Francia – Nel cuore dello Champagne

Francia – L’incontro con Renoir, De Gaulle e Diderot

Nelle cantine sotterranee dove riposano le bottiglie del famoso vino. Pittoreschi villaggi, grandi personaggi, arte, storia e gastronomia per un viaggio in auto fra magnifici paesaggi e vigneti partendo dal Ticino.

Enologia, gastronomia, arte, natura, storia, pittoreschi villaggi, grandi personaggi. Sono questi i variegati ingredienti di un viaggio nella regione dello Champagne, nel nord-est della Francia. Le strade corrono tra i vigneti offrendo scorci magnifici e attraversando campi coltivati. In primavera molti sono colorati di giallo dai fiori delle piantagioni di colza, altri sono solo arati e mostrano il suolo argilloso tanto apprezzato dalla vigna. Visti da lontano questi paesaggi di campagna sembrano quadri astratti. Nei villaggi le case sono addossate l’una all’altra per lasciare maggior spazio ai vigneti. Nelle città chiese e cattedrali sono maestose, ad iniziare da quella di Reims, una delle più belle di Francia. La loro struttura architettonica propone ampie finestre e rosoni che mettono in risalto le splendide vetrate, una delle prerogative dell’arte locale assieme alle sculture religiose. La storia e la cultura sono generose di testimonianze dai tempi antichi ad oggi: da quando i re francesi si facevano incoronare nella cattedrale di Reims, alle scoperte enologiche del sacerdote benedettino Dom Pérignon, che mise le basi per il successo mondiale dello champagne; dagli armoniosi paesaggi dipinti da Renoir, che in questa regione trascorreva le vacanze, alle meditazioni politiche di Charles De Gaulle ispirate dalla pace della sua villa in campagna, senza dimenticare la straordinaria opera di Denis Diderot precursore della modernità.
L’itinerario è facilmente percorribile in automobile partendo dal Ticino. In circa 7 ore si raggiunge Reims, da cui ci si sposta in seguito verso sud in brevi tappe giornaliere. Il rientro in Svizzera da Langres, la città circondata dalle mura fortificate più ampie d’Europa, comporta invece 5 ore di viaggio.

Le grandi cattedrali
La prima meta del nostro viaggio è Châlons-en-Champagne, che ci sorprende soprattutto per la sua basilica di Notre-Dame de l’Epine. D’ora in poi quando sentirò parlare di una “cattedrale nel deserto” penserò a questa imponente chiesa, realizzata sul modello della cattedrale di Reims, a 8 chilometri da Châlons, in piena campagna. Patrimonio mondiale dell’Unesco, la si scorge da lontano e la sua purezza di stile, secondo gli esperti, esprime la perfezione dell’architettura gotica (inizio XV secolo). Di puro stile gotico è pure la cattedrale di Châlons, dove facciamo il primo incontro con splendide vetrate, che ci accompagneranno durante tutto il viaggio. Notevole anche la chiesa di Notre-Dame-en-Vaux che presenta al suo interno la transizione dal romanico al gotico. In un piccolo museo adiacente sono state raccolte 55 colonne scolpite, di notevole fattura, che appartenevano a un antico chiostro romanico e rappresentano personaggi storici e religiosi.
Meno di un’ora di strada separa Châlons da Reims, dove un angelo sorridente vigila su una delle cattedrali considerate tra le più pregevoli del mondo cristiano, per la sua unità stilistica, per le sue statue, per le sue straordinarie vetrate antiche e quelle più recenti realizzate negli anni Settanta da Chagall, per i suoi ricordi legati alla storia di Francia. La tradizione cristiana di Reims risale al V secolo quando Clodoveo re dei Franchi, dopo avere sconfitto gli Alemanni accettò di farsi battezzare suggellando così l’unione del suo popolo, cioè dei Francesi, al cristianesimo. Nell’ottobre dell’816, nella basilica precedente a quella attuale, avvenne l’incoronazione imperiale di Luigi il Pio. Nell’attuale cattedrale tra il 1223 e il 1825 vennero incoronati ben 33 re francesi. I giorni precedenti la cerimonia risiedevano nell’adiacente Palazzo del Tau (che si può visitare), dove i vescovi andavano a cercare “il re che Dio aveva scelto per i Francesi”.
Nel 1962 la cattedrale di Reims ha vissuto un altro grande avvenimento di portata storica: la cerimonia di riconciliazione, tra Francia e Germania dopo gli avvenimenti della seconda guerra mondiale, voluta da Charles De Gaulle e Konrad Adenauer.
Passeggiare per le vie del centro storico di Reims è molto piacevole, ma non si può lasciare la città senza visitare la splendida chiesa di Saint-Remi, costruita nella prima metà dell’XI secolo, e una delle importanti cantine (Pommery, Taittinger, Veuve Clicquot, Mumm, Ruinart ecc.) che si trovano in collina, poco distante da Saint-Remi. Nei loro sotterranei in passato sono stati scavati 120 chilometri di gallerie, dove viene invecchiato lo champagne. Durante la seconda guerra mondiale questi tunnel servivano da rifugio e hanno ospitato ospedali e scuole. Se non trovate il tempo per visitare una cantina, vi potrete rifare nei giorni seguenti a Épernay, altra grande capitale dello champagne.

A spasso tra i vigneti
Un circuito di un centinaio di chilometri permette di scoprire il Parco naturale regionale della Montagna di Reims, dove vengono coltivate le uve Pinot Noir, Pinot Meunier e Chardonnay dai cui assemblaggi nascono alcuni tra i più rinomati champagne grands cru. Per rendersi conto della vastità della zona bisogna salire sul Faro di Verzenay, da cui il panorama a 360 gradi è fantastico. Ma che ci fa un faro in mezzo alla vigna? Fu l’originale trovata pubblicitaria di Joseph Goulet, che all’inizio del ‘900 lo fece costruire per far conoscere il suo champagne. Durante la seconda guerra il faro fu occupato dai soldati tedeschi che controllavano la pianura, mentre i francesi osservavano i loro spostamenti dalla montagna. Una montagna sui generis, alta appena 300 metri e ricoperta all’estremità da folti boschi, mentre tutt’attorno sulla pianura si sviluppano i vigneti. Accanto al faro è stato creato un moderno museo, che ricorrendo a tecnologie multimediali rappresenta il ciclo delle stagioni nei vigneti e illustra gli aspetti storici ed economici del vino dei re.
Poco distante, nel bosco di Verzy, si possono ammirare rarissimi esemplari di alberi dai tronchi contorti, caratteristica che ancora oggi rimane un mistero. Nella chiesa di Hautvillers, un pittoresco villaggio noto per le insegne che decorano le case indicando la professione delle famiglie d’origine, riposano le spoglie di Dom Pérignon. È grazie alle scoperte di questo frate benedettino, il quale dedicò gran parte della sua vita all’enologia, che nacque lo champagne moderno con le caratteristiche bollicine.

Épernay e la Côte des Blancs
Buona parte degli oltre 300 milioni di bottiglie di champagne prodotte annualmente vengono invecchiate nelle cantine di Reims e di Épernay. Quest’ultima è l’altra grande capitale del vino dei re, con oltre 100 chilometri di gallerie sotterranee. Lungo l’Avenue de Champagne si allineano, come a Reims, le cantine più rinomate. Noi abbiamo visitato quella di Mercier, attratti dalla creatività del suo fondatore Eugène Mercier. La visita è alquanto spettacolare. Con un ascensore panoramico si scende nei sotterranei, dove un trenino attende i visitatori, che anticamente erano invece accolti da carrozze trainate da cavalli. Ma non fu questa l’unica trovata di Mercier. Le pareti dei 18 chilometri di gallerie della sua cantina sono in parte scolpite da un artista di fine Ottocento e all’entrata si può ammirare la gigantesca botte, pure scolpita, che può contenere l’equivalente di 215mila bottiglie e che fu fatta costruire nel 1889 in occasione dell’Esposizione universale di Parigi. Fu trainata da Épernay a Parigi da 24 buoi e 18 cavalli durante un avventuroso viaggio che durò 20 giorni e richiese il rafforzamento di ponti e l’abbattimento di muri lungo il tragitto. Ma fu un grande successo e quindi una straordinaria trovata pubblicitaria. Ancora oggi Mercier è il secondo produttore al mondo di Champagne dopo Moët & Chandon.
A sud di Épernay si estende l’armoniosa Côte des Blancs, dove si coltiva quasi esclusivamente Chardonnay e dove le principali aziende dispongono di ampi vigneti. Negli ordinati villaggi situati lungo questo itinerario si notano una miriade di cantine di piccoli produttori locali. A Vertus ha sede Duval-Leroy, la cantina che produce uno champagne in collaborazione con il campione mondiale dei sommelier, il ticinese Paolo Basso.

La città santa della vetrate
Troyes è considerata la “Città Santa delle vetrate”. Già a partire dal XIV secolo si parla di una “école de Troyes” per lo stile “caratterizzato dai colori vivaci e dal disegno accurato”. Ancora oggi in questa città risiedono alcuni degli atelier di restauro delle vetrate più apprezzati di Francia. Per rendersi conto di questa inestimabile ricchezza basta visitare l’imponente cattedrale di Saint-Pierre-et-Saint-Paul, così come altre sontuose chiese (in particolare Saint-Jean, Sainte-Madeleine, Saint-Pantaléon, Saint-Urbain), dove l’architettura lascia ampi spazi alle finestre e ai rosoni. Dal 2013, inoltre, in un prestigioso antico palazzo è stato aperto il museo “Cité du Vitrail” che presenta una collezione di vetrate unica in Europa. E visitarlo è particolarmente interessante perché si possono osservare questi capolavori da vicino (mentre nelle chiese sono sempre situati molto in alto) per apprezzarne i particolari, simili a quelli di un dipinto, e gli splendidi colori.
Tutte le chiese della regione dello Champagne conservano opere dei maestri vetrai di Troyes; questa città era però famosa anche per le sue botteghe di scultori, che hanno prodotto capolavori sparsi in tutta la zona. Il centro storico di Troyes è a forma di tappo di Champagne e, oltre ad opere d’arte straordinarie (ad esempio l’interessante collezione di pittori fauves visibile al Museo d’arte contemporanea), conserva anche stradine pittoresche (in particolare rue des Chats) caratterizzate da case a graticcio, che presentano la loro tradizionale struttura in legno intervallata da mattoni intonacati.
La città anticamente era famosa per le sue fiere, che nel XII e XIII secolo erano note in tutta Europa. Ma fu anche il luogo dove, il 21 maggio 1420, la regina Isabella firmò un trattato che diseredava il delfino Carlo VII e consegnava di fatto la Francia agli Inglesi, designando Enrico V re d’Inghilterra legittimo erede al trono di Francia. Nove anni più tardi, il 17 luglio 1429 Carlo VII riconquistò il trono di Francia entrando nella cattedrale di Reims accompagnato da una commossa Giovanna d’Arco.

Itinerario
1° giorno (700 km) Ticino – Châlon en Champagne – Reims
2° giorno Reims
3° giorno (100 km) Circuito Montagne de Reims
4° giorno (100 km) Épernay – Côte des Blancs – Mont Aimé – Troyes
5° giorno Troyes
6° giorno (80 km) Troyes – Essoyes – Les Riceys
7° giorno (120 km) Les Riceys – Chaumont – Colombey-les-Deux-Églises
8° giorno (70 km) Colombey-les-Deux-Églises – Langres
9° giorno (450 km) Langres – Ticino

Per saperne di più
Champagne Ardenne Le guide vert Michelin, Nanterre 2014
Borgogna e Champagne-Ardenne La guida verde Michelin, Clermont-Ferrand 2008
Borgogna e Champagne-Ardenne Meridiani, Torino 2002
Francia Lonely Planet, Torino 2015
Champagne-Ardenne (carta geografica) 515 regional France, Michelin

Francia – L’incontro con Renoir, De Gaulle e Diderot

Francia – Nel cuore dello Champagne

I pittoreschi villaggi diventati il “buon ritiro” di personaggi che hanno fatto la storia. Viaggio nella regione dello Champagne verso Essoyes. E poi tappa a Colombey-les-Deux-Églises e infine a Langres, la città natale di uno dei padri del pensiero moderno.

La seconda parte di questo viaggio, pur continuando ad attraversare pittoreschi villaggi di campagna attorniati da campi coltivati e da vigneti, si caratterizza soprattutto per gli aspetti storico-culturali e ci permette di fare tre interessanti incontri con personaggi di grande calibro: Renoir a Essoyes, il generale De Gaulle a Colombey-les-Deux-Églises e infine il filosofo Diderot a Langres.

Nell’atelier di Renoir
In meno di un’ora di automobile da Troyes si arriva a Essoyes, villaggio della moglie di Renoir e della sua cugina Gabrielle, la modella preferita. Qui il pittore trascorreva i mesi estivi. Si possono visitare lo studio e la casa, che si raggiungono con una breve passeggiata lungo le pittoresche viuzze del borgo partendo dalla piazza principale, dove si trova l’Espace Renoir, un’esposizione che ripercorre la vita dell’artista e quella della sua famiglia attraverso riproduzioni di sue opere.
Il figlio Jean Renoir, grande cineasta, nel suo libro “Renoir, mio padre” (Edizioni Adelphi 2015) ripercorre i momenti felici delle estati trascorse in famiglia nel villaggio della Champagne. “Mio padre stava bene a Essoyes, e, mentre ricopriva di colori la tela, si godeva la nostra compagnia e quella degli abitanti del villaggio”. Comunque “lo si vedeva poco. Se ne andava da solo a disegnare nei campi”. La famiglia Renoir trascorreva in campagna ogni estate, ma con il passare degli anni la salute del pittore peggiorava, “si muoveva con sempre maggiore difficoltà… ma mia madre invitava molti amici e circondava mio padre di quella vita che tanto amava e che non poteva oramai più andare a cercare fuori”. “Quando lavorava in casa – prosegue il figlio Jean – noi ci disperdevamo e andavamo a divertirci con gli amici che avevamo in paese. A meno che non fossimo chiamati per posare, non entravamo nello studio. Mia madre, invece, andava spesso a trascorrervi una o due ore”. “Il ritorno da Essoyes era triste – racconta ancora Jean -: il cavallo Cocò ci portava fino a Polisot, a 12 chilometri, dove passava la ferrovia”.
Incuriositi dalla descrizione di una gita della famiglia Renoir a Les Riceys, proseguiamo in quella direzione e la sera ceniamo forse nella stessa osteria in cui Pierre-Auguste “si gustò il pollo in casseruola e i pois mange-tout avec des grelons, ovvero i piselli cotti con il lardo e si bevve più di una bottiglia di Pinot rosato”.

Nell’eremo di De Gaulle
Il mattino ci attardiamo a Les Riceys, un villaggio “avec du caractère” come viene presentato sui cartelloni stradali man mano che ci si avvicina. Sobrio, con case in sasso grigio, alti muretti che demarcano le proprietà come in Toscana, chiese imponenti e romantici ruscelli affluenti della Senna, è un borgo affascinante e famoso per il suo rosato, considerato uno dei migliori di Francia, proprio quello di cui parla Jean quando descrive la gita della famiglia Renoir.
Un centinaio di chilometri su belle strade di campagna ci separano da un altro austero villaggio campagnolo con le case in sasso: Colombey-lesDeux-Églises. Il generale De Gaulle, uno dei padri della Francia moderna, aveva costruito qui il suo eremo nel 1921, a metà strada tra Parigi e le guarnigioni francesi, dove il giovane colonnello, militare di professione, prestava servizio. Dapprima casa di vacanza, in seguito residenza primaria, alla Boisserie De Gaulle ha trascorso i momenti più significativi della sua vita, “alla ricerca di riflessione e di serenità” e ha scritto le sue memorie nello studio con idilliaca vista sulla campagna. Fu pure qui che nel 1958 ospitò il cancelliere Konrad Adenauer per suggellare la riappacificazione tra Francia e Germania “in un ambiente familiare” ritenuto “più significativo del decoro di un palazzo”.
Per sua volontà il generale è stato sepolto a Colombey-les-Deux-Églises in una semplice e austera tomba che reca unicamente la scritta “Charles De Gaulle”. Nello stesso villaggio Georges Pompidou, il politico che gli succedette all’Eliseo, inaugurò nel 1972 un’imponente croce di Lorena alta oltre 44 metri che domina la regione. Risale invece al 2008 il modernissimo museo “Mémorial Charles de Gaulle”, dove si può trascorrere un’intera giornata senza annoiarsi. Visitandolo si ripercorre la storia francese del XX secolo con l’ausilio di foto, filmati, animazioni, che rendono il percorso estremamente interessante.

Un secolo di storia
Si parte dalla prima guerra mondiale quando De Gaulle venne abbandonato dai suoi compagni sul campo di battaglia a Verdun pensando che fosse morto; in seguito fu fatto prigioniero dai tedeschi. Terminata la guerra De Gaulle si oppose alle strategie difensive del ministro Maginot, che sperava di tenere lontana la minaccia tedesca con la famosa linea fortificata che portava il suo nome. Linea che venne facilmente aggirata da Hitler, come De Gaulle aveva temuto, per invadere la Francia nel 1939. E mentre il maresciallo Pétain si apprestava a collaborare con l’occupante, De Gaulle da Londra lanciò un appello per evitare la resa e continuare la lotta contro il fascismo. Lotta che egli proseguì dall’estero: dapprima da Londra, in seguito dai territori delle colonie francesi, creando a Brazzaville, in Congo, la prima capitale della Francia libera, fino alla liberazione di Parigi del 26 agosto 1944. Seguirono l’elezione all’unanimità alla presidenza del governo, le dimissioni da questa carica nel 1946 e il ritorno al potere 12 anni più tardi alla testa del Rassemblement du peuple français. Nel 1968, travolto dai movimenti giovanili, uscì dalla scena politica in seguito alla sconfitta in un referendum che si era trasformato di fatto in una votazione pro o contro di lui. Due anni più tardi, il 9 novembre 1970, la morte.

La città natale di Denis Diderot
La strada che collega Colombey-les-DeuxÉglises a Langres, città natale del filosofo Denis Diderot, passa per Chaumont, un borgo medievale che merita una breve visita. In particolare in una cappella funeraria della basilica di St-Jean-Baptiste si può ammirare un gruppo di undici statue policrome del Quattrocento di grandezza naturale. I personaggi sono di un’espressività notevole, come quelli di un altro gruppo scultoreo considerevole che avevamo ammirato nella chiesa di Saint Jean-Baptiste di Chaource, poco distante da Essoyes. Due esempi eccezionali della ricchezza scultorea della regione.
La grande attrattiva di Langres è invece rappresentata dalla sua cinta muraria fortificata lunga 4 chilometri, che abbraccia tutta la città e offre un piacevole percorso con splendidi punti panoramici sulla regione agricola circostante. La cittadina è graziosa. La piazza principale è dedicata al suo cittadino più celebre, Denis Diderot, che troneggia al centro immortalato in una statua dallo scultore Bartholdi.

Il padre del pensiero moderno
Nel 2013, in occasione del terzo centenario della sua nascita, all’importante filosofo, nella cornice di una splendida residenza, è stato dedicato un modernissimo museo (Maison des Lumières), in cui il visitatore può interagire con il personaggio grazie a moderne tecniche digitali. Si percorre così la vita e l’opera di questo grande uomo destinato dalla famiglia alla vita ecclesiastica, ma che diventerà invece un simbolo del rinnovamento. Osteggiato dalla chiesa e dal potere costituito fino al punto da venire rinchiuso in carcere, attraverso l’istruzione e la cultura Diderot voleva rendere cosciente il popolo e allontanarlo dall’oppressione della fede e del potere dispotico. Grande anticipatore del pensiero moderno, già nel Settecento auspicava l’emancipazione della donna e la democraticizzazione degli studi. Spirito libero, romanziere, critico d’arte, drammaturgo, uomo di scienza, era interessato al progresso scientifico, alla scoperta di nuovi continenti e di culture diverse, alla circolazione delle idee grazie ai nuovi mezzi di trasporto e combatteva ogni tipo di intolleranza religiosa o politica.
Il suo capolavoro fu l’“Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers”: la più importante opera editoriale del suo secolo, che comportò la pubblicazione di 35 volumi sull’arco di un trentennio a metà Settecento. Vi furono coinvolti oltre mille lavoratori tra fabbricanti di carta, tipografi, disegnatori, rilegatori, stampatori e naturalmente gli estensori degli articoli tra i quali figurano personaggi di spicco dell’epoca, ad iniziare da Jean Jacques Rousseau.
L’obiettivo della pubblicazione era quello di cambiare il modo di pensare diffondendo una nuova filosofia. Come? Raccogliendo il maggior numero possibile di conoscenze da trasmettere ai contemporanei e alle future generazioni nella speranza “che i nostri nipoti, diventando più istruiti, siano al tempo stesso più virtuosi e felici”.

Itinerario
1° giorno (700 km) Ticino – Châlon en Champagne – Reims
2° giorno Reims
3° giorno (100 km) Circuito Montagne de Reims
4° giorno (100 km) Épernay – Côte des Blancs – Mont Aimé – Troyes
5° giorno Troyes
6° giorno (80 km) Troyes – Essoyes – Les Riceys
7° giorno (120 km) Les Riceys – Chaumont – Colombey-les-Deux-Églises
8° giorno (70 km) Colombey-les-Deux-Églises – Langres
9° giorno (450 km) Langres – Ticino

Per saperne di più
Champagne Ardenne Le guide vert Michelin, Nanterre 2014
Borgogna e Champagne-Ardenne La guida verde Michelin, Clermont-Ferrand 2008
Borgogna e Champagne-Ardenne Meridiani, Torino 2002
Francia Lonely Planet, Torino 2015
Champagne-Ardenne (carta geografica) 515 regional France, Michelin

Normandia – Sulle tracce del grande Claude Monet

Un itinerario nel nord della Francia, guidati da Marco Goldin, uno dei maggiori esperti dell’Impressionismo, alla scoperta dei luoghi più spettacolari in cui il padre di questo movimento ha posato il cavalletto “en plein air” per dipingere i suoi capolavori

Le ampie spiagge di Deauville e Trouville-sur-Mer su cui si affacciano antichi edifici ben restaurati, risalenti agli albori del turismo; la pittoresca Honfleur situata sull’estuario della Senna, con le antiche viuzze strette fra le case a graticcio; la movimentata Le Havre; le splendide falesie della Côte d’Alabâtre a Dieppe, Pourville-sur-Mer, Fécamp ed Étretat; l’antica Rouen, città piena di fascino e ricca di storia con la sua imponente cattedrale di Nôtre-Dame e per finire l’incantevole giardino di Giverny creato da Monet: sono le tappe principali del nostro viaggio in Normandia. L’itinerario si conclude a Parigi visitando i numerosi musei che raccontano il percorso del padre dell’Impressionismo.
Il file rouge del viaggio per amanti dell’arte è costituito dall’opera di Claude Monet, per il quale questi luoghi, assieme alle rive della Senna attorno a Parigi, hanno rappresentato i soggetti della sua creazione artistica. La nostra guida d’eccezione, Marco Goldin, che tante mostre ha dedicato all’Impressionismo nei suoi oltre vent’anni di attività, ci illustra gli interessanti legami tra questi paesaggi e l’opera dell’artista, che li vede dipinti in momenti diversi: dapprima con maggiore attenzione al reale, poi sempre più interiorizzati con il passare del tempo fino a diventare delle rappresentazioni dell’anima. Un percorso interiore che durante il viaggio si ha l’occasione di verificare visitando i musei di Le Havre, di Rouen e soprattutto di Parigi, ricchi di opere di Monet. Dopo aver conosciuto questi luoghi, dove i paesaggi sono rimasti praticamente intatti, si prova un’emozione diversa di fronte ai capolavori dell’artista.

Trouville e Honfleur
La prima tappa del nostro itinerario sono le spiagge di Trouville e di Deauville, che proprio ai tempi in cui le ritraeva Monet, nella seconda metà dell’Ottocento, conoscevano un forte sviluppo turistico, grazie soprattutto alla nascita di una fitta rete ferroviaria in tutta la Francia. Il pittore descrive “la vita sulla spiaggia, con le sue luci e il suo vento costante, ma anche la sequenza di hotel e ristoranti, ognuno con la sua passerella di legno, dipinta di verde o rosso” che dava accesso al mare (da ‘Verso Monet’ di Marco Goldin, edizioni Linea d’ombra, Trieste 2013). Ma Trouville è anche il luogo in cui dipingeva Eugène Boudin, il primo maestro di Monet, che di lui scrive ne ‘La mia vita’: “E Boudin, con inesauribile bontà, intraprese la mia educazione. Finalmente i miei occhi si aprirono e capii la natura. Al tempo stesso imparai ad amarla”.
La tappa successiva del nostro viaggio è proprio la città natale di Boudin, alla cui opera è dedicato un interessante museo. Honfleur è un borgo incantevole con il suo romantico porticciolo (Vieux Bassin) e la chiesa di Santa Caterina, raro esemplare in Europa di edificio religioso costruito completamente in legno. In questi luoghi Monet ha mosso i suoi primi passi come pittore ritraendo il porto, la chiesa e la campagna in cui si trovava la Ferme de Saint Siméon (oggi albergo di lusso), punto d’incontro di diversi artisti, tra cui gli stessi Boudin e Monet, ma anche di Pissarro e del pittore olandese Johan Jongkind, di cui Monet scrisse: “È a lui che devo l’educazione definitiva del mio occhio”.
L’opera di Boudin è ben rappresentata, assieme ad alcuni interessanti lavori di Monet, anche al Musée d’art moderne André Malraux di Le Havre. In questa dinamica città industriale, che ospita uno degli scali portuali più importanti d’Europa, Monet si trasferì da Parigi all’età di 5 anni e vi trascorse infanzia e adolescenza. Destinato a seguire l’attività commerciale della famiglia si ribellò per dedicarsi alla pittura. Si fece notare sin da ragazzo per il suo talento di ritrattista, che lo rese noto in città e gli procurò qualche piccola entrata.

La Côte d’Alabâtre
In autostrada raggiungiamo Dieppe per poi ripercorrere la Côte d’Alabâtre di nuovo in direzione di Le Havre. A Pourville, dove Monet compose diversi capolavori, scopriamo un luogo magico ben descritto da Goldin (op. cit.): “Scogliere a picco sul mare tempestoso, la mutevolezza della luce, i prati spazzati dal vento e dalla pioggia, la piccola casa dei doganieri e soprattutto quel mare vasto che si tende davanti a lui nei mille colori che dall’azzurro divergono e sfumano nelle molteplici ore del giorno”. Dalla chiesetta romanica a picco sul mare, magistralmente rappresentata da Monet, scendiamo lungo un ripido sentiero che percorreva l’artista verso una spiaggetta dominata dalle falesie. Un luogo idilliaco dove il pittore piazzava il suo cavalletto in varie posizioni per rappresentare l’oceano e le falesie.
Una sessantina di chilometri lungo la costa ci separano dalle nostre successive destinazioni: Fécamp e Étretat, altri luoghi magici della pittura di Monet, caratterizzati anch’essi dalla presenza di imponenti falesie, che ad Étretat – romantico villaggio in riva al mare – si spezzano nell’oceano attraverso un ampio arco. Purtroppo la nebbia ci impedisce di godere della bellezza di questo paesaggio, che assume però connotazioni misteriose che inducono alla meditazione. Le condizioni meteorologiche in Normandia sono molto variabili e generano spesso condizioni di luce assai diverse da un momento all’altro. Luce che rappresenta un elemento fondamentale nella pittura di Monet e ha “il compito – scrive Goldin (op. cit.) – di rivelare quanto di nascosto è nella natura. Di renderlo evidente al di là del mistero”. I colori erano invece per gli impressionisti “gli attributi della luce”. Mentre “la natura acquisisce centralità, diventa l’immagine a cui riferirsi… Il paesaggio impressionista nasce (infatti) dall’unione di natura e cultura, dalla sovrapposizione di natura e vita moderna”. A questo proposito Monet afferma: “No, non sono un grande pittore. Grande poeta nemmeno. Io so solamente che faccio quanto è nelle mie possibilità per rendere ciò che provo davanti alla natura”.

Le cattedrali di Rouen
Lasciamo la costa percorrendo la valle della Senna fino a Rouen. Ci inoltriamo nelle viuzze tortuose scoprendo splendide case a graticcio, visitiamo il ricchissimo Musée des Beaux-Arts con una vasta sezione dedicata all’Impressionismo (ma c’è anche uno splendido Caravaggio) e ci fermiamo incantati davanti alla sontuosa cattedrale gotica, una delle principali di Francia. Come non ricordare le cattedrali di Monet, dipinte proprio in questa piazza da varie posizioni, che “restano in tutta la sua opera – osserva Goldin – un punto fondamentale di passaggio”, perché l’autore “fa di una pietra toccata dal sole o dalla notte, dalla rugiada del mattino o dalla nebbia della sera, un’esperienza non più della verità delle cose ma della verità interiore… Le pareti di roccia della chiesa sono un’anticipazione sontuosa di quanto avverrà di lì a pochissimo con le ninfee”.

Le ninfee di Giverny
Ed eccoci allora a Giverny, la residenza tanto amata da Monet, dove visse fino alla sua morte nel 1926. La acquistò nel 1883, quando era ormai diventato un artista ricco e di successo e l’ampliò nel corso degli anni, creando anche uno stagno per ospitare le celebri ninfee. Il giardino fu progettato da lui stesso e pensato non come tale, ma come soggetto della sua pittura. I piani di realizzazione erano talmente precisi, con indicati i tipi di fiori per ogni stagione e zona del parco, che ancora oggi viene coltivato così come lo aveva pensato l’artista. Visitarlo è un vero spettacolo per chi ama i fiori e la natura, al di là del suo forte significato artistico.
Monet – scrive ancora Goldin – ha bisogno di un luogo da guardare. In cui poter guardare la bellezza. E dopo aver tanto a lungo, durante gli anni, modificato i luoghi del suo guardare, ha bisogno adesso di uno spazio che sia quello definitivo… A Giverny s’incontrano natura e invenzione della natura, la sua memoria rivolta al futuro… Monet ha voluto crearvi il luogo, cioè la somma della sua esperienza di tutti gli altri luoghi visitati e vissuti, tanto che la stessa pittura delle ninfee è la somma e l’esito finale, di tutti i raggiungimenti passati… Dai salici, ai glicini, alle ninfee, alle rose, tutto pulsa nell’ultimo Monet per giungere alla pura bellezza che ha abbandonato il racconto… ’per entrare’ nella profondità delle cose e arrivare a parlare della natura come essenza… Monet che era partito come erede di Corot, adesso si trovava nella condizione di essere l’anticipatore di Pollock”.

Monet a Parigi
Tutto quanto abbiamo visto, tutti gli stimoli raccolti durante il viaggio, possono trovare un riscontro a Parigi visitando i numerosi musei dedicati all’Impressionismo, tanto osteggiato dalla cultura ufficiale di fine Ottocento. Al Musée d’Orsay si possono ammirare non solo le opere di questa scuola, ma anche quelle dei predecessori (la scuola di Barbizon) da cui è nato il rinnovamento della pittura ottocentesca. Al Musée Marmottan sono invece raccolti quadri della donazione del figlio Michel realizzati da Monet soprattutto durante gli ultimi anni di attività. Alcuni sono rimasti a uno stadio iniziale e molti sono incompiuti. Al Musée de l’Orangerie, oltre a una vasta collezione sull’Impressionismo, in due enormi sale ovoidali sono esposti 100 metri di dipinto dell’altezza di 1 metro e 97 dedicato alle ninfee e donato da Monet allo Stato francese nel 1918, al termine della prima guerra mondiale, come simbolo di pace. La disposizione delle pitture è stata decisa dall’artista, che ha dedicato molti anni di lavoro a quest’opera d’arte unica al mondo. E per terminare non si manchi una visita al museo Rodin, l’autore che ha rappresentato per la scultura dell’Ottocento ciò che ha significato Monet per la pittura. Molte delle opere esposte nei musei citati sono state presentate da Goldin nelle sue esposizioni degli ultimi vent’anni.

L’itinerario
1° giorno Milano Linate – Parigi – St. Gatien
2° giorno St. Gatien – Trouville – Deauville – Honfleur – Le Havre – Dieppe
3° giorno Dieppe – Pourville – Verangeville – Fécamp – Etretat – Rouen
4° giorno Rouen – Giverny – Parigi
5° giorno Parigi
6° giorno Parigi – Milano Linate

Bretagna – Là dove si credeva che la terra finisse

Bretagna Il passo lento della storia tra riti, cultura e tradizioni

Questa selvaggia penisola allungata sull’Oceano con le sue vertiginose scogliere, le calette nascoste, le spiagge sferzate dal vento e dalle onde offre una straordinaria sintesi tra natura, cultura e tradizioni.

Un viaggio in Bretagna, là dove anticamente si pensava che la terra avesse fine (Finistère), offre splendidi e selvaggi paesaggi marini, interessanti e uniche opere architettoniche, nonché ricche tradizioni che sopravvivono da secoli.
Il nostro itinerario si limita alla scoperta della cosiddetta Bassa Bretagna, cioè la parte più ad ovest, dove si parla ancora il bretone e dove gli antichi usi e costumi sono tuttora molto diffusi. Non ci sono voli aerei diretti per la Bassa Bretagna ed è pertanto necessario fare scalo a Parigi per raggiungere Brest, dove si può noleggiare un’automobile. Il tragitto che proponiamo richiede una settimana abbondante. Coloro che dispongono di più tempo possono partire dal Ticino con il proprio veicolo, ma devono contare due giorni di viaggio all’andata e due al ritorno.

La Côte de Granit Rose
Il nostro viaggio inizia dalla regione più a nord, quella che si affaccia sulla Manica – il canale che divide la Francia dalla Gran Bretagna – visitando in particolare la costa dei Graniti Rosa. Prima di arrivarvi da Brest facciamo tappa a Tréguier, un’antica cittadina con strette viuzze e pregevoli case a graticcio annidate in fondo a un estuario con un’imponente cattedrale, dove si trova la tomba di St. Yves, il patrono degli avvocati. Saliamo lungo l’estuario fino a Le Gouffre, dove una splendida passeggiata lungo il mare dà un primo assaggio dei graniti rosa, con immensi massi rocciosi tra i quali sono state edificate alcune case signorili in granito, sempre rosa, che talvolta si appoggiano agli scogli. Ma lo spettacolo più straordinario lo si osserva una trentina di chilometri più ad ovest attorno al faro di Ploumanach, percorrendo a piedi una breve tratta del cosiddetto “sentiero dei doganieri”, che si estende lungo quasi tutta la costa bretone. L’atmosfera magica dei luoghi non è dovuta solo al colore di questo granito di grana grossa, ma anche alle sorprendenti forme scolpite dall’erosione del vento e dalla violenza delle onde oceaniche. Sembra di trovarsi in un vastissimo museo di sculture all’aperto, dentro il quale si può passeggiare per ore e dove l’artista ha un unico nome: natura.
Sulla vicina Île Grande, invece, il granito assume tonalità azzurre. Alla stazione ornitologica uno specialista commenta le immagini provenienti in diretta da una telecamera installata su un isolotto dell’arcipelago delle Sept-Îles, che si trova al largo ed è popolato da una foltissima colonia di uccelli, provenienti in primavera dalle coste africane.

Dalla costa nord a quella ovest
Dalla Costa Rosa in meno di un’ora in automobile si raggiunge la cittadina di Morlaix, da cui parte un interessante circuito alla scoperta dei migliori complessi parrocchiali (enclos paroissiaux), di cui riferiremo settimana prossima toccando gli aspetti più culturali-artistici e legati alla tradizione del nostro itinerario.Torniamo allora sulla costa nord, dove visitiamo ancora la tipica cittadina bretone di Roscoff, sviluppatasi a partire dal XVI secolo grazie agli scambi commerciali con l’Inghilterra. Dimore signorili in granito costruite da ricchi mercanti, armatori e corsari caratterizzano il quartiere che si affaccia sul porto. Un curioso museo dedicato ai “venditori di cipolla rosa” con immagini e documenti racconta la storia dei venditori che nel XIX secolo attraversavano la Manica e battevano in lungo e in largo le strade della Gran Bretagna a piedi o in bicicletta carichi di trecce di cipolle. Come non tracciare un parallelo con l’immigrazione dalle nostre valli verso il nord Europa o l’Italia? Perché viaggiare non significa dimenticare le proprie origini, bensì capire meglio le proprie radici scoprendo le esperienze di altri popoli. Da Roscoff ci trasferiamo dalla costa nord a quella ovest, passando da Le Folgoet, dove la basilica di Notre-Dame merita una visita soprattutto per ammirare un pontile che lega le due navate laterali della chiesa, finemente scolpito in granito e considerato uno dei capolavori dell’arte bretone.

Gli Abers costa selvaggia
La parte più settentrionale della costa ovest del Finistère offre lo spettacolo di un litorale molto selvaggio e frastagliato intercalato da numerosi estuari, detti “abers”, che danno il nome alla regione e che bene si possono ammirare visitando le Dunes de Ste-Marguerite e di Corn-ar-Gazel. Il sentiero dei doganieri, che segue quasi tutta la costa bretone, qui scorre su spettacolari falesie a strapiombo sul mare. In questa regione il turismo è scarso. Ci troviamo nella terra ideale per chi ama passeggiare nel silenzio, interrotto solo dal suono provocato dall’impatto delle onde contro gli scogli e accompagnato dal forte odore delle alghe, talvolta sgradevole, che costituiscono da secoli un patrimonio regionale importante. La Francia è infatti leader in Europa nel commercio delle alghe e i quattro quinti della produzione provengono proprio da queste coste. Nel piccolo villaggio di Plouguerneau un piccolo ecomuseo racconta la storia della raccolta praticata da secoli. Anticamente le alghe venivano utilizzate come fertilizzante, combustibile o cibo per animali. Oggi sono impiegate per la fabbricazione di prodotti cosmetici, nei centri di talassoterapia e sempre più spesso anche in cucina dai cuochi di grido, che le considerano la “verdura di mare”. Una sessantina di imbarcazioni provviste di un braccio meccanico snodato rastrellano i fondali marini raccogliendo ogni anno oltre 70 mila tonnellate di alghe, che poi vengono stese a seccare sul litorale.

La Route Des Phares
Al largo di queste coste, denominate anche “des Naufrageurs”, battute dalle onde dell’Atlantico e della Manica, sono affondate centinaia di navi. Si racconta addirittura che un tempo i contadini accendessero sulla costa fuochi all’aperto per confondere i capitani e provocare il naufragio delle loro imbarcazioni per poi saccheggiarne i relitti. Aneddoti a parte, molte più navi sarebbero affondate nel corso dei secoli se non ci fossero stati i fasci di luce dei fari, costruiti in Bretagna a partire dal 1695. Sentinelle dei mari, per secoli unico punto di riferimento per chi solcava le onde impetuose dell’Oceano Atlantico, queste strutture sono oggi per la quasi totalità automatizzate. I fari più imponenti sono certamente quelli dell’Île Vierge, a nord della costa ovest, che con i suoi 82.50 metri è il più alto d’Europa e quello delizioso di St-Mathieu, a sud, con accanto le suggestive rovine di un monastero benedettino del VI secolo. Ma sui quasi 90 chilometri di costa tra Brest e Portsall si sviluppa la cosiddetta “Route des phares et des balises”, dove si possono ammirare ben 30 fari e oltre 85 boe di segnalazione. Su una terrazza che si affaccia sul porto di Portsall si trova una delle due enormi ancore di 20 tonnellate ciascuna che appartenevano alla petroliera Amoco Cadiz. E’ il triste ricordo della catastrofe ecologica causata dal suo naufragio il 16 marzo 1978, quando durante una terribile tempesta, a causa di un guasto tecnico rimase in balia delle onde. Mentre attendeva l’autorizzazione dei suoi proprietari a farsi soccorrere si spezzò in due all’impatto con uno scoglio e riversò in mare 230 mila tonnellate di petrolio greggio.

La spettacolare penisola di Crozon
La penisola di Crozon rappresenta certamente uno dei luoghi più spettacolari e selvaggi di questo viaggio in terra bretone. Una sua magnifica veduta d’insieme si può avere dalla collina denominata Ménez-Hom. Questo monte alto appena 330 metri permette di spaziare sui luoghi appena descritti e ci introduce alla penisola di Crozon con le sue splendide punte che stiamo per visitare. Anticipa anche un panorama sulla penisola della Cornovaglia francese, che costituirà una delle prossime tappe. La penisola di Crozon propone quattro punte molto spettacolari. Iniziamo la visita da quella più a nord, denominata “des Espagnols”, che offre una splendida vista sulla costa tra Brest e la Pointe de St-Mathieu. Data la vicinanza con quest’altra sponda, nel 1594 una guarnigione di militari spagnoli alleati con la Lega Cattolica costruì (da qui il nome) una fortezza, di cui si visitano le rovine, per controllare l’ingresso del traffico marittimo verso la città di Brest. La Pointe de Penhir, con un dirupo di 70 metri sul mare, è la più spettacolare delle quattro punte della penisola e ospita un suggestivo monumento in onore dei bretoni delle Forces Françaises Libres, il movimento di liberazione fondato a Londra da Charles De Gaulle. La Pointe de Dinan propone invece una bella passeggiata da cui si ammira una fantastica roccia a forma di castello, mentre a Cap de la Chèvre si visitano le rovine di un posto di osservazione tedesco durante la seconda guerra mondiale.

La Cornovaglia francese
Dapprima reame e in seguito ducato, la Cornovaglia anticamente si estendeva su un territorio molto più vasto. Oggi si limita alla sola parte costiera, di cui il nostro itinerario prevede la visita della parte nord, quella più spettacolare. Questa regione è arricchita anche da tre interessanti luoghi d’arte: la capitale Quimper, lo splendido villaggio di Locronan e la suggestiva cittadella di Concarneau. In questa pagina ci limitiamo a parlare delle sole località costiere rimandando a settimana prossima la visita delle città d’arte. Secondo un detto bretone “nessuno ha mai attraversato questo mare senza paura né dolore” e una preghiera recita “Soccorrimi o Dio al Raz, la mia nave è così piccola e il mare così immenso…”. Alla Pointe du Raz, uno dei luoghi più selvaggi e spettacolari di tutta la Bretagna, dove si dice che il vento urla e l’Oceano tuona, sorge una eloquente statua dedicata a Notre-Dame-des Naufragés. Oltre 1 milione di turisti ogni anno contempla il mare aperto da questa punta, il cui accesso è regolamentato per permettere la tutela dell’ambiente naturale (per la visita si calcoli almeno 1 ora a piedi). Poco lontano e raggiungibile anche a piedi partendo dalla Pointe du Raz lungo il sentiero costiero, l’altrettanto interessante Pointe du Van (se la si raggiunge in auto si calcoli un’ora a piedi per la visita). Proseguendo sulla costa in direzione di Douarnenez, la capitale delle sardine, s’incontrano altre punte dal panorama straordinario (Pointe de Brézellec, Pointe de Beuzec e Pointe du Millier) e l’interessante Riserva Ornitologica di Cap Sizun, dove, soprattutto in primavera, si possono ammirare alcune migliaia di uccelli marini che si raggruppano in colonie. A Douarnenez attraversando una maxiscatola di sardine blu e gialla, si possono scoprire i segreti della conservazione del pesce, attività attorno alla quale da oltre due secoli ruota la vita di questa città. Nel porto, trasformato nel più importante museo galleggiante d’Europa, si possono visitare rimorchiatori, langoustier, velieri e molti altri esemplari di vecchi bastimenti.

Itinerario
1° giorno (150 km) Brest – Tréguier – Côte Rose
2° giorno Visita della Côte Rose
3° giorno (200 km) Côte Rose – Morlaix (itinerario complessi parrocchiali) – Roscoff
4° giorno (130 km) Roscoff – Le Folgoët – Porspoder (Abers)
5° giorno (150 km) Porspoder – Ponte de St-Mathieu – Plougastel – Daoulas – Ménez – Horn-Ste-Anne – La Palud
6° giorno (130 km) Ste-Anne – Locronan – Quimper – Concarneau – Ste-Anne
7° giorno (200 km) Ste-Anne – Cornovaglia (costiera nord) – Ste-Anne
8° giorno (100 km) Ste-Anne – Penisola di Crozon – Ste-Anne

Per saperne di più
Bretagna Guida Michelin rossa, Nanterre 2016
Bretagne, carte routière et Touristique Michelin, Boulogne 2015
Bretagna Traveller, Milano 2005

Bretagna – Il passo lento della storia tra riti, cultura e tradizioni

Bretagna – Là dove si credeva che la terra finisse

Oltre alla visita di alcune città medievali questo itinerario va alla scoperta dei più interessanti complessi parrocchiali, uno dei fenomeni artistici più singolari della regione con i suoi meravigliosi calvari scolpiti nel granito.

Prosegue il nostro viaggio nella cosiddetta Bassa Bretagna, cioè la regione più ad ovest della Francia, dove si parla ancora la lingua bretone e dove gli antichi usi e costumi sono tuttora molto diffusi. Ci soffermeremo sugli aspetti più culturali di questa affascinante regione, ricca di testimonianze storiche e artistiche. Oltre alla visita di alcune città medievali questo itinerario va alla scoperta dei principali complessi parrocchiali, uno dei fenomeni artistici più interessanti della Bretagna con i meravigliosi calvari scolpiti nel granito. Per scoprire queste meraviglie dell’arte locale si consiglia di percorrere l’itinerario circolare descritto dalla Guida Michelin Verde (vedi “per saperne di più”), che parte da Morlaix e tocca nell’ordine St-Thégonnec, Guimiliau, Lampul-Guimiliau, La Roche-Maurice, Pencran, La Martyre, Sizun. Per meglio capire ciò che vedremo è necessario spendere due parole sulla storia di questa regione, dove si riteneva finisse la terra (Finistère), e sulle sue tradizioni.

Asterix e Obelix
Chi non ha letto i fumetti di Asterix e Obelix, vicende che hanno come sfondo l’importante periodo di storia bretone? Le imprese dei due eroi raccontano infatti le battaglie dei Galli contro i Romani, che a partire dal 57 prima di Cristo invasero la regione, mantenendone il dominio fino al IV secolo dopo Cristo. Terminata l’epoca romana, tra il V e il VI secolo, la Bretagna fu invasa dai Celti provenienti dalla Britannia (cioè dall’Inghilterra) centro occidentale. Questa popolazione fu spinta ad attraversare il canale della Manica quando le sue terre furono a loro volta invase dai popoli germanici e danesi. La lingua bretone, che nel corso dei secoli ha subito numerosi mutamenti, fu introdotta da questi esuli inglesi, che per lungo tempo mantennero relazioni con la loro terra d’origine. È pure verosimile che le leggende riferite a re Artù, ai Cavalieri della tavola rotonda e a Mago Merlino, che in Bretagna fiorirono numerose, fossero state importate, insieme con la lingua e altre tradizioni, dall’immigrazione celtica di quel periodo. La Bretagna, e soprattutto la regione più ad ovest (Finistère), rimane fedele alle sue tradizioni e alla sua lingua, che viene ancora oggi parlata da oltre 300 mila persone. In questi ultimi vent’anni, dopo i profondi cambiamenti del dopoguerra, soprattutto nella Bassa Bretagna si è assistito a una valorizzazione delle proprie radici, nonostante l’abbandono dei villaggi rurali e l’inevitabile sviluppo del commercio, dell’industria e del turismo. Si sta per esempio recuperando la grande varietà e ricchezza dei costumi, trasmessi da una generazione all’altra, che ancora oggi vengono sfoggiati durante le grandi feste popolari, come per esempio le importanti processioni organizzate per celebrare il santo protettore dei villaggi. Gli abiti da cerimonia, generalmente neri, brillano soprattutto per la vivacità dei grembiuli ricamati. L’originalità del costume femminile è costituita anche dai copricapo: in ogni regione le cuffie hanno caratteristiche diverse, sempre austere, ma molto fantasiose.

Gli enclos paroisseaux
Anche il rapporto dei bretoni con la morte è profondamente influenzato dall’eredità celtica. Sugli ossari vediamo scolpito uno scheletro che tiene una falce, l’Ankou (il nome significa “angoscia”), che, narra la tradizione, la notte vaga su un carro che scricchiola. Chi sente il rumore o lo incontra morirà presto. La porta dell’inferno si troverebbe, si dice, nei monti d’Arrée, nel Finistère che stiamo visitando. Ed è proprio per permettere alla vita spirituale delle parrocchie di mantenere uno stretto legame con la comunità dei morti, che sono nati i cosiddetti “enclos paroisseaux”, cioè i recinti o complessi parrocchiali, i gruppi monumentali più caratteristici dei borghi bretoni. Un piccolo cimitero con pietre tombali uniformi è situato al centro del complesso. Attorno al camposanto, al quale si accede in generale da una porta trionfale, si trovano la chiesa con la piazzetta antistante, il calvario e l’ossario. Il complesso è solitamente racchiuso dentro un recinto in pietra. Queste architetture religiose, meraviglie spontanee che non hanno paragoni altrove, sono caratteristiche della devozione bretone ed espressione artistica della prosperità dei porti fluviali della regione tra il XV e il XVII secolo. La varietà architettonica di questi “recinti” si spiega con il forte spirito competitivo che regnava tra un villaggio e l’altro. L’ansia di primeggiare si tradusse in una specie di gara a chi faceva di più e meglio: a Guimilau si realizzarono raffinate decorazioni sul calvario, a La Martyre si puntò su un ornatissimo arco trionfale, a Pleyben si fece un ardito campanile e a Saint-Thégonnec l’attenzione fu messa nella varietà e nel numero di statue del calvario. Al cimitero si accedeva attraverso una porta monumentale riccamente decorata, una sorta di arco trionfale, denominato “porta dei morti”, che simboleggiava l’entrata del giusto nell’immortalità. Per far posto alle nuove salme nei minuscoli cimiteri si riesumavano i cadaveri. Le ossa venivano raccolte in piccoli contenitori traforati addossati al muro della chiesa o del cimitero. I crani venivano invece sistemati nelle cosiddette “scatole per capo” e conservate negli ossari. Ma l’elemento più suggestivo dei complessi parrocchiali è costituito dai cosiddetti calvari, piccoli monumenti in granito che rappresentano scene della Passione e culminano nel Cristo crocifisso. Si tratta di sculture semplici, ma l’espressione dei personaggi e l’energia che emanano sono davvero sorprendenti. Questi calvari erano concepiti come una sorta di fumetto e avevano una funzione didattica. Molti presentano una piattaforma su cui il sacerdote saliva per spiegare ai fedeli, con l’ausilio di una bacchetta, le scene rappresentate. Attorno al 1650, quando questa originale forma artistica raggiunse il suo apice, l’avventura si concluse: la Francia intraprese infatti una serie di interminabili guerre contro gli Inglesi e gli Olandesi, che interruppero i flussi mercantili nei porti bretoni facendo sprofondare la regione nella povertà.

Città medievali
Un salto nel passato. È quanto avete l’opportunità di fare visitando Locronan, un piccolo gioiello del Finistère, dove il tempo sembra essersi fermato e dove la vocazione turistica non ha compromesso l’architettura di questo bellissimo villaggio. Scelto da molti registi (tra cui Roman Polanski per “Tess”) come set cinematografico, il borgo si è sviluppato tra il XV e il XVII secolo grazie alla fabbricazione e alla commercializzazione di tele per velieri. La qualità di questi tessuti era tale da essere richiesti in tutta Europa per equipaggiare le navi della marina francese, di quella inglese e di quella spagnola. Si narra che le caravelle di Cristoforo Colombo veleggiassero grazie a tele tessute a Locronan. Il villaggio ha conservato una splendida piazza centrale con un antico pozzo, sulla quale si affacciano edifici rinascimentali in granito e l’ampia chiesa, che deve le sue origini a un vescovo eremita irlandese stabilitosi nel VII secolo in questa regione boschiva e autore, secondo la tradizione, di numerosi miracoli. Camminando lungo le strette viuzze del borgo, con un po’ di fantasia si può immaginare la vita nell’epoca medievale. A un’ora circa di automobile da Locronan sorge un’altra chicca del passato: l’incantevole cittadella (Ville close) di Concarneau circondata da imponenti mura medievali in granito. Si tratta di un’isoletta a forma irregolare lunga 350 metri e larga 100, con strette e pittoresche viuzze, collegata alla terra da un ponte. La si può scoprire sia passeggiando lungo le due animate arterie principali, sia percorrendo il panoramico giro delle mura, da cui si gode una bella vista sul porto peschereccio della cittadina, considerato tra i più importanti di Francia. Tra Locronan e Concarneau vale la pena di visitare anche Quimper, che si scorge da lontano grazie alle guglie della sua cattedrale, provvista di splendide vetrate, davanti alla quale si estende il centro storico caratterizzato da strette viuzze fiancheggiate da case a graticcio e battezzate con i nomi delle corporazioni medievali. Altre due piacevoli scoperte si trovano lungo l’itinerario costiero descritto settimana scorsa. Si tratta di Tréguier, antica cittadina annidata in fondo a un estuario con tipiche case a graticcio e un’imponente cattedrale, e di Roscoff, un villaggio costiero con signorili dimore in granito, edificate da ricchi mercanti, armatori e corsari che hanno costruito la loro fortuna sugli scambi commerciali con l’Inghilterra.

Itinerario
1° giorno (150 km) Brest – Tréguier – Côte Rose
2° giorno Visita della Côte Rose
3° giorno (200 km) Côte Rose – Morlaix (itinerario complessi parrocchiali) – Roscoff
4° giorno (130 km) Roscoff – Le Folgoët – Porspoder (Abers)
5° giorno (150 km) Porspoder – Ponte de St-Mathieu – Plougastel – Daoulas – Ménez – Horn-Ste-Anne – La Palud
6° giorno (130 km) Ste-Anne – Locronan – Quimper – Concarneau – Ste-Anne
7° giorno (200 km) Ste-Anne – Cornovaglia (costiera nord) – Ste-Anne
8° giorno (100 km) Ste-Anne – Penisola di Crozon – Ste-Anne

Per saperne di più
Bretagna Guida Michelin rossa, Nanterre 2016
Bretagne, carte routière et Touristique Michelin, Boulogne 2015
Bretagna Traveller, Milano 2005

Corsica – Coste selvagge e rocce scolpite

Corsica – L’introversa terra di Napoleone
Corsica – La battaglia della Corsica per un’identità oppressa
Corsica – Per Napoleone la Corsica era solo “un’escrescenza”

Un percorso dal golfo di Porto con le sue indimenticabili “guglie” vulcaniche rosse, che emergono dal Mediterraneo erose dall’acqua e dal vento, alle dolci colline della Falange con i villaggi affacciati sul mare.

I greci la chiamavano Kallisté, la più bella: un nome quanto mai appropriato per la Corsica, la splendida isola che ha ispirato numerosi scrittori e pittori, come Matisse, il quale sosteneva che il suo amore per il sud era proprio nato durante un soggiorno ad Ajaccio.
Arrivando in aereo, sopra il velo di foschia steso sul mare si vedono emergere le cime delle impervie montagne (50 vette superano i 2000 metri) illuminate dal sole. Man mano che ci si abbassa si scorgono ampi golfi, villaggi annidati sulle montagne, dolci colline. E’ proprio la scoperta di indimenticabili paesaggi marini, collinosi e montani a farvi amare questo splendido paese con oltre 1000 chilometri di coste e con cime che toccano i 2700 metri.
Ogni anno oltre 2 milioni di turisti atterrano o sbarcano sull’ “Ile de Beauté”: i due terzi sono francesi, seguiti da italiani, tedeschi e inglesi. Con soli 300 mila abitanti, nonostante il suo territorio corrisponda a un quinto di quello elvetico, l’isola è poco abitata. Il nostro itinerario si sviluppa lungo la costa occidentale – più esposta ai venti e più frastagliata rispetto a quella orientale diritta e monotona – e visita le parti più spettacolari della Corsica: il Golfo di Porto con le sue indimenticabili rocce vulcaniche rosse che emergono dal mare, scolpite dall’acqua e dal vento; le dolci colline della Balagne con i villaggi affacciati sul Mediterraneo e il Cap Corse, la selvaggia regione a nord dell’isola, che punta il dito verso il continente.
Per evitare due scali, scegliamo il volo diretto più vicino al Ticino che parte dall’aeroporto di Basilea-Mulhouse, ma l’isola è raggiungibile anche in traghetto da Livorno (circa 4 ore) e dalla costa francese (circa 10 ore). Il volo Easy Jet da Basilea atterra ad Ajaccio, capitale dell’isola, dove noleggiamo un’automobile di piccole dimensioni, dato che le strade sono molto strette. Nonostante l’isola abbia dimensioni ridotte – è lunga 183 chilometri e larga 83 – la circolazione è molto lenta (40 chilometri orari di media), salvo su poche arterie principali dove il traffico è più scorrevole.
Rimandiamo la visita di Ajaccio, animata, talvolta caotica e simpatica città, alla fine del viaggio e ci dirigiamo verso il Golfo di Porto, la meta più spettacolare del nostro viaggio. Lungo la strada costiera del Golfo di Sagone (il più ampio dell’isola) si ha un primo approccio alla bellezza selvaggia del paesaggio con il mare di un blu profondo che spicca tra gli scogli rosa e il verde della macchia mediterranea. A Cargese, il villaggio che chiude il golfo, vive una colonia di 300 famiglie greche, che sbarcarono in Corsica dal Peloponneso nel 1676 per sfuggire a una faida in corso nel loro paese. Oggi vivono pienamente inserite nello stile di vita corso, anche se osservano ancora la liturgia religiosa greca e celebrano i matrimoni seguendo l’antica tradizione di incoronare gli sposi con foglie di vite e rami di olivo.

Uno spettacolo naturale
Tutto un popolo mostruoso, un serraglio di incubi pietrificati dalla volontà di qualche dio stravagante”. Guy de Maupassant durante un viaggio in Corsica nel 1880 descrisse così le “Calanche”, che si trovano tra Porto e Piana. Soprattutto al tramonto, quando si colorano di sfumature dal rosso al viola, le particolari formazioni rocciose (i cosiddetti tafoni) scavate dal vento e dall’acqua si presentano come esili colonne, strane teste, torri appuntite alte fino a 300 metri. Il modo migliore per apprezzarle è una facile passeggiata (a metà strada tra Porto e Piana, in località Tête de chien) che attraversa angusti passaggi intorno a sagome simili ad alberi e caverne e porta fino a Château Fort, una spianata dalla quale si possono godere scorci superbi sul golfo e sulle “Calanche”.
Le rocce che spuntano perpendicolari dalle acque del Mediterraneo, sono spettacolari soprattutto se ammirate dal mare. In partenza da Porto diverse compagnie (meglio scegliere quelle con piccole imbarcazioni) organizzano escursioni di mezza giornata nel golfo, che permettono di raggiungere anche la meravigliosa riserva naturale di Scandola, accessibile solo via acqua. Si tratta di un altro sbalorditivo scenario naturale costituito da un sistema di grotte e faglie originate dalle eruzioni vulcaniche avvenute 250 milioni di anni fa. Anche qui i colori degli scogli, che variano dal grigio carbone del granito ai rossi incandescenti e ai viola ruggine del porfido, contrastano con il blu profondo del mare e il verde della vegetazione ricca di specie rare. Notevole anche il patrimonio faunistico della regione dove si possono osservare le caprette selvatiche arrampicarsi sulla roccia e con un po’ di fortuna il falco pescatore planare su nidi che occupano le punte degli scogli.
Una bellissima passeggiata a piedi (circa 5 ore andata e ritorno, con scarpe da montagna) permette di raggiungere la torre genovese che si trova sulla punta del Capo Rosso, estremità meridionale del golfo di Porto, da cui il panorama è splendido. Il sentiero parte da un ampio posteggio che si trova sulla Route de Ficajola, lasciando Piana in direzione della Plage d’Arone. Durante tutto il viaggio in Corsica abbiamo incontrato numerose di queste torri, sempre situate in luoghi con magnifici panorami. Ne rimangono una sessantina delle originali 85 realizzate lungo il litorale, visibili una dall’altra, in modo da poter comunicare tra loro. Avevano scopi difensivi, soprattutto per cautelarsi dalle incursioni dei pirati, e formavano una capillare rete di controllo che, grazie a un sistema di segnalazioni, permetteva a un messaggio di essere diramato in tutta l’isola in appena un’ora.
Terminata l’escursione – è consigliabile partire il mattino presto perché tutto il tragitto è esposto al sole – proseguendo sulla spettacolare Route de Ficajola si raggiunge la bellissima spiaggia di Arone, dove nel corso della seconda guerra mondiale, il 7 febbraio 1943, il sottomarino Casabianca sbarcò i primi carichi di armi e provviste per i partigiani corsi che combattevano l’esercito di Mussolini, presente sull’isola con ben 85 mila soldati.

I ridenti villaggi della Balagne
Un ultimo splendido panorama sul golfo di Porto con le sue meraviglie naturali lo si può ammirare prendendo la “D81”, denominata in questo tratto Route des Plages, in direzione di Calvi, quando si giunge in vetta al Col de la Croix. La strada prosegue quindi per alcuni chilometri nell’entroterra, ma si può riprendere lo spettacolare percorso lungo la costa imboccando la stretta e un po’ sconnessa “D81a” fino a Calvi, che appare da lontano con le sue belle spiagge di sabbia e con l’inconfondibile cittadella medievale fortificata a picco sul mare. Le vie del centro storico, invase dai turisti, sono animate e caotiche.
Si prosegue verso l’entroterra alla scoperta della Balagne, terra di ridenti colline affacciate sul mare e uno dei territori più fertili dell’isola. Seguendo la D151 si scoprono alcuni dei villaggi più suggestivi di questa regione agricola fortemente legata alla tradizione corsa. Passando per Montemaggiore, che offre uno splendido panorama sul golfo di Calvi dal sagrato della sua chiesa barocca, valicando il Col de Salvi, che pure offre belle vedute sulla regione, si arriva a Sant’Antonino, il più pittoresco e il più noto villaggio della Balagne. Arroccato a nido d’aquila su uno sperone roccioso il paese fortificato, costruito per difendersi dagli attacchi dei Saraceni, si erge a 500 metri sul livello del mare ed è disposto a cerchio. Le sue origini, come quelle del vicino borgo di Pigna, pure molto pittoresco, sono tra le più antiche dell’isola e risalgono al IX secolo. Con i suoi edifici color arancione accalcati l’uno contro l’altro, con la sua pianta circolare e le sue strette viuzze ricoperte di ciottoli e passaggi a volta sembra essere rimasto intatto da secoli.
La storia della Balagne è stata caratterizzata dalle lotte fra i clan di Corbara e di Sant’Antonino fino al XIX secolo, epoca in cui quest’ultimo visse l’apice del suo splendore. Lotte che hanno portato a violenti spargimenti di sangue spesso basati su un esasperato senso dell’onore. Bastava un adulterio, un’offesa o una diffamazione di qualsiasi tipo per portare a interminabili faide tra clan, perché ogni membro sapeva di poter contare per tutta la vita sull’incondizionata e assoluta solidarietà dei membri della sua famiglia allargata. I clan regolavano così le loro dispute senza ricorrere alla legge, facendosi giustizia da sé: l’omicidio era considerato un sacro dovere nei confronti della famiglia.

Itinerario

1° giorno (70 km – 1.30h) Basilea – Ajaccio – Piana
2° giorno Il Golfo di Porto – La riserva naturale di Scandola – Les Calanches
3° giorno (200 km – 5h) Piana – Calvi – La Balagne – Saint-Florent
4° giorno (120 km – 3h) Saint-Florent – Patrimonio – Cap Corse – Erbalunga
5° giorno (200 km – 4h) Erbalunga – Serra di Piano – Col de Teghime – Corti – Ajaccio
6° giorno (30 km) Ajaccio – Il gofo di Ajaccio – La Route des Sanguinaires e Pointe de la Parate
7° giorno (140 km) Costa Sud del Golfo d’Ajaccio
8° giorno Ajaccio – Basilea

Per saperne di più
Corse La Guide Vert Michelin, Clermont-Ferrand 2011
Corsica Rough Guides, Vallardi, Milano 2009
Corsica Lonely Planet, Torino 2013

Corsica – La battaglia della Corsica per un’identità oppressa

Corsica – Coste selvagge e rocce scolpite
Corsica – L’introversa terra di Napoleone
Corsica – Per Napoleone la Corsica era solo “un’escrescenza”

La Corsica è una terra splendida, con paesaggi incontaminati e ricca di tradizioni. Quest’isola non è però nota alla cronaca solo per le sue bellezze naturali, ma anche per i disordini e per le violenze causate dai movimenti autonomisti. Disordini e violenze che trovano certamente una spiegazione nella sua posizione geografica strategica che l’ha sempre resa terra di conquista per le potenze europee e del Mediterraneo. Nel corso dei secoli la Corsica è infatti stata ambita preda di pisani, genovesi, francesi, saraceni, spagnoli, britannici, senza dimenticare le truppe dell’Impero Romano e quelle del germanico Sacro romano impero.
Tutti questi occupanti hanno sempre tenuto in scarsa considerazione le aspirazioni dei corsi, che si sono battuti per secoli contro gli usurpatori stranieri. A lasciare la maggiore impronta sull’isola sono certamente stati quasi cinque secoli di dominazione genovese, dal 1284 al 1768, che seguivano a oltre due secoli (1077-1284) di occupazione pisana. Genova era confinata in un piccolo territorio e la Corsica era di notevole importanza strategica per lo sviluppo dei suoi commerci. Non fu quindi un caso se si affrettò a trasformarla in una sua roccaforte, adottando una politica repressiva e colonialista, erigendovi fortezze e una cintura di centinaia di torri di guardia, molte delle quali si possono ammirare ancora oggi.
L’unico serio episodio di autonomia dell’isola è legato alla straordinaria figura di Pascal Paoli, intellettuale brillante e illuminato che leggeva Montesquieu, intratteneva corrispondenza con Rousseau e che donò alla Corsica uno dei primi testi costituzionali democratici al mondo, facendo parlare di sé in tutti i salotti del continente.Quello che mise in piedi dal 1755 al 1769 con Corti capitale, fu un vero Stato moderno, che ebbe però breve vita e scomparve un anno dopo il trattato di Versailles del 1768, con cui Genova vendeva l’isola ai francesi, nonostante un tentativo di alleanza di Paoli con gli inglesi. Con un decreto del 1789 la Francia stabilì che “la Corsica fa parte dell’impero e che i suoi abitanti saranno retti dalla stessa Costituzione che governa gli altri francesi”. E sarà proprio il più illustre figlio dell’isola, Napoleone Bonaparte, durante il suo regno a francesizzare definitivamente la Corsica. Da allora i movimenti indipendentisti hanno continuato a battersi con alterne fortune, ma commettendo anche diversi eccessi, come l’assassinio il 6 febbraio 1998 del prefetto francese Claude Erignac, il più alto rappresentante dello Stato sull’isola. Fino a quell’episodio molti corsi avevano manifestato una certa simpatia per l’iniziativa dei nazionalisti, unici ai loro occhi a difendere la causa insulare. Oggi, anche a causa di diversi scandali che hanno coinvolto gli autonomisti, molti cittadini si chiedono se la violenza, che in un recente passato ha colpito l’isola, si giustificasse davvero con le rivendicazioni politiche o se non fosse invece il frutto di una lotta tra bande in cerca di arricchimento personale.

Corsica – L’introversa terra di Napoleone

Corsica – Coste selvagge e rocce scolpite
Corsica – La battaglia della Corsica per un’identità oppressa
Corsica – Per Napoleone la Corsica era solo “un’escrescenza”

Alla scoperta di Cap Corse, la selvaggia regione a nord dell’isola che punta il dito verso il continente, di Corti, patria dell’indipendentismo isolano, e di Ajaccio, dove tutto ricorda la figura dell’imperatore e le sue imprese.

Prosegue il nostro itinerario in Corsica, l’isola che i greci chiamavano Kallisté, la più bella. Dopo aver visitato le meraviglie naturali del Golfo di Porto e aver girovagato tra le colline della Balagne arriviamo a St. Florent, da cui partiremo per visitare la regione costiera del Cap Corse e inoltrarci in seguito nelle regioni montagnose all’interno dell’isola per visitare Corti, l’antica capitale della Corsica indipendente e concludere il nostro viaggio ritornando sulla costa occidentale nel Golfo di Ajaccio.

Patrimonio, capitale del vino corso
Il grazioso villaggio costiero di St. Florent, considerato la Saint-Tropez dell’isola, è avvolto come una conchiglia dalle colline della regione agricola del Nebbio, di cui è capoluogo. A pochi chilometri dal mare si trova Patrimonio, punta di diamante della produzione vitivinicola dell’isola, con 500 ettari coltivati a vigna. Sin dal tempo dei Romani nei suoi vigneti abbarbicati sotto le spettacolari pareti bianche dei monti che circondano il paese si producono alcuni tra i migliori vini della Corsica. Come l’olio d’oliva e il formaggio di pecora, il vino è un prodotto curato da secoli e nel quale si rivela tutta la ricchezza dei sapori del Paese. Nel corso degli ultimi quarant’anni il vino corso ha fatto un notevole salto di qualità e la viticoltura è diventata un fattore economico importante: porta infatti il 30 per cento degli introiti agricoli. I vitigni più diffusi sono, per i vini bianchi, il Vermentino e il Moscato e, per i rossi, gli autoctoni Nielluccio, il più tipico dell’isola, e Sciaccarellu, con cui si produce un vino simile al chiantigiano Sangiovese.

Un dito puntato sul continente
Non ho mai visto una strada simile. Si arrampica letteralmente lungo la parete di una roccia che sovrasta il mare, con un sentiero che in alcuni tratti non è più ampio di un piede”. Così annotava nel suo diario a proposito di Cap Corse James Boswell, un viaggiatore inglese sbarcato sull’isola nel 1765. Oggi esiste una strada costiera lunga 110 chilometri, ma la situazione per gli automobilisti rimane critica, perché in molti tratti due veicoli non incrociano. Sebbene tortuosa questa arteria permette di percorrere una delle regioni più selvagge e spettacolari, spesso considerata un’isola nell’isola, un mondo a parte, perché rimase per secoli accessibile solo via mare, fino a quando, all’inizio dell’Ottocento, Napoleone costruì la strada. Forse anche per questo il paesaggio è rimasto selvaggio e spettacolare, scandito dalle torri costruite in epoca genovese per proteggere gli abitanti dalle incursioni saracene. Villaggi di pescatori e borghi arroccati sulle alture si alternano con morbidi rilievi coperti dalla macchia mediterranea che piomba nel mare da altezze vertiginose. Questa lingua di terra, particolarmente spettacolare sulla costa ovest, lunga 40 chilometri e larga 10, come un muto rimprovero appare sulle carte geografiche come un dito puntato verso quella Genova che per secoli dominò la Corsica. La macchia (maquis in francese), un intrico di rovi che arriva solitamente al ginocchio ma può anche crescere fino a due volte la statura di un uomo, ricopre ormai molte aree un tempo coltivate ed emana un profumo tanto particolare che Napoleone Bonaparte era convinto di poter riconoscere la sua isola a occhi chiusi fidandosi solo del suo olfatto. Una caratteristica appariscente dei pittoreschi villaggi che si alternano soprattutto lungo la costa occidentale sono le “ville degli Americani”, le “maisons d’Américains”, cioè le case di corsi emigrati nei Caraibi o in America Latina costruite con il denaro guadagnato nelle miniere d’oro o nelle piantagioni di caffè e di canna da zucchero. Si tratta spesso di stupefacenti palazzi coloniali con facciate ornate da balconi, circondati da terrazze coltivate a giardino con palme e piante esotiche e, naturalmente, con una splendida vista sul mare. Sono testimonianze storiche di una regione profondamente segnata dall’emigrazione. In un’isola di montanari poco aperti al mondo esterno i capo-corsini erano invece marinai e pescatori per tradizione, propensi ad allargare i propri orizzonti e conoscere lidi più lontani. Il fenomeno dell’emigrazione all’inizio dell’Ottocento interessò comunque tutta l’isola. La destinazione più frequente era la Francia, seguita dall’Italia, soprattutto Pisa e Livorno. Molti si fecero invece tentare dal sogno delle Americhe, soprattutto dal Perù, dal Messico e dal Venezuela. Seguì poi l’avventura coloniale, soprattutto nell’Africa del nord. Oggi in Corsica vivono 300 mila persone, mentre si conta che tra i 700 e gli 800 mila Corsi abbiano lasciato l’isola e 500 mila vivano in Francia.
Agli amanti del trekking il Cap Corse offre una splendida passeggiata, il cosiddetto “Sentiero dei doganieri” (“Sentier des Douaniers”) che collega in circa 8 ore di cammino il romantico paesino di pescatori di Centuri a Macinaggio, percorrendo la punta del capo e attraversando un paesaggio incontaminato.
Il nostro itinerario prevede invece di pernottare a Erbalunga sulla sponda orientale di Cap Corse, da cui nei giorni di bel tempo le isole toscane dell’Elba e di Capraia sembrano a un tiro di schioppo. “Nid des Peintres”, questo rifugio di molti pittori famosi si raccoglie attorno a una torre imponente e a un minuscolo porto di pescatori, che ospita un ottimo e pittoresco ristorante: “Le Pirate”.

Corti, capitale dell’indipendenza
Prima di puntare su Corti, che dista circa due ore d’automobile da Erbalunga, se il cielo è azzurro e la giornata nitida vale la pena di fare una piccola deviazione verso il Col de Teghime, ma soprattutto verso la Serra di Pigno a quota 960 metri, da cui si gode uno splendido panorama sui due versanti del Cap Corse.
Come una pietra preziosa incastonata in una corona di montagne”: con questa suggestiva immagine la guida Lonely Planet descrive la posizione di Corti, essenza dell’anima corsa e custode dell’identità insulare, situata allo sbocco di diverse valli e circondata da montagne frastagliate in un paesaggio davvero scenografico. Il centro storico, dominato dalla vertiginosa fortezza a nido d’aquila che sorge sopra uno sperone roccioso, è caratterizzato da un labirinto di strette strade a ciottoli che confluiscono nella vivacissima piazza principale, dedicata all’eroe dell’indipendenza Pasquale Paoli. Da un imponente statua il “babbu di a patria” rivolge il suo sguardo imperioso verso l’animatissimo corso principale, pure a lui dedicato. La cittadina vivace e accogliente con le sue antiche dimore e le botteghe artigiane conta 7 mila abitanti, ma durante il periodo scolastico si anima di giovani che frequentano la sua università – unica sull’isola – che propone le facoltà di diritto, economia e studi ambientali, ma soprattutto lingua, storia e letteratura corse. Obiettivo principale dell’istituto è infatti quello di studiare e valorizzare la cultura locale. Dopo un lungo periodo di esistenza clandestina, trent’anni fa la lingua corsa è stata protagonista di una stupefacente rinascita. Oggi viene insegnata a scuola ed è parlata con fierezza da un terzo della popolazione. Gli studiosi la considerano l’ultimo latino antico ancora parlato. Di origini celtiche liguri e con una forte influenza del toscano medievale, si dice che se Dante tornasse in vita la capirebbe! Nella fortezza di Corti si può visitare il museo etnografico che propone un suggestivo viaggio nella storia dell’isola.
Questa simpatica cittadina è considerata la patria del nazionalismo insulare, perché dal 1755 al 1769 fu la capitale del primo e unico Stato corso indipendente della storia voluto da Pasquale Paoli, che proclamò una delle prime costituzioni democratiche del mondo. L’esperienza si concluse nel 1769 dopo che i genovesi vendettero la Corsica alla Francia e l’esercito indipendentista fu sconfitto da quello francese.

La regione di Ajaccio patria di Napoleone
Il nostro itinerario nel nord ovest della Corsica si conclude ad Ajaccio con la visita del centro storico e del suo splendido golfo. In questa città tutto parla del suo figlio più illustre: Napoleone Bonaparte. Strade, monumenti e musei ricordano l’incredibile destino di questo grande uomo che nel 1811 per decreto imperiale elesse la sua città natale capitale dell’isola a scapito di Bastia, ma che con la Corsica ebbe sempre un difficile rapporto.
Le case dai colori caldi del magnifico lungomare dominato dalla cittadella fortificata costruita dai genovesi per intimidire la rivoltosa nobiltà locale, i fastosi palazzi che si affacciano su ampi viali fiancheggiati da palme, le vie animate – per non dire caotiche – del centro creano un’atmosfera meridionale rilassata molto apprezzata dai turisti. Lungo l’animatissima strada pedonale dedicata al Cardinal Fesch, zio di Napoleone, si affacciano boutique e ristoranti di lusso, oltre all’eccezionale museo d’arte Fesch e alla Chapelle Impériale dove sono sepolti i membri della famiglia Bonaparte. Poco distante si possono visitare anche il Salon Napoléon nel palazzo del municipio, che conserva alcuni cimeli dell’imperatore, e la sua casa natale.
Il Golfo di Ajaccio è uno dei più ampi dell’isola e offre interessanti gite sia in battello, sia in automobile. Percorrendo la cosiddetta “Route des Sanguinaires” in direzione ovest si raggiunge il grande posteggio della Punta della Parata, da cui si prosegue a piedi (andata e ritorno circa un’ora) verso la punta per poi salire alla torre genovese, dove il panorama spazia sulla costa rocciosa del golfo e sulle suggestive Îles Sanguinaires, che tanto ispirarono lo scrittore francese Alphonse Daudet. Il loro nome è dettato dal colore che assumono al tramonto. Di ritorno verso Ajaccio seguendo le indicazioni per Capo di Feno, in pochi chilometri si raggiunge l’idilliaca Plage de Grand Capo. Se da Ajaccio ci si dirige invece in direzione sud si incontrano dapprima innumerevoli belle spiagge di sabbia bianca, ma con scarso fascino, dato che la zona è molto costruita e turistica. Per trovare un’altra spiaggetta idilliaca in un luogo incontaminato bisogna invece dirigersi verso Capu Muro, che chiude a sud il golfo, e scendere lungo una strada dissestata a Cala d’Orzu. Invece di scendere al mare si può anche proseguire fino al termine della strada, dove inizia un facile (sono comunque necessarie scarpe da montagna) ma suggestivo sentiero tra la macchia mediterranea, che in due ore tra andata e ritorno porta alla torre genovese di Punta Guardiola, con una splendida vista su tutto il Golfo di Ajaccio.

Itinerario
1° giorno (70 km – 1.30h) Basilea – Ajaccio
Ajaccio – Piana
2° giorno Il Golfo di Porto – La riserva naturale di Scandola – Les Calanches
3° giorno (200 km – 5h) Piana – Calvi – La Balagne – Saint-Florent
4° giorno (120 km – 3h) Saint-Florent – Patrimonio – Cap Corse – Erbalunga
5° giorno (200 km – 4h) Erbalunga – Serra di Piano – Col de Teghime – Corti – Ajaccio
6° giorno (30 km) Ajaccio – Il golfo di Ajaccio – La Route des Sanguinaires e Pointe de la Parate
7° giorno (140 km) Costa Sud del Golfo d’Ajaccio
8° giorno Ajaccio – Basilea

Per saperne di più
Corse La Guide Vert Michelin, Clermont-Ferrand 2011
Corsica Rough Guides, Vallardi, Milano 2009
Corsica Lonely Planet, Torino 2013

Corsica – Per Napoleone la Corsica era solo “un’escrescenza”

Corsica – Coste selvagge e rocce scolpite
Corsica – L’introversa terra di Napoleone
Corsica – La battaglia della Corsica per un’identità oppressa

Napoleone Bonaparte è certamente il più illustre cittadino corso e ad Ajaccio, sua città natale, tutto parla di lui. Nacque nel 1769, un anno cruciale per la storia dell’isola perché segnò il passaggio dalla dominazione genovese a quella francese. Proprio in quell’anno infatti s’infranse il sogno del patriota Pascal Paoli di creare una Corsica indipendente, retta da una costituzione tanto liberale e innovativa da richiamare l’attenzione di Jean-Jacques Rousseau, che accarezzò l’idea di trasferirsi sull’isola per studiarne e scriverne la storia.
Napoleone ha certamente conferito una fama internazionale alla sua città natale, che nel 1811 venne decretata “cité imperiale”. Sebbene ad Ajaccio oggi la sua presenza sia ancora ovunque, molti abitanti considerano l’imperatore come un francese che ha fatto unicamente i suoi interessi e quelli della Francia, in disaccordo con il movimento indipendentista dell’eroe isolano Paoli. Talvolta questa disapprovazione, soprattutto all’interno delle frange indipendentiste, viene espressa in modi eclatanti: qualche anno fa la statua di Napoleone nella piazza principale di Ajaccio fu imbrattata. Paradossalmente, fu infatti proprio questo figlio della Corsica – condotto dal destino nella Parigi della Rivoluzione, ai piedi delle piramidi d’Egitto, ai confini dell’Europa, a Jena, a Trafalgar, nella lontana Russia -, ad adoperarsi per la francesizzazione dell’isola.
Lo stesso Napoleone d’altra parte serbava una certa amarezza nei confronti del suo luogo natio. Uno dei generali che lo aveva seguito in esilio a Sant’Elena raccontò di un colloquio in cui Napoleone gli citò un’affermazione di M. de Choisel, secondo cui “se fosse stato possibile si sarebbe dovuto spingere la Corsica sotto il mare con un tridente” e l’imperatore aggiunse con animosità: “Aveva ragione, quest’isola non è nient’altro che un’escrescenza!”.
Anche la storia della famiglia Bonaparte non facilita i rapporti con chi ha creduto o crede nell’indipendenza dell’isola. Carlo, il padre di Napoleone, era infatti segretario e sostenitore di Pascal Paoli, ma quando i francesi sconfissero definitivamente l’eroe isolano nella battaglia di Ponte-Nuovo egli giunse a patti con loro, sia diventando il rappresentante della nobiltà corsa all’Assemblea Nazionale, sia utilizzando i suoi contatti con il governatore francese sull’isola per ottenere l’istruzione gratuita per i propri figli. Fu così che il giovane Napoleone all’età di 9 anni lasciò l’isola grazie a una borsa di studio per l’accademia militare di Brienne, sul continente, un’istituzione voluta proprio per educare i figli della nobiltà alla loro condizione, e proseguì poi il curriculum alla prestigiosa École Militaire di Parigi. Dopo lo scoppio della Rivoluzione tornò in Corsica per promuovere con entusiasmo lo spirito rivoluzionario nella sua terra natale. Entrò però in conflitto con Paoli e i suoi seguaci, che nel 1793 cacciarono dall’isola lui e la sua famiglia. Napoleone aveva ormai fatto la sua scelta per una Corsica francese, tanto che cambiò il suo nome da Napoleone a Napoléon. Sulla sua isola ritornò una sola volta, quando fu costretto ad ormeggiare, al rientro dalla campagna in Egitto.

Borgogna – L’inebriante “Route” tra vigneti e nomi prestigiosi

Borgogna – Tra castelli e monasteri medioevali
Borgogna – Lungo la strada dei grandi vini fermenta la cultura del territorio
Borgogna – Per i vini della Borgogna serve un fiuto professionale

Nella terra del “bon vivre” e dell’equilibrio. Cittadine a misura d’uomo, ricchezze artistiche, paesaggi bucolici. Gastronomia gustosa e raffinata, vini sopraffini. Lungo la strada dei “GrandsCrus” ognivillaggio, ogni pendio vanta un titolo glorioso.

Città a misura d’uomo, ricchezze artistiche, paesaggi bucolici, gastronomia gustosa e raffinata, vini sopraffini: siete in Borgogna, la terra del “bon vivre” e dell’equilibrio. Da Digione a Santenay, passando per Beaune, lungo 65 chilometri, si estende la “Côte-d’Or”. La si percorre lungo la “Route des Grands Crus”, che attraversa alcuni tra i vigneti più famosi al mondo. A ogni tappa di questo itinerario corrisponde un marchio di eccellenza. Ogni villaggio, ogni pendio porta un titolo glorioso. D’altra parte il ricco patrimonio architettonico di questo territorio della Francia presenta tutte le epoche artistiche, ad iniziare dal romanico, con più di 2 mila siti protetti e oltre 800 chiese, cappelle e strutture conventuali, nonché 400 castelli, palazzi e manieri. La regione conserva l’immensa eredità monastica dei due grandi ordini religiosi del Medioevo (benedettini di Cluny e cistercensi di Cîteaux), ma è pure la patria dei duchi di Borgogna, grandi mecenati, che contribuirono a creare la potenza e la fama di questa terra. Fino al XIV secolo il ducato ebbe sede a Beaune, ma poi con Filippo l’Ardito (1342-1404) scelse di stabilirsi definitivamente a Dijon, dove divenne particolarmente potente nel XIV e XV secolo. Questo fatto provocò una forte rivalità tra le due città, che ancora oggi si contendono l’eredità del prestigioso ducato.
Il nostro itinerario di viaggio percorre le cinque regioni in cui si suddivide la Borgogna (Côte-d’Or, Yonne, Nière, Saône-et-Loire e Morvan) e inizia da Beaune, che si raggiunge dal Ticino in circa 5 ore d’automobile. Presenterò la “Route des Grands Crus”, soffermandomi in particolare sulla piccola e graziosa Beaune e sulla grande Dijon, che sono due città a misura d’uomo.

La Route des Grands Crus
La pittoresca “Route des Grands Crus”, molto piacevole da percorrere in automobile, attraversa i principali vigneti della “Côte-d’or” per una sessantina di chilometri da Dijon a Santenay, toccando una trentina di graziosi villaggi agricoli, oltre a Beaune, la capitale del vino Bourgogne. La “Côte-d’Or” si suddivide in “Côte-de-Nuits” (da Nuits-St-Georges a nord di Beaune fino alle porte di Dijon) e “Côte-de-Beaune” (attorno a Beuane e in direzione sud fino a Santenay). La “Côte-de-Nuits” si estende lungo circa 20 chilometri mentre in larghezza il territorio vignato non supera quasi mai gli 800 metri. I suoi vini più prestigiosi sono rossi prodotti con uve di Pinot Nero. Il vino più famoso della “Côte” è certamente il Romanée-Conti, proveniente da una piccolissima tenuta nel villaggio di Vosne-Romanée. Sulla carta dei vini di un rinomato ristorante di Beaune veniva offerto a 10’500 euro la bottiglia (annata 1999). Gli esperti concordano nell’asserire che a Vosne-Romanée non esistono vini mediocri, ma solamente di qualità superiore. Proseguendo in direzione Dijon si incontra Vougeot, da cui si raggiunge l’omonimo cinquecentesco Château (interessante la visita), circondato da vigneti che furono piantati nel XII dai monaci dell’abbazia cistercense di Citaux, a cui la tenuta appartenne fino alla rivoluzione francese. Qui si produce un altro rosso celebre in tutto il mondo. A pochi chilometri sorge il villaggio di Chambolle-Musigny, che pure dà il nome a un vino molto noto, e in seguito si raggiunge Gevrey-Chambertin, dove si produce un rosso molto delicato. Alexandre Dumas scrisse a proposito di questo vino preferito da Napoleone: “A nessuno il futuro appare tanto rosa come se lo si osserva attraverso un calice di Chambertin”.
A sud della città e attorno a Beuane si estende invece la “Côte-de-Beaune”, più lunga e larga della “Côte-de-Nuits”, dalla quale si distingue anche per la produzione di grandi vini bianchi, oltre che rossi. Alle porte di Beaune in direzione nord, ad Aloxe-Corton, Carlo Magno (742-814) possedeva alcuni vigneti su una collina molto isolata, a cui si ispira ancora oggi il Corton-Charlemagne, un bianco di gran classe. I rossi di questo villaggio sono invece stati definiti da Voltaire “i più sinceri della costa di Beaune”. Dalle vicine colline di Pernand-Vergelesses, si gode una splendida vista su tutta la regione. All’entrata sud di Beaune si trovano invece i vigneti di Pommard e di Volnay, tanto apprezzati dal re di Francia Luigi XI e considerati tra i migliori di tutta la Borgogna. Più a sud si raggiunge Meursault, considerato il centro dei vini bianchi della “Côte-d’or”, che vengono ottenuti dalla vinificazione di uve Chardonnay: i Mersault, i Pulugny-Montrachet e i Chassagne-Montrachet sono ritenuti i migliori al mondo.

Beaune, capitale del vino bourgogne
A Beaune, la simpatica capitale del vino bourgogne, tutto parla di vino: non solo le numerose cantine che offrono i propri prodotti in degustazione, o il museo del vino situato nella dimora dei duchi di Borgogna; ma persino quell’opera straordinaria, assolutamente da non perdere, che è l’Hôtel-Dieu. Si tratta di un ospedale che aprì i battenti nel 1452 e rimase in funzione fino al 1971. Fu fondato al termine della guerra dei Cent’anni da Nicolas Rolin, cancelliere del duca Filippo il Buono. Per garantire le spese di gestione dell’istituto il suo fondatore diede in dotazione all’Hôtel alcune tenute viticole, i cui proventi andavano a coprire i deficit dell’ospedale. A partire dal 1850, quando il commercio del Bourgogne si internazionalizzò, ogni anno la terza domenica di dicembre nella grande sala medievale dell’Hôtel si svolge un evento mondiale: un’asta (curata da Christie’s) dei vini provenienti dai 60 ettari delle tenute, che si estendono tra Gevrey-Chambertin e Puligny-Montrachet. I proventi vengono ancora oggi devoluti all’opera dell’Hôtel-Dieu e i valori acquisiti all’asta costituiscono per i commercianti la base dei prezzi dell’annata.
Al di là di questa curiosità, la visita all’ospedale, che funzionò per oltre cinque secoli, è di grande interesse. La struttura ha più le parvenze di “un alloggio del principe che di un ospedale per i poveri”, con l’imponente e magnifico tetto in tegole verniciate e la corte d’onore, da cui si accede alla “salle des pôvres”, un’immensa camerata dove sono ancora allineati lungo le pareti 28 letti che per secoli hanno accolto i malati della cittadina. Separata da un semplice tramezzo, si trova una cappella, che consentiva ai degenti di assistere alle funzioni senza doversi spostare e ospitava un capolavoro dell’arte fiamminga del Quattrocento: il Giudizio universale di Roger Van der Weyden (ora esposto in un’altra sala), che ricorda con minuzia di particolari ciò che ci attende dopo la morte. La visita prosegue visitando le stanze per i malati più abbienti, per quelli in pericolo di vita, la cucina e la farmacia. Tutto è rimasto intatto, perfettamente conservato, come se il tempo si fosse fermato.

Dijon, la città dei duchi
Il ducato di Borgogna nel XIV secolo e soprattutto nel XV, per la sua ricchezza di idee e di vita artistica, rappresentò l’apice della cultura e della politica europea. Nel corso di un secolo, i duchi furono tra i principi più potenti della cristianità, con una posizione pari a quella del papa o dell’imperatore. Il loro regno si estendeva dal mare del Nord fino al Mediterraneo. Furono anche grandi mecenati e trasformarono Digione, lontana dalle guerre, in una città di cultura e di commercio senza pari: il palazzo ducale faceva da sfondo a sontuosi ricevimenti e gli affari prosperavano, consentendo alla grande borghesia di costruire fastose dimore ancora oggi visibili in “rue des Forges”, “rue Vauban” e “rue Verrerie”. Il fasto dei duchi, dopo un periodo di declino, venne poi ripreso e incrementato dalla nobiltà del XVII e XVIII secolo, che recuperò il Palazzo Ducale in disuso dai tempi di Carlo il Temerario (1433-1477) e trasformò i suoi dintorni in “Place Royale”, l’attuale semicircolare “Place de la Libération”, progettata dall’architetto Jules Hardouin-Mansart, che disegnò Versailles. Recentemente questa splendida e animatissima piazza, dove è piacevole sedersi all’ora dell’aperitivo in uno dei suoi numerosi caffè per gustarsi un kir (specialità a base di liquore di cassis e vino bianco), è stata arredata con ingegnosi getti d’acqua che fanno la gioia dei bimbi.
Ma, oltre a passeggiare per le vie del piacevolissimo centro storico pedonalizzato, non si può mancare una visita al Palazzo dei Duchi, che ospita uno dei più importanti e vasti musei d’arte di Francia. Indimenticabili le tombe di due duchi che fecero la grandezza di questa terra: quelle di Filippo l’Ardito (1342-1404) e di Giovanni Senza Paura (1371-1419) sepolto assieme alla consorte Margherita di Baviera. Le statue funerarie in marmo bianco giacciono su una lastra di marmo nero sorretta da una sorta di chiostro sotto al quale veglia un gruppo di figure piangenti o in lutto. Assolutamente da non perdere anche i due polittici trecenteschi della Crocifissione e quello dei Santi e Martiri.

Itinerario
1° giorno (530 km) Locarno – Beaune
2° giorno (40 km) Beaune – Santenay – Beaune
3° giorno (50 km) Beaune – Dijon
4° giorno Dijon
5° giorno (200 km) Dijon – Fontenay – Ancy-le-Franc – Tanlay – Chablis – Auxerre
6° giorno (350 km) Auxerre – Vézelay – Pouilly-sur-Loire – Cluny
7° giorno (150 km) Cluny – Cormatin – Beaune
8° giorno (530 km) Beaune – Locarno

Per saperne di più
Bourgogne Geoguide, Paris 2014
Borgogna e Champagne-Ardenne La guida verde Michelin, Milano 2008
Bourgogne Petit Futé, Paris 2014