Borgogna – Lungo la strada dei grandi vini fermenta la cultura del territorio

Borgogna – L’inebriante “Route” tra vigneti e nomi prestigiosi
Borgogna – Tra castelli e conventi la storia del Medioevo
Borgogna – Per i vini della Borgogna serve un fiuto professionale

Quando si dice Borgogna si pensa subito ai suoi vini, anche se questa terra è ricca di storia, arte e architettura. E infatti la viticoltura, con una produzione media di 200 milioni di bottiglie all’anno, di cui la metà destinate all’esportazione, e un fatturato di 1,2 miliardi di euro, costituisce un terzo delle entrate del settore agricolo, sebbene occupi meno del 2% del suo territorio. L’attività viticola genera inoltre 20 mila impieghi diretti e più di 100 mila indiretti (vetrerie, produzione di barrique e altro).
I primi documenti che attestano la produzione di vino in Borgogna risalgono all’epoca del dominio romano. Già nel VI secolo sembra che la produzione fosse elevata. Carlo Magno (742-814), proprietario di diversi vigneti nella regione di Aloxe-Corton, nel 794 fissò norme tassative che regolavano la cura delle viti e la produzione del vino. Nei secoli XI e XII furono soprattutto i monaci a praticare la viticoltura. I diversi ordini monastici, oltre a possedere varie tenute, avevano anche i mezzi finanziari, le cognizioni, le forze lavorative e soprattutto la volontà di produrre, in onore di Dio, il miglior vino possibile. Già alla corte dei duchi di Borgogna nel XIV e XV secolo i vini di questa regione godevano di buona fama. Ma fu con Luigi XIV e con il loro ingresso alla corte di Francia nel XVII secolo che i Bourgogne raggiunsero la grande notorietà. Si racconta che il medico personale del Re Sole gli prescrisse di prendere come medicina del vino di Borgogna. Fu così che all’inizio del XVIII secolo vennero fondate le prime case vinicole commerciali a Beaune. La Rivoluzione Francese portò al frazionamento delle proprietà terriere dei nobili e della Chiesa. Nel XIX secolo le innovazioni introdotte nella viticoltura e le migliori possibilità di trasporto via terra e via acqua incrementarono in grande misura il commercio e l’esportazione. Percorrendo gli itinerari che propongo questa settimana e la prossima, si potranno scoprire le zone di produzione del Bourgogne, lungo la “Route des Grands Crus” e altre strade panoramiche attraverso alcuni tra i più rinomati vigneti al mondo, dove si coltivano le uve Pinot Noir per i prestigiosi rossi (Vosne-Romanée, Vougeot, Gevrey-Chambertin, Pommard, Volnay e altri) e quelle Chardonnay per i fantastici bianchi (Montrachet, Mersault, Chablis, Pouilly-Fuissé). Paesaggi bucolici con gli splendidi vigneti nelle zone di collina, più favorevoli climaticamente, che danno origine ai “Grands Crus” e “Premiers Crus”, ma anche altri in pianura, dai quali si ricavano vini meno pregiati. Una giungla di denominazioni in cui non sempre è facile districarsi, anche quando si è sul posto.

Borgogna – Tra castelli e conventi la storia del Medioevo

Borgogna – L’inebriante “Route” tra vigneti e nomi prestigiosi
Borgogna – Lungo la strada dei grandi vini fermenta la cultura del territorio
Borgogna – Per i vini della Borgogna serve un fiuto professionale

Attraversando i vigneti dello Chablis e del Poully-Fumé, l’itinerario propone la visita di alcuni castelli cinquecenteschi e di monasteri che diedero origine ai due massimi ordini monastici del Medioevo: i benedettini di Cluny e i cistercensi di Bernardo di Chiaravalle.

Prosegue il nostro viaggio nella Borgogna, terra del “bon vivre”, con le sue città a misura d’uomo, i paesaggi bucolici, la gastronomia gustosa e raffinata e i vini sopraffini. L’itinerario che vi proponiamo si sofferma su alcune delle testimonianze architettoniche più suggestive di questo territorio, ricco di presenze di ogni epoca artistica dal romanico in poi, con più di 2 mila siti protetti, di cui oltre 800 chiese, cappelle e strutture conventuali, nonché 400 castelli, palazzi e manieri. Visiteremo alcuni “châteaux” e i monasteri che diedero origine ai due massimi ordini monastici del Medioevo: i benedettini di Cluny ed i cistercensi che con San Bernardo di Chiaravalle si opposero al loro fasto. Naturalmente senza dimenticare zone viticole importanti come quella dei vigneti Chardonnay, da cui nascono i prestigiosi Chablis, e dei Cabernet Sauvignon che sulle rive della Loira danno origine a uno dei bianchi più originali della Borgogna: il Pouilly-Fumé.

L’abbazia di Cluny, ‘luce del mondo’
Una delle mete certamente più significative del nostro viaggio in Borgogna è il monastero cistercense di Cluny. Costruito nel XII secolo era il tempio di Dio più grande di tutta la cristianità (187 metri di lunghezza con 5 campanili e oltre 300 finestre). E lo rimase fino alla costruzione di San Pietro a Roma nel XVI secolo. Purtroppo la chiesa non è riuscita a salvarsi dalle distruzioni operate dalla Rivoluzione francese e le sue gloriose pietre sono state utilizzate per costruire scuderie e strade. Le vestigia dell’abbazia rimangono tuttavia impressionanti per le loro dimensioni, che permettono di intuire quali fossero i caratteri generali della sua opulenta architettura diffusasi in tutta la Borgogna e anche oltre. Coadiuvati da un’ottima audioguida e da vari supporti multimediali i visitatori, con un po’ di fantasia, riescono a immaginare come dovesse essere questo monastero che fece esclamare al papa Urbano II: “Siete la luce del mondo!”.
Cluny, all’inizio del X secolo, fu il centro della cosiddetta riforma cluniacense, che voleva recuperare i principi originali dell’ordine dei Benedettini fondato a Monte Cassino da Benedetto da Norcia (480-547). La regola della preghiera e del lavoro, al servizio di Dio e dell’uomo, costituiva il fondamento della dottrina di San Benedetto. “Ora et labora” era il suo motto. Con la preghiera e l’espiazione il monaco si assumeva l’alto compito di rappresentare l’umanità al cospetto di Dio. Allo stesso tempo, dissodava i boschi, arava i campi e nei suoi scritti raccoglieva i tesori culturali dell’umanità per tramandarli ai posteri. Con il passare degli anni, però, i monasteri benedettini divennero sempre più legati a interessi terreni ed i loro monaci si davano placidamente ai piaceri della vita. Ecco perché a Cluny si sentiva il bisogno di recuperare i principi originali dell’ordine. Ma questo avvenne con un’accentuazione esagerata della liturgia, a scapito dell’attività lavorativa. D’altra parte, grazie all’indipendenza dal potere politico e alla concessione di sottomettere altri conventi, l’abbazia di Cluny divenne ricchissima e molto potente: si dice che l’abate detenesse il potere di un papa. Da questa ricchezza traeva origine il fasto della sua architettura.

Da Cluny a Fontenay, si torna alla semplicità
Al fasto cluniacense si oppose nel XII secolo Bernardo da Clairvaux (1090-1153). Dall’abbazia di Chiaravalle in Borgogna criticava i cluniacensi, che “non possono allontanarsi quattro leghe da casa senza portare al loro seguito sessanta cavalli” e per i quali “la luce brilla solo in un candelabro d’oro o d’argento”. Nacque così la riforma cistercense, centrata sull’abbazia di Citeaux, che propugnava il ritorno alla povertà, all’ascesi più assoluta, alla semplicità e all’attività nei campi o nelle officine del convento. Grazie alla forte personalità di San Bernardo la riforma si espanse in tutta Europa. L’architettura cistercense, a differenza di quella cluniacense, era essenziale e ogni decorazione o sfarzo non solo erano considerati sconvenienti, ma proibiti. Tutti i conventi erano caratterizzati dagli stessi tratti fondamentali ispirati a una grande purezza architettonica. Tra gli esempi più belli di questa rigorosa interpretazione dello stile romanico figura il convento di Fontenay, a poco più di un’ora in automobile da Digione. Situato in un luogo incantevole, tra il bosco e i prati, perfettamente conservato nel corso dei secoli, il complesso architettonico, patrimonio mondiale dell’umanità, ispira al visitatore una grande serenità ritmata dal canto degli uccelli.

L’abbazia di Vezalay e le cripte di Auxerre
Fu dalla basilica di Vezalay che nel 1146 Bernardo di Chiaravalle alla presenza del re di Francia Luigi VII esortò i cavalieri ad intraprendere la seconda crociata. Vezalay era un’importante stazione dove sostavano i pellegrini che si recavano a Santiago di Compostela per pregare San Giacomo. Da una piccola altura, che sovrasta la valle, l’alto campanile della basilica salutava il corteo dei fedeli. La particolarità architettonica di questo luogo di culto è costituita da una specie di chiesa esterna rispetto a quella principale, che permetteva di seguire le celebrazioni liturgiche ai numerosi pellegrini rimasti senza posto all’interno. Gran parte di questo monumento è andato distrutto nel corso dei secoli ed è stato ampiamente restaurato per non dire ricostruito. Ma il timpano del portale centrale della chiesa, opera magistrale del romanico borgognone, si è ben conservato. Raffigura il Cristo che invia gli apostoli nel mondo a compiere miracoli.
Auxerre, capitale del vino bianco Chablis, è una graziosa cittadina affacciata sul fiume Yonne. Le sue colorate case a graticcio sono allineate in stradine che salgono alla cattedrale di Saint-Etienne e all’abbazia di St-Germain. Di particolare interesse, in questi due edifici religiosi, sono le due cripte. Quella della cattedrale romanica (1025-1035) ospita affreschi eccezionali dell’XI e XII secolo. È il solo esempio noto in Francia di un Cristo circondato da angeli che cavalca un cavallo bianco. Nel corridoio della cripta dell’antica abbazia, che ospita le spoglie di San Germano, si possono invece osservare alcuni tra gli affreschi più antichi di Francia, con la raffigurazione del Giudizio, della Lapidazione di S.Stefano e di due vescovi.

Castelli borgognoni del XVI e XVII secolo
Degli oltre 400 castelli, palazzi e manieri presenti in Borgogna il nostro itinerario prevede di visitarne tre, che per diversi motivi sono particolarmente significativi.
Iniziamo dal più antico: il castello di Ancy-le-Franc, costruito nel 1546 dall’architetto bolognese e allievo del Palladio, Sebastiano Serlio (1475-1554). Questo architetto, giunto alla corte del re francese Francesco I (1494-1547) portò i princìpi del Rinascimento italiano in Francia, e il castello di Ancy-le-Franc ne è il primo modello. Le reminiscenze artistiche italiane si notano dall’eleganza sobria di questa costruzione, il cui mobilio è purtroppo stato recentemente venduto all’asta. Particolarmente suggestiva è la scena di battaglia monocroma color ocra di Niccolò dell’Abate, che si trova in una galleria del castello.
Risale a pochi anni dopo, al 1550, il Château de Tanlay situato in riva al canale di Borgogna, su cui si affaccia anche il suo parco con alberi centenari. Forse perché il suo architetto Pietro il Muto era un ex ingegnere militare, forse a causa dei curiosi obelischi a forma piramidale che si elevano all’ingresso del ponte levatoio, forse ancora per i suoi vasti fossati colmi d’acqua, questo edificio interpreta bene l’immaginario collettivo del castello classico.
Il castello di Cormatin, costruito tra il 1605 e il 1616, mezzo secolo dopo i due precedenti, risulta invece di particolare interesse per i suoi arredamenti interni, che sono stati conservati in modo eccezionale e permettono di immergersi nell’universo raffinato della nobiltà francese del XVII secolo. Mentre a Parigi e in molte altre importanti località di Francia gli arredi di quest’epoca sono scomparsi, a Cormatin, forse per la sua posizione discosta, soprattutto nell’appartamento della marchesa tutto è rimasto come se fosse stato abitato fino al giorno prima. Non mancate dunque la visita guidata che si protrae per oltre un’ora.

Un bicchiere di Chablis o di Pouilly-Fumé
Dulcis in fundo, anche in questa pagina dedicata alla Borgogna non poteva mancare un accenno ai suoi straordinari vini. Questa seconda parte del nostro itinerario in Borgogna attraversa altri due vigneti di prestigio: quelli da cui si ottengono i bianchi Chablis e Poully-Fumé.
Lo Chablis viene prodotto quasi esclusivamente con uva Chardonnay. I vigneti si estendono attorno al grazioso villaggio di Chablis, dove il terreno in prevalenza calcare favorisce la produzione di un vino perfettamente secco, dal colore paglierino, dal profumo delicatissimo, dal sapore gentile e adatto all’invecchiamento, come la maggior parte dei bianchi della Borgogna.
L’ultima tappa enologica del nostro itinerario si svolge lungo la Loira. La nostra meta è Poully-sur-Loire, una regione dove i due terzi dei vigneti sono costituiti dal vitigno Chasselas, da cui si ricava un vino semplice e genuino da consumarsi giovane. Nel rimanente terzo cresce invece la stupenda uva bianca Sauvignon, che in questi paraggi viene pure chiamata “Blanc-Fumé”, dalla quale si ricavano i favolosi bianchi Poully-Fumé, chiari, arzilli, saporiti e normalmente secchi, che vengono imbottigliati dopo un anno e che non vanno confusi con i Poully-Fuissé, prodotti nel Mâconnais con uva Chardonnay.

Itinerario
1° giorno (530 km) Locarno – Beaune
2° giorno (40 km) Beaune – Santenay – Beaune
3° giorno (50 km) Beaune – Dijon
4° giorno Dijon
5° giorno (200 km) Dijon – Fontenay – Ancy-le-Franc – Tanlay – Chablis – Auxerre
6° giorno (350 km) Auxerre – Vézelay – Pouilly-sur-Loire – Cluny
7° giorno (150 km) Cluny – Cormatin – Beaune
8° giorno (530 km) Beaune – Locarno

Per saperne di più
Bourgogne Geoguide, Paris 2014
Borgogna e Champagne-Ardenne La guida verde Michelin, Milano 2008
Bourgogne Petit Futé, Paris 2014

Borgogna – Per i vini della Borgogna serve un fiuto professionale

Borgogna – L’inebriante “Route” tra vigneti e nomi prestigiosi
Borgogna – Tra castelli e monasteri medioevali
Borgogna – Lungo la strada dei grandi vini fermenta la cultura del territorio

Visitare la Borgogna mi ha permesso di vivere due grandi passioni contemporaneamente: quella per i viaggi e quella per il vino. Ma se preparare un itinerario mi riesce sempre piuttosto facile, consultando guide cartacee, internet e racconti di viaggio, così non è per l’enologia. L’anno scorso nella regione di Bordeaux e quest’anno in Bourgogne, le patrie, forse, dei più grandi vini al mondo, mi sono sentito frustrato.
Certe cantine sono inaccessibili e nei ristoranti, anche quelli stellati, è raro trovare ottimi vini al bicchiere. Quando ti portano la carta, se non sei più che esperto, finisci per ordinare quelle stesse bottiglie blasonate che potresti bere in qualsiasi grande ristorante del mondo. E, anzi, certi produttori prediligono l’esportazione ai clienti locali. In terra francese – e sembra un paradosso – le scoperte enologiche non sono facili. Una sera mi è sembrato di aver degustato un grande Chablis e il sommelier mi ha dato il nome dell’enoteca dove era disponibile. Il mattino dopo mi precipito per acquistarne alcune bottiglie, ma di quel vino non ne rimaneva neppure una. Chiedo allora di consigliarmi altri Grand Cru, che dovrebbero essere i vini migliori, non solo i più cari. L’enologo mi risponde che non vale la pena di scegliere Grand Cru e mi consiglia altre bottiglie (che, tra l’altro, si sono rivelate ottime).
Tornato in Ticino telefono a Paolo Basso, campione del mondo dei sommeliers, e gli racconto di queste mie “frustrazioni”. “In effetti – mi spiega – in Borgogna non è facile fare grandi scoperte. I vini di elevata qualità sono rari. Ma questo è anche il grande fascino di questa terra, che dispone di due soli vitigni: lo Chardonnay per i bianchi ed il Pinot Nero per i rossi. Qui l’ingrediente è uno solo e non è quindi possibile, come invece avviene nella regione di Bordeaux, migliorare la qualità giocando la carta dell’assemblaggio di uve diverse”.
La legislazione in Borgogna suddivide i vini in 5 diverse categorie a seconda della posizione dei vigneti. Si tratta di una gerarchia molto chiara con i ‘Grand Cru’ al primo posto e i ‘Premier Cru’ al secondo. I prezzi seguono il prestigio della denominazione e del produttore, che rappresenta il vero parametro di qualità. Ma la posizione del vigneto costituisce un solo elemento nella qualità di un vino, che dipende anche da come si lavora tra le vigne e in seguito in cantina. Quanto influiscono questi altri due elementi?, chiediamo a Paolo Basso. “In modo determinante. Succede infatti spesso che alcuni ‘Premier Cru’ siano superiori ai ‘Grand Cru’ grazie alla maestria del viticoltore e del vinificatore”. Ma come districarsi allora in questa giungla? “Affidandosi all’esperienza degli esperti. Il nostro mestiere è proprio quello di scoprire i buoni vini, che hanno un ottimo rapporto prezzo/qualità. Quando decido di presentare un produttore sull’offerta della “Paolo Basso Wine”, lo faccio solo dopo avere assaggiato tutta la sua gamma di prodotti, anche di diverse annate, e dopo avere discusso con lui e visitato i suoi vigneti”. Basso rappresenta 11 cantine della Borgogna. Quali sono i suoi vini favoriti di questa regione? “In Borgogna si producono senza dubbio i migliori vini bianchi al mondo: i due ineguagliabili sono i “Montrachet” ed i “Corton Charlemagne”.

Francia – A Bordeaux, la capitale mondiale del vino

Francia – Dove nascono i migliori vini rossi al mondo

Questo itinerario non presenta nessuna punta eclatante, ma si compone di una serie di perle che inanellate una dopo l’altra in un filo conduttore permettono di assemblare una collana davvero piacevole costituita da natura, cultura ed enogastronomia.

La Francia, come anche l’Italia e la Spagna, rappresenta una meta vicina, ricca di spunti e di scoperte. Rimango sempre più affascinato dall’atmosfera che si percepisce nelle cittadine francesi e dalla pace che ispirano i vasti panorami di campagna. L’itinerario che sto per descrivere non presenta nessuna punta eclatante o particolarmente spettacolare, ma si compone di una serie di perle che infilate una dopo l’altra in un filo conduttore coerente permettono di assemblare una collana davvero piacevole, costituita da natura, cultura ed enogastronomia. La meta del viaggio è la regione di Bordeaux con la sua straordinaria tradizione enologica. Il nostro intento non era però quello di girare per cantine, bensì alla scoperta di un territorio che dà origine ai migliori vini al mondo. Anche lungo la strada di andata e ritorno dal Ticino, grazie alla guida sicura della Michelin Verde, abbiamo scoperto alcune chicche.

Borghi medievali lungo il tragitto
Ed iniziamo allora da una di queste scoperte: Le Puy-en-Velay, a circa sei ore d’auto dal Ticino. Situata nel fertile bacino bagnato dalla Loira, la città è famosa per i suoi picchi di origine vulcanica (i puys) che sorgono dalla pianura e dai quali si godono splendidi panorami. Il sobrio centro storico, caratterizzato da austeri edifici in granito e lava, è dominato dalla splendida cattedrale romanica (XI e XII secolo) di influenza araba. Costituiva una tappa, come altri edifici religiosi che incontreremo successivamente, sul cammino dei fedeli in pellegrinaggio verso Santiago de Compostela. Sin dal XVII secolo Le Puy-en-Velay è nota anche per i suoi pizzi al tombolo. In campo gastronomico sono rinomate le sue lenticchie, che si possono gustare nel ristorante con alloggio di Francois Gagnaire, cuoco stellato Michelin.
Prima di raggiungere il Bordolese zigzaghiamo tra l’Auvergne e il Périgord alla scoperta di due altri borghi medievali: Conques e Rocamadour. Oltre tre ore di automobile su strade secondarie ci separano dalla prima meta, situata in una valle sperduta. Tanto che ci chiediamo se valesse davvero la pena di allungare il percorso. Un dubbio che scompare immediatamente quando ci troviamo davanti uno splendido borgo con i suoi edifici dorati dai raggi del sole. Qui il tempo sembra essersi fermato e si può immaginare lo stupore dei pellegrini in cammino per Santiago di fronte a questa piccola perla costruita a forma di conchiglia (da qui il nome). Forse per la sua posizione discosta il villaggio è poco compromesso dal turismo, sebbene la sua chiesa dell’XI secolo offra uno splendido portale romanico e un tesoro di oreficeria religiosa tra i più importanti di Francia.
In posizione spettacolare, situato sulle falesie della gola scavata dal piccolo fiume Alzou, sorge il borgo di Rocamadour, dominato dal suo castello, che si erge a 125 metri dal fondovalle e con il quale è collegato da un ascensore. A metà montagna, tra l’abitato e il castello, sorge la città religiosa del XII secolo, importante meta di pellegrinaggio nel passato. Lungo il fiume si allinea invece una pittoresca confusione di vecchie case, vie a gradini, torri, piccole piazze a terrazza, chiese e cappelle. Data la sua posizione vicina all’autostrada che collega Parigi a Toulouse e avendo fatto molte concessioni al turismo Rocamadour non ha la magia di Conques. Non si lasci il villaggio prima di aver assaggiato il torrone locale (nougat): una vera leccornia!

Da Sauternes verso Bordeaux
In serata – siamo al secondo giorno di viaggio – giungiamo a Sauternes. Poche case, strette attorno a una chiesetta, sorgono all’interno di un’enorme estensione di vigneti. Il villaggio che dà il suo nome al vino bianco più famoso al mondo: Château d’Yquem Sauternes. Solo le cantine di una zona molto ristretta hanno però diritto a stampare sull’etichetta la prestigiosa denominazione.
In autunno in questa vallata, attraversata dal fiume Ciron (affluente della Garonne), quando la temperatura cala si formano le prime nebbie e l’umidità si posa sui grappoli. Nel corso della giornata, quando l’aria si riscalda, dalle bucce umide dell’uva spunta un fungo chiamato Botrytis cinerea, che ha la proprietà di togliere l’acqua dagli acini e di incrementarne così il contenuto di fruttosio e di glicerina, facendo raggrinzire e marcire i grappoli. È a questo punto che si vinifica. Secondo una leggenda il marchese Romain-Bertrand de Lur-Saluces scoprì questo fenomeno quando, a causa di un contrattempo, fu costretto a prolungare un viaggio in Russia. Tornato al Château d’Yquem provò ugualmente a vinificare e … nacque il Sauternes.
Non più di 50 chilometri di territorio completamente vignato lungo il fiume Garonne ci separano da Bordeuax. Ma in queste zone (Première Côte de Bordeaux e Entre Deux Mer) non si producono i grandi vini della regione. Le percorriamo zigzagando per la campagna alla scoperta di testimonianze del passato: pittoreschi villaggi, sontuosi castelli, chiesette romaniche e monasteri immersi nei vigneti. La prima tappa è il borgo medievale di Saint-Macaire, un villaggio da cartolina ma molto vissuto e non ancora trasformato in museo all’aperto. A Verdeleais, lungo la Garonne, visitiamo la tomba del celebre pittore Toulouse-Lautrec e saliamo su una collina con una vista sterminata sui vigneti. Non molto distante sorge l’idilliaco Château de la Brède, residenza del barone di Montesquieu (1689-1755), uno dei padri della democrazia moderna. Fa parte di un’immensa tenuta, gestita dal filosofo francese, che oltre ad essere stato presidente del parlamento di Bordeaux produceva vino e lo vendeva agli Inglesi. Nella regione dell’Entre-deux-Mers visitiamo tre graziose chiesette romaniche tra i vigneti (Ste-Croix-du-Mont, Huax e St-Genès-de-Lombaud), con le campane incorporate nella facciata, e le affascinanti rovine dell’abbazia benedettina Sauve-Majeure, che fu fondata nel 1079 da San Gerardo e vanta un passato di grande prestigio. In serata raggiungiamo Bordeaux.

Bordeaux, tra passato e futuro
È amore a prima vista. Bordeaux appare austera, ma anche vivace e dinamica. Il suo centro storico, che si può piacevolmente visitare a piedi, è caratterizzato soprattutto da un’architettura settecentesca, di cui conserva oltre 5mila palazzi in pietra di un caldo color ocra. L’unità stilistica la si nota soprattutto lungo la piacevole passeggiata che costeggia la “rive gauche” della Garonne, il fiume che pochi chilometri più avanti si getta in un’insenatura del mare. Ed è proprio il collegamento con l’Oceano Atlantico uno dei fattori del successo economico di Bordeaux, oltre naturalmente il privilegio di essere la capitale della regione vinicola più prestigiosa al mondo. Ma la città vecchia, animata da numerose piazzette su cui si affacciano i tipici “café” alla francese, è ricca anche di testimonianze architettoniche medievali. Tra gli edifici religiosi il più imponente è certamente la cattedrale, caratteristica per il suo campanile (flèche) separato dal corpo principale, ciò che la accomuna alla vicina basilica St-Michel. Tra i palazzi pubblici spiccano il Grand Théâtre, orgoglio cittadino, che domina Place de la Comédie, e la Borsa, che caratterizza l’omonima piazza in riva al fiume e si specchia sdoppiandosi in un’originale fontana concepita da Michel Courajoud. Quest’opera sembra voler evidenziare quanto questa città intenda valorizzare il proprio passato, ma anche volgere lo sguardo verso il futuro. Lo dimostra pure la presenza di altri interessanti interventi architettonici moderni come il Tribunal de grande instance costruito nel 1998 dall’architetto Richard Rogers, autore del Centre Pompidou a Parigi, e il Quartier Mériadeck che ospita gli edifici dell’amministrazione regionale progettati negli anni Settanta con interessanti proposte architettoniche. Molti di questi palazzi avrebbero ormai bisogno di qualche intervento di manutenzione.
Per chi ama lo shopping consigliamo di percorrere le piacevoli vie pedonali Rue Ste-Catherine e il Cours de l’Intendance che sfociano entrambe in Place de la Comédie. Chi invece è appassionato di vino si stupirà di trovare a Bordeaux meno Winebar con i grandi vini francesi di quanti non ne troverebbe in qualsiasi altra capitale europea.

Itinerario

1° giorno
Locarno-Le Puy-en-Velay (612 km)

2° giorno
Le Puy-en-Velay-Conques-Rocamadour-Sauternes (586 km)

3° giorno
Sauternes-La Brède-Bordeaux (107 km)

4° giorno
Bordeaux

5° giorno
Bordeaux-Arcachon-Pyla sur Mer (80 km)

6° giorno
Bordeaux-Haut Médoc-Libourne (140 km)

7° giorno
Libourne-Pétrus-St. Émilion (70 km)

8° giorno
St. Émilion-Périgord Noir-Sarlat (150 km)

9° giorno
Sarlat-Locarno (924 km)

Bibliografia
Francia Guida Michelin, Milano 1997
Francia Touring Club Italiano, Milano 1994
Francia Sud-Ovest La Guida Verde Michelin, Milano 2008

Francia – Dove nascono i migliori vini rossi al mondo

Francia – A Bordeaux, la capitale mondiale del vino

Un itinerario tra mare e colline, nelle regioni dell’Haut-Médoc, del Pomerol e del Saint Èmilion, alla scoperta di un territorio che dà origine ai migliori vini al mondo e ad altre prelibatezze per il palato come gli allevamenti di ostriche nel Bassin d’Arcachon con la duna più grande d’Europa.

Prosegue il nostro itinerario nella regione di Bordeaux con la sua straordinaria tradizione enologica. Il nostro intento non era però quello di girare per cantine, bensì alla scoperta di un territorio che dà origine ai migliori vini del mondo e ad altre prelibatezze per il palato. Anche lungo la strada del ritorno in Ticino, grazie alla guida sicura della Michelin Verde, abbiamo scoperto luoghi romantici e meravigliosi nel Périgord lungo le rive della Dordogna.

Nella patria delle ostriche
Il mattino del quinto giorno di viaggio lasciamo a malincuore – perché l’abbiamo molto amata – Bordeaux per dirigerci verso il Bassin d’Arcachon e verso l’Oceano Atlantico. Il bacino è un’insenatura lungo l’oceanica Costa d’Argento che si estende verso la Spagna, una laguna pescosa con l’acqua dolce del fiume Eyre e il sale delle maree. Simbolo di questo bacino è la cosiddetta Pinasse, un’imbarcazione dai colori vivaci a chiglia piatta costruita in legno di pino (da qui il nome). Pittoresche anche le variopinte capanne dei pescatori che si affacciano sullo specchio d’acqua. Ma il Bassin, sin dal tempo dei romani, è famoso per le sue ostriche. Fino a metà Ottocento erano selvatiche, in seguito iniziarono a scarseggiare e si dovettero allora escogitare metodi di allevamento. Si depositano così nell’acqua mattoni rivestiti di calce, sui quali si insediano le larve delle ostriche. Attraverso numerosi interventi manuali i molluschi vengono trattati per tre anni prima di finire sui tavoli dei più rinomati ristoranti di Francia. Il procedimento è bene illustrato alla “Maison de l’huître” nel villaggio di Guyan-Mestras, la capitale delle ostriche.

Tra mare, pinete e dune di sabbia
La regione del Bassin d’Arcachon offre innumerevoli possibilità di svago a contatto con la natura: passeggiate, gite in canoa, un centro ornitologico. Ma per chi non ha troppo tempo a disposizione l’attrazione più spettacolare è certamente rappresentata dalla Dune du Pilat. Lunga 2,7 chilometri, larga 500 metri e alta 105 è la più elevata d’Europa. È situata tra l’oceano (a ovest) e una fitta pineta (a est). Una passeggiata lungo la cresta della duna, accompagnati dal rumore del vento e delle onde che si infrangono sulla spiaggia, offre un’indimenticabile vista sull’Atlantico, sul mare di sabbia e sulla foresta, in un tripudio di colori.
Prima di lasciare questa splendida regione vale la pena di visitare Arcachon, una località balneare di fine Ottocento. Voluta da due astuti banchieri (i fratelli Pereire) fu concepita ex novo, grazie al prolungamento della ferrovia da La Teste, ex luogo di villeggiatura dei bordolesi, fino alla nuova Arcachon, dove vennero create moderne infrastrutture e costruite villette ai bordi del bosco e non lontano dal mare. Qui si veniva non tanto per la tintarella e i bagni di mare quanto per l’aria salubre. Da quando Napoleone III vi fece visita diventò una località alla moda frequentata da nobili, uomini d’affari, letterati, artisti e musicisti di grido come Toulouse-Lautrec, Sartre, Debussy, Alexandre Dumas, Cocteau e molti altri. Sulla collina, una sorta di Beverly Hills alla francese, rimangono molte di quelle costruzioni di fine Ottocento-inizio Novecento. Parecchie sono state restaurate, altre sono chiuse, ma passeggiando per le “Allée” (così si chiamano le strade) sembra di tornare indietro negli anni e di rivivere il tempo della Belle époque.

I sontuosi châteaux dell’Haut-Médoc
Il nostro viaggio volge al termine, ma i prossimi due giorni, il sesto e il settimo, sono dedicati alla scoperta delle regioni da cui provengono i vini rossi più prestigiosi del mondo: Haut-Médoc, Pomerol e Saint-Èmillion.
Iniziamo dall’Haut-Médoc, una regione che si estende sulla sponda destra della Gironde, un’insenatura del mare, dove i fiumi Dordonne e Garonne si incontrano prima di sfociare nell’oceano. Poco oltre la confluenza dei due fiumi, in direzione del mare, alla fine del Seicento fu costruito Fort Médoc (si può visitare), che faceva parte di un sistema di difesa per impedire alla flotta inglese di raggiungere Bordeaux.
La tradizione viticola della regione risale ai tempi del re Sole. È questa la patria per eccellenza dei Grands Crus Classés, voluti da Napoleone III nel 1855 in occasione dell’esposizione universale di Parigi per mettere il più possibile in luce i prodotti francesi di qualità. Si distinsero così diversi livelli: dal premier fino al cinquième grand cru. Questa classificazione, che fu decisa dai commercianti e non da un giudice super partes, detta legge ancora oggi. Percorrendo la strada statale D2 si attraversano immense e armoniose distese di vigneti suddivisi in sei giurisdizioni comunali: Margaux, Moulis, Listrac, Saint-Julien, Pauillac e Saint-Estephe. I vigneti più pregiati sorgono lungo pendii rivolti verso la Gironde e hanno la caratteristica di immagazzinare il calore durante il giorno per poi restituirlo durante le ore notturne. Nella regione, che fornisce solo l’8 per cento dei vini del bordolese, si coltivano i vitigni Merlot, Cabernet-Sauvignon, Cabernet Franc, Petit Verdot e Malbec. Da un’assemblaggio di queste uve nascono bottiglie prestigiose vendute a prezzi vertiginosi. Per visitare gli châteaux più rinomati, quasi tutti ottocenteschi e frutto della cosiddetta “aristocratie du bouchon”, è necessario prenotare con molto anticipo. Ma ci si può fare un’idea del loro valore economico e del business che si nasconde dietro edifici tanto sontuosi anche vedendoli dall’esterno. Vale pertanto la pena di soffermarsi, viaggiando da sud a nord, davanti a Château Siran appartenuto agli avi del pittore Toulouse-Lautrec, all’armonioso Château Margaux, a Château Beychevelle, al maestoso Château Lafite-Rothschild e al curioso Château Cos-d’Estournel dalla silhouette orientale.
Lasciamo l’Haut-Médoc attraversando la Gironde in traghetto da Lamarque verso Blaye per dirigerci, sempre tra paesaggi vignati, ma di prestigio minore, verso altre mecche del vino: Pomerol e St-Èmilion.

Nella patria di Petrus
Qui il clima meno marittimo e più continentale rispetto al Médoc, quindi più fresco andando verso l’autunno, fa sì che il Cabernet Sauvignon incontri sovente difficoltà a maturare completamente: ecco quindi che il taglio viene maggiormente caratterizzato dal Merlot, integrato dal Cabernet Franc: è questo che fa la differenza rispetto al Médoc. A nord-est della graziosa cittadina di Libourne, con la sua bella piazza centrale, si trova la piccolissima regione del Pomerol, dove viene prodotto forse il più grande vino rosso al mondo, il Petrus (100% Merlot). La sua cantina è anonima e non segnalata, ma costituisce una mecca per gli amanti del vino. A sud-est di Libourne si estende invece la regione del Sain Èmilion, dove è piacevole perdersi per le stradine tra i vigneti alla ricerca di graziose chiesette romaniche (Montagne, St-Georges, St-Christophe-des-Bardes, St-Hippolyte) e di castelli più antichi di quelli dell’Haut-Médoc, come per esempio Château de Pressac dove venne firmato il trattato che mise fine alla guerra dei Cent’anni. Tra queste vigne gloriose scorgiamo anche un segno del Ticino, tracciato dalla penna dell’architetto Mario Botta: lo splendido Château Faugères che dialoga magistralmente con il paesaggio circostante.
Questa regione non soddisfa però solo le papille gustative ma anche il “plaisir des yeux” , come dicono i francesi. Saint-Èmilion è infatti uno splendido borgo medievale costruito con una pietra dorata, ricco di graziose piazzette e sinuose viuzze e iscritto nella lista dei Patrimoni mondiali dell’Unesco. Di particolare interesse l’Èglise monolithe, una chiesa benedettina a tre navate che a partire dal IX secolo fu scavata nella roccia: quindi più opera scultorea che creazione architettonica. Unica in Europa per le sue dimensioni: 38 metri di lunghezza, 20 di larghezza e 11 di altezza.

Nel Périgord Noir lungo la Dordogne
Eccoci giunti all’ultimo giorno di visite, prima del viaggio di rientro. Ci spostiamo verso est per circa 100 chilometri per visitare un’incantevole e romantica regione – il sud del Périgord Noir – risalendo il fiume Dordogne lungo un’opulenta valle dominata da una schiera di roccaforti. Il percorso del fiume si snoda tra campi fioriti delimitati da pioppi. Il paesaggio è incantevole, fiabesco. La prima tappa è il Castello di Milandes, dove visse a lungo la nota e provocante artista Joséphine Baker (1906-1975). Un percorso museografico racconta la sua vita avventurosa. Più avanti i castelli di Beynac e di Castelnaud (archetipo del castello medievale dei libri di storia), situati uno in faccia all’altro, ci ricordano le interminabili battaglie tra Francesi e Inglesi nel XIII e nel IVX secolo. Da Domne, un incantevole villaggio che domina una collina, la vista abbraccia tutta la valle della Dordogna segnata dal fiume che si snoda tra i campi disseminati di villaggi e fattorie. Forse il più incantevole di questi borghi è La Roque-Gageac, aggrappato a una falesia con le case dai colori caldi della pietra allineate lungo la Dordogne. Sulla cresta della falesia si può passeggiare lungo i viali dei Giardini di Marqueyssac per raggiungere un belvedere che domina la valle a picco sopra il villaggio La Roque-Gageac. Beynac-et-Cazenac è un altro borgo abbarbicato su un’altra impressionante falesia. Ultima meta, dulcis in fundo, è Sarlat-la-Caneda, una romantica cittadina medievale costruita con una pietra color ocra biondo, in cui è piacevole perdersi per le strette viuzze che sfociano in graziose piazzette. Il borgo, spesso utilizzato come set cinematografico, è stato scelto nel 1962 dal Governo francese come intervento pilota di salvaguardia dei nuclei storici di valore.

Itinerario

1° giorno
Locarno-Le Puy-en-Velay (612 km)

2° giorno
Le Puy-en-Velay-Conques-Rocamadour-Sauternes (586 km)

3° giorno
Sauternes-La Brède-Bordeaux (107 km)

4° giorno
Bordeaux

5° giorno
Bordeaux-Arcachon-Pyla sur Mer (80 km)

6° giorno
Bordeaux-Haut Médoc-Libourne (140 km)

7° giorno
Libourne-Pétrus-St. Émilion (70 km)

8° giorno
St. Émilion-Périgord Noir-Sarlat (150 km)

9° giorno
Sarlat-Locarno (924 km)

Bibliografia
Francia Guida Michelin, Milano 1997
Francia Touring Club Italiano, Milano 1994
Francia Sud-Ovest La Guida Verde Michelin, Milano 2008

Francia – In Provenza sulle tracce di Vincent van Gogh

Francia – In Provenza sulle orme di van Gogh e Cézanne
Francia – In Provenza nei paesaggi cari a Paul Cézanne
Francia – Aix, la città “ingrata” di Paul Cézanne

Il nostro viaggio si sviluppa tra Arles e St. Rémi, attraversando la splendida catena montuosa delle Alpilles tra paesaggi indimenticabili alla ricerca dei luoghi in cui Vincent piantò il suo cavalletto per interpretare a suo modo quella natura esuberante.

Vincent van Gogh è il pittore che suscita in me le emozioni più forti. Davanti ai suoi quadri non devo pensare. Sono diretti. Comunicano con i miei sensi. Mi trasportano nel suo mondo, dove la natura ha un ruolo predominante. I suoi fiori, i cipressi e gli ulivi, i campi di grano, le notti stellate ci parlano. Ma quale rapporto hanno con la realtà queste opere straordinarie? Per cercare di intuirlo ho organizzato un itinerario in Provenza, dove Vincent ha realizzato molti dei suoi dipinti più significativi, attratto da quel sud in cui molti artisti del suo tempo vedevano il luogo ideale per sviluppare il proprio potenziale creativo.

La scoperta della luce nella Francia del sud
Il nostro viaggio nella Provenza di van Gogh si sviluppa tra Arles e St. Rémi attraversando la splendida catena montuosa delle Alpilles, che offre paesaggi indimenticabili proponendo una sorta di Alpi in miniatura, dove le cime non superano mai i 700 metri di altezza. La nostra guida ci conduce tra quei panorami straordinari alla ricerca dei luoghi in cui van Gogh piantò il suo cavalletto per interpretare a modo suo quella natura esuberante. Ma oltre alla guida ci accompagnano gli scritti di Vincent, che ho riletto preparando questo viaggio e scrivendo questo “diario”. Mi hanno appassionato come la lettura di un romanzo e mi hanno rivelato un Vincent letterato che non conoscevo. Qui di seguito, per quanto possibile, descriverò il nostro itinerario dando la parola a van Gogh, pescando liberamente alcuni passaggi significativi tra le innumerevoli lettere al fratello Theo, alla sorella, a Gauguin e ad altri amici, per descrivere la sua Provenza, dove arriva nel febbraio del 1888, quando “ci sono dovunque almeno 60 centimetri di neve. (…) Ma ben presto il tempo è cambiato e si è fatto più mite – ho così avuto modo di conoscere questo mistral”, il vento provenzale che solitamente porta il bel tempo, pulisce l’aria e dona profili nitidi alla natura. “Poiché mai ho avuto una simile fortuna, qui la natura è straordinariamente bella. Tutta la cupola del cielo è ovunque di un azzurro meraviglioso, il sole ha un irraggiamento di zolfo pallido ed è dolce e affascinante come la combinazione dei celesti e dei gialli nei Van der Meer di Delf. (…) Comincio a sentirmi del tutto diverso rispetto al momento in cui sono venuto qui, non ne dubito, non ho più esitazioni nell’iniziare qualcosa, e questa situazione potrebbe evolvere ulteriormente. Ma che natura! (…) Al tramonto, ieri ero in una brughiera pietrosa dove crescono querce piccole (nella regione di Arles ndr.) e contorte, sullo sfondo una rovina in cima a un colle, e nella valle campi di grano. Non poteva essere più romantico. (…) E tutte le linee erano belle, l’insieme di una nobiltà incantevole. (…) Stando qui a lungo credo che diverrei completamente del paese. (…) Sto lavorando accanitamente, perché gli alberi sono in fiore e volevo fare un giardino di Provenza di straordinaria gaiezza”.
Ma la sua malattia mentale purtroppo si scatena in occasione di un lungo soggiorno dell’amico Paul Gauguin ad Arles, quando Vincent manifesta propositi omicidi e per punirsi si taglia il lobo di un orecchio. Lo va in seguito ad offrire alla prostituta di un bordello che frequentava assieme a Gaugin. Dopo quel tragico episodio sarà lui stesso a chiedere di essere internato in un manicomio. Finisce così l’epoca del soggiorno ad Arles (febbraio 1888-maggio 1889) per iniziarne un’altra a pochi chilometri di distanza nella casa di cura di Saint-Paul-de-Mausole, un antico monastero francescano adibito a ospedale psichiatrico nei pressi di Saint-Remy. Vincent vi soggiorna un anno per poi trasferirsi a Auvers-sur-Oise dove il 27 luglio 1890, in preda a una crisi, si toglie la vita sparandosi un colpo di rivoltella al petto.
Ad Arles rimangono poche tracce di van Gogh. La casa gialla che si affacciava su piazza Lamartine abitata dall’artista è andata distrutta durante la seconda guerra mondiale. Rimane invece l’ospedale, immortalato in un celebre dipinto, in cui il pittore fu ricoverato dopo essersi ferito all’orecchio. Altri luoghi in città sono stati ritratti da Vincent, ma ovviamente, sia l’agglomerato urbano sia la campagna, in un secolo sono molto mutati. Non così è stato invece per i luoghi attorno alla casa di cura, nella campagna di Saint-Remy, che sono rimasti assolutamente intatti e dove si possono ancora ammirare gli alberi secolari interpretati da Vincent. Ma diamogli di nuovo la parola attraverso le sue lettere.

La casa di cura di Saint-Rémy
Credo proprio che Peyron (il medico che lo ha in cura ndr.) abbia ragione quando dice che non sono pazzo propriamente parlando, perché il mio pensiero è assolutamente normale e chiaro nel frattempo e perfino più che in precedenza. Ma nelle crisi è tuttavia terribile e allora perdo conoscenza di tutto. Ma ciò mi spinge al lavoro e alla serietà come un carbonaio sempre in pericolo si affretta in ciò che fa. (…) Il lavoro mi distrae infinitamente più di ogni altra cosa e se un giorno potessi metterci dentro tutta la mia energia sarebbe probabilmente la migliore medicina. (…) Con un altro anno di lavoro forse arriverò a una sicurezza di me dal punto di vista artistico. Ed è sempre qualcosa che vale la pena di cercare. Ma bisogna che abbia un po’ di fortuna”.
Dopo le crisi Vincent è costretto in camera – se ne può visitare una simile a quella da lui occupata – e allora dipinge il paesaggio che vede dalla sua finestra attraverso le sbarre di ferro. Ecco la descrizione del quadro: “In primo piano un campo di grano devastato e sbattuto a terra da una tempesta. Un muro di recinzione e al di là il verde-grigio di qualche ulivo, delle casupole e delle colline. Infine, nella parte alta della tela, una grande nuvola bianca e grigia immersa nell’azzurro. È un paesaggio di una semplicità estrema anche di colorazione”.
Nei periodi in cui la salute glielo consente vive all’aperto. “Non avendo tela in questi ultimi giorni ho percorso in lungo e in largo il paese e comincio a sentire di più l’insieme della natura nella quale vivo. In futuro ritornerò forse anche spesso sugli stessi motivi di Provenza”. Racconta allora di lavorare negli uliveti e di ritrarli “con duro e grossolano realismo”. E poi parla dei cipressi “così caratteristici del paesaggio della Provenza” e descrive le sue emozioni. “Fino a ora non ho potuto farlo come lo sento; di fronte alla natura mi prendono emozioni che giungono fino allo svenimento e allora per quindici giorni non sono più capace di lavorare”.
Un altro tema affrontato da Vincent è quello dei campi di grano. Ecco la descrizione di una tela: “Lo studio è interamente giallo, terribilmente impastato, ma il modello era bello e semplice. Vidi allora in quel falciatore – vaga figura che lotta come un ossesso in piena canicola per terminare il suo lavoro – vidi in lui allora l’immagine della morte, nel senso che l’umanità sarebbe il grano che viene falciato. Se vuoi, è dunque l’opposto di quel seminatore che avevo tentato qualche tempo fa. Ma in questa morte, niente di triste, tutto accade in piena luce con un sole che inonda tutto con una luce d’oro fino”.
Vincent non manca di immortalare anche gli splendidi paesaggi delle Alpilles. “Per il momento ho in cantiere un quadro di un sentiero fra le montagne con un piccolo ruscello che scorre tra le pietre. Le pietre sono di un lilla compatto, grigio e rosa, con, qua e là, cespugli di bosso e alcune specie di ginestre che, in autunno, prendono ogni sorta di colore, verde, giallo, rosso, bruno. In primo piano il ruscello è bianco, fa la schiuma come se avesse sapone; più in là riflette l’azzurro del cielo”.
A Saint-Remy van Gogh lavora anche sul soggetto dell’autoritratto. “Si dice – e io lo credo volentieri – che sia difficile conoscere se stessi, ma non è neppure facile dipingere se stessi. Così io attualmente lavoro a due miei ritratti – in mancanza di altri modelli – perché è tempo che faccia qualche figura. Uno l’ho iniziato il primo giorno che mi sono alzato, ero magro, pallido come un diavolo. È azzurro-viola scuro e la testa biancastra con capelli gialli, dunque un effetto di colore. Ma poi ne ho cominciato un altro di tre quarti su fondo chiaro”.

Bibliografia
Paul Gauguin, Vincent e Theo van Gogh, Sarà sempre amicizia tra noi, Milano 2002
Vincent van Gogh, 150 lettere a cura di Marco Goldin, Linea d’Ombra 2012
Druick e Zegers, van Gogh e Gaugin Lo studio del Sud, Milano 2002
E. H. Gombrich, La storia dell’arte Milano 1998
Provenza La guida verde Michelin, Milano 2008

Francia – In Provenza sulle orme di van Gogh e Cézanne

Francia – In Provenza sulle tracce di Vincent van Gogh
Francia – In Provenza nei paesaggi cari a Paul Cézanne
Francia – Aix, la città “ingrata” di Paul Cézanne

Coniugare la Provenza, una delle più belle regioni di Francia, con l’arte di due pittori che più di ogni altro hanno celebrato le sue bellezze naturali è stato il tema di una settimana di viaggio. Abbiamo percorso due itinerari: uno sulle orme di Cézanne nella regione di Aix e l’altro sulle tracce di van Gogh tra Arles e Saint-Rémy attraversando le Alpilles e passando per il romantico villaggio di Baux. La preparazione del viaggio mi ha consentito di riscoprire le lettere in cui Vincent van Gogh esprimeva al fratello Theo e ai suoi familiari e amici tutte le sue speranze. “La corrispondenza di questo pittore umile e quasi autodidatta – come scrive Ernst H. Gombrich nella sua “Storia dell’arte” (Milano 1998) – ignaro della celebrità che lo attendeva, è fra le più commoventi e interessanti di ogni letteratura”. Queste sue lettere, che cito ampiamente nell’itinerario, testimoniano della sua inconsapevolezza di ciò che stava diventando per l’umanità intera: uno dei più grandi pittori di tutti i tempi e forse il più amato perché “bramava un’arte scevra di cerebralismi – è ancora Gombrich che parla – che non richiamasse soltanto l’attenzione dei ricchi intenditori, ma desse gioia e consolazione a ogni creatura umana”. “Io come pittore – scriveva sconsolato van Gogh nel maggio del 1889 al fratello Theo – non esprimerò mai niente di importante”. Squattrinato, doveva risparmiare anche sull’uso dei colori. Sempre al fratello confidava: “se avessi più denaro ne spenderei di più per fare colorazioni molto ricche”. E più tardi si interrogava: “mi sembra una follia fare pittura che tanto costa e che non fa guadagnare niente, neppure rimborsa le spese. Mi sembra una cosa del tutto irragionevole”. Sulla strada di ritorno dalla Provenza, con la tristezza nel cuore dopo aver letto queste confessioni, ci siamo fermati a Genova, dove la scorsa primavera si teneva una grande mostra dedicata a van Gogh e a Gauguin. Per riuscire a entrare abbiamo dovuto attendere in coda un’ora e mezza e le sale erano affollatissime. Per la prima volta in vita mia sono rimasto in coda quasi con piacere, perché mi sembrava di rendere omaggio alla sfortunata esistenza di quel genio della pittura che offre tante emozioni a un pubblico così vasto. Come avrei voluto, mentre attendevo di entrare, che Vincent fosse lì a vedere quanto la gente di ogni estrazione sociale lo ama! Seguendo la Provenza di Cézanne e di van Gogh si ha anche occasione di visitare alcuni tra i luoghi turistici più interessanti della regione. Aix, addossata alla montagna di Sainte-Victoire, la cui aspra bellezza ha ispirato alcune delle migliori opere di Cézanne, si presenta con le nobili facciate del cours Mirabeau e con un’atmosfera rilassata e “charmante” tipica delle città della Francia meridionale. La regione compresa tra Arles e la graziosa Saint-Rémy è pure ricca di spunti interessanti, ad iniziare dalle Alpilles, piccole alpi in miniatura le cui cime non superano i 700 metri di altezza. Les Baux-de-Provence, con il castello in rovina e le case disabitate, poggia su uno sperone roccioso che appartiene a questa suggestiva catena montagnosa. Per lunghi secoli questa fortezza fu l’inespugnabile sede di potenti signorie feudali. Oggi è un luogo di visita gettonatissimo. Pure immersa nello spettacolare quadro delle rocciose Alpilles la città romana di Glanum, con le sue rovine considerate tra le meglio conservate della Roma antica. Altri importanti monumenti di quest’epoca sono l’arena, il teatro antico e la necropoli che si trovano nella magica Arles, dove van Gogh ebbe il suo primo impatto con il sud della Francia.

In Provenza nei paesaggi cari a Paul Cézanne

Francia – Aix, la città “ingrata” di Paul Cézanne
Francia – In Provenza sulle orme di van Gogh e Cézanne
Francia – In Provenza sulle tracce di Vincent van Gogh

L’artista era attratto soprattutto dalla natura e dai paesaggi provenzali, molti dei quali sono rimasti quasi intatti rispetto all’epoca del grande maestro, oggi universalmente riconosciuto come il pittore della pittura moderna.

Goethe sosteneva che se si vuole veramente conoscere un artista bisogna visitare i luoghi in cui ha vissuto. Ad indurmi a programmare un viaggio sulle orme di Cézanne nella sua Provenza e nella sua città natale di Aix è però stato il collega Rudy Chiappini (ex responsabile culturale a Locarno e Lugano) autore di una stimolante esposizione, nella prestigiosa sede di Palazzo Reale, dedicata dalla città di Milano al maestro francese. La moderna audioguida di quella mostra, sfruttando la mutimedialità, mostrava infatti accanto alle opere lo splendido paesaggio del sud della Francia.
Come scrive Denis Coutagne, coautore della mostra di Milano assieme a Chiappini, “Cézanne, al pari di Courbet, sa di poter dipingere solo i luoghi che ha percorso con i propri piedi. Ha bisogno di conoscere l’odore della terra, il calore delle rocce, di sentire il vento tra i pini”. Il maestro amava moltissimo la sua Provenza e sentiva di appartenere a quei paesaggi penetranti: “Ci sarebbero dei tesori da svelare in questo paese – scriveva a un amico nel 1886 – che non hanno ancora trovato un interprete all’altezza delle ricchezze che offre”. E pochi mesi prima di morire confessava con amarezza: “Non riesco a raggiungere l’intensità che si dispiega davanti ai miei sensi. Non ho la ricca magnificenza dei colori che anima la natura”.
Cézanne con la sua città natale ha sempre avuto un rapporto molto difficile, perché non è mai stato capito e apprezzato dai suoi concittadini se non in tempi relativamente recenti. Infatti Aix non compare mai sui suoi quadri, così come le sue opere esposte in questa città si contano sulle dita di una mano. D’altra parte l’artista era attratto soprattutto dalla natura e dai paesaggi provenzali, molti dei quali sono rimasti quasi intatti rispetto all’epoca del maestro. L’itinerario che abbiamo percorso parte inevitabilmente dalla città, dove Cézanne è nato e ha vissuto. Ci si sposta quindi nella campagna alla ricerca dei soggetti delle sue opere: la montagna Sainte-Victoire, le cave di Bibémus, la residenza estiva di Jas de Bouffon, il suo ultimo atélier ai bordi della città, la valle dell’Arc.

Casa, scuola e famiglia
Nel 1904, due anni prima della morte di Cézanne, il suo allievo Emile Bernard arriva in treno a Aix per incontrare il maestro senza conoscere il suo indirizzo. Chiede per le strade dove abita il pittore e mostra ai passanti persino una sua fotografia, ma nessuno lo conosce. Eppure a Parigi, Bruxelles e Berlino il suo nome cominciava a essere noto, soprattutto tra le giovani generazioni di pittori che riconoscevano in lui un innovatore. Nel corso degli ultimi decenni Aix ha finalmente scoperto il talento del suo concittadino. Oggi, partendo dall’ufficio turistico, è indicato un percorso a piedi illustrato da un prospetto e segnalato sul suolo cittadino con dadi in metallo, che permette di ripercorrere le tappe principali della sua vita: la casa in cui è nato al numero 23 di rue de l’Opera, la chiesa della Sainte-Madeleine dove è stato battezzato, il negozio del padre sul Cours Mirabeau con sopra l’abitazione della famiglia, il collegio Bourbon dove è nata l’amicizia con Emile Zola, il Musée Granet che ha sempre rifiutato le sue opere. Tutti luoghi che hanno fortemente indirizzato la vita di Cézanne.
Il padre Louis-Auguste era una persona molto ambiziosa che apparteneva a una famiglia di immigrati italiani (originaria di Cesana Torinese) dediti al commercio, giunta ad Aix quattordici anni prima della nascita di Paul. Qui Luois-Auguste apre una piccola fabbrica di cappelli di feltro in cui lavora come operaia Anne-Elisabeth Honorine Aubert, madre del pittore. Quando Paul ha nove anni, il padre, uomo pragmatico e autoritario, rileva una banca in fallimento assieme a un socio. Inizia così per la famiglia un periodo di prosperità finanziaria, che permetterà a Cézanne di dedicarsi per tutta la vita alla pittura senza avere l’assillo di guadagnarsi da vivere. Il denaro di famiglia gli darà questa grande libertà che si rivelerà fondamentale per la sua opera, perché gli permetterà di non piegarsi a compromessi commerciali.
La famiglia Cézanne, considerata di nuovi ricchi dall’aristocratica Aix, non è amata né apprezzata in città. D’altra parte il giovane Paul non si conforma allo status che la sua condizione economica imporrebbe e assume atteggiamenti provocatori, come farà per tutta la vita anche nella sua attività artistica. Henri Pontier, direttore del museo Granet, disprezza la sua arte a tal punto da affermare che finché gli acquisti li farà lui nessun quadro di Cézanne entrerà mai a far parte della collezione. Una posizione condivisa dall’establishment artistico di allora, ostile all’opera innovativa e rivoluzionaria del maestro, considerato il padre della pittura moderna. Cézanne rimarrà fedele alle sue convinzioni per tutta la vita, anche nei momenti più difficili, ma soffrirà sempre per questo atteggiamento di chiusura nei suoi confronti. Si narra addirittura che uno degli ultimi pensieri prima di morire andò proprio a quel Henri Pontier, che tanto aveva osteggiato la sua arte.
Un’altra vittima della chiusura mentale della Aix di inizio Ottocento fu Emile Zola, uno dei più noti e amati scrittori francesi del XIX secolo. Anch’egli di origini italiane giunge in città con il padre ingegnere che aveva progettato una diga. I compagni di classe al collège Bourbon lo escludono salvo il giovane Paul, con il quale nascerà un’amicizia fraterna, che durerà trent’anni fino a quando uscirà il romanzo “L’Oeuvre”. È la storia di un pittore incapace di disciplinare il suo talento, che finisce per suicidarsi davanti a un dipinto che non riesce a portare a termine. Cézanne rimane profondamente ferito dal pensiero che il suo migliore amico lo consideri un genio abortito e rompe la relazione.

Dipingere la natura nella natura
“Mio caro Emile – scrive all’amico Bernard nel 1866 – ogni quadro realizzato all’interno, in studio, non varrà mai quello fatto all’aperto. Dipingendo all’aperto il contrasto tra le figure e gli sfondi è sorprendente, e il paesaggio è magnifico. Ci sono cose veramente superbe, bisogna che mi decida a lavorare esclusivamente all’aperto”.
La campagna provenzale attorno alla città di Aix rimane di grande bellezza. La residenza estiva della famiglia Cézanne – Jas de Buffan – sorge a due chilometri dal centro e oggi fa ormai parte dell’agglomerato urbano. Varcando il cancello della proprietà, che anticamente apparteneva al governatore della Provenza, e imboccando il lungo viale di platani ci si immerge però in un altro mondo, dove il paesaggio cézanniano è stato salvaguardato. Fu questo il primo studio dell’artista, un luogo magico dove ha dipinto per quarant’anni. I personaggi dei famosi quadri dedicati ai giocatori di carte erano i contadini di questa tenuta.
A una decina di chilometri dalla città si trova un luogo dove il tempo sembra essersi fermato. Si tratta delle cave di Bibémus, che hanno ispirato al maestro alcuni dei suoi quadri più suggestivi con le rocce color ocra che contrastano il verde della vegetazione e l’azzurro del cielo. Erano state scoperte dai romani. Dal XVI al XVIII secolo le pietre erano poi servite per costruire i palazzi signorili di Aix. Quando Cézanne veniva qui a dipingere, tra il 1890 e il 1904, il luogo era ormai abbandonato e lasciato in preda alla natura. Sebbene l’intervento umano sia pesante, perché la montagna è tagliata a strati, quei paesaggi assomigliano a un quadro astratto. L’ambiente suscita forti emozioni, che il maestro ha saputo interpretare nelle sue tele in maniera magistrale.
Torniamo ad Aix per raggiungere l’atélier dei “Lauves”, l’ultimo del pittore, costruito dopo aver venduto la tenuta di Jas de Buffan in seguito alla morte della madre. Tutto è intatto: gli oggetti, i cavalletti, le pareti grigie. Sembra che l’artista l’abbia lasciato da poco. È invece passato oltre un secolo. Anche qui la città si è espansa, ma il luogo non è stato compromesso. Vi si può giungere a piedi, come faceva Cézanne, in quindici minuti dal centro città. E da qui, proseguendo lungo la collina oggi densamente edificata, in un altro quarto d’ora si arriva su un promontorio – les Marguérites – dove il maestro si recava con il cavalletto in spalla per dipingere la montagna magica di Sainte-Victorie. La prospettiva è la stessa di allora. Gasquet, autore di una biografia del maestro, presta a Cézanne parole spesso riprese tanto dai critici quanto dal pittore stesso: “Osservate questa Sainte-Victoire. Che impeto, che sete imperiosa di sole, e che malinconia, la sera, quando tutta questa pesantezza si placa… Questi blocchi erano di fuoco. C’è ancora del fuoco in essi”.
Una piacevole gita in automobile, passando per la valle dell’Arc tanto cara a Cézanne, permette di raggiungere la base della montagna per averne una prospettiva diversa, mai dipinta dall’artista. Se si prosegue girandole attorno, sul versante opposto, si trova il luogo dove Pablo Picasso ha chiesto di essere seppellito, dopo avere acquistato una vasta proprietà che si estende lungo le pendici della Sainte-Victoire: un gesto di affetto e di riconoscenza per il suo grande maestro con cui non si è mai confrontato dipingendo la sua montagna magica.

Bibliografia
Paul Cézanne Les Ateliers du Midi, Milano 2012
Flaminio Gualdoni, Cézanne Milano 2011
Émile Bernard, Mi ricordo Cézanne Milano 2011
Les sites de CézanneAix en Provence 2011
Ernst Gombrich, La storia dell’arte Milano 1998
Provenza La guida verde Michelin, Milano 2008

Francia – Aix, la città “ingrata” di Paul Cézanne

Francia – In Provenza nei paesaggi cari a Paul Cézanne
Francia – In Provenza sulle orme di van Gogh e Cézanne
Francia – In Provenza sulle tracce di Vincent van Gogh

Più che un pittore Cézanne era la pittura stessa divenuta vita. Non c’era un istante in cui egli vivesse al di fuori di essa: era come se, tra le dita, egli tenesse sempre il suo pennello. A tavola, si fermava ogni momento per studiare le nostre figure in rapporto agli effetti di luce e ombra; ogni piatto, ogni frutto, ogni bicchiere, qualsiasi oggetto eccitavano i suoi commenti, la sua riflessione. L’indice puntato tra gli occhi, mormorava: Ecco così ho una netta visione dei piani”. Questa istantanea è contenuta nell’affettuoso libretto “Mi ricordo Cézanne” (Skira 2011) scritto dal suo allievo Emile Bernard, dopo aver trascorso alcuni mesi assieme a lui a Aix-en-Provence. “Ho giurato di morire dipingendo – scriveva Cézanne all’amico Bernard il 21 settembre 1906 – piuttosto d’abbandonarmi all’impotenza avvilente che minaccia i vecchi. Vittime delle passioni umilianti dei sensi”. Meno di un mese più tardi, sorpreso da un temporale mentre dipingeva all’aperto veniva colto da una congestione. La sua salute già malferma non resistette. Il 20 ottobre, in una lettera al figlio del maestro, la sorella di Cézanne riassumeva drammaticamente la situazione: “Tuo padre si è ammalato lunedì… È rimasto fuori sotto la pioggia per parecchie ore; l’hanno condotto a casa sul carro di un lavandaio e due uomini hanno dovuto metterlo a letto. L’indomani mattina prestissimo è andato in giardino a lavorare a un ritratto di Vallier, sotto un tiglio: ne è venuto via moribondo”. Il giorno seguente moriva.

La figura e l’arte di Cézanne erano state proposte in modo stimolante in una recente mostra, di cui avevo riferito in questa rubrica, realizzata a Palazzo Reale a Milano e curata dal ticinese Rudy Chiappini. Nell’esposizione il visitatore era accompagnato da un’audioguida multimediale che presentava i luoghi dipinti dall’artista. Un’iniziativa che invitava a visitare quei siti della Provenza. Quell’invito mia moglie ed io lo abbiamo raccolto. Approfondendo la figura di questo grande precursore dell’arte moderna, fa riflettere e amareggia l’incomprensione della cultura dell’Ottocento nei confronti della sua opera: le sue tele furono infatti sempre rifiutate ai concorsi ufficiali. Atteggiamento che andava a rafforzare un già esagerato spirito autocritico del maestro. Un mese prima di morire scriveva, sempre a Bernard: “Vivo in uno stato di malessere diffuso. Tale stato durerà fino a quando le mie ricerche non saranno arrivate in porto… La mia costante preoccupazione è per la meta da raggiungere. Lavoro sempre davanti alla natura e mi sembra di fare lenti progressi”. Un anno prima al critico d’arte Roger Marx aveva scritto: “La mia età e le mie condizioni non mi permetteranno di realizzare il sogno d’arte che ho inseguito per tutta la vita. Ma sarò eternamente riconoscente al pubblico d’intelligenti amatori che ha avuto – al di là delle mie esitazioni – l’intuizione di ciò che ho voluto tentare per rinnovare la mia arte”.

Paul Cézanne è oggi universalmente considerato il padre della pittura moderna, colui che ha saputo sintetizzare la tradizione in forme geometriche e allusive, aprendo la strada al cubismo e alle altre avanguardie. Nonostante le frequentazioni con gli intellettuali e gli artisti parigini, ha condotto una ricerca personale e in qualche modo isolata approdando tuttavia a soluzioni che saranno imprescindibili per l’intero Novecento pittorico. Come scrive Ernst H. Gombrich nella sua “Storia dell’arte” (Milano 1998) “non stupisce che Cézanne giungesse spesso sull’orlo della disperazione e che lavorasse incessantemente senza mai interrompere gli esperimenti. Il vero miracolo è che abbia potuto ottenere nei suoi quadri un risultato apparentemente impossibile”. Nell’arte è così, osserva ancora Gombrich, “a un tratto l’equilibrio si produce e nessuno sa come e perché”. E conclude: “Cézanne aveva deciso di non accettare per dato nessun metodo pittorico tradizionale, ha voluto ricominciare daccapo, come se non fosse esistita pittura prima di lui”.

Francia – Nel Languedoc-Roussillon vicino alla frontiera spagnola

Francia – Nelle terre dove si consumò la tragedia degli eretici catari
Francia – L’armonia di Toulouse tra passato e presente

Un viaggio nel cuore dei territori che diedero i natali o ospitarono personaggi chiave della cultura francese come Molière, Toulouse-Lautrec, Matisse e Gauguin. Alla scoperta di città che hanno saputo conciliare tradizione storica e sviluppo industriale. Sulla splendida Côte Vermeille che al tramonto si colora di rosso.

Lasciate alle spalle la Costa Azzurra e la Provenza, oltrepassato il Rodano, si prosegue verso sud lungo la costa mediterranea fino al confine con la Spagna catalana per scoprire un mondo meno turistico che vi sorprenderà. Ci troviamo nel Languedoc-Roussillon. Le rocche catare ricordano le sanguinose battaglie del medioevo, ma anche il tempo in cui la lingua d’oc univa la storia e la letteratura di questa terra per raccontare la sua leggenda. Fondata sull’antico latino del clero, ma più viva, più docile e galante, la lingua dei trovatori del XII secolo compì il miracolo di unificare le genti del Sud e di incantare le corti vicine con la sua poesia. La Languedoc ama tuttora conservare la sua eredità occitana, così come il Roussillon, possedimento spagnolo fino al trattato dei Pirenei (1659), mantiene forti accenti d’influenza catalana. Questa terra appassionata, bruciata dal sole e ricca di tradizioni, ha fatto parte della Catalogna per secoli. Francese sulla carta resta profondamente catalana nell’animo, con la sua lingua, con le sue fiestas in cui la sangria scorre a fiumi e con la sua danza folcloristica chiamata sardana.
Il Languedoc-Roussillon offre una ricchezza immensa di natura, storia, arte e cultura, ma anche le grandiose officine che hanno visto nascere il supersonico Concorde e i modernissimi Airbus. Per visitare tutte le città e i luoghi degni di nota ci vorrebbero settimane. Il nostro itinerario, che si articola su nove giorni, è frutto di scelte impietose, dettate da interessi storici – castelli e conventi che furono protagonisti della tragica vicenda della corrente cattolica dissidente dei Catari – e artistici per quanto riguarda le città.

Albi, città natale di Toulouse-Lautrec
La terra si tinge di rosso, man mano che ci si avvicina ad Albi, dello stesso colore dei mattoni con cui sono costruiti i monumenti e le case di questa città, come quelli della vicina Toulouse, che dista una settantina di chilometri. Su uno sperone di roccia che domina il fiume Tarn svetta maestosa la cattedrale di Santa Cecilia. È circondata da verdi poggi che creano un suggestivo contrasto con il vermiglio dei mattoni. A vederla da lontano ricorda una fortezza vittoriosa a testimonianza dello spietato potere della Chiesa che tra il XII e il XIII secolo annientò il movimento eretico dei catari, chiamati anche albigesi perché ebbero le loro origini in questa città. Capolavoro del gotico meridionale è considerata una delle cattedrali architettonicamente più importanti di Francia. Massiccia e severa all’esterno, internamente è ingentilita da un recinto marmoreo che delimita il coro, così abilmente scolpito nel calcare bianco da apparire come un ricamo.
Sulla stessa piazza si affaccia l’ex sede arcivescovile, un maestoso palazzo seicentesco che ospita la più ricca collezione al mondo di opere di Toulouse-Lautrec. Il pittore del Moulin Rouge, narratore sagace, brillante e quasi impertinente d’un preciso contesto storico, cioè l’alba della Bella Èpoque, nacque ad Albi nel 1864 da una ricca famiglia nobile. Fragile, sgraziato, minato dal nanismo morì a 37 anni alcolizzato e malato di sifilide. Pittore alieno dai falsi pudori e da ogni moralismo, incompreso dalla famiglia che gli chiedeva di firmarsi con uno pseudonimo, ebbe un’esistenza infelice nonostante il successo della sua opera. Le sue composizioni sono animate da facoltosi signori e prostitute d’alto rango: al centro si trova spesso una donna con i capelli tinti di biondo o di rosso, uno sguardo invitante, il trucco pesante, l’aria sfrontata; gli uomini sono in seconda fila: buoni, s’intuisce, solo per il loro denaro.

Toulouse, patria del Concorde, ma…
Toulouse è una città affascinante e per me è stata una scoperta. Si racconta che la “ville rose” sia rosa all’alba, dorata a mezzogiorno e fiammeggiante al tramonto, una magia prodotta dalle tonalità che assumono i mattoni d’argilla del fiume Garonna con cui sono costruiti i palazzi, i muri, le splendide chiese del settimo centro urbano di Francia. Nonostante abbia una popolazione di oltre mezzo milione di abitanti e sia sede dell’industria aeronautica francese ed europea si offre al visitatore con un’atmosfera rilassata e simpatica che lo fa sentire a proprio agio. Passeggiando per le antiche vie del centro storico si percepisce una vitalità moderna e al tempo stesso la tradizione di questa città che fu capitale dell’antico Languedoc e vide nascere all’inizio del XIV secolo la più antica società letteraria europea per perorare la causa della langue d’oc, la lingua della Francia meridionale. Il papato considerava Toulouse una roccaforte per consolidare il suo potere temporale, per riconquistare la Spagna sottraendola ai musulmani e per estirpare l’eresia catara. Nel XVI secolo la città conobbe un momento di splendore perché depositaria del segreto dell’ “oro blu”, un colore ottenuto dal pastel, una pianta il cui fogliame macerato e lavorato dava una tintura azzurra indelebile. Un secolo più tardi un visionario costruì il Canal du Midi per collegare Toulouse al Mediterraneo. Nell’ottocento arrivò il collegamento con l’Atlantico tramite il Canal de la Garonne. Anche la storia dell’aviazione deve molto a questa città, oggi capitale europea dell’aeronautica con gli enormi stabilimenti, ogni anno visitati da centinaia di migliaia di persone, dove vengono costruiti i prestigiosi Airbus.
La maestosa cattedrale di St. Sternin, la più grande chiesa romanica d’Europa, sta a testimoniare l’importanza attribuita dal papato a Toulouse. Costruita tra la fine del XI e la metà del XIII secolo costituiva una tappa d’obbligo per i pellegrini che seguivano il cammino verso Santiago di Compostela. Sostavano qui per venerare l’inestimabile raccolta di reliquie di santi ospitate nel deambulatorio.
Precorre invece di quasi due secoli la costruzione delle volte acute proposte dal tardo gotico la soluzione escogitata dall’architetto nel convento dei Jacobins per unire due chiese con un’ardita volta a nervature composta da 22 archi radiali.
Da non perdere inoltre la ricca collezione di sculture e capitelli romanici del XII esposte nel Musée des Augustins.

Dalla Pézenas, di Molière…
Passeggiando per le vie lunghe e strette di Pézenas si incontrano dimore signorili e residenze seicentesche adorne di eleganti balconi in ferro battuto ed elaborati portali che riportano indietro nel tempo. La cittadina ha mantenuto la sua struttura antica. Place Gambetta non è probabilmente cambiata molto rispetto al seicento, quando il grande commediografo francese Jean-Baptiste Poquelin detto Molière (1622-1673) si sedeva nella bottega del barbiere Gély per ascoltare le chiacchiere dei clienti e trarne ispirazione per le sue pièce, che proponevano una critica feroce alla morale dell’epoca, mettendo in luce gli aspetti comici della vita mondana del tempo. Attento osservatore della realtà, Molière può essere considerato un precursore del teatro moderno. Nel palazzo Peyrat viene proposto uno spettacolo con filmati tridimensionali che percorre le tappe principali della vita del grande commediografo, partendo dall’infanzia quando il nonno materno gli trasmise la passione per il teatro, passando per i momenti difficili della carriera per giungere al trionfo dell’attore-autore, grande conoscitore dei gusti del pubblico e apprezzato dal sovrano Luigi XIV.

…alla Collioure di Matisse e Derein
La Côte Vermeille deve il suo nome al colore rosso-rosato che assume al tramonto. Inoltrandosi nella campagna ai piedi dei Pirenei tra vigneti e coltivazioni di mandorli e fichi si può salire verso un’emozionante “Haute corniche”. Larga poco più di un’automobile costeggia il mare, evidenziandone tutta la gamma dei blu, e offre indimenticabili vedute sulla costa scogliosa e sui suoi villaggi. Quando si scende e si percorre la litoranea quelle borgate che si affacciano sul mare perdono lo charme che avevano osservati dall’alto, salvo Collioure. Questa affascinante cittadina si affaccia su due porticcioli separati dal castello del XIII secolo e offre un piacevole lungomare che porta a una seicentesca chiesina fortificata da cui si dipartono viuzze dai balconi fioriti e pittoresche scalinate su cui si annidano i caffè all’aperto. “Nessun cielo di Francia è più bello di quello di Collioure. Mi basta aprire le imposte della mia stanza per avere davanti a me tutti i colori del Mediterraneo”. Così scriveva Henri Matisse (1869-1954) nell’estate del 1905 al collega pittore André Derain (1880-1954) per convincerlo “che un soggiorno qui è assolutamente necessario per il suo lavoro”. Derain lo raggiungerà e quell’estate i due colleghi lavoreranno fianco a fianco davanti al mare di Collioure: il colore deflagrerà violento dalle loro tele per dare vita al “fauvisme”, un movimento senza regole e senza divieti, ribelle e anarchico, rivoluzionario, che contrapponeva la verità dell’emozione alla consueta verità della visione. La violenza di quella luce del sud cancellava la profondità, appiattiva i volumi, sopprimeva le ombre e, soprattutto esaltava i colori facendoli esplodere sulla tela “come cartucce di dinamite”.

Itinerario

1° giorno
Locarno-Castillon du Gard (646 km)

2° giorno
Castillon du Gard-Albi

3° giorno
Albi-Tolosa-Carcassone (135 km)

4° giorno
Carcassone-Fontfroide-St. André de Roquelongue (70 km)

5° giorno (Castelli Catari)
St. André de Roquelongue-Termes- Ch. Aguilar-Ch. Queribus-Ch. Peyrepertuse-Cucugnan (130 km)

6° giorno (Conventi)
Cucugnan-St. Antoine-Serratone-St. Michel-Moltig (135 km)

7° giorno (La Côte Vermeille)
Moltig-Collioure (150 km)

8° giorno
Collioure-Pézenas-Salon de Provence (326 km)

9° giorno
Salon de Provence-Locarno (635 km)