Mondo etrusco – Quattro tappe tra turismo e cultura

Mondo etrusco – La civiltà più colta prima dei romani

Il nostro percorso, di circa 800 chilometri, parte da Firenze per concludersi a Cerveteri. I luoghi ricchi di testimonianze di questo popolo nella fascia fra Roma e Toscana sono moltissimi.

Il nostro itinerario inizia dal Museo archeologico nazionale di Firenze, dove sono raccolti alcuni capolavori di arte etrusca e di arte greca rinvenuti in tombe etrusche. Di particolare pregio sono le statue in bronzo: accanto a una serie di bronzetti votivi troneggiano la “Chimera” (fine V-inizio IV secolo a.C.) proveniente da Arezzo e “L’Arringatore” (II secolo a.C.) ritrovato nella zona di Perugia. La “Chimera”, scoperta nel 1553, per Cosimo I de’ Medici divenne il simbolo del potere mediceo rappresentando le fiere selvagge che il duca aveva domato per costituire il suo regno. “L’Arringatore”, un personaggio maschile nel pieno della maturità caratterizzato da un volto severo e nello stesso tempo grave e ispirato, arredò per lungo tempo la camera da letto di Cosimo I.

La città del ferro
Solitamente le altre città costiere etrusche sorgevano a una decina di chilometri dal mare. Populonia, che gestiva gli enormi giacimenti di ferro dell’isola d’Elba, costituisce un’eccezione e la sua acropoli, di cui rimangono solo le fondamenta di alcuni edifici sacri, era situata su uno sperone dal quale si domina il mare: da una parte il meraviglioso golfo di Baratti e la costa, dall’altra l’Elba. Accanto all’acropoli oggi sorge un grazioso borgo medievale.
Il suggestivo golfo di Baratti costituisce un porto naturale dove attraccavano le navi provenienti dall’isola e cariche di pietre contenenti ferro. Poco distante sorgeva il centro siderurgico, di cui si possono osservare ancora oggi le fondamenta seguendo la “Via del ferro”. La necropoli sorgeva a pochi metri dal mare nel golfo di Baratti, accanto agli impianti siderurgici e di fronte all’acropoli (la città dei morti, nella civiltà etrusca, era sempre separata da quella dei vivi). Nel corso dei secoli fu sepolta dalle scorie di ferro prodotte in grande quantità dapprima dagli Etruschi e in seguito dai Romani. Gli archeologi dovettero scavare sotto questa immensa montagna nera per trovare sepolcri etruschi in ottimo stato di conservazione e molto interessanti, perché in uno spazio molto delimitato si presentano nelle varie tipologie: a tumulo, a edicola, a sarcofago, a camera.
Il luogo più suggestivo di Populonia è certamente l’itinerario che conduce alla visita delle cave di pietra etrusche e della necropoli delle Grotte, “quasi senza confronto nel mondo etrusco” (guida archeologica del Touring), che unisce all’eccezionalità dei monumenti etruschi il fascino del paesaggio immerso nel verde della macchia mediterranea con sullo sfondo il mare. Il sentiero che sale, illuminato dal sole, è scintillante per la presenza di residui metalliferi nella sabbia. Giunti in cima alla collina si incontrano dapprima le cave di arenaria, una pietra costituita da sabbia cementificata, molto diffusa nella zona e ampiamente utilizzata per costruire monumenti funebri. Facilmente modellabile, veniva utilizzata per costruire muri a secco giunti fino a noi in perfetto stato nonostante siano stati costruiti oltre 2500 anni fa. Di fronte alla cava la necropoli delle Grotte, interamente scavata nella parete di arenaria, propone una serie di tombe a camera che datano del IV e III secolo a.C. Lasciato quel luogo suggestivo, il sentiero che scende verso il mare è cosparso da altri sepolcri scavati nella roccia.

L’Etruria del tufo
Questo triangolo di Maremma tufacea è di una bellezza speciale. I villaggi di Pitigliano e di Sorana osservati da lontano sembrano scaturire dalla roccia vulcanica, assumono le forme e i colori del tufo in perfetta armonia con la splendida natura circostante. Affascinanti anche le viuzze dei loro borghi medievali, ma la perla del magico triangolo è forse costituita da Sovana per la suggestione arcaica del minuscolo borgo distribuito tra la Rocca degli Aldobrandeschi (centro di potere della potente famiglia feudale) e il bellissimo duomo romanico, per l’importanza e per la monumentalità delle straordinarie necropoli etrusche. Dal IV secolo a.C. l’aristocrazia agraria dominante a Sovana esibisce la propria ricchezza realizzando costosissimi e monumentali sepolcri, suggestivamente scavati nei pendii tufacei delle tre valli che circondano l’abitato con una notevole varietà di tipi architettonici. Il monumento più imponente è certamente la tomba Ildebranda realizzata nel III secolo a.C. Completamente scavata nella roccia di tufo, ricorda in maniera impressionante gli splendidi monumenti di Petra in Giordania.
I tre villaggi del magico triangolo sono collegati tra loro da strade etrusche, le cosiddette vie cave. Scavate nella roccia, sono profondamente incassate tra alte pareti tufacee e costituiscono il segno di percorsi antichi che si diramavano in tutte le direzioni dagli antichi centri abitati. Percorrendole avete l’impressione di immergervi nella notte dei tempi. L’emozione è grandissima anche per la lontana luce che le illumina, che conferisce a questi percorsi un significato sacro.

Gli affreschi di Tarquinia
La pietra su cui sorge Tarquinia è molto friabile. Non permette quindi grandi interventi scultorei. Fu probabilmente questa la ragione principale alla base dello sviluppo della pittura funeraria, che non rappresenta solo l’episodio pittorico più importante prima dell’epoca imperiale romana, ma anche una fonte preziosa di informazione sui “valori” all’insegna dei quali viveva la società etrusca, sul costume e sulle credenze soprattutto della classe aristocratica. Gli affreschi rappresentano infatti scene di vita: banchetti funerari e non, allietati da danzatori e suonatori di cetra e di flauto, giochi funebri (alcuni molto truci), riti religiosi, scene di caccia e di gioco, scene erotiche e molto altro ancora.
Delle circa 200 tombe affrescate se ne possono visitare una ventina, quasi tutte in ottimo stato di conservazione. I sepolcri tarquinesi presentano di solito un vano rettangolare a cui si accede con un corridoio a gradini scavato nella parete del colle. Il visitatore si ferma davanti a una porta in vetro che blocca l’ingresso al locale, ma che permette un’ottima visuale sulle pitture realizzate con la tecnica dell’affresco: su una parete intonacata l’artista segnava con una punta i contorni delle figure, poi applicava i colori minerali e vegetali sciolti in acqua. Le immagini sono di due tipi: decorazioni semplici simboliche e allegoriche sui soffitti e sugli spazi frontali delle pareti; decorazioni complesse, rappresentanti varie scene di vita, in genere a metà dell’altezza delle pareti.
I corredi funebri trovati nelle tombe di Tarquinia sono presentati in modo didattico nel rinnovato museo nazionale ospitato dal quattrocentesco Palazzo Vitelleschi. I dipinti di alcune tombe che erano minacciati dalle intemperie sono stati strappati e riproposti al museo, dove si possono ammirare non solo opere etrusche, ma anche preziosi oggetti, soprattutto vasi, provenienti dalla Grecia ma di proprietà dei defunti.

Una vera città dei morti
Quella di Cerveteri è la visita più suggestiva di tutto il viaggio. Per due ore, tanto dura la visita al sito archeologico, camminate nel silenzio in una vera città dei morti. Il tempo sembra essersi fermato. Con un po’ di capacità di astrazione potete immaginarvi, come fa lo scrittore Giorgio Bassani nel romanzo “Il giardino dei Finzi-Contini”, di tornare ai tempi in cui gli etruschi visitavano questo luogo così come nei nostri paesi “il cancello del camposanto era il termine obbligato di ogni passeggiata serale”. “Varcata la soglia del cimitero – scrive Bassani – dove ognuno di loro possedeva una seconda casa, e dentro questa il giaciglio già pronto su cui, tra poco, sarebbe stato coricato accanto ai padri, l’eternità non doveva più sembrare un’illusione, una favola, una promessa da sacerdoti. Il futuro avrebbe stravolto il mondo a suo piacere. Lì, tuttavia, nel breve recinto sacro ai morti famigliari; nel cuore di quelle tombe dove, insieme coi morti, si provvedeva a far scendere tutto ciò che rendeva bella e desiderabile la vita; in quell’angolo di mondo difeso, riparato: almeno lì (e il loro pensiero, la loro pazzia, aleggiava ancora, dopo venticinque secoli, attorno ai tumuli conici, ricoperti d’erbe selvagge), almeno lì nulla sarebbe mai cambiato”.
Camminando lungo il percorso trovate sepolcri di ogni epoca etrusca e di ogni genere. A seconda dello sviluppo e delle fortune della città le tombe diventano più imponenti. Con l’affacciarsi delle nuove classi sociali compaiono le cosiddette tombe a dado, soprannominate dalle guide locali le casette a schiera. In questa città dei morti, dove ognuno si costruiva la sua casa per l’aldilà a seconda delle sue possibilità e il più simile possibile a quella abitata durante la vita terrena, potete leggere e capire la vita di questo popolo straordinario. Al museo di Cerveteri, che merita una visita, sono conservati gli arredi funebri di molte tombe.
Seguiamo ancora Giorgio Bassani: “Penetrammo nell’interno della tomba più importante, quella che era stata della nobile famiglia Matuta: una bassa sala sotterranea che accoglie una ventina di letti funebri disposti dentro altrettante nicchie delle pareti di tufo, e adorna fittamente di stucchi policromi raffiguranti i cari, fidati oggetti della vita di tutti i giorni: zappe, funi, accette, forbici, vanghe, coltelli, archi, frecce, perfino cani da caccia e volatili di palude”.

L’itinerario

1° giorno
Locarno – Firenze (425 km)

2° giorno
Museo Archeologico di Firenze

3° giorno
Firenze – Populonia (169 km)
Populonia – Valpiana (40 km)

4° giorno
Valpiana – Sovana (115 km)

5° giorno
Sovana – Tarquinia (73 km)
Tarquinia – Bracciano (68 km)

6° giorno
Bracciano – Cerveteri (18 km)
Cerveteri – Firenze (314 km)

7° giorno
Firenze – Locarno (425 km)

Attorno a Carona tra arte e natura

Una passeggiata nel bosco adatta a tutti con splendidi panorami sul lago Ceresio, con un tocco di arte e di cultura. È l’itinerario che vi propongo oggi sul monte Arbostora sopra Lugano. Posteggiate a Carona, lo splendido villaggio caratte­ristico per le sue antiche viuzze con palazzi pregevoli e con la secentesca chiesa dedicata a San Giorgio, all’entrata del paese, famosa per i suoi affreschi.
Il nostro itinerario inizia con la visita del Parco bota­nico San Grato, situato dieci minuti a piedi dopo il borgo. La sua storia è legata a due industriali: Mar­tin Wintheralter, ex proprietario della fabbrica di cer­niere lampo Riri di Mendrisio, e Luigi Giussani, am­ministratore delle acciaierie Monteforno. Il primo ne fece una propria residenza, il secondo aprì il risto­rante, creò il parco e costruì la piscina (oggi comu­nale). La proprietà passò poi all’Ubs che la donò nel 1997 a Lugano Turismo. Il parco è famoso soprattut­to per la sua collezione di azalee e rododendri che fioriscono in maggio, ma offre anche una straordina­ria varietà di conifere. Una serie di itinerari tematici vi permetteranno di scoprire gli angoli più suggestivi. Seguite quello panoramico, dal quale parte il comodo sentiero verso l’Alpe Vicania. La vista è davvero spet­tacolare: va dal San Salvatore al Camoghé, dal Mon­te Boglia al Sighignola, dal Monte Generoso ai vil­laggi rivieraschi. Un percorso ombreggiato ampio e pianeggiante vi porterà in poco più di un’ora all’Alpe Vicania, che si apre davanti a voi all’improvviso con i suoi ridenti prati. È di proprietà di un’interessante azienda agricola, così come lo splendido castello vi­sconteo sottostante. Il maniero quattrocentesco è cir­condato da un vigneto storico che trova le sue radici nel Medioevo. L’azienda agricola Vicania, che può contare su 172 ettari di natura incontaminata, coltiva la vigna e l’ulivo, pratica la frutticoltura e l’apicoltu­ra e alleva asini e cavalli. Offre la possibilità di effet­tuare escursioni equestri, con pony per i più piccoli. Propone la vendita dei propri prodotti, ma è nota so­prattutto per il suo ristorante di elevata gastronomia. In un ambiente di charme lo chef Andrea Muggiano cucina piatti ispirati alla tradizione mediterranea con prodotti dell’azienda e della regione. Su prenotazione uno degli enologi più interessanti del Ticino, Michele Conceprio, propone degustazioni di vini.
Dopo una stimolante sosta in questo luogo delizioso in tutti i sensi, il nostro itinerario prosegue ritornan­do a Carona percorrendo l’altro versante del Monte Arbostora. Il sentiero nel bosco, anche sulla via del ritorno, è ampio e ombreggiato e propone due appun­tamenti artistici di grande interesse: il santuario del­la Madonna d’Ongero e l’ex monastero di Torello con la suggestiva chiesa romanica di Santa Maria Assun­ta.
Il secentesco santuario di Madonna d’Ongero, che si raggiunge in circa 45 minuti di cammino dall’Alpe Vicania, è considerato un piccolo capolavoro dell’ar­te barocca in Ticino, con le notevoli decorazioni a stucco di Alessandro Casella e con gli affreschi sette­centeschi del grande artista ticinese Giuseppe Anto­nio Petrini contenuti nella navata.
Dalla Via Crucis che introduce al santuario scende un sentiero che in una ventina di minuti porta all’ex monastero di Torello. Venne consacrato all’inizio del Duecento da monaci agostiniani. Il monastero esten­deva i suoi diritti su numerose terre vicine: a Grancia aveva il deposito del grano e possedeva terreni a Ca­rabbia, Pazzallo, Figino e Bioggio. Nel corso dei se­coli venne poi trasformato in masseria. Sopravvissuto fino ai giorni nostri in un panoramico spazio verde che ricorda la Toscana, questo monumento conserva un fascino incredibile. Tornate a Madonna d’Ongero e da lì a Carona. Se siete accaldati potete fermarvi per un tuffo rinfrescante nella bella piscina comuna­le, immersa nel verde.

L’incanto alpino dei tre laghetti

Passo buona parte delle mie giornate in ufficio, davanti al computer, al telefo­no o in riunione, perciò il mio tempo libero lo voglio trascorrere all’aria aperta. D’inverno, sulle piste di sci, e non mi pesa­no nemmeno le levatacce o i chilometri da macinare per giungere nelle località più lontane; d’estate vado sul lago, che mi atti­ra come una calamita, oppure in montagna o nelle valli a camminare.
La mia montagna non è né ardita né speri­colata, ma non per questo meno avvincente. Quest’anno i paesaggi più affascinanti li ho incontrati nella regione dove si produce il mio formaggio preferito, il Piora, in Alta Leventina.
Questi alpeggi si raggiungono facilmente: c’è la funicolare a cremagliera del Ritom, che porta a quota 1800 metri. Parte da Piot­ta, è la più ripida d’Europa e ha una pen­denza massima che arriva fino all’87%. Al­la stazione di arrivo s’imbocca la strada che porta in breve tempo alla diga. Se inve­ce si vuole arrivarci con l’auto, o con la bi­cicletta, una strada stretta ma ben percorri­bile sale da Altanca (per chi arriva dall’au­tostrada l’uscita è quella di Quinto). Ai pie­di della diga c’è un parcheggio a pagamen­to.
Il paesaggio alpino della val Piora, lunga circa otto chilometri, è idilliaco, con pasco­li verdi e una miriade di laghetti, particola­mente frequentati durante la stagione della pesca. Molto interessanti anche la flora e la fauna e, con un po’ di fortuna, si rischia di incontrare camosci, caprioli, marmotte e magari un’aquila. Tra i fiori, stupende le orchidee selvatiche. Gli spazi sono vasti, c’è un grande silenzio. Noi abbiamo fatto il percorso attorno ai tre laghi Ritom, Cada­gno e Tom, partendo proprio dalla diga e costeggiando a sinistra il Ritom fino alla de­viazione segnalata per il lago Tom. Si sale per una trentina di minuti e si arriva in una conca veramente incantevole, dove si trova­no il laghetto e la cascina dell’alpeggio. I colori vivissimi, l’aria tersa, un incanto! La pensano come noi parecchi pescatori che placidamente aspettano le loro prede, e an­che qualche famigliola che ha scelto questo luogo per il pic nic domenicale. Continuia­mo il nostro percorso lungo le rive del lago e, sul versante opposto, saliamo fino al cri­nale. Sotto di noi il terzo lago, il Cadagno, che raggiungiamo di buon passo scendendo verso il piccolo nucleo. Più tardi, documen­tandomi su questo laghetto, scopro che ha una particolarità curiosa e rara: è compo­sto in pratica di due laghi sovrapposti che non entrano in contatto tra loro grazie alla presenza di colonie di batteri: una delle ra­gioni che spiega la presenza di un Centro di Biologia Alpina a queste latitudini.
Eccoci all’alpe Piora, dove visitiamo il ca­seificio che produce l’ottimo formaggio omonimo. Purtroppo per noi non c’è vendi­ta diretta di quella delizia. Ci consoliamo acquistando burro e ricotta. Tutti ottimi pro­dotti: sfido, non ho mai visto mucche in un posto tanto bello. Per forza il loro latte dev’essere eccellente! Proseguiamo fino al­la capanna Sat Cadagno, dove ci gustiamo la polenta col Piora e la ricotta. Il ritorno, con passo un po’ rallentato, lo facciamo sul versante opposto, passando nella magnifica pineta.

Sardegna – Dietro le quinte di un’isola da cartolina

Sardegna – Dalle dolci colline al mare dei miti e della storia

La costa orientale sarda, quella più mondana, si affaccia sul Tirreno. Oltre al mare cristallino e alle calette da sogno, vale la pena, però, scoprire l’entroterra ancora selvaggio e altrettanto affascinante.

Oggi, quando si sente parlare di Sar­degna, per associazione di idee si pensa immediatamente al mare. È normale: è un’isola e ha splendide spiagge! Eppure storicamente esiste un’altra Sardegna, sviluppatasi all’interno delle coste, che può essere considerata la vera Sardegna. L’itinerario in automobile che vi proponiamo si sviluppa da Cagliari a Olbia lungo la strada statale 125, denominata “Orien­tale Sarda”, costruita sul tracciato di una delle quattro arterie d’epoca romana. Per conoscere la Sardegna più discosta e tradizionale, quella mon­tagnosa, vi suggeriamo due deviazioni sui Monti del Gennargentu e del Supramonte, tristemente famoso per i sequestri di persona.
Il tragitto proposto presenta motivi di interesse sia naturalistici che sociali: un ambiente sociale ancora cristallizzato, in cui sono riconoscibili comportamenti sedimentati da secoli e un am­biente naturale, che nella varietà degli aspetti co­stitutivi, rimanda alle due componenti più sugge­stive e intime dell’isola, ossia i monti solitari e lecoste di straordinaria varietà e bellezza.

Il mare
Il nostro itinerario lungo l’Orientale Sarda corre pre­valentemente all’interno. Per decine di chilometri capita di non incontrare un centro abitato. La strada si affaccia al mare solo in corrispondenza dello sboc­co di vallate alluvionali o allorché si eleva oltre il cordone montuoso litoraneo. Frequenti deviazioni collegano però con le località balneari.
Lungo il percorso vi proponiamo alcune deviazioni sulla costa, oltre naturalmente alla visita della Costa Smeralda e dell’arcipelago della Maddalena. La pri­ma riguarda il golfo di Arbatax. Sul promontorio granitico di capo Bellavista affiorano filoni di porfi­do che, spingendosi in mare, emergono coi caratteri­stici spuntoni noti come le “rocce rosse di Arbatax”. Molto grazioso anche il villaggio di Santa Maria Na­varrese, che si affaccia sul golfo con la sua graziosa chiesina e la torre spagnola, da cui si gode una splen­dida vista.
Giunti a Dorgali vi proponiamo una deviazione di 10 chilometri per scendere al mare, seguendo un tragitto spettacolare, in direzione di Cala Gonone. Splendida la strada lungo la costa che porta a Cala Luna.
Un’ottantina di chilometri più a nord vale la pena di deviare verso San Teodoro, borgata di antica origine, per poi raggiungere l’incantevole Capo Coda Caval­lo, da cui potrete godere di una splendida vista sulla costa e sulle isole verso nord.
La Costa Smeralda con le sue prestigiose località di Porto Cervo e Porto Rotondo non esige certo presen­tazioni. Se amate lo shopping, a Porto Cervo lascere­te l’anima, oltre che il portafogli.
Il luogo di mare forse più incantevole della Sardegna è però l’arcipelago della Maddalena con le sue sette isole. In automobile potrete visitare in parte Caprera e molto bene la Maddalena con le sue straordinarie strade panoramiche. Su tutta l’isola, ma in particola­re a Tegge in riva al mare, potrete ammirare straordi­narie opere d’arte scolpite nel corso dei secoli dalla natura attraverso il vento e le onde del mare. Secon­do il geografo francese Jules Sion, incantato dal­l’asprezza e dalla solitudine del paesaggio, ricordano le incisioni dantesche di Gustave Doré. Poco più avanti, una strada sterrata scende al mare verso Cala Madonnetta. Giunti al termine potrete salire a piedi verso una graziosa cappella costruita a forma di nave da cui si domina il golfo. Quando lascerete l’isola e in 20 minuti di traghetto tornerete a Palau, non man­cate di visitare il Capo d’Orso e di salire a piedi sulle splendide rocce scolpite dal vento.

L’altra Sardegna
Il carattere più rimarchevole del nostro itinerario lungo l’Orientale Sarda è costituito dalla bellezza dei paesaggi montani, che si succedono a partire dal trat­to iniziale. Proponiamo due deviazioni. La prima lungo la valle del Rio Pardu per ammirare le singolari formazioni rocciose localmente note come “tac­chi”, la seconda nel Supramonte, inoltrandovi da Dorgali verso il centro dell’isola, dopo aver attraver­sato suggestive montagne dolomitiche dalla connota­zione di tipo alpino, nonostante l’altezza non cospi­cua. Incontrerete territori incontaminati, paesaggi af­fascinanti, dove l’unico brusio sarà quello del vento. È questa un’altra Sardegna: delle montagne e della pastorizia, delle greggi e delle transumanze, chiusa in se stessa nelle sue impenetrabili regioni, che con­serva con orgoglio anche i suoi antichi tratti guerrie­ri. Una Sardegna che si oppose agli invasori di tutte le epoche, in parte con successo, e che si contrappo­ne a quella delle coste e delle pianure, dei campi col­tivati e delle città, aperta invece agli influssi dei con­quistatori stranieri. Un mondo a sé, caratterizzato dalle difficoltà di accesso e dalle dure condizioni di vita. In queste valli ripide e scoscese si è sviluppata quella comunità umana che in millenni ha costruito la Sardegna pastorale, con le sue pecore, le sue tran­sumanze, la sua fame di pascoli. La pastorizia, assie­me alla cerealicoltura è stata sempre la fonte princi­pale di ricchezza dell’economia sarda. Già nel 1611 Martin Carillo contava circa un milione di pecore. Ma la vita contadina era molto dura secondo il profi­lo tracciato da un pastore di Sarule: “che se nevica è contro di lui, se c’è la siccità che ne piange è lui, se i prezzi scendono lui ci rimette il latte e tutto, se sal­gono contro di lui, se ci sono i carabinieri è contro di lui, perché è pastore e il pastore è sempre solo, solu che se fera, solo come una fiera, e per lui non c’è ca­sa, non c’è paese, non c’è figlio, non c’è festa”.
Se già la Sardegna fu considerata “l’isola dimenticata”, vissuta in condizioni di singolare isolamento, poco considerata dai suoi conquistatori, “un’ecce­zione tra le isole mediterranee, perché ferma e chiu­sa in se stessa”, un “museo naturale di etnografia”, le regioni montagnose del centro est possono conside­rarsi un’isola nell’isola.
Nel cuore di questa Sardegna, in uno dei luoghi più magici toccati dal nostro itinerario, nella fresca cam­pagna del Supramonte, avvolta nel silenzio rilassante e antico delle coltivazioni di vigneti e olivi, dove l’aria profuma delle essenze di mirto e rosmarino, incontrate una delle leggende dell’ospitalità sarda: Su Gologone. Mentre Aga Khan concepiva il suo progetto turistico sulla Costa Smeralda, Peppeddu Palimodde e sua moglie, indebitandosi fino al collo, realizzarono un sogno quasi impossibile: aprire un ristorante con cucina tradizionale e in seguito un al­bergo di lusso in una regione allora dimenticata da tutti, in preda alla miseria e tristemente famosa per i suoi briganti. “Ci dicevano che eravamo matti – rac­conta la signora – perché la gente non sarebbe mai andata al ristorante per mangiare la cucina casalin­ga”. Oggi il ristorante Su Gologone è considerato un tempio della cucina sarda e il raffinato albergo un’oasi per chi ama la natura.

Le tombe dei giganti
Per le sue vicende storiche la Sardegna non offre un patrimonio artistico di particolare interesse, salvo le testimonianze del periodo nuragico, quando l’isola ­come fa notare lo storico Paolo Melis – “ebbe uno sviluppo originale e grandioso, quale non è dato ri­scontrare nelle altre aree mediterranee”.
La civiltà nuragica, come abbiamo nella prima parte, si sviluppò in Sardegna su un lungo periodo che va dal 1800 a. C. alla fine del VI secolo a. C. La popolazione, che si pensa superasse i 200 mila abi­tanti, era dedita soprattutto alla pastorizia e all’agri­coltura ed era distribuita capillarmente sul territorio in piccoli villaggi: i nuraghi appunto, in cui le abita­zioni venivano costruite attorno alla torre centrale (una sorta di castello), difesa a distanza da una cinta muraria.
Il nostro percorso lungo l’Orientale Sarda prevede la visita del villaggio nuragico di Serra Orios, a una de­cina di chilometri da Oliena, formato da oltre 70 co­struzioni per la maggior parte di tipo circolare. L’iti­nerario prevede però anche la visita di tre luoghi fu­nerari, definiti popolarmente “le tombe dei giganti” per le loro notevoli dimensioni. Si tratta di sepolcri collettivi della civiltà nuragica, che solitamente sor­gevano nei pressi di un villaggio. Al centro campeg­gia un’alta stele formata da un’unica lastra con un portale che rappresenta l’ingresso alla vita ultraterre­na. Ai lati della stele si trova una serie di lastroni in­fissi nel terreno, che delimitano uno spazio circolare ad esedra e che hanno un andamento digradante. Quest’area era riservata al culto e alle offerte per i de­funti. La stele è unita mediante un piccolo corridoio al corpo della tomba, che ha grandi dimensioni per la sepoltura comune dei membri del villaggio.
Sul nostro percorso incontriamo le tombe dei giganti Sa Ena ‘e Thomes, a pochi chilometri dal villaggio nuragico di Serra Orios, quella di Lu Coddhu ‘Ecchju a pochi chilometri da Arzachena e quella di Li Lol­ghi, a pochi chilometri dalla precedente.

L’itinerario

1° giorno
Milano – Cagliari

2° giorno – 282 km
Cagliari – Muravena – Jerzu – Arbatax – Cala Gonone – Oliena – Su Gologone

3° giorno – 189 km
Su Gologone – Serra Orios – Sa Ena’e Thomes – Lula – Siniscola – Sta Lucia – Posada – S. Teodoro – Pto S. Paolo – Olbia – Arzachena – Capo Orso – Palau – La Maddalena

4° giorno – 70 km
La Maddalena – Caprera – Palau – Golfo Arzachena – Porto Cervo

5° giorno – 65 km
Porto Cervo – Porto Rotondo – Golfo Aranci – Aeroporto

Guide

Italia, La Guida Verde, Michelin, Edizioni per viaggiare, Milano 2002 (pagg. 454-467)
Italia 2008, Alberghi e ristoranti, Michelin
Sardegna, Guida d’Italia (guida rossa), Touring Club Italiano, Milano 2005
Sardegna, Guida d’Italia (guida verde), Touring Club Italiano, Milano 2004
Italie du sud, Les guides bleus, Hachette, Paris 1977
Sardegna, Meridiani, anno XVIII, numero 140, luglio 2005
La storia di Sardegna, Carlo Delfino Editore, Sassari 2000
Paolo Melis, Civiltà nuragica, Carlo Delfino Editore, Sassari 2003
Serra Orrios e i monumenti archeologici di Dorgali, Sardegna archeologica, Carlo Delfino Editore, Sassari 2005

Paesi baltici – Le ‘metropoli’, le spiagge famose e i villaggi dell’altra Europa

Perché mai scegliere le Repubbliche baltiche come meta per le proprie vacanze? Perché Lituania, Lettonia ed Estonia sono interessanti sia politicamente, sia turisticamente. Le tre capitali, Vilnius, Riga e Tallinn sono di grande interesse storicoartistico, ma il viaggio offre anche affascinanti paesaggi marini (in particolare la penisola di Neringa in Lituania) e lunghi tratti di strada in campagna, dove si possono visitare graziosi villaggi e sontuose residenze nobiliari. Noi abbiamo viaggiato in automobile. L’abbiamo noleggiata a Vilnius, dove siamo giunti in aereo. Abbiamo attraversato le tre Repubbliche e siamo rientrati in aereo da Tallinn, dove abbiamo consegnato la vettura all’aeroporto. Le strade sono molto belle, anche perché la collina più alta sarà di 100 metri, e ben segnalate, salvo in Lituania. Di alberghi e ristoranti ce ne sono per tutte le tasche e per tutti i gusti. Esistono tre guide in italiano sui paesi baltici, quella del Touring, la Lonely Planet e la Rough Guides, ma hanno tutte il difetto di essere poco selettive. Per questa ragione mi permetto di suggerire un itinerario che tralascia certe destinazioni consigliate dalle guide. Naturalmente un viaggio di questo genere non seleziona solo mete affascinanti, ma prevede la scoperta di questi paesi con campagne molto povere e di scarso rilievo turistico. Il criterio del bello nel viaggio è spesso riduttivo, perché preclude esperienze interessanti in luoghi magari non incantevoli. Descrivendo l’itinerario cercherò di segnalare le scelte in base ai due criteri: quello del bello per i turisti e quello dell’interessante per i viaggiatori. Potrà forse essere d’aiuto a chi è interessato a queste destinazioni. Calcolate, comunque, almeno una decina di giorni per visitare i tre Paesi.

Le città
Se la lettone Riga è la metropoli dei Baltici e l’estone Tallinn ha un porto cruciale per le rotte tra Occidente e Oriente, la lituana Vilnius è situata al centro geografico d’Europa e in quanto tale è crocevia di lingue e culture diverse.

Vilnius e Kaunas in Lituania
Nonostante abbia oltre mezzo milione di abitanti Vilnius ha un centro storico molto tranquillo con case a due piani allenate su viuzze strette e romantiche. Spuntano gru ovunque, come a Praga una quindicina di anni fa. La gente crede nel futuro e sembra avere voglia di ricominciare, nonostante la storia non sia stata tenera con questa città, considerata la Gerusalemme europea prima che Hitler sterminasse la comunità ebraica (oltre 200 mila persone). Delle 96 sinagoghe costruite nel corso dei secoli ne rimane una soltanto. Tutte le altre sono state distrutte. Anche l’affascinante impronta barocca ha tristi radici storiche. Gli edifici costruiti nelle epoche precedenti sono infatti andati distrutti nel corso di sanguinose guerre e da un terribile incendio all’inizio del ‘600. Ma nel corso del XVII secolo una regina italiana, Bona Sforza, diede un nuovo impulso alle arti invitando architetti e pittori dall’Italia, che conferirono alla città un carattere barocco a noi familiare. Purtroppo le pene inferte dalla storia a questa città sono proseguite anche nel periodo sovietico. Lo testimonia un imponente edificio, che sorge lungo una delle vie più eleganti della città (Viale Gedimino), sede del famigerato KGB sovietico. Nelle pietre sulla base del palazzo sono incisi i nomi dei giovani prigionieri politici, quasi tutti ventenni o poco più, eliminati in nome della rivoluzione sovietica.
A 100 chilometri da Vilnius sorge un’altra fiera città lituana: Kaunas, che nel ‘900 in tristi circostanze fu capitale provvisoria del paese. Oggi conta 400mila abitanti e rappresenta il volto autentico di una Lituania periferica rispetto ai paesi dell’Europa occidentale, ma piena di dignità, determinazione e compostezza. Il suo municipio, chiamato affettuosamente “cigno bianco” per il colore e la slanciata torre della facciata, è l’emblema del grazioso e piccolo centro storico di impronta medievale, che ospita anche un’imponente cattedrale gotica.

Riga, metropoli europea
La lettone Riga è un’importante metropoli dell’Europa settentrionale ed è certamente la più occidentale delle tre capitali baltiche. Ha un piccolo centro storico denso di atmosfera soprattutto la notte, ma è bella anche fuori dalla città vecchia. Tutti i principali stili architettonici hanno lasciato splendide testimonianze: dall’arte medievale allo Jugendstil, quest’ultimo tra i più affascinanti e i meno conosciuti d’Europa. L’edificio più rappresentativo del centro storico è certamente il duomo, che si affaccia sull’omonima suggestiva piazza. Propone tutti gli stili possibili acquisiti nel corso dei secoli ed è famoso per il suo straordinario organo con quasi 7 mila canne: uno dei più potenti al mondo. Splendidi di notte, i due palazzi trecenteschi della Confraternita delle Teste Nere deludono di giorno, perché rivelano di essere un falso storico: distrutti nel corso dell’ultima guerra sono infatti stati completamente ricostruiti. A nord est del centro si estende un quartiere ottocentesco con ampi viali ricavati dall’abbattimento delle mura, com’è avvenuto a Vienna, a Barcellona e in altre importanti capitali europee. Anche Riga ha il suo Gaudì: si chiama Eisenstein ed è il padre del celebre regista cinematografico della “Corazzata Potiemkin”. I suoi palazzi in stile Liberty colpiscono per la creatività e la fantasia. I restauri della maggior parte di questi edifici sono già ultimati, altri sono in corso. Ammirando queste opere d’arte rimanete incantati, stupiti. Ma anche le altre numerose costruzioni in stile Liberty presenti nella Riga d’inizio ‘900 sono affascinanti.
A Riga potete visitare anche uno dei mercati più grandi e più antichi d’Europa. Risale alla fondazione della città nel XIII secolo. Oggi è ospitato in cinque enormi hangar di Zeppelin vicino alla stazione ferroviaria. Ogni capannone offre un genere alimentare.

Tartu e Tallinn, le perle estoni
Prima di giungere a Tallinn, certamente la più affascinante delle tre capitali baltiche, il nostro itinerario prevede una breve sosta a Tartu, una cittadina universitaria estone che lascia bene intuire l’incredibile atmosfera che ci attende nella capitale. Il centro storico di Tartu è piccolissimo: si riduce a una piazza e a poche vie che portano all’ottocentesca università e alle rovine della cattedrale in collina. L’elegante municipio in stile barocco olandese si affaccia sull’omonima piazza, sulla quale si allineano eleganti edifici in stile neoclassico pietroburghese.
Ed eccoci a Tallin. “Case alte e strette dai frontoni appuntiti o a gradoni o terminanti in armoniose volute si allineano su vie anguste, alle quali chiese monumentali e improvvise piazzette danno spesso respiro; mura intervallate da torri dalla caratteristica copertura, miracolosamente intatte, cingono una piccola città piena di fascino che si stenta a considerare reale”. Questa azzeccata descrizione proposta dalla guida del Touring rende bene l’idea di questa città dove non ci si stanca mai di passeggiare, soprattutto la notte, perché si ha la sensazione di tuffarsi in un’altra epoca.
Anche a livello di opere d’arte l’offerta è interessante e ci ricorda l’importante passato storico di questa città anseatica. Di notevole fattura una pala d’altare di un artista di Lubecca, capitale della Lega Anseatica, e la quattrocentesca “Danza macabra”di Bernt Notke, che ci ricorda come umili e potenti siano tutti uguali di fronte alla morte. L’imponente cattedrale ortodossa, costruita dai russi alla fine dell’Ottocento sulla romantica collina all’interno della città vecchia, da cui si gode una splendida vista, è considerata dagli abitanti di Tallin come una prevaricazione zarista. Tanto che ancora fino a qualche anno fa si parlava di demolirla. E’ un segno dei difficili rapporti con i russi, che per secoli dominarono questa città. La nostra guida ci ha portati con orgoglio a visitare anche lo “Stadio della canzone di Tallinn”, dove nel 1990 trecentomila persone si incontrarono per chiedere pacificamente l’indipendenza cantando melodie della tradizione estone.

Le dune del Sahara lituano amate da Thomas Mann
Sull’aereo che ci porta da Milano a Vilnius quattro giovani comunicano a tutti in modo particolarmente rumoroso che si recano in Lituania per le vacanze di mare e soprattutto alla ricerca di ragazze. In effetti nei tre paesi baltici si vedono splendide gambe molto allungate. Non so quale esito abbiano avuto le aspirazioni dei nostri compagni di viaggio, ma un fatto è certo: l’estate scorsa il tempo era migliore lassù che in Italia. Tutto il periodo del nostro soggiorno, nella seconda metà di agosto, quando il sole riscaldava il termometro toccava i 30 gradi.
Palanga è la località di mare più gettonata, con numerosi locali notturni. È una sorta di Rimini del nord, con ampi viali alberati.
Ma non è naturalmente questo il mare di cui intendo parlare, né quello di Jurmala vicino a Riga, considerata la Costa Azzurra lettone, bensì quello dell’aristocratica penisola di Neringa in Lituania, una delle mete più spettacolari del nostro itinerario, oggi parco nazionale. “Neringa è così sensazionale che bisogna vederla, come l’Italia o la Spagna, se all’anima si vogliono offrire immagini meravigliose”. Così si esprimeva Wilhelm Von Humboldt nel 1901. Thomas Mann, quando visitò la penisola per la prima volta nel 1929, ne rimase talmente affascinato che decise di costruirsi una villetta di vacanza a Nida, con una splendida vista sul mare e sulle dune. La sua casa oggi ospita un piccolo museo. Il noto filosofo francese Jean Paul Sartre negli anni Sessanta chiese un permesso speciale al leader sovietico Khruscev, che gli venne accordato, per trascorrere alcuni giorni sulle dune con la sua compagna Simone De Beauvoir.
Secondo una leggenda lituana la penisola fu creata dalla materna gigantessa del mare Neringa con diverse bracciate di sabbia portate amorevolmente nel suo grembiule per formare un porto protetto per i pescatori locali. Di fatto la penisola si formò 5 o 6 mila anni fa quando le onde e i venti del Mar Baltico fecero accumulare la sabbia nelle acque poco profonde vicino alla costa. La penisola, una lingua di terra larga non più di 4 chilometri, è una striscia ondulata su cui si innalzano imponenti dune di sabbia, alte fino a 50 metri, alcune delle quali talmente spoglie da avere un aspetto totalmente sahariano, altre invece ricoperte da un fitto tappeto di pini verde scuro, affusolate betulle argentee e sottili tigli affamati di terra. Sul bordo orientale della penisola si trovano alcuni villaggi sparsi che, da sempre,vivono del pesce presente nelle ricche acque della “laguna”. Le case in legno sono tipiche del nord, dipinte con delicati colori pastello. La costa occidentale è invece una lunga e sottile striscia di sabbia punteggiata di spiagge. Con il massiccio disboscamento effettuato nel XVI secolo per ricavare legname, le sabbie della costa sono rimaste in balia dei forti venti e hanno cominciato a spostarsi avanzando alla velocità di circa 20 metri all’anno: dal XVI al XIX secolo hanno inghiottito ben 14 villaggi. Oggi le sabbie scivolano a un ritmo ancora più intenso: la preziosa bellezza di questo luogo rischia così di andare perduta per sempre.
Le dune più suggestive le trovate a sud del villaggio di Nida, nei pressi della Valle della morte. Qui il paesaggio assomiglia talmente a quello sahariano che i tedeschi costruirono alla fine dell’Ottocento un campo di concentramento (da qui la denominazione) per i soldati francesi, nell’intento di vendicare i soldati del Kaiser detenuti dai francesi nel deserto del Sahara. Un’altra passeggiata indimenticabile la potrete effettuare a partire dal parcheggio situato un paio di chilometri a nord del villaggio di Pervalka. Si cammina per circa mezz’ora in una valle tra alte dune di sabbia per raggiungere una collinetta sulla sponda orientale, dalla quale si ammirano le due sponde del mare. Con il bel tempo i tramonti sono particolarmente romantici e spettacolari.

I massi erratici del parco nazionale
L’itinerario proposto nei paesi baltici, che dura appena dieci giorni, prevede la visita di un altro parco nazionale in Estonia: Lahemaa, che si trova una cinquantina di chilometri ad est di Tallinn, sulla strada per San Pietroburgo. Non ha certo la spettacolarità di Neringa, ma è interessante per vedere un mare tipico del nord, dove gli alberi arrivano a pochissimi metri dall’acqua in un paesaggio, per la verità, piuttosto monotono. Nel parco è possibile compiere numerose passeggiate scandite dalla presenza di enormi massi erratici, che non si capisce da dove vengano, visto che attorno non ci sono né rocce, né montagne. Due brevi passeggiate sono consigliate: una che parte dal villaggio di Altja verso la spiaggia, dove si trovano ancora alcune antiche case in legno di pescatori (30 minuti andata e ritorno) e una da Käsmu verso la punta dell’omonima penisola, dove si ammirano alcuni massi erraticifiniti nel mare.

Tra le antiche case in legno dei contadini
Le strade nei tre paesi baltici sono diritte, tagliate in mezzo alle foreste o alla campagna. Le tre nazioni sono scarsamente abitate. La densità demografica è tra le più basse d’Europa con circa 40 abitanti per chilometro quadrato, contro i 190 dell’Italia. La stragrande maggioranza della popolazione vive nelle città. Il paesaggio è piatto e monotono. Le antiche case dei contadini in legno non hanno sopravissuto alle insidie del tempo e si possono vedere quasi esclusivamente nei parchi etnografici di Riga e di Tallinn, dove sono stati trasportati antichi edifici in legno dalle varie regioni e ricostruiti, proprio come abbiamo fatto noi svizzeri al Ballenberg. Anche nei rari villaggi le case in legno non hanno resistito alle intemperie dei freddi inverni nel corso dei secoli. Le guide turistiche sono molto generose di lusinghieri aggettivi quando descrivono i villaggi di campagna, ma spesso francamente a sproposito. Gli unici che meritanodi essere visitati sono Kuldiga e Cesis in Lettonia.

Villaggi rurali di altri tempi
Le viuzze e le raccolte piazze di Kuldiga sono gli scenari prediletti dai cineasti lettoni per i film di soggetto storico. La cosiddetta “città d’oro” adagiata sulle rive del Venta 150 chilometri a ovest di Riga, ha un passato glorioso: fece parte della Lega anseatica, grazie al suo fiume navigabile. La grande guerra del nord all’inizio del ‘700 ne interruppe lo sviluppo. Preservato dall’industrializzazione il villaggio si è conservato quasi intatto fino ad oggi con le sue costruzioni in legno tipiche dei paesi del nord: la più antica risale alla fine del XVII secolo. In un’atmosfera romantica propone uno spaccato di vita rurale di altri tempi. Sulla strada tra Riga e Tallinn vale la pena di fare una breve sosta per visitare un altro interessante borgo di campagna: Cesis, meno affascinante del precedente, ma anch’esso con un passato importante di membro della Lega anseatica.

I nobili vivevano in sontuosi palazzi
Se rare sono le testimonianze della vita contadina, lo stesso non si può dire per le residenze dei nobili e dei possidenti terrieri situate lontano dalle città. Un’interessante gita di una giornata con partenza da Riga permette di scoprire opere sontuose di architetti e artisti italiani che avevano operato a San Pietroburgo. Le più straordinarie sono certamente i palazzi di Rundale e di Jelgava progettati da Francesco Bartolomeo Rastrelli, autore del famosissimo Palazzo d’inverno a San Pietroburgo. L’ar­chitetto portò con sé le maestranze che già avevano rea­lizzato nella capitale russa le sue grandi opere. Da San Pietroburgo giunsero un migliaio di operai, stuccatori, decoratori e arredatori. A dipingere le pareti e i soffitti furono chiamati Francesco Martini e Carlo Zucchi, gli stucchi furono affidati al berlinese Johann Michael Graff. Il risultato è di un’intensità eccezionale e costitui­sce uno dei migliori esempi di barocco in Lettonia con all’interno anche elementi rococò. La visita degli interni stupisce per l’estrosità e la creatività, ma anche per il grande rigore architettonico. Il parco disegnato dallo stesso Rastrelli andò distrutto ed oggi lo si sta ricostruen­do in base ai progetti originali. Ancora più imponente del palazzo di Rundale è quello di Jelgava, che nei sot­terranei ospita la cappella funeraria con 21 sarcofaghi dei duchi di Curlandia. I due palazzi sono legati alla fi­gura di uno di questi duchi (von Bühren) e alle sue vi­cende sentimentali con la zarina Anna Ioannovna nipote di Pietro il Grande. Quando Anna morì e le succedette Elisabetta il duca venne mandato in Siberia. I lavori di costruzione nei due palazzi vennero sospesi per oltre vent’anni, fino a quando sul trono salì Caterina la Gran­de e von Bühren poté tornare dalla Siberia.
A pochi chilometri di distanza, una sobria risposta allo sfarzo di questi due palazzi è certamente proposto dalla residenza estiva neoclassica della principessa Charlotte von Lieven, progettata da un altro grande architetto dell’epoca: Giacomo Quarenghi. Il palazzo le fu dona­to nel 1795 da Caterina la Grande come riconoscimen­to per i servigi resi in qualità di governante dell’impe­riale progenie. Gli interni, dalle sfumature pastello ocra, rosa e acqua del Nilo comunicano un senso di eleganza. La sala della cupola, con i suoi straordinari effetti luminosi, si dice sia stata progettata sul modello del Panteon di Roma. Il giardino all’inglese, con il pra­to e le piante sullo sfondo, mette in risalto la qualità ar­chitettonica di questa villa oggi adibita ad albergo, do­ve vi consiglio di fermarvi per una notte se ne avete la possibilità.
Un’altra incantevole opera risalente all’epoca zarista è il palazzo che lo zar Pietro il Grande fece costruire al­l’inizio del ‘700 per la moglie Caterina. L’elegante co­struzione barocca, poco distante dal centro di Tallin, af­fascina per il contrasto tra il rosso delle pareti e il bian­co degli stucchi delle finestre e delle balaustre. Fu pro­gettato dall’architetto italiano Niccolò Michetti. Poco distante si nota la semplice casetta in legno abitata dal­lo zar all’epoca della costruzione del palazzo.
A una cinquantina di chilometri da Tallin, immersa nel­la campagna, è interessante visitare la lussuosa residen­za di una famiglia di proprietari terrieri, i von Pahlen, appena restaurata. La sontuosa tenuta, provvista di un laghetto con la relativa casa per i bagnanti, uccelliere, scuderie, giardino d’inverno eccetera, contrasta con le case in legno dei contadini che non hanno resistito alle intemperie, ma che si possono vedere nel parco etno­graficodi Tallin.

L’itinerario

1° giorno
Lugano-Vilnius

2° giorno
Visita di Vilnius

3° giorno
Vilnius-Kaunas (100 km)
Kaunas-Klaipedia (200 km)
Klaipedia-Neringa (40 km)
Neringa-Klaipedia (40 km)

4° giorno
Klaipedia-Palanga (27 km)
Palanga-Liepaja (74 km)
Kuldiga-Talsi (53 km)
Talsi-Riga (110 km)

5° giorno
Gita a Riga-Bauska-Pilsrundave-Mezotne-Tervete-Zalenieki-Dobele-Jelgava-Riga

6° giorno
Visita di Riga

7° giorno
Riga-Cesis (85 km)
Cesis-Valmiera (43 km)
Valmiera-Tartu (135 km)
Tartu-Paide (100 km)
Paide-Tallinn (86 km)

8° giorno
Visita di Tallinn

9° giorno
Parco Nazionale Lahema (200 km)

10° giorno
Tallinn-Lugano

Turchia – Ai confini dell’Europa tra luoghi della Bibbia e popoli in fuga

Questo itinerario, che si articola nel centro e nel sud-est della Turchia, presenta due centri di interesse particolare: la suggestiva montagna di Nemrut, simbolo della Turchia orientale, con le sue enigmatiche statue giganti risalenti a duemila anni fa e la Cappadocia con i suoi spettacolari paesaggi unici al mondo. Non presenta solo questo, ma anche le città bibliche (Harran e Sanliurfa) in cui visse Abramo, la capitale dei curdi Diyarbakir, la città di Konya, dove nel 1200, Mevlâna Gialâl Ud-Din Rûmi fondò l’ordine monastico dei Mevlevi, conosciuti in Occidente come Dervisci danzanti.

Il nostro viaggio inizia da Sanliurfa. La città è costituita da antiche case in calcare, costruite una a ridosso dell’altra per proteggere nella stagione calda i passanti dal sole cocente. Ne nasce un dedalo di viuzze particolarmente affascinanti nei pressi dell’animato bazar, che occupa buona parte del centro storico. Dalla fortezza (Kale), da cui si gode una splendida vista sulla tranquilla città, secondo la leggenda, precipitò Abramo, nativo di Urfa. Per la religione islamica Abramo è infatti un grande profeta. Secondo la leggenda distrusse alcune divinità pagane nell’antica Urfa provocando l’ira di Nimrod, il re assiro locale, il quale ordinò che fosse immolato su una pira funeraria. Dio però intervenne e trasformò il fuoco in acqua e i carboni ardenti in pesci. Abramo precipitò nel vuoto dalla collina su cui sorge la fortezza e fu accolto sano e salvo su un letto di rose. In quel luogo sacro si trovano un magnifico roseto e due vasche rettangolari “abitate” da carpe satolle e intoccabili. Attorno alcuni edifici religiosi.
La città è davvero accogliente. I suoi abitanti sono ospitali e cercano il dialogo. Ci si sente a proprio agio nello splendido e curatissimo giardino situato sotto la fortezza. Per chi ama i bazar arabi sarà poi piacevolissimo perdersi per le pacifiche viuzze di questo immenso mercato voluto da Solimano il magnifico nel Cinquecento.
A una trentina di chilometri da Sanliurfa, poco distante dal confine con la Siria, si trova Harran, la città di Abramo. Ciò che maggiormente affascina sono le cosiddette case ad alveare, il cui modello risale al III secolo a.C. Si tratta di una sorta di trulli in terra e paglia, dove la gente viveva fino a pochi anni fa. Oggi fungono da ripostigli o da bar e negozi per i turisti.
Gli abitanti si sono trasferiti in anonime, ma più comode abitazioni moderne. Particolarmente suggestive sono le rovine della fortezza (Kale), costruita sul culmine di una collina e della moschea (Ulucami) dell’VIII secolo.

Nella Turchia dei Curdi
La seconda giornata del nostro itinerario è piuttosto impegnativa. Se ne avete la possibilità sarebbe meglio suddividerla in due tappe, fermandosi a Diyarbakir per la notte. Si parte il mattino presto per Mardin (175 km). Questa antica città, sovrastata da un castello, domina le vaste pianure assolate della Mesopotamia, che si estendono fino alla Siria. Le sue vie fiancheggiate da
case in pietra dal colore del miele, che digradano lungo il fianco della collina, come fa notare la guida Lonely Planet, ricordano vagamente gli antichi quartieri della città di Gerusalemme. La parte antica della città si estende su una lunghezza di circa 1 km. Una delle attrattive principali di Mardin è costituita dall’ampio e disordinato bazar, che purtroppo però di domenica, quando noi siamo arrivati, è chiuso. Interessante la visita delle moschee, delle scuole coraniche e dell’ufficio
postale ricavato da un caravanserraglio. Si prosegue per Diyarbakir, costruita sulle sponde del fiume Tigri, che dista circa 100 chilometri. Con le sue mura in basalto offre un’atmosfera tipicamente orientale. La città è nota in Turchia soprattutto per
essere stata il centro del movimento di resistenza curdo, attivo soprattutto tra il 1980 e il 1990, ma recentemente di nuovo rivendicativo. La città nel corso degli ultimi decenni si è sviluppata a dismisura diventando una metropoli popolata da diverse etnie e tribù.
La principale attrattiva di Dyarbakir è costituita dalla sua grande muraglia in basalto, eretta probabilmente in epoca romana. Le mura oggi visibili, lunghe quasi 6 chilometri, risalgono però all’inizio dell’era bizantina (330 – 500 d.C) e sono straordinarie, sia viste dal basso, sia ammirate dall’alto dei bastioni. Si dice siano seconde solo alla Grande Muraglia cinese. Il massiccio
perimetro murario di basalto nero è intervallato da numerosi bastioni. L’atmosfera che si respira qui è ben diversa da quella
della tranquilla Sanliurfa. Nel breve tempo di una visita abbiamo assistito a vari episodi di violenza, che riguardavano però gli abitanti del luogo, non i turisti. Due giovani si sono presi a sassate, un adulto – forse derubato – ha estratto una rivoltella per minacciare un ragazzo, alcuni bimbi a cui abbiamo dato delle monete, si sono azzuffati per appropriarsene. Purtroppo, essendo domenica, anche qui il bazar era chiuso, ma le guide assicurano che passeggiandovi “si captano immagini, suoni, fragranze e corpi in movimento, che sembrano preludere all’universo brulicante del continente asiatico”.
Si prosegue quindi per Katha (170 km). La strada indicata su molte carte geografiche ancora in circolazione non esiste più. È stata inondata dopo la costruzione della diga Hataturk, che ha permesso di irrigare vastissime zone della pianura mesopotamica. Si deve quindi attraversare in traghetto (che parte circa ogni ora) il fiume Eufrate per raggiungere la sponda opposta e proseguire per Katha.

Alba indimenticabile sul Monte Nemrut
Durante la notte si sale con piccoli autobus e poi a piedi sul Monte Nemrut, per assistere all’alba, con il sole nascente che illumina le imponenti statue di pietra. Si tratta di uno dei momenti più suggestivi del viaggio. Questo luogo costituisce la principale attrattiva della Turchia orientale. Le enigmatiche statue che campeggiano sulla cima del monte sono diventate un simbolo di questo paese. Lo straordinario paesaggio circostante, i reperti storici e l’innegabile aura di misticismo che
aleggia sul sito fanno di questo parco archeologico un luogo imperdibile. Con il piccolo bus, in un’ora circa, si arriva a 600 metri dalla vetta, che si raggiunge poi in 20 minuti a piedi. “La cima – spiega la guida Lonely Planet – assunse la sua forma attuale quando un re megalomane dell’età pre romana commissionò la costruzione di due ampie terrazze artificiali e vi fece costruire diverse statue monumentali che lo raffiguravano insieme alle divinità (sue ‘parenti’) ed in mezzo un tumulo di massi di roccia alti 50 metri. È ipotizzabile che sotto queste tonnellate di pietra si trovino le tombe del re e di tre membri femminili della sua famiglia, ma nessuno può dirlo con certezza. I terremoti hanno decapitato gran parte delle statue e oggi molti di questi busti colossali siedono davanti alle loro teste, alte 2 metri, che si trovano in basso”. Si tratta di un’esperienza davvero emozionante. Quando arrivate sulla cima è ancora notte e vi trovate di fronte massi di pietra assolutamente insignificanti. Man mano che passano i minuti quelle pietre si animano. Emergono dal buio della notte per presentarsi con tutto il loro fascino assorbendo i colori dell’alba.
Terminato questo spettacolo si scende per riprendere la strada verso Katha. Ma le sorprese non sono finite. Dopo pochi chilometri si visita Eski Kale (Arsamela). Un sentiero porta ad alcune stele, di cui una perfettamente conservata raffigurante Mitra (o Apollo), dio del sole, con un copricapo dal quale si irradiano i raggi. Raggiunta la cima piatta della collina, da cui si gode una magnifica vista, si scorgono i resti delle fondamenta della capitale di Mitridate. Proseguendo in direzione di Katha a Yeni Kale si ammirano da lontano le rovine di un misterioso castello dei mamelucchi del XII secolo, costruito sulla cresta di una roccia con la quale si è perfettamente mimetizzato. Dopo pochi chilometri la strada attraversa il fiume Cendere su un moderno ponte. Sulla sinistra si ammira invece un imponente ponte romano a schiena d’asino, risalente al II secolo a.C., costruito in onore dell’imperatore Settimo Severo. Raggiunta Katha vi attende ancora una lunga trasferta (circa 7-8 ore) prima di arrivare in Cappadocia, altra meta spettacolare del nostro viaggio. Le strade sono scorrevoli, i paesaggi montagnosi affascinanti.

In Cappadocia tra i “camini delle fate”
Alla visita della Cappadocia, meta principale del nostro viaggio, dedichiamo tre giorni: il tempo appena necessario per visitare in torpedone i luoghi principali di questo spettacolare angolo di terra. Dopo questa visita avrete voglia di ritornare per percorrere a piedi queste valli incantate. I tour “mordi e fuggi” normalmente si trattengono in Cappadocia un solo giorno.
Nel cuore della Turchia si estende questo paesaggio lunare, uno scenario surreale di antiche chiese e case ricavate nella roccia, villaggi pittoreschi ricchi di tradizioni. Lo splendido paesaggio è costituito da friabile tufo vulcanico scolpito dall’acqua e dall’erosione nel corso dei millenni. Anche la luce è spettacolare e regala struggenti sfumature dal bianco abbagliante al senape, passando per il rosso mattone, con la cima innevata del Monte Argeo, che si staglia sullo sfondo.
La Cappadocia, un tempo cuore dell’impero ittita, divenne un regno indipendente e infine una vasta provincia romana citata più volte nell’Antico Testamento.
Un’occasione da non perdere è l’escursione in mongolfiera, sebbene il costo sia piuttosto elevato: 150 euro per persona, per un’ora di volo. Si parte all’alba per ammirare i cosiddetti “camini delle fate” assorbire i colori del primo sole. L’abilità del conduttore di nazionalità inglese è davvero eccezionale: scende tra le rocce per sfiorarle e poi riprendere quota. Lo spettacolo è indescrivibile. Un’altra interessante proposta durante il soggiorno in Cappadocia consiste nella danza dei dervisci, che si tiene ogni sera nelle suggestive sale interne del carravanservaglio di Avanos. L’esibizione è interessante, composta e non eccessivamente turistica.

L’itinerario classico
Nel museo all’aperto di Göreme, dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco, potete ammirare un gruppo imperdibile di chiese, cappelle e monasteri bizantini scavati nella roccia. La visita richiede dalle due alle tre ore. Il villaggio di Uchisor è da manifesto turistico. Salendo verso la piazza principale si scopre un paesaggio entusiasmante. Dal castello la vista sulla valle, come scrive la Guide Bleu “vous coupera le peu de souffle qui vous restera après l’ascension”. Altra tappa imperdibile è Zelve, che dal IX al XIII secolo fu ritiro monastico. Venne quindi abitato dalla gente del luogo fino al 1952, data in cui la stabilità geologica della valle fu giudicata inadeguata per consentire l’insediamento umano. Oggi, con le sue abitazioni rupestri, le cappelle, le piccionaie e una spartana moschea provvista di minareto a colonnette, è un paesino museo, dal quale avete l’impressione che gli abitanti siano partiti il giorno prima.
Ma il luogo forse più suggestivo di questa prima giornata è la cosiddetta Valle delle Fate, dove potete passeggiare a lungo, perdendovi tra le rocce forgiate dall’acqua e dal vento, che costituiscono un incredibile museo di sculture naturali. Ne rimarrete incantati e vi pentirete di non avere più tempo da trascorrere in quel luogo fatato.

Città sotterranee di 4’000 anni fa
La seconda e la terza giornata sono invece dedicate alla scoperta di una Cappadocia meno turistica. Il secondo giorno inizia con la visita delle due città sotterranee di Kaymakli e di Derinkuyu. In Cappadocia sembra che siano state scoperte a tutt’oggi un’ottantina di città sotterranee. Le più antiche risalgano all’epoca ittita, ossia a 4000 anni fa. Sembra comunque sicuro che fossero occupate già nel VII secolo a.C. Ne parla anche lo storico greco Senofonte. In tempo di pace gli abitanti di questa regione vivevano in superficie coltivando la terra, ma quando correvano il pericolo di un’invasione si rifugiavano nelle loro abitazioni trogloditiche, dove potevano vivere in tutta sicurezza anche per sei mesi consecutivi. Kaymakli è scavata su otto livelli, di cui cinque accessibili, Derinkuyu è invece costruita su sette livelli. Proseguiamo in direzione di Nigde per raggiungere il monastero di Eski Gümüsler. È scavato nella roccia e vanta alcuni affreschi bizantini, realizzati tra il VII e l’XI secolo, tra i meglio conservati della Cappadocia.
Si continua verso Yesilhisar, dove si svolta a destra per Soganli, un luogo di grande suggestione, ma discosto dai più frequentati itinerari turistici. La visita delle due vallate, con le loro antiche chiese rupestri, che in epoca romana ospitarono alcune necropoli e in epoca bizantina furono abitate da monaci, richiederà un paio d’ore. Si prosegue quindi fino a Damsa, passando per Kocali e Suves. Sul tragitto si incontrano alcuni “camini delle fate” e alcune chiese rupestri. A Damsa, in una bella oasi, si ammirano la moschea e un edificio diroccato dell’epoca selgiuchide, probabilmente una medersa (scuola coranica). A Cemil si visita la chiesa di St. Etienne. Si giunge infine a Mustafapasa. Fino alla prima guerra mondiale fu un insediamento greco-ottomano. Si tratta di una località piacevolmente tranquilla con belle dimore scavate nella pietra e diverse chiesette rupestri. Di particolare interesse la chiesa di San Basilio del XII secolo, arroccata sulla cima di un dirupo.

I caravanserragli alberghi d’altri tempi
Ultima giornata in Cappadocia. Partiamo in direzione di Konya, ma giunti ad Aksaray raggiungiamo, a 45 chilometri, la valle di Ihlara: una zona remota, che un tempo si chiamava Peristrema e rappresentava uno dei luoghi di ritiro preferiti dai monaci bizantini. Di quell’epoca sono sopravvissute decine di chiese rupestri decorate con dipinti. Percorriamo solo la parte centrale della valle che collega i villaggi di Ihlara e di Belisirma. Ci vogliono circa tre ore a piedi. Informatevi sullo stato della strada prima di partire. Proseguiamo in direzione di Konya, che si trova a circa 150 chilometri. A 42 chilometri da Aksaray, nel desolato villaggio di Sultanhani, si visita l’omonimo caravanserraglio selgiuchide. Fu costruito nel 1229, durante il regno del sultano selgiuchide Alaettin Keykubad I, e dopo i restauri, effettuati nel 1278 in seguito a un incendio, divenne il più grande caravanserraglio della Turchia. Di caravanserragli è cosparso il paese. Si trattava di una sorta di albergo, dove i commercianti che trasportavano merci dall’Europa all’Oriente e viceversa potevano sostare gratuitamente e al sicuro per la notte con i loro animali da trasporto (cammelli, muli, asini e cavalli).

Konya, la capitale dei Dervisci danzanti
Ed eccoci giunti a Konya, storica capitale dei Selgiuchidi e città del Mevlâna. Agli inizi del 1200 la dinastia selgiuchida contenne definitivamente i crociati sulle coste. Raggiunse un accordo con i bizantini, egemonizzò i propri concorrenti e fondò un sultanato autonomo scegliendo Konya – città esistente all’epoca romana – come propria capitale. Nel 1200 il mistico persiano Mevlâna Gialâl Ud-Din Rûmi scelse di fermarsi a Konya, dove fondò l’ordine monastico dei Mevlevi, conosciuti in occidente come Dervisci danzanti, sciolti da Atatürk nel 1925. Figura di rilievo del mondo islamico Mevlâna fu il portatore di una corrente mistica che conseguiva la sublimazione dell’anima con una danza rituale resa frenetica dal ritmo delle percussioni. Punto cruciale della visita il Museo Mevlâna, che ospitava un tempo il convento dei Dervisci rotanti, che è visibile da una certa distanza per la sua inconfondible cupola ricoperta di splendide maioliche turchesi. Di particolare interesse anche la tomba di Mevlâna, che risale all’epoca Selgiuchide. Konya offre anche altri interessanti monumenti, come la moschea Alaettin di origine selgiuchida, il museo Karatay (attualmente in restauro) con la sua straordinaria collezione di ceramiche, la scuola di ceramica Sircali con le sue splendide maioliche turchesi e il museo archeologico con il suo particolare sarcofago romano di Sidamara (250 d.C.), che presenta straordinari rilievi raffiguranti le fatiche di Ercole. Interessante anche la visita del bazar, che mantiene un certo fascino, malgrado la modernizzazione della città.

Guide consigliate
– Le Guide Mondadori, Turchia, Milano 2004
– Touring Club Italiano, Guide d’Europa, Turchia, Milano 2003
– Touring Club Italiano, L’Europa e i paesi del Mediterraneo, Turchia, Cipro, Malta, Milano 2006
– Qui Touring Speciale Mondo, Turchia, Milano 2005
– Lonely Planet, Turchia, Torino 2005
– Les Guides Bleus, Turquie, Paris 1978
– Clup. Guide, Turchia, Milano 1994

Itinerario
1° giorno: Volo Milano-Istanbul-Gaziantep. Trasferta a Sanliurfa in torpedone.
2° giorno: Sanliurfa e Harran.
3° giorno: Spostamento in torpedone a Mardin (175 km da Sanliurfa), quindi a Diyarbaki. Si prosegue per Katha.
4° giorno: Visita del monte Nemrut. Si prosegue per la Cappadocia.
5° giorno: Visita della Cappadocia.
6° giorno: Visita della Cappadocia.
7° giorno: Visita della Cappadocia.
8° giorno: Konya.
9° giorno: Konya-Istanbul-Milano.

Un tuffo nel passato dell’antica Ragusa

Vi suggerisco oggi un vero gioiello architettonico, forse il più prezioso dell’Adriatico dopo Venezia: Dubrovnik, l’antica Ragusa. È una meta scomoda da raggiungere in automobile, ma da giugno a fine settembre Darwin Airline offre collegamenti settimanali da Lugano, Ginevra e Zurigo. Clima dolcissimo, città molto tranquilla anche di sera, Dubrovnik è la meta ideale per un fine settimana, soprattutto in settembre. Quando cala la notte e se ne vanno i turisti che visitano la città in giornata, l’atmosfera diventa magica: le pietre quasi bianche, lucidate dai secoli, con cui sono pavimentate le strade riflettono la luce dei discreti lampioni. Vi sembrerà di tornare indietro nel tempo, perché la notte cancella ogni segno della modernità. Percorriamo allora assieme il suggestivo centro storico immergendoci nel passato e immaginando come scorreva la vita quando Ragusa era un’importante Repubblica marinara (1358-1806).
Entriamo dalla Porta Pile. Anticamente, quando arrivava il buio si sollevava il ponte levatoio e si chiudevano le porte della città. Di fronte alla porta si innalza la rotonda fontana di Onofrio, coronata da una cupola che sembra ricordare la vicinanza dei turchi e dove i ragusei venivano per approvvigionarsi di acqua. In faccia sorge il monastero francescano, di stile tardo romanico, che ospita una delle farmacie più antiche del mondo, dove, si dice, venivano distribuiti medicamenti a tutta la popolazione: indipendentemente dal ceto sociale. Incamminiamoci ora lungo la romanticissima Placa, denominata anche Stradun, l’asse che collega le due principali porte della città. Sulla via si affacciano numerose botteghe: immaginiamo esposte le merci di un tempo, a testimonianza dell’importanza che il commercio rivestiva per l’antica Repubblica. In una viuzza laterale una ruota incastrata in una finestra, oggi murata, ci ricorda il drammatico problema dei figli illegittimi. La ruota permetteva di far passare il neonato all’interno dell’edificio, dove veniva accolto dalle religiose. Proseguiamo il nostro percorso nel tempo e arriviamo in Piazza della Loggia, dove si teneva un affollato e rumoroso mercato. Sulla piazza si affacciano anche il Palazzo Sponza, dove venivano svolte le pratiche doganali, e la chiesa di San Biagio, patrono e protettore della Repubblica.
Poco distante si trova il palazzo del Rettore: residenza del personaggio chiave della Repubblica. A pochi passi sorge la cattedrale, sede del potere ecclesiastico, con il suo prezioso tesoro, che custodisce i famosi reliquiari di San Biagio. Raggiungiamo ora il porto antico, luogo eletto di una Repubblica marinara, protetto dal quattrocentesco “Forte San Giovanni”. La Repubblica giunse ad avere una flotta mercantile di 250 navi. Prima di giungere all’altra porta della Città (Porta Ploce) passerete davanti al monastero dei frati domenicani: dall’esterno sembra una fortezza integrata nel sistema difensivo delle mura, mentre all’interno propone un leggero ed elegante chiostro. Non lasciate la città senza averla visitata dall’alto percorrendo gli oltre due chilometri di mura, con incredibili panorami sul centro storico e sulla splendida costa.