Mondo etrusco – La civiltà più colta prima dei romani
Il nostro percorso, di circa 800 chilometri, parte da Firenze per concludersi a Cerveteri. I luoghi ricchi di testimonianze di questo popolo nella fascia fra Roma e Toscana sono moltissimi.
Il nostro itinerario inizia dal Museo archeologico nazionale di Firenze, dove sono raccolti alcuni capolavori di arte etrusca e di arte greca rinvenuti in tombe etrusche. Di particolare pregio sono le statue in bronzo: accanto a una serie di bronzetti votivi troneggiano la “Chimera” (fine V-inizio IV secolo a.C.) proveniente da Arezzo e “L’Arringatore” (II secolo a.C.) ritrovato nella zona di Perugia. La “Chimera”, scoperta nel 1553, per Cosimo I de’ Medici divenne il simbolo del potere mediceo rappresentando le fiere selvagge che il duca aveva domato per costituire il suo regno. “L’Arringatore”, un personaggio maschile nel pieno della maturità caratterizzato da un volto severo e nello stesso tempo grave e ispirato, arredò per lungo tempo la camera da letto di Cosimo I.
La città del ferro
Solitamente le altre città costiere etrusche sorgevano a una decina di chilometri dal mare. Populonia, che gestiva gli enormi giacimenti di ferro dell’isola d’Elba, costituisce un’eccezione e la sua acropoli, di cui rimangono solo le fondamenta di alcuni edifici sacri, era situata su uno sperone dal quale si domina il mare: da una parte il meraviglioso golfo di Baratti e la costa, dall’altra l’Elba. Accanto all’acropoli oggi sorge un grazioso borgo medievale.
Il suggestivo golfo di Baratti costituisce un porto naturale dove attraccavano le navi provenienti dall’isola e cariche di pietre contenenti ferro. Poco distante sorgeva il centro siderurgico, di cui si possono osservare ancora oggi le fondamenta seguendo la “Via del ferro”. La necropoli sorgeva a pochi metri dal mare nel golfo di Baratti, accanto agli impianti siderurgici e di fronte all’acropoli (la città dei morti, nella civiltà etrusca, era sempre separata da quella dei vivi). Nel corso dei secoli fu sepolta dalle scorie di ferro prodotte in grande quantità dapprima dagli Etruschi e in seguito dai Romani. Gli archeologi dovettero scavare sotto questa immensa montagna nera per trovare sepolcri etruschi in ottimo stato di conservazione e molto interessanti, perché in uno spazio molto delimitato si presentano nelle varie tipologie: a tumulo, a edicola, a sarcofago, a camera.
Il luogo più suggestivo di Populonia è certamente l’itinerario che conduce alla visita delle cave di pietra etrusche e della necropoli delle Grotte, “quasi senza confronto nel mondo etrusco” (guida archeologica del Touring), che unisce all’eccezionalità dei monumenti etruschi il fascino del paesaggio immerso nel verde della macchia mediterranea con sullo sfondo il mare. Il sentiero che sale, illuminato dal sole, è scintillante per la presenza di residui metalliferi nella sabbia. Giunti in cima alla collina si incontrano dapprima le cave di arenaria, una pietra costituita da sabbia cementificata, molto diffusa nella zona e ampiamente utilizzata per costruire monumenti funebri. Facilmente modellabile, veniva utilizzata per costruire muri a secco giunti fino a noi in perfetto stato nonostante siano stati costruiti oltre 2500 anni fa. Di fronte alla cava la necropoli delle Grotte, interamente scavata nella parete di arenaria, propone una serie di tombe a camera che datano del IV e III secolo a.C. Lasciato quel luogo suggestivo, il sentiero che scende verso il mare è cosparso da altri sepolcri scavati nella roccia.
L’Etruria del tufo
Questo triangolo di Maremma tufacea è di una bellezza speciale. I villaggi di Pitigliano e di Sorana osservati da lontano sembrano scaturire dalla roccia vulcanica, assumono le forme e i colori del tufo in perfetta armonia con la splendida natura circostante. Affascinanti anche le viuzze dei loro borghi medievali, ma la perla del magico triangolo è forse costituita da Sovana per la suggestione arcaica del minuscolo borgo distribuito tra la Rocca degli Aldobrandeschi (centro di potere della potente famiglia feudale) e il bellissimo duomo romanico, per l’importanza e per la monumentalità delle straordinarie necropoli etrusche. Dal IV secolo a.C. l’aristocrazia agraria dominante a Sovana esibisce la propria ricchezza realizzando costosissimi e monumentali sepolcri, suggestivamente scavati nei pendii tufacei delle tre valli che circondano l’abitato con una notevole varietà di tipi architettonici. Il monumento più imponente è certamente la tomba Ildebranda realizzata nel III secolo a.C. Completamente scavata nella roccia di tufo, ricorda in maniera impressionante gli splendidi monumenti di Petra in Giordania.
I tre villaggi del magico triangolo sono collegati tra loro da strade etrusche, le cosiddette vie cave. Scavate nella roccia, sono profondamente incassate tra alte pareti tufacee e costituiscono il segno di percorsi antichi che si diramavano in tutte le direzioni dagli antichi centri abitati. Percorrendole avete l’impressione di immergervi nella notte dei tempi. L’emozione è grandissima anche per la lontana luce che le illumina, che conferisce a questi percorsi un significato sacro.
Gli affreschi di Tarquinia
La pietra su cui sorge Tarquinia è molto friabile. Non permette quindi grandi interventi scultorei. Fu probabilmente questa la ragione principale alla base dello sviluppo della pittura funeraria, che non rappresenta solo l’episodio pittorico più importante prima dell’epoca imperiale romana, ma anche una fonte preziosa di informazione sui “valori” all’insegna dei quali viveva la società etrusca, sul costume e sulle credenze soprattutto della classe aristocratica. Gli affreschi rappresentano infatti scene di vita: banchetti funerari e non, allietati da danzatori e suonatori di cetra e di flauto, giochi funebri (alcuni molto truci), riti religiosi, scene di caccia e di gioco, scene erotiche e molto altro ancora.
Delle circa 200 tombe affrescate se ne possono visitare una ventina, quasi tutte in ottimo stato di conservazione. I sepolcri tarquinesi presentano di solito un vano rettangolare a cui si accede con un corridoio a gradini scavato nella parete del colle. Il visitatore si ferma davanti a una porta in vetro che blocca l’ingresso al locale, ma che permette un’ottima visuale sulle pitture realizzate con la tecnica dell’affresco: su una parete intonacata l’artista segnava con una punta i contorni delle figure, poi applicava i colori minerali e vegetali sciolti in acqua. Le immagini sono di due tipi: decorazioni semplici simboliche e allegoriche sui soffitti e sugli spazi frontali delle pareti; decorazioni complesse, rappresentanti varie scene di vita, in genere a metà dell’altezza delle pareti.
I corredi funebri trovati nelle tombe di Tarquinia sono presentati in modo didattico nel rinnovato museo nazionale ospitato dal quattrocentesco Palazzo Vitelleschi. I dipinti di alcune tombe che erano minacciati dalle intemperie sono stati strappati e riproposti al museo, dove si possono ammirare non solo opere etrusche, ma anche preziosi oggetti, soprattutto vasi, provenienti dalla Grecia ma di proprietà dei defunti.
Una vera città dei morti
Quella di Cerveteri è la visita più suggestiva di tutto il viaggio. Per due ore, tanto dura la visita al sito archeologico, camminate nel silenzio in una vera città dei morti. Il tempo sembra essersi fermato. Con un po’ di capacità di astrazione potete immaginarvi, come fa lo scrittore Giorgio Bassani nel romanzo “Il giardino dei Finzi-Contini”, di tornare ai tempi in cui gli etruschi visitavano questo luogo così come nei nostri paesi “il cancello del camposanto era il termine obbligato di ogni passeggiata serale”. “Varcata la soglia del cimitero – scrive Bassani – dove ognuno di loro possedeva una seconda casa, e dentro questa il giaciglio già pronto su cui, tra poco, sarebbe stato coricato accanto ai padri, l’eternità non doveva più sembrare un’illusione, una favola, una promessa da sacerdoti. Il futuro avrebbe stravolto il mondo a suo piacere. Lì, tuttavia, nel breve recinto sacro ai morti famigliari; nel cuore di quelle tombe dove, insieme coi morti, si provvedeva a far scendere tutto ciò che rendeva bella e desiderabile la vita; in quell’angolo di mondo difeso, riparato: almeno lì (e il loro pensiero, la loro pazzia, aleggiava ancora, dopo venticinque secoli, attorno ai tumuli conici, ricoperti d’erbe selvagge), almeno lì nulla sarebbe mai cambiato”.
Camminando lungo il percorso trovate sepolcri di ogni epoca etrusca e di ogni genere. A seconda dello sviluppo e delle fortune della città le tombe diventano più imponenti. Con l’affacciarsi delle nuove classi sociali compaiono le cosiddette tombe a dado, soprannominate dalle guide locali le casette a schiera. In questa città dei morti, dove ognuno si costruiva la sua casa per l’aldilà a seconda delle sue possibilità e il più simile possibile a quella abitata durante la vita terrena, potete leggere e capire la vita di questo popolo straordinario. Al museo di Cerveteri, che merita una visita, sono conservati gli arredi funebri di molte tombe.
Seguiamo ancora Giorgio Bassani: “Penetrammo nell’interno della tomba più importante, quella che era stata della nobile famiglia Matuta: una bassa sala sotterranea che accoglie una ventina di letti funebri disposti dentro altrettante nicchie delle pareti di tufo, e adorna fittamente di stucchi policromi raffiguranti i cari, fidati oggetti della vita di tutti i giorni: zappe, funi, accette, forbici, vanghe, coltelli, archi, frecce, perfino cani da caccia e volatili di palude”.
L’itinerario
1° giorno
Locarno – Firenze (425 km)
2° giorno
Museo Archeologico di Firenze
3° giorno
Firenze – Populonia (169 km)
Populonia – Valpiana (40 km)
4° giorno
Valpiana – Sovana (115 km)
5° giorno
Sovana – Tarquinia (73 km)
Tarquinia – Bracciano (68 km)
6° giorno
Bracciano – Cerveteri (18 km)
Cerveteri – Firenze (314 km)
7° giorno
Firenze – Locarno (425 km)