugia. La “Chimera”, scoperta nel 1553, per Cosimo I de’ Medici divenne il simbolo del potere mediceo rappresentando le fiere selvagge che il duca aveva domato per costituire il suo regno. “L’Arringatore”, un personaggio maschile nel pieno della maturità caratterizzato da un volto severo e nello stesso tempo grave e ispirato, arredò per lungo tempo la camera da letto di Cosimo I.

La città del ferro
Solitamente le altre città costiere etrusche sorgevano a una decina di chilometri dal mare. Populonia, che gestiva gli enormi giacimenti di ferro dell’isola d’Elba, costituisce un’eccezione e la sua acropoli, di cui rimangono solo le fondamenta di alcuni edifici sacri, era situata su uno sperone dal quale si domina il mare: da una parte il meraviglioso golfo di Baratti e la costa, dall’altra l’Elba. Accanto all’acropoli oggi sorge un grazioso borgo medievale.
Il suggestivo golfo di Baratti costituisce un porto naturale dove attraccavano le navi provenienti dall’isola e cariche di pietre contenenti ferro. Poco distante sorgeva il centro siderurgico, di cui si possono osservare ancora oggi le fondamenta seguendo la “Via del ferro”. La necropoli sorgeva a pochi metri dal mare nel golfo di Baratti, accanto agli impianti siderurgici e di fronte all’acropoli (la città dei morti, nella civiltà etrusca, era sempre separata da quella dei vivi). Nel corso dei secoli fu sepolta dalle scorie di ferro prodotte in grande quantità dapprima dagli Etruschi e in seguito dai Romani. Gli archeologi dovettero scavare sotto questa immensa montagna nera per trovare sepolcri etruschi in ottimo stato di conservazione e molto interessanti, perché in uno spazio molto delimitato si presentano nelle varie tipologie: a tumulo, a edicola, a sarcofago, a camera.
Il luogo più suggestivo di Populonia è certamente l’itinerario che conduce alla visita delle cave di pietra etrusche e della necropoli delle Grotte, “quasi senza confronto nel mondo etrusco” (guida archeologica del Touring), che unisce all’eccezionalità dei monumenti etruschi il fascino del paesaggio immerso nel verde della macchia mediterranea con sullo sfondo il mare. Il sentiero che sale, illuminato dal sole, è scintillante per la presenza di residui metalliferi nella sabbia. Giunti in cima alla collina si incontrano dapprima le cave di arenaria, una pietra costituita da sabbia cementificata, molto diffusa nella zona e ampiamente utilizzata per costruire monumenti funebri. Facilmente modellabile, veniva utilizzata per costruire muri a secco giunti fino a noi in perfetto stato nonostante siano stati costruiti oltre 2500 anni fa. Di fronte alla cava la necropoli delle Grotte, interamente scavata nella parete di arenaria, propone una serie di tombe a camera che datano del IV e III secolo a.C. Lasciato quel luogo suggestivo, il sentiero che scende verso il mare è cosparso da altri sepolcri scavati nella roccia.

L’Etruria del tufo
Questo triangolo di Maremma tufacea è di una bellezza speciale. I villaggi di Pitigliano e di Sorana osservati da lontano sembrano scaturire dalla roccia vulcanica, assumono le forme e i colori del tufo in perfetta armonia con la splendida natura circostante. Affascinanti anche le viuzze dei loro borghi medievali, ma la perla del magico triangolo è forse costituita da Sovana per la suggestione arcaica del minuscolo borgo distribuito tra la Rocca degli Aldobrandeschi (centro di potere della potente famiglia feudale) e il bellissimo duomo romanico, per l’importanza e per la monumentalità delle straordinarie necropoli etrusche. Dal IV secolo a.C. l’aristocrazia agraria dominante a Sovana esibisce la propria ricchezza realizzando costosissimi e monumentali sepolcri, suggestivamente scavati nei pendii tufacei delle tre valli che circondano l’abitato con una notevole varietà di tipi architettonici. Il monumento più imponente è certamente la tomba Ildebranda realizzata nel III secolo a.C. Completamente scavata nella roccia di tufo, ricorda in maniera impressionante gli splendidi monumenti di Petra in Giordania.
I tre villaggi del magico triangolo sono collegati tra loro da strade etrusche, le cosiddette vie cave. Scavate nella roccia, sono profondamente incassate tra alte pareti tufacee e costituiscono il segno di percorsi antichi che si diramavano in tutte le direzioni dagli antichi centri abitati. Percorrendole avete l’impressione di immergervi nella notte dei tempi. L’emozione è grandissima anche per la lontana luce che le illumina, che conferisce a questi percorsi un significato sacro.

Gli affreschi di Tarquinia
La pietra su cui sorge Tarquinia è molto friabile. Non permette quindi grandi interventi scultorei. Fu probabilmente questa la ragione principale alla base dello sviluppo della pittura funeraria, che non rappresenta solo l’episodio pittorico più importante prima dell’epoca imperiale romana, ma anche una fonte preziosa di informazione sui “valori” all’insegna dei quali viveva la società etrusca, sul costume e sulle credenze soprattutto della classe aristocratica. Gli affreschi rappresentano infatti scene di vita: banchetti funerari e non, allietati da danzatori e suonatori di cetra e di flauto, giochi funebri (alcuni molto truci), riti religiosi, scene di caccia e di gioco, scene erotiche e molto altro ancora.
Delle circa 200 tombe affrescate se ne possono visitare una ventina, quasi tutte in ottimo stato di conservazione. I sepolcri tarquinesi presentano di solito un vano rettangolare a cui si accede con un corridoio a gradini scavato nella parete del colle. Il visitatore si ferma davanti a una porta in vetro che blocca l’ingresso al locale, ma che permette un’ottima visuale sulle pitture realizzate con la tecnica dell’affresco: su una parete intonacata l’artista segnava con una punta i contorni delle figure, poi applicava i colori minerali e vegetali sciolti in acqua. Le immagini sono di due tipi: decorazioni semplici simboliche e allegoriche sui soffitti e sugli spazi frontali delle pareti; decorazioni complesse, rappresentanti varie scene di vita, in genere a metà dell’altezza delle pareti.
I corredi funebri trovati nelle tombe di Tarquinia sono presentati in modo didattico nel rinnovato museo nazionale ospitato dal quattrocentesco Palazzo Vitelleschi. I dipinti di alcune tombe che erano minacciati dalle intemperie sono stati strappati e riproposti al museo, dove si possono ammirare non solo opere etrusche, ma anche preziosi oggetti, soprattutto vasi, provenienti dalla Grecia ma di proprietà dei defunti.

Una vera città dei morti
Quella di Cerveteri è la visita più suggestiva di tutto il viaggio. Per due ore, tanto dura la visita al sito archeologico, camminate nel silenzio in una vera città dei morti. Il tempo sembra essersi fermato. Con un po’ di capacità di astrazione potete immaginarvi, come fa lo scrittore Giorgio Bassani nel romanzo “Il giardino dei Finzi-Contini”, di tornare ai tempi in cui gli etruschi visitavano questo luogo così come nei nostri paesi “il cancello del camposanto era il termine obbligato di ogni passeggiata serale”. “Varcata la soglia del cimitero – scrive Bassani – dove ognuno di loro possedeva una seconda casa, e dentro questa il giaciglio già pronto su cui, tra poco, sarebbe stato coricato accanto ai padri, l’eternità non doveva più sembrare un’illusione, una favola, una promessa da sacerdoti. Il futuro avrebbe stravolto il mondo a suo piacere. Lì, tuttavia, nel breve recinto sacro ai morti famigliari; nel cuore di quelle tombe dove, insieme coi morti, si provvedeva a far scendere tutto ciò che rendeva bella e desiderabile la vita; in quell’angolo di mondo difeso, riparato: almeno lì (e il loro pensiero, la loro pazzia, aleggiava ancora, dopo venticinque secoli, attorno ai tumuli conici, ricoperti d’erbe selvagge), almeno lì nulla sarebbe mai cambiato”.
Camminando lungo il percorso trovate sepolcri di ogni epoca etrusca e di ogni genere. A seconda dello sviluppo e delle fortune della città le tombe diventano più imponenti. Con l’affacciarsi delle nuove classi sociali compaiono le cosiddette tombe a dado, soprannominate dalle guide locali le casette a schiera. In questa città dei morti, dove ognuno si costruiva la sua casa per l’aldilà a seconda delle sue possibilità e il più simile possibile a quella abitata durante la vita terrena, potete leggere e capire la vita di questo popolo straordinario. Al museo di Cerveteri, che merita una visita, sono conservati gli arredi funebri di molte tombe.
Seguiamo ancora Giorgio Bassani: “Penetrammo nell’interno della tomba più importante, quella che era stata della nobile famiglia Matuta: una bassa sala sotterranea che accoglie una ventina di letti funebri disposti dentro altrettante nicchie delle pareti di tufo, e adorna fittamente di stucchi policromi raffiguranti i cari, fidati oggetti della vita di tutti i giorni: zappe, funi, accette, forbici, vanghe, coltelli, archi, frecce, perfino cani da caccia e volatili di palude”.

L’itinerario

1° giorno
Locarno – Firenze (425 km)

2° giorno
Museo Archeologico di Firenze

3° giorno
Firenze – Populonia (169 km)
Populonia – Valpiana (40 km)

4° giorno
Valpiana – Sovana (115 km)

5° giorno
Sovana – Tarquinia (73 km)
Tarquinia – Bracciano (68 km)

6° giorno
Bracciano – Cerveteri (18 km)
Cerveteri – Firenze (314 km)

7° giorno
Firenze – Locarno (425 km)