Francia – Nelle terre dove si consumò la tragedia degli eretici catari

Francia – Nel Languedoc-Rouissilon vicino alla frontiera spagnola
Francia – L’armonia di Toulouse tra passato e presente

La magica Carcassonne risveglia il nostro immaginario del Medioevo. I suoi Cinque figli”, i castelli degli eretici, arroccati su speroni rocciosi, si mimetizzano nella natura. La pace dei conventi mal si concilia con le violenze perpetrate dalla Chiesa contro i catari.

Riprendiamo il nostro itinerario nella Francia del sud, nella regione del Languedoc-Roussillon. Lasciate alle spalle Costa Azzurra e Provenza, oltrepassato il Rodano, proseguiamo verso sud lungo la costa mediterranea fino al confine con la Spagna catalana per scoprire natura, storia, arte e cultura di questa splendida regione ancora risparmiata dai grandi flussi turistici. Nella prima parte ci siamo soffermati soprattutto sulla visita di alcune città di grande interesse artistico del Languedoc, che diedero i natali a illustri personaggi del mondo culturale francese come Toulouse Lautrec e Molière. Ci siamo però inoltrati anche nel Roussillon, sulla Côte Vermeille, per scoprire i meravigliosi paesaggi che hanno ispirato Henri Matisse e André Derein, fondatori del “Fauvisme”.
Questo itinerario ci porta invece nella selvaggia terra dei catari, in quel Roussillon che fu possedimento spagnolo fino al trattato dei Pirenei (1659). Questa terra appassionata, bruciata dal sole e ricca di tradizioni, ha fatto parte della Catalogna per secoli. Francese sulla carta resta ancora oggi profondamente catalana nell’animo, con la sua lingua, con le sue fiestas in cui la sangria scorre a fiumi e con la sua danza folcloristica chiamata sardana. Questa terra vide però anche consumarsi la tragedia dei catari, aderenti a un movimento di dissidenti cattolici che furono fisicamente eliminati da una “santa” alleanza tra la chiesa di Roma e la monarchia parigina interessata a mettere le mani sul sud della Francia. Visiteremo i principali castelli e monumenti che furono teatro di questa triste pagina di storia.

Gli eretici al rogo
“Là dove non vale la benedizione, prevarrà il bastone. Capi e prelati riuniranno la potenza delle nazioni contro questo paese, ne distruggeranno le torri, i muri e vi ridurranno alla servitù”: così tuonava San Domenico contro i religiosi catari e i regnanti che li tolleravano. Ne susseguì una carneficina al grido: “Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi”.
Nel 1209 papa Innocenzo III proclamò la crociata contro gli eretici della Francia del sud. Il suo significato non era solo religioso, ma anche politico. Offriva ai signori del nord, fedeli al cattolicesimo, l’opportunità di espandere i propri territori alla regione molto prospera del Midi, dove la sua capitale Toulouse era considerata una delle città più importanti d’Europa dopo Roma e Venezia. La crociata non fu una guerra lampo, durò a lungo. Bisognerà infatti attendere fino al 1271 per la liquidazione della questione catara, anche se l’ultimo eretico fu eliminato dall’Inquisizione nel 1321. A mucchi furono giustiziati sulle pubbliche piazze: su cataste di legno, inginocchiati, legati mani e piedi a pali, dati in pasto alle fiamme in terrificanti olocausti collettivi.
Quale era la loro colpa? In che cosa consisteva la loro eresia? Erano convinti della santità dello spirito umano, opera di Dio, imprigionato nel corpo, opera di Satana così come tutta la materia. Aborrivano la Chiesa di Roma, credevano nella reincarnazione, ma non che Dio si fosse incarnato in Gesù, negavano i sacramenti. Una certa libertà di spirito, la mancanza di un potere centrale, una concezione egualitaria e l’anticlericalismo erano elementi tipici del Midi che costituivano un terreno fertile per il movimento cataro, tollerato se non condiviso da molti regnanti.

L’indimenticabile Carcassonne…
Carcassonne e i suoi “cinque figli”, i castelli di Peyrepertuse, Puilaurens, Termes, Aguilar e Quéribus, furono roccaforti albigesi. Carcassonne cadde nelle mani dei crociati nel 1209 dopo un lungo assedio. I suoi “cinque figli”, su cui si estende il nostro itinerario, situati nella campagna, costituirono l’ultimo ritiro degli eretici e vennero conquistati molti anni dopo.
Ai tempi dell’assedio la città di Carcassonne non possedeva ancora tutte le fortificazioni costruite in seguito dai re di Francia e giunte nel loro splendore fino a noi. La sua cittadella è la più grande fortezza d’Europa. Si compone di un nucleo fortificato, del castello dei conti, e di una doppia cerchia di mura: la cinta esterna, dotata di 14 torri e separata da quella interna composta di 24.
Carcassonne è una città magica. Già da lontano risveglia il nostro immaginario del Medioevo: è la concretizzazione delle fortezze che ci immaginavamo quando da ragazzini giocavamo ai soldatini. Anche una volta superate le mura non ne rimarrete delusi. Invasione dei turisti a parte: è il terzo luogo più visitato di Francia, dopo Parigi e Mont Saint Michel. Vale la pena di pernottare dentro la cinta – ci sono diversi alberghi – perché verso sera le strette viuzze si svuotano, i negozi di souvenir abbassano le saracinesche, così che passeggiando si può lasciar cavalcare la propria fantasia e fermare il tempo. Fare il giro delle mura esterne, splendidamente illuminate di notte, è quasi commovente. Il castello è bene visitarlo il mattino presto, prima che sia troppo affollato. Un’audioguida, molto valida, vi propone il commento dell’architetto che nell’Ottocento iniziò i restauri di questo luogo indimenticabile. Di fronte alle vetrate della basilica di St-Nazaire, considerate tra le più importanti di Francia, rimanete incantati come davanti a un caleidoscopio.
Avevo visitato Carcassonne cinquant’anni fa da ragazzino e poi non ci ero più tornato. Temevo di rimanere deluso, ma non è stato così: è stata una piacevole conferma!

…e i suoi “cinque figli”
Quando ormai tutto il Midi era conquistato dai crociati, i cosiddetti “cinque figli di Carcassonne”, i formidabili castelli di Peyrepertuse, Puilaurens, Termes, Aguilar e Quéribus, situati su impressionanti speroni rocciosi, diedero rifugio ai predicatori catari. Per anni i pellegrini affluivano a migliaia per ascoltare i loro sermoni. Per lungo tempo questa situazione fu tollerata perché considerata non minacciosa dalla chiesa di Roma. La repressione giunse però anche qui e dopo assedi drammatici ed estenuanti anche queste fortezze, ritenute per secoli inespugnabili, caddero nelle mani dei crociati e gli eretici furono bruciati vivi. L’ultimo ad arrendersi fu il castello di Quéribus, che assomiglia a una protuberanza della roccia e si erge sopra il pittoresco villaggio di Cucugnan proponendo una vista incredibile sulla pianura sottostante fino al Mediterraneo e ai Pirenei.
Una visita di una giornata permette di visitarli tutti, salvo Puilaurens, che rimane un po’ fuori mano rispetto al nostro itinerario. La strada scorre suggestiva in una regione agreste tra colline, vigneti, piccoli passi e gole profonde. In questa zona selvaggia e montagnosa, qua e là si scorgono all’ultimo momento in cima a speroni rocciosi le rovine dei castelli. A Peyrepertuse se non sapeste che lassù si annida una fortezza, architettonicamente la più interessante, da lontano non la notereste, tanto bene è mimetizzata nella natura, che sembra appartenerle. Solitamente si compie l’ultimo tratto a piedi prima di raggiungere le rovine dei manieri, che lasciano bene immaginare come si potesse svolgere la vita all’interno della cinta muraria.
Le cinque fortezze, che subirono varie trasformazione nel corso dei secoli, ebbero un importante valore strategico di protezione della frontiera francese con l’Aragona, fino al 1659 quando il trattato dei Pirenei attribuì il Roussillon alla Francia.

Luoghi di pace e di silenzio
L’armonia architettonica, la serenità, il silenzio, gli splendidi e solitari paesaggi che contraddistinguono i monasteri del Roussillon mal si conciliano con le violenze commesse dai crociati cattolici contro i catari. Eppure alcuni di questi monasteri costituirono delle vere roccaforti della chiesa di Roma contro i catari. È il caso della sobria ed elegante abbazia cistercense di Fontfroide. Si annida nella ridente gola di un vallone, che ricorda la dolcezza della Toscana. Nel 1203 Papa Innocenzo III diede a due monaci di questo monastero l’incarico di combattere l’eresia catara che dilagava nei dintorni. Fu proprio l’assassinio di uno di loro a fornire nel 1209 il pretesto per scatenare la crociata contro gli Albigesi. Poco distante, nella cittadina di Lagrasse, un’altra importante abbazia, poco distante dai castelli dove si rifugiarono i predicatori catari, ricorda la potenza della chiesa di Roma nella zona.
A sud dei castelli di Quéribus e di Peyrepertuse una strettissima strada di montagna, che corre a ridosso delle rocce, attraversa le profonde e impressionanti gole di Galamus. A metà del tragitto, arroccato sulla roccia sotto la strada sorge un suggestivo eremo, che si può raggiungere in pochi minuti a piedi.
Proseguendo verso sud in direzione dei Pirenei, appollaiato su una collina dove il mondo sembra finire, sorge il priorato di Serrabone, una delle meraviglie dell’arte romanica nel Roussillon. Dirigendosi verso sud ovest, in una cornice magnifica e selvaggia, si può salire a piedi verso St-Martin-du-Canigou: un altro gioiello del romanico, essenziale, austero, quasi lugubre all’interno della chiesa. Un altro luogo da finis terrae: la solitudine e la maestosità del paesaggio spiegano di per sé il motivo per cui dei monaci siano venuti fin quassù a ricercare la serenità.

Itinerario

1° giorno
Locarno-Castillon du Gard (646 km)

2° giorno
Castillon du Gard-Albi

3° giorno
Albi-Tolosa-Carcassone (135 km)

4° giorno
Carcassone-Fontfroide-St. André de Roquelongue (70 km)

5° giorno (Castelli Catari)
St. André de Roquelongue-Termes- Ch. Aguilar-Ch. Queribus-Ch. Peyrepertuse-Cucugnan (130 km)

6° giorno (Conventi)
Cucugnan-St. Antoine-Serratone-St. Michel-Moltig (135 km)

7° giorno (La Côte Vermeille)
Moltig-Collioure (150 km)

8° giorno
Collioure-Pézenas-Salon de Provence (326 km)

9° giorno
Salon de Provence-Locarno (635 km)

Cipro – La storia “occupata” dai turchi

Cipro – Viaggio nel sud di cultura greca
Cipro – Una città divisa tra due culture
Cipro – Un viaggio nella storia

Tra città antiche, rovine di castelli, chiesette bizantine in riva al mare e l’incontaminata punta est.

Cultura, arte, storia, gastronomia e mare, ma non solo mare! Sono questi gli ingredienti di un viaggio sull’isola di Cipro. Situata in una posizione strategica, laddove il Mediterraneo ondeggia tra Europa, Asia e Africa, ha vissuto in stretta contiguità con le principali civiltà dei tempi antichi. Egizi, greci, romani, bizantini, francesi, genovesi, veneziani, ottomani, britannici e turchi si sono stabiliti nel corso dei secoli sull’isola lasciando interessanti testimonianze storico-culturali. La natura, poi, ci ha messo del suo, creando splendidi paesaggi marini, molti dei quali, purtroppo, sono stati e stanno per essere irrimediabilmente compromessi dalla speculazione edilizia: uno scenario, ahimé, frequente in moltissimi paesi.
Il nostro itinerario prevede il giro dell’isola, che richiede una decina di giorni, cambiando albergo quasi ogni sera. Si consiglia di percorrerlo in primavera o autunno, perché in estate il clima è troppo caldo. Gli spostamenti non sono comunque molto lunghi: le due penisole situate alle estremità est e ovest – i due luoghi di mare più affascinanti di Cipro – distano poco più di 200 chilometri, e le coste nord e sud circa 100. Le strade sono belle, il traffico scorrevole – salvo in prossimità delle città – e la guida è a sinistra in ricordo del periodo coloniale britannico. Le guide raccontano di grandi difficoltà per noleggiare una vettura al sud e trasferirsi al nord. In effetti alcune compagnie non noleggiano auto a chi prevede di visitare entrambe le parti dell’isola. Avis, comunque, non fa difficoltà e potete facilmente passare la frontiera in diversi punti: all’entrata vi si chiede unicamente di stipulare un’assicurazione particolare per i giorni che trascorrete a nord. Nei check point di confine, nel giro di pochi minuti, vi verranno concessi sia il visto per entrare, che la polizza per l’auto.

La più ricca del Mediterraneo
Con la conquista araba nel 1291 dell’ultimo baluardo crociato in Terrasanta (Acri) molti mercanti genovesi, veneziani e franchi spostarono a Famagosta le loro attività. La città crebbe velocemente fino a diventare probabilmente la più ricca del Mediterraneo. Questo periodo d’oro durò circa due secoli, fino al 1372, quando a causa di uno scontro tra veneziani e genovesi, che assunsero il controllo, gli abitanti più ricchi e illustri lasciarono la città. Quando i veneziani riconquistarono il potere 117 anni più tardi eressero le grandi mura e i bastioni per tenere lontani gli ottomani, che nel 1571 presero comunque Famagosta.
All’interno delle sue mura cinquecentesche, questa tranquilla cittadina conserva le splendide testimonianze della sua epoca d’oro. Dall’alto dei bastioni, il panorama si estende su un tappeto di verde, alberi e orti da cui spuntano le rovine delle cento chiese della città dei mercanti. Il punto di riferimento dell’orizzonte cittadino è comunque il sottile minareto aggiunto alla cattedrale gotica di San Nicola, costruita a cavallo tra XII e XIV secolo sul modello di quelle di Notre-Dame a Parigi e di Chartre. Quel minareto, così come quello simile che ha trasformato in moschea la cattedrale gotica di Santa Sofia a Nicosia, può essere considerato l’emblema della storia di questo paese ancora oggi diviso tra due culture: quella musulmana e quella greco-ortodossa. Grazie alla completa assenza di arredi e al colore chiaro di pareti, colonne e volte, l’interno della cattedrale, ora moschea, sembra ancora più maestoso con i suoi enormi sette pilastri che reggono l’imponente struttura. Intorno alla mole della cattedrale sorgono decine di antichi palazzi e chiese, grandi e piccole, intere o scoperchiate dalla violenza delle battaglie o solo dall’incuria.
Non lontano dal centro storico sorge una città fantasma fatta di strade asfaltate, di grattacieli e di grandi alberghi: il sobborgo di Varosha, che prima dell’”occupazione” turca del 1974 era il centro turistico balneare più in voga dell’isola. Davanti all’avanzata dell’esercito turco la popolazione greca fuggì portando con sé pochi oggetti personali. Dopo oltre trent’anni di abbandono la zona è oggi spettrale, con le case vuote e la vegetazione cresciuta ovunque.

Radici storiche più antiche
La crescita di Famagosta iniziò nel VII secolo d.C. con l’arrivo degli abitanti dalla vicina Salamina (oggi dista meno di 10 chilometri), saccheggiata dagli arabi. Le origini di questo insediamento sono antichissime. Nell’epoca d’oro delle città-stato di Cipro (VII secolo a.C.) Salamina divenne il centro culturale ed economico più importante dell’intera isola. Alleatasi con Alessandro Magno subì l’influenza greca e nel 58 a.C. passò sotto il controllo dei romani diventando il principale centro mercantile dell’isola, nonostante Pafos (situata sulla costa ovest) fosse stata designata capitale ufficiale di Cipro. All’inizio dell’era cristiana rimase una città molto importante: uno dei suoi cittadini, l’apostolo Barnaba, uno dei discepoli di Cristo cui maggiormente si deve l’introduzione del cristianesimo sull’isola, visse e morì qui.
Salamina è considerato dagli esperti il sito archeologico più importante dell’isola. Vari monumenti, per lo più romani e bizantini, sono disseminati su una vasta area.
La visita è resa particolarmente suggestiva dalla vicinanza del mare, che conferisce alle rovine un fascino ulteriore. Si possono visitare il gymnasium, gli edifici termali, l’odeon, l’anfiteatro e due interessanti basiliche paleocristiane. Il monastero dell’apostolo Barnaba sorge immerso nel verde (in primavera) a tre o quattro chilometri di distanza da percorrere in auto. Sulla strada che porta al monastero si possono visitare le cosiddette tombe dei Re. Si tratta di sepolture risalenti all’VIII e al VII secolo a.C. Re e aristocratici venivano sepolti assieme agli oggetti più amati, a cibi, bevande, e persino ai loro cavalli e schiavi favoriti. All’entrata delle tombe si possono osservare, protetti da lastre di vetro, i macabri scheletri dei cavalli sacrificati.

Un paradiso terrestre
Pochi chilometri separano Salamina dalla meta più suggestiva del viaggio: la penisola di Karpas, una sorta di finis terrae. Campi coltivati, silenziosi e spopolati e un litorale spoglio segnano l’inizio dell’esile penisola. Il governo ha trasformato la zona in una grande riserva naturale volta alla tutela delle colonie di tartarughe che nidificano sulle vaste distese di sabbia di questo paradiso terrestre. Qui l’acqua sembra più blu e più limpida che in qualsiasi altra parte di Cipro – salvo l’altra penisola, quella di Akamas, situata sull’estremità opposta – e le curve della linea costiera sono più dolci e affascinanti. L’esplosione dei colori dei fiori selvatici in primavera, poi, ha qualcosa di magico. La strada scorre tra basse colline, che nascondono piccole pianure sabbiose popolate da bassi arbusti. Il tratto finale è il più emozionante e vi permette di raggiungere dapprima l’incantevole baia di Nangomi – oggi denominata Golden Beach – per poi proseguire verso Capo Sant’Andrea su una scomoda strada sterrata. Si ha l’impressione, appunto, di viaggiare verso la fine della terra, anche se le coste turche, siriane e libanesi distano a meno di 100 chilometri. Prima di raggiungere la punta ci si imbatte nel monastero dedicato all’apostolo Andrea, che secondo la tradizione sarebbe sbarcato qui. Fino al 1974 era meta di numerosi pellegrinaggi, ripresi recentemente grazie a un accordo tra i due governi. Il monumento, presidiato dai militari, giace però in uno squallido e quasi provocatorio stato di abbandono.
Un altro luogo incantato di questa penisola è la spiaggia di Agios Filon, dove in riva al mare sorge una chiesina del XII secolo, accanto al ristorante Oasis dove si possono gustare piatti genuini della regione. Proseguendo per 7 chilometri in direzione ovest su una strada sterrata lungo una splendida costa si raggiungono i ruderi di Afendrika, dove nel II secolo a.C. sorgeva una delle sei principali città di Cipro.
Ritorniamo verso Dipkarpaz, capoluogo della penisola, dove si trova il nostro albergo Villacasparis, nuovissimo e certamente il migliore in una zona dove le infrastrutture turistiche sono piuttosto vecchiotte. Prima di lasciare la penisola visitiamo ancora la chiesetta monastica dell’XI secolo, famosa perché dalle sue pareti vennero trafugati preziosi mosaici finiti negli Stati Uniti e recuperati dal governo di Cipro sud dopo una lunga battaglia legale.

Tre castelli verso Kyrenia
Per raggiungere il castello di Kantara, si segue una splendida strada costiera che scorre attraverso un paesaggio incontaminato. Giunti al villaggio di Davlos un’ottima strada porta al maniero costruito dai bizantini a una quota di circa 700 metri. Faceva parte di un sistema difensivo assieme a due altri castelli che si incontrano sulla via per Kyrenia: Buffavento e Sant’Ilarione. Dei tre è il meglio conservato. La vista da quel nido d’aquila, che sembra essere più opera della natura che dell’uomo, è straordinaria e spazia sui due versanti dell’isola, in quel punto piuttosto stretta. Ritornati a Davlos si ripercorre la strada litoranea, che per una ventina di chilometri continua ad offrire indimenticabili panorami marini. Poi, improvvisamente, ci si immette su una sorta di autostrada abbandonando l’antica carreggiata, che è stata soppressa. Lungo il mare sono sorti e stanno sorgendo villaggi turistici con l’offerta di casette, appartamenti e alberghi che hanno assolutamente snaturato la costa, ancora descritta dagli autori della guida Lonely Planet (edizione 2006) come idilliaca. Più ci si avvicina a Kyrenia e più la speculazione edilizia si intensifica. Prima di entrare in città saliamo in collina per visitare il grazioso villaggio di Bellapais, da cui si gode una splendida vista sulla costa ormai snaturata. Il villaggio deve la sua notorietà allo scrittore inglese, Lawrence Durrell, autore di un divertente romanzo ambientato in quel luogo: “Gli amari limoni di Cipro”.
Bellapais ospita anche le rovine di una suggestiva residenza monastica fondata nel XII secolo da monaci agostiniani in fuga dalla Palestina. Il suggestivo complesso, più volte distrutto dagli arabi, è stato accuratamente restaurato.
Kyrenia, dove abbiamo alloggiato all’ottimo e centrale hotel The Colony, è una città piuttosto caotica, ma il suo porticciolo conserva un’atmosfera rilassata che ricorda il passato. Vale la pena di cenare in uno dei numerosi ristorantini che vi si affacciano ed offrono cucina tipica cipriota anche se in versione un po’ turistica, ma decisamente piacevole. Il luogo, dominato dall’imponente castello costruito in epoca bizantina, è particolarmente romantico al tramonto e la sera.

Itinerario

1° giorno
Milano-Larnaka-Nicosia

2° giorno
Nicosia

3° giorno
Nicosia-Famagosta-Salamina- Dipkarpaz-Capo S.Andrea (210 km)

4° giorno
Dipkarpaz-Agios Filon-Kantara-Bellapais-Kyrenia (180 km)

5° giorno
Kyrenia-Troodos (200 km)

6° giorno
Troodos-Bagni di Afrodite (120 km)

7° giorno
Bagni di Afrodite-Pafos (50 km)

8°giorno
Pafos-Lara-Pafos (40 km)

9°giorno
Pafos-Kourion-Larnaka (150 km)

10° giorno
Larnaka-Milano

Bibliografia
Cipro The Rough Guide, Vallardi Viaggi, Perugia 2004
Cipro Lonely Planet, Torino 2006
Cipro Touring Club Italiano, Milano 2006
Cyprus Eyewitness Travel, London 2008
Cipro Meridiani, Milano 2006
Cipro top 10 Mondadori, Milano 2010

Cipro – Viaggio nel sud di cultura greca

Cipro – La storia “occupata” dai turchi
Cipro – Una città divisa tra due culture
Cipro – Un viaggio nella storia

Sulle montagne alla scoperta di solitarie chiesette bizantine, al mare alla scoperta di siti archeologici e di paesaggi selvaggi.

Proseguiamo il nostro itinerario alla scoperta di cultura, arte, storia, natura e gastronomia di Cipro. Nella prima parte abbiamo descritto il viaggio nella parte nord dell’isola, quella turca. Oggi proseguiamo il percorso a sud. Anche a meridione si trovano numerose testimonianze culturali e artistiche dei diversi popoli – egizi, greci, romani, bizantini, francesi, genovesi, veneziani, ottomani e britannici – che hanno fatto la storia di quest’isola. La natura è stata generosa con Cipro, anche se in diverse parti è stata irrimediabilmente compromessa dalla speculazione edilizia. Le montagne che sorgono al centro del paese e la penisola di Akamas all’estremo ovest sono comunque ancora luoghi incontaminati.

Chiese bizantine sulle montagne
Riprendiamo l’itinerario da Kyrenia nel nord del paese, per trasferirci al sud attraverso il check point di Morfou (Güzelyurt), verso le montagne del Troodos. Le valli che salgono verso le quote più alte delle montagne (fino a 2000 metri), dove d’inverno nevica abbondantemente, sono rimaste tra gli ambienti più integri e selvaggi dell’isola con i loro incantevoli boschi di cedro. Questa regione è il vero custode dell’anima più tradizionale e profonda dell’isola. Da qui provenivano le ricchezze che in passato hanno reso celebre Cipro nel Mediterraneo: il rame (cuprum in latino), che forse diede il nome all’isola, e il legname che fu utilizzato per varare ed equipaggiare le navi dei soldati e dei mercanti dal primo millennio a.C. in poi.
In ogni epoca questa catena montuosa ha costituito sia una barriera, sia una risorsa e, soprattutto durante l’era cristiana, ha offerto rifugio alla cultura ellenica. Furono la repressione e le gravi discriminazioni religiose perpetrate dai Lusignano a costringere il clero ortodosso a rifugiarsi su questi monti e a costruire le solitarie chiesette che costituiscono una delle mete artistiche più ragguardevoli dell’isola. Situate in luoghi discosti e suggestivi questi luoghi di culto, poco più grandi di un piccolo fienile, sono ricchi di affreschi e molto simili tra loro. Per proteggerli dalle frequenti nevicate furono aggiunti, in un secondo tempo, grandi tetti a spiovente, che ricordano più le montagne appenniniche e alpine che le coste mediterranee. “Visitare le chiesette affrescate dei monti Troodos è come aprire un volume di storia dell’arte al capitolo pittura bizantina”: è con questa motivazione che i nove edifici più significativi sono stati inseriti nel Patrimonio mondiale dell’Unesco. Gli affreschi avevano lo scopo di illustrare ai contadini analfabeti dell’epoca, quasi sotto forma di fumetto, i passi principali dei Vangeli.
La visita richiede tempo: diverse chiesette sono difficili da scovare, altre sono chiuse e per trovare la chiave bisogna rintracciare il custode nel paese vicino. L’organizzazione lascia a desiderare, ma scoprirle vale davvero la pena.
Checché ne dicano le guide i paesini del Troodos, così come quelli di tutta l’isola, sono poco attrattivi e spesso trasandati. Uno dei più graziosi è comunque Kakopetria, che offre anche un originale albergo ricavato da antiche case del villaggio restaurate con gusto, annesse a una taverna dove si possono gustare i piatti tipici e gli ottimi vini di queste vallate.
Questa regione impervia è legata anche alla storia recente dell’isola, perché era qui che durante l’epoca coloniale si nascondevano i combattenti per l’indipendenza di Cipro dai britannici.

Dalle montagne al mare
Per scendere dal Troodos verso la costa occidentale si passa dal monastero di Kykkos, uno dei più ricchi e venerati dell’isola, ma di scarso interesse artistico, perché riedificato nel 1831 dopo un incendio. L’arcivescovo Makarios, leader religioso e politico di Cipro durante il breve periodo di indipendenza e unità dell’isola, iniziò qui gli studi e servì come monaco novizio prima di usare il monastero come rifugio durante i giorni di appartenenza all’EOKA (Organizzazione nazionale per la lotta cipriota), che aveva il suo quartier generale nelle vicinanze. Di conseguenza Kykkos è fortemente legato alle lotte nazionaliste cipriote. Dopo la morte, Makarios è stato seppellito sulla collina sopra il monastero. Un imponente monumento ricorda la sua figura.
Una strada tortuosa e molto lenta, che attraversa suggestivi boschi di cedro, scende lentamente verso il mare offrendo splendidi panorami sulla costa. Percorrendo poi per una ventina di chilometri una piacevole litoranea si raggiunge Polis, che dà accesso alla splendida penisola di Akamas.

Qui apparve Afrodite
Divinità tra le più antiche del pantheon mediterraneo, Afrodite ha segnato questa terra con la sua leggenda. Dicono che apparve qui, dalla spuma delle onde sollevate dal vento. Dicono che portò con sé la bellezza, l’amore e i profumi sacri della rosa e del mirto. Figlia di Urano o forse di Zeus, è soprattutto figlia di Cipro, dove è approdata per volere degli dei.
Ai mortali era proibito spingersi fino ai bagni della dea, pena la morte. Oggi questo luogo, a una decina di chilometri da Polis, costituisce una delle mete turistiche più gettonate. I bagni possono anche lasciare delusi, ma la penisola di Akamas rimane una delle rare e ultime regioni cipriote veramente selvagge. Per una strana coincidenza, per molto tempo l’esercito inglese ha infatti utilizzato l’entroterra come poligono di tiro, allontanando i turisti e salvando così questa regione dalla speculazione edilizia. L’isolamento ha contribuito anche a proteggere flora e fauna, che sono ricchissime.
Il modo migliore per apprezzare appieno la penisola è compiere un’escursione di qualche ora a piedi. L’itinerario più gettonato è quello di Afrodite: 7 chilometri con un dislivello di 400 metri che si percorrono in due ore e mezzo. La prima parte è a picco sul mare con panorami meravigliosi: il colore delle acque propone tutte le gradazioni dal blu al turchese. La seconda parte del percorso si svolge invece nell’entroterra, in un paesaggio quasi desertico.
Un’altra escursione da non perdere è quella alle gole di Avakas, che parte dal versante opposto, cioè sud, della penisola e richiede due ore scarse. Si lascia l’auto in un posteggio in riva al mare (5 km a sud di Lara) e si attraversa dapprima uno splendido agrumeto con alberi di arancio, limone e pompelmo. Terminato questo primo tratto si imbocca il sentiero delle gole in mezzo ai campi. Rapidamente le pareti del canyon si stringono, fino quasi a toccarsi mentre il cielo azzurro sembra allontanarsi. Il sentiero si snoda sul fondo delle gole ingentilite, in primavera, da fiori spontanei e oleandri che crescono lungo il ruscello e addolciscono l’imponenza della natura.
Ritornati al parcheggio, percorrendo una strada sterrata e molto sconquassata, si raggiunge Lara, che offre una delle più belle spiagge selvagge dell’isola. La litoranea prosegue ma è percorribile solo con una vettura 4×4.
A una manciata di chilometri dai bagni di Afrodite, isolato in riva al mare, sorge il migliore albergo dell’isola: l’hotel Anassa, con le sue splendide terme. Il luogo, ma anche i prezzi, ricordano la costa Smeralda in Sardegna. A Pafos gli alberghi, di tutte le categorie, sono innumerevoli, ma senza carattere. Il villaggio è prettamente turistico e privo di fascino. Vi consigliamo però una sosta gastronomica in una delle migliori taverne di Cipro: Hondros, non lontano dal porto (cfr. la guida Lonely Planet). In questa locanda abbiamo gustato le migliori specialità della cucina cipriota, una versione rivista di quella greca: mussaka, spiedini, agnello, stufati e naturalmente pesce. Anche il vino è di ottima qualità.

Archeologia in riva al mare
I siti archeologici di Pafos e di Kourion, distanti tra loro una cinquantina di chilometri, sono particolarmente spettacolari grazie alla loro posizione in riva al mare, in un paesaggio quasi desertico, in cui l’unico rumore percepibile è quello delle onde che si infrangono sugli scogli. Secondo antiche leggende furono fondate dagli Argivi di ritorno dall’assedio di Troia. La loro origine risale invece all’epoca in cui Cipro faceva parte del regno dei Tolomei. Pafos divenne capitale dell’isola e anche in epoca romana rimase la città più importante. Raggiunse la sua massima fioritura nel III secolo d.C., come testimoniano gli eccezionali mosaici delle ville cittadine. “A quell’epoca – si legge sui testi dell’Unesco che hanno dichiarato queste opere Patrimonio mondiale dell’Umanità – l’Augusta Claudia Flavia Paphos, la sacra metropoli di tutte le città cipriote, era divenuta uno dei più importanti centri di produzione dei mosaici del mondo romano, mantenendo solidi legami con le coste orientali del Mediterraneo”. Questi mosaici, di grande valore artistico ed estetico, rappresentano episodi tratti dai miti greci.
Anche Kourion offre splendidi mosaici, oltre a un anfiteatro romano del II secolo a.C. (troppo restaurato) e le rovine di una basilica paleocristiana del V secolo. Ma il sito, visitatissimo per la sua spettacolarità, è famoso soprattutto per il santuario di Apollo: immagine classica dell’isola.
A Pafos non si può mancare di visitare le cosiddette Tombe dei re, scavate negli scogli in riva al mare. Situate poco oltre le mura dell’antica città, furono scavate a partire dal III secolo a.C. seguendo l’usanza e lo stile delle tendenze orientali diffuse a Cipro dagli alessandrini. Le tombe, destinate a famiglie aristocratiche, avevano una struttura molto elaborata con cortile, peristilio e colonne per accogliere i membri di un’intera famiglia.

Una città divisa in due
Nicosia dista una quarantina di chilometri dall’aeroporto principale di Cipro sud. La si può quindi visitare all’inizio o alla fine del viaggio. Il modo migliore per scoprirla è a piedi. Durante la visita ci si imbatte più volte nel muro, che divide la parte turca da quella greca, e nei bastioni, ottimamente conservati, costruiti dai veneziani tra il 1567 e il 1570 per tenere lontani – ma senza successo – i temuti invasori ottomani.
Nella parte sud meritano certamente una visita i musei archeologico e bizantino e la cattedrale.
Il museo archeologico espone alcuni oggetti eccezionali che testimoniano l’importanza dell’isola come crocevia culturale del mondo antico, partendo dall’8000 a.C. e arrivando fino all’epoca romana. Straordinaria una serie di duemila figurine in terracotta realizzate tra il 625 e il 500 a.C. Nel museo bizantino si potranno invece trovare alcune tra le migliori testimonianze di arte religiosa cipriota. La Madonna è sempre raffigurata sulle numerose icone con il volto triste, perché secondo la tradizione conosceva la fine che attendeva il bimbo che portava in braccio, dipinto sovente con parvenze di adulto. Nell’adiacente cattedrale Agios Ioannis si può invece ammirare un interessante ciclo di affreschi settecenteschi dedicati alla vita di San Barnaba, evangelizzatore dell’isola.
Nella parte nord della città l’edificio che maggiormente colpisce è l’antica cattedrale di Santa Sofia, costruita sul modello del gotico francese di Notre-Dame o di Chartres, ma trasformata in moschea con la presenza di due imponenti minareti ai lati della facciata. Altre costruzioni ricordano il carattere orientale della città: il caravanserraglio edificato dagli ottomani dopo la conquista del 1572 per ospitare viaggiatori e commercianti e i bagni turchi del Büyük Hammam, realizzato riutilizzando alcune strutture di una chiesa trecentesca.

Itinerario

1° giorno
Milano-Larnaka-Nicosia

2° giorno
Nicosia

3° giorno
Nicosia-Famagosta-Salamina- Dipkarpaz-Capo S.Andrea (210 km)

4° giorno
Dipkarpaz-Agios Filon-Kantara-Bellapais-Kyrenia (180 km)

5° giorno
Kyrenia-Troodos (200 km)

6° giorno
Troodos-Bagni di Afrodite (120 km)

7° giorno
Bagni di Afrodite-Pafos (50 km)

8°giorno
Pafos-Lara-Pafos (40 km)

9°giorno
Pafos-Kourion-Larnaka (150 km)

10° giorno
Larnaka-Milano

Bibliografia
Cipro The Rough Guide, Vallardi Viaggi, Perugia 2004
Cipro Lonely Planet, Torino 2006
Cipro Touring Club Italiano, Milano 2006
Cyprus Eyewitness Travel, London 2008
Cipro Meridiani, Milano 2006
Cipro top 10 Mondadori, Milano 2010

Cipro – Una città divisa tra due culture

Cipro – La storia “occupata” dai turchi
Cipro – Viaggio nel sud di cultura greca
Cipro – Un viaggio nella storia

Dall’alto dell’Osservatorio Ledra a Nicosia, una sorta di museo-belvedere situato all’undicesimo piano di un palazzo del centro storico nella zona sud, si osserva la città dall’alto con i suoi monumenti, le sue antiche mura e il suo recente muro, definito Linea verde, che divide la Lefkosia greca dalla Lefkosa turca. Una città che con i suoi agglomerati supera i 200 mila abitanti. Cosa attendersi dall’ultima capitale europea divisa in due da una barriera politico-culturale? Ricordando Berlino pensavo di trovare un’atmosfera tesa e triste. Ma Nicosia non è così. Oggi si passeggia per la città divisa da sacchi di sabbia, barili pieni di terra e filo spinato collocati lungo la Linea verde, ma si passa facilmente e senza troppa burocrazia da una parte all’altra passeggiando lungo una via pedonale. Neppure l’atmosfera tra i quartieri greci e quelli turchi mi è parsa molto diversa. Moschee a parte, la zona nord non ha un carattere molto orientale e si è aperta al turismo quanto quella sud. Si circola facilmente da una parte all’altra della frontiera, non solo a Nicosia, dal 23 aprile 2003 quando inaspettatamente le autorità turco-cipriote hanno revocato il divieto di valico della Linea Verde che divide trasversalmente tutta l’isola. Secondo Chiristos, la guida turistica che ci ha accompagnati nella visita della capitale, le due comunità cipriote, dopo quasi trent’anni di divisione, sarebbero pronte alla riunificazione del paese. Una volontà espressamente dichiarata negli ultimi tempi da numerosi intellettuali che vivono al di qua e al di là del muro. Le elezioni tenutesi lo scorso mese di aprile a Cipro nord sembrano però avere allontanato questa speranza. Si è infatti imposto il settantaduenne conservatore Dervis Eroglu, favorevole alla divisione dell’isola in due stati sovrani. Nonostante abbia dichiarato che i negoziati con il sud proseguiranno, gli osservatori temono che il nuovo premier negozierà per non concludere. Già nel 2004 si pensava di essere vicini a un accordo quando l’allora segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan propose la creazione di uno stato federativo sul modello elvetico. In quell’occasione fu la maggioranza greco-cipriota ad opporsi, mentre quella turco-cipriota si espresse a favore.
La storia di questo paese dal 16 agosto 1960, quando raggiunse finalmente l’indipendenza, è alquanto tormentata. La nuova costituzione prevedeva che il potere politico sarebbe stato spartito su base proporzionale, anche se ai turco-ciprioti, con meno del 20 per cento della popolazione totale, sarebbero spettati il 30 per cento delle cariche statali, il 33 per cento dei seggi in parlamento e il 40 per cento degli effettivi dell’esercito. Inoltre la presidenza della repubblica sarebbe spettata a un greco-cipriota, mentre la vicepresidenza a un turco-cipriota. Questi buoni propositi si dimostrarono però irrealizzabili all’atto pratico. Già nel ’63 scoppiarono disordini a Nicosia tra le due comunità. Fu allora che a Nicosia si tracciò la cosiddetta Linea verde controllata da un contingente di pace dell’Onu e da truppe britanniche.
Il pretesto ai militari turchi per invadere l’isola il 20 luglio 1974 e creare di fatto due stati lo diede la giunta militare di estrema destra, che dal 1967 era al potere in Grecia. I colonnelli di Atene, sembra con la benedizione della Cia, il 15 luglio 1974 rovesciarono a Cipro il governo Makarios – considerato filo sovietico – per mettere al suo posto Nikos Sampson, noto fautore dell’annessione del suo paese alla Grecia. L’esercito turco a quel punto poteva intervenire come “garante della minoranza minacciata”. Nonostante il 23 luglio la giunta militare greca venne rovesciata e contemporaneamente a Cipro Sampson perse il potere, l’avanzata dell’esercito turco non si fermò fino al 16 agosto, quando ormai controllava il 37 per cento dell’isola.

Cipro – Un viaggio nella storia

Cipro – La storia “occupata” dai turchi
Cipro – Viaggio nel sud di cultura greca
Cipro – Una città divisa tra due culture

L’isola di Cipro è nota soprattutto per le sue località balneari alla moda, che offrono un’animata vita notturna. Ma non è solo questo, anzi…! Terra di frontiera, là dove il Mediterraneo ondeggia tra Europa, Asia e Africa, Cipro ha vissuto in stretta contiguità con le principali civiltà dei tempi antichi: da quella sirianofenicia a quella romana, passando per le civiltà egizia, greca ed ellenistica. Poi si sono susseguiti i bizantini, gli arabi, i templari, i Lusignano, Genova, Venezia, i turchi, gli inglesi. Queste civiltà hanno lasciato sull’isola numerose testimonianze. Se poi si aggiunge una natura selvaggia, dove non è arrivata la speculazione edilizia, con un mare azzurrissimo, si può ben capire perché costituisca una destinazione meritevole di un vero e proprio viaggio e non un di un semplice soggiorno balenare. Percorrendo la storia della terra di Afrodite – si racconta che qui apparve dalla spuma delle onde sollevate dal vento – l’articolo Nel sud di cultura greca si sofferma sulle testimonianze lasciate dai numerosi popoli che nel corso dei secoli hanno occupato l’isola. Il viaggio riveste anche un notevole interesse politico per la divisione di Cipro tra il nord di cultura turca e quindi musulmana e il sud legato alla civiltà greca e di religione ortodossa. Una frattura che affonda le sue radici nella storia antica. Il nostro itinerario inizia da Nicosia, dove al museo archeologico si ha un primo approccio con i reperti più antichi risalenti al periodo aureo (750-475 a.C.) delle città-stato, sorte quando i primi coloni greci giunsero sull’isola. Nella seconda metà del IV secolo a.C. i ciprioti non esitarono ad allearsi con Alessandro Magno, fornendogli il supporto di 120 navi, per liberarsi della dominazione persiana. Durante la lunga epoca ellenistica, conclusasi nel 58 a.C. con l’annessione di Cipro ai territori di Roma, l’isola visse in condizioni di relativa pace e benessere. Le Tombe dei Re del III secolo a.C., che si possono visitare a Pafos, sono un’eloquente testimonianza del livello raggiunto dall’isola in questo periodo. Con i romani le cose andarono ancor meglio. Rispettosi delle culture locali, come nel loro stile, i nuovi padroni in cambio dei soliti tributi costruirono strade, ponti, acquedotti, terme, teatri, palestre e splendide ville ornate di mosaici. Di quest’epoca si possono visitare parecchie testimonianze nei siti archeologici di Salamis al nord e di Pafos – straordinari i mosaici – e Kourion al sud. Crollato l’impero di Roma, fu Costantinopoli a ereditare il possesso di Cipro. Sotto il dominio bizantino l’isola vivacchiò per tre secoli fino a quando sulle sue coste si scatenarono le incursioni dei musulmani. Qua e là, nei punti più strategici, sorsero fortezze difensive di cui si visitano le suggestive rovine. Riccardo Cuor di Leone pose fine al predominio bizantino e vendette quindi l’isola ai Cavalieri Templari, sconfitti a Gerusalemme da Saladino, i quali la cedettero a loro volta a Guido di Lusingano, già re di Gerusalemme. Della dinastia dei Lusignano, che prosperò per alcuni secoli, rimangono imponenti castelli costruiti sulle rovine di quelli bizantini, la splendida città di Famagosta con le sue innumerevoli chiese e con la sua preziosa cattedrale gotica trasformata in moschea come quella di Nicosia. Sono di questo periodo anche le chiese bizantine costruite nella discosta regione del Troodos dai sacerdoti ortodossi, che si ritirarono sulle montagne perché mal tollerati dai cattolicissimi Lusignano.
Del periodo veneziano (1489-1571) rimangono soprattutto opere militari, bastioni, mura e fortezze costruite invano per tenere lontani gli ottomani, che conquistarono l’isola a partire dal 1570. Cipro rimase sempre una provincia di secondo piano di quest’impero, di cui non rimangono testimonianze di grande rilievo.

Danimarca – Tra paesaggi marini selvaggi e una campagna armoniosa

Danimarca – Alla scoperta dei vichinghi e del castello di Amleto
Danimarca – Una monarchia antica e democratica

Una natura incontaminata con paesaggi marini selvaggi e una campagna estremamente armoniosa. Ville e castelli immersi nel verde. Un’atmosfera tranquilla che fa sentire a proprio agio. Un paese, che, come la sua capitale, appare al tempo stesso rilassato e operoso. È questa la Danimarca che vi proponiamo in questo itinerario di viaggio che richiede una decina di giorni in automobile, su strade in cui guidare è piacevolissimo, perché appena ci si allontana da Copenhagen sono poco trafficate e scorrono tra campagne incantevoli e lungo coste sabbiose.

L’architettura moderna e il design figurano tra le principali attrattive della Danimarca. Un primo e significativo approccio lo si ha atterrando all’aeroporto di Copenhagen disegnato da Arne Jacobsen. Una struttura armoniosa, dove tutto, dalla facciata in metallo e vetro, dalle poltrone alle lampade, dai tessuti alle posate, era stato da lui progettato in un unico insieme perfettamente integrato.
Noleggiamo un’automobile con la quale ci dirigiamo verso ovest e in un meno di due ore arriviamo a Odense, terzo centro del paese e città natale di Hans Christian Andersen, il più noto scrittore di fiabe al mondo. Tutto a Odense ricorda il letterato: musei, sculture che lo ritraggono assieme ai personaggi dei suoi racconti più noti e curiosità inaspettate come le panchine pubbliche con zampe di mostri al posto delle gambe. Passeggiando per le anguste viuzze dell’antico quartiere che sorge attorno alla casa-museo di Andersen si ha l’impressione di tornare indietro nel tempo. Le case hanno un aspetto pittoresco e affascinante, con quelle minuscole finestre quadrate la cui parte inferiore soltanto è ornata da tendine. Ma, nonostante quelle case siano abitate e formino nel complesso un insieme armonioso, il quartiere è impresso di una tale nostalgia che si ha l’impressione di contemplare la scenografia di uno spettacolo dimenticato, ben lontano dalle luci della ribalta.
Quando morì il 4 agosto 1875 qualcuno scrisse che Andersen “sapeva come far vibrare le corde dell’animo umano”. Nelle sue fiabe si trova una quantità di spunti di riflessione: motivi esistenziali, riflessioni psicologiche, problemi sociali, frequenti rimandi autobiografici. E la realtà Andersen la guardò spesso con amarezza e pessimismo, anche perché la sua vita non fu molto felice. Figlio di un ciabattino, assurse ai massimi onori, ma soffrì molto per le sue sembianze fisiche da brutto anatroccolo. Tanto che arrivò a giudicare la bellezza fisica “un dono più prezioso del genio e della forza morale”.

Skagen,Ascona danese
Lasciamo le magiche luci dell’isola di Fyn, che ispirarono le fiabe di Andersen, per raggiungere verso ovest la penisola dello Jylland che collega la Danimarca alla Germania. Il paesaggio estivo è affascinante: enormi chiazze gialle di colza, mazzi rossi di papaveri, l’oro dei campi di grano, il verde chiaro dell’orzo, quello brillante dei prati abbracciati dai boschi dove la luce penetra a stento, ma dove crescono in abbondanza mirtilli, lamponi, more e, in autunno, ottimi funghi. “Stavo pensando alle gente che ha vissuto prima di noi – esclama il giovane gentiluomo protagonista di ‘Un racconto di campagna’ romanzo di metà Novecento della famosa scrittrice danese Karin Blixen – e che ha disboscato e dissodato e arato questa terra. Quante volte avranno dovuto ricominciare da zero questo lavoro! In quei giorni lontani bisognava combattere gli orsi e i lupi, e poi i pirati e gli invasori, e poi ancora i padroni crudeli e spietati. Ma se un giorno di raccolto come questo, essi dovessero risorgere dalle loro tombe e guardare questi campi e questi prati, forse penserebbero che ne è valsa la pena”.
In meno di due ore di automobile raggiungiamo Ahrus, dove ci limitiamo a visitare, nella periferia occidentale della città, la cosiddetta “Città Vecchia”, uno dei più interessanti musei all’aperto di tutta la Danimarca. Diversi edifici antichi, provenienti da varie città danesi e risalenti ai secoli XVII, XVIII e XIX sono stati trasferiti qui e ricostruiti con estrema cura per riportare alla luce una città del passato. Il museo consente di osservare tutti gli aspetti della vita urbana di un tempo con le diverse attività commerciali, artigianali, industriali e amministrative.
Riprendiamo il nostro itinerario per raggiungere (ci vogliono circa 2 ore e mezzo) Skagen, la punta più a nord della Danimarca. Le strade sono in ottimo stato e permettono medie piuttosto elevate (circa 80 km/h), anche perché la montagna più alta del paese raggiunge un’altezza di 147 metri. Arriviamo in tempo per visitare il museo locale, che raccoglie le opere di un gruppo di artisti che tra il 1830 e il 1930 scoprì questo luogo discosto e rimase sedotto dai suoi paesaggi desertici battuti dai venti e dalla sua luce intensa e perpetuamente cangiante. Il museo espone 1500 tele, disegni, sculture e oggetti, nonché la sala da pranzo dell’hotel Brondum dove gli artisti della “scuola di Skagen” avevano il loro punto di ritrovo. I pittori si appassionarono all’immaginario romantico di questo villaggio di pescatori e alle dure condizioni di vita dei suoi abitanti. Con un vivido stile figurativo diventato famoso a livello internazionale ritrassero scene di vita quotidiana della comunità dei pescatori. I dipinti esposti riescono ad evocare l’atmosfera del luogo. Particolarmente affascinanti sono le opere di P.S. Kroyer soprattutto perché l’artista si sforza di ‘dipingere la luce’, attratto in particolare dalla cosiddetta ‘ora blu’, ovvero il momento di transizione tra il giorno e la notte, quando il cielo e il mare sembrano fondersi nella medesima tonalità di blu.
È interessante notare una certa similitudine di destino tra la storia di questo villaggio di pescatori, dove ancora oggi al mattino si tiene un’asta del pesce, con quello di un altro borgo di pescatori: Ascona. Entrambe hanno attratto uomini d’arte e di cultura, che hanno costituito ‘scuole’ di fama internazionale e hanno avuto un simile atteggiamento nei confronti delle popolazioni locali: interesse in quanto soggetti delle loro opere, ma non in quanto interlocutori.
Lasciamo il museo per visitare il paesino dalle case basse in legno ed i suoi suggestivi paesaggi illuminati da quella luce straordinaria immortalata dagli artisti.
Proseguiamo in automobile verso la punta nord. Giunti a un parcheggio si procede per un paio di chilometri a piedi per raggiungere il punto in cui l’incontro tra le acque del mare del Nord e del Baltico crea una forte corrente e dove la luce è impagabile grazie all’unione di terra acqua e cielo.
Al ristorante dell’hotel Ruths a Grenen, l’antica Skagen, si trova una delle migliori cucine della Danimarca.

Mare del nord tra sabbia e vento
Sabbia e vento, una terra piatta, che a malapena riesce a contenere il mare del Nord e le sue burrasche, disseminata, subito al di qua della linea delle dune che costeggiano il mare, da bacini interni, laghi salmastri non profondi spazzati da un vento quasi costante. A tratti si attraversano paesaggi lunari, dall’aspetto quasi desertico in cui la strada attraversa le dune ricoperte di erica fiorita che le tinteggia di viola.
E’ questo il paesaggio che si trova percorrendo la costa nord-occidentale, dapprima la nazionale numero 11 e in seguito la 181, tra Skagen e Ribe. Particolarmente suggestivo il tratto che costeggia il Ringkobing Fjord. Un sottile lembo di terra, ampio a malapena un chilometro, separa lungo i suoi 35 chilometri il fiordo dal mare del Nord. Dalle dune di questa punta sabbiosa fanno capolino alcune casette di vacanza. Questo luogo è la meta preferita dagli amanti di windsurf: chi è alle prime armi può fare esperienza nelle calme acque delle baie, i provetti possono invece cimentarsi con le acque del mare del Nord sull’altro lato.
Partendo il mattino da Skagen si arriva a Ribe nel tardo pomeriggio, ancora in tempo per passeggiare prima di cena nelle viuzze della più caratteristica cittadina della Danimarca. Si possono infatti visitare i luoghi storici del centro, dove oltre cento edifici sono classificati quali monumenti nazionali, seguendo con passo tranquillo un itinerario ad anello che non richiede più di un’ora di cammino. Ribe ospita anche l’albergo più antico della Danimarca: l’hotel Dagmar appena ristrutturato. Percorrendo la tortuosa strada acciottolata della città vecchia, su cui si ffacciano antiche case in legno di varie tinte costruite attorno alla cattedrale romanica, si ha l’impressione di vivere l’atmosfera di un’altra epoca. Questo villaggio medievale, grazie alla sua dimensione contenuta, ha potuto conservare la sua unità architettonica senza tuttavia perdere la sua vivacità ed evitando quindi di diventare una città-museo. Un’esperienza interessante è la visita guidata notturna (gratuita) che si tiene ogni sera alle 22 dal primo maggio al 15 settembre, sui passi delle sentinelle medievali. Una “sentinella” in uniforme munita di lanterna e armata di alabarda, accompagna i turisti per le vie del borgo, che di notte diventano ancora più suggestive, intonando antiche melodie danesi. Davanti agli edifici più rappresentativi ne narra la storia in danese e inglese. Si tratta di una simpatica trovata turistica, che riscuote notevole successo.

L’isola aristocratica
In meno di due ore da Ribe si ritorno a Fionia (Fyn), la seconda isola per dimensioni della Danimarca. Con i suoi paesaggi agresti e le case coloniche dal tetto in paglia è soprannominata “il giardino della Danimarca”. L’aristocrazia danese scelse proprio Fionia per costruirvi, nel corso dei secoli, le proprie ricche magioni. Ancora oggi si conservano in ottimo stato palazzi, castelli e ville, tra cui il romantico Egenskov Slot è il più pregevole. E’ uno dei manieri rinascimentali danesi meglio conservati. Si erge su un’isola in mezzo a un lago, circondato da una foresta di querce che gli ha dato il nome. E’ ancora abitato dai discendenti del suo costruttore, ma una parte è aperta al pubblico. Splendido è il parco progettato nel Settecento con spazi coltivati delimitati da siepi e il giardino inglese con grandi prati verdi attorniati da alberi di querce. A una ventina di chilometri da Egeskov si trova Faborg, il più grazioso villaggio dell’isola. Come la maggior parte dei borghi danesi sorge attorno a una strada principale con al centro una vasta piazza che ospita il mercato. A pochi chilometri dal centro, in direzione nord-ovest, a Falsled si trova il Falsled Kro, l’albergo più bello che abbiamo trovato durante il viaggio, che offre anche una delle cucine più raffinate della Danimarca.
Un ponte lungo una ventina di chilometri collega Fionia con l’isola più grande del paese, Sjaelland, sulla quale si trova anche la capitale Copenhagen. Racconta una saga che per avere Sjaelland, Gefion, la dea della fertilità, dovette sedurre il re di Svezia. Dopo una notte d’amore in una radura, il re – che non sapeva con chi avesse a che fare – le fece una generosa promessa: avrebbe lasciato alla dea tutta la terra che poteva arare in un giorno e una notte. E così, dal magico aratro di Gefion, nacque questa regione. Nella sua parte meridionale è collegata attraverso ponti ad altre isolette. La più interessante è quella di Mon. Si narra che Odino, il padre dei Vichinghi, l’aveva scelta come suo rifugio dopo la vittoria dei cristiani che avevano distrutto il paganesimo scandinavo. Mon è famosa per le sue graziose chiesina romaniche e per i suoi bianchi scogli ricchi di fossili.
Le chiese di Fanefjord, Keloby ed Elmelunde sono riccamente affrescate da un anonimo pittore del XV secolo, diventato famoso con l’appellativo di maestro di Elmelunde. I suoi dipinti, dal carattere naif, realizzati su sfondo bianco, rappresentano i personaggi della Bibbia raccontati ai contadini analfabeti con un linguaggio simile ai nostri fumetti: propongono scene giocose ambientate nel giardino dell’Eden, demoni grotteschi, la bocca spalancata dell’inferno.
Alte fino a 130 metri le scogliere di gesso dell’isola di Mon, che si ergono su un mare color verde giada, sono uno dei luoghi simbolo della Danimarca. Lunghe scalinate in legno, che partono dal Geo Center, dove viene spiegato il fenomeno geologico, permettono di scendere al mare. Si può passeggiare lungo la riva alla ricerca di fossili, che però non è facile trovare perché i visitatori sono sempre più numerosi. Se non è tutto esaurito trascorrete la notte al Liselund Ny Slot, un albergo di charme ricavato da una casa padronale ottocentesca situata in un parco che si affaccia sulle bianche scogliere.

Itinerario

1° giorno
Copenhagen-Odense (120 km)

2° giorno
Odense-Åhrus-Skagen (400 km)

3° giorno
Skagen-Frederikshavn-Ribe (432 km)

4° giorno
Ribe-Egeskov-Fåborg (175 km)

5° giorno
Fåborg-Mons Klint-Praestø (265 km)

6° giorno
Praestø-Roskilde-Hillerød (130 km)

7° giorno
Hillerød-Helsingør-Copenhagen (110 km)

8° e 9° giorno
Copenhagen

Bibiografia

Svezia, Norvegia, Danimarca La guida verde Michelin, Milano 2007
Danimarca Lonely Planet, edizione 2008
Danimarca, Islanda Guide d’Europa, Touring Club Italiano, Milano 2001
Danimarca Le Guide Mondadori, Milano 2008
Copenhagen e Danimarca Guide Low Cost, Firenze 2009
Copenhagen-Danimarca Meridiani no. 49, giugno 1996

Danimarca – Alla scoperta dei vichinghi e del castello di Amleto

Danimarca – Tra paesaggi marini selvaggi e una campagna armoniosa
Danimarca – Una monarchia antica e democratica

Nella più antica monarchia del mondo si vive come i gatti nel periodo estivo e come gli orsi in quello invernale. Quando esce un tiepido raggio di sole, la città impazzisce.

Dopo avere unificato la Danimarca e la Norvegia, Harald “Dente blu” nel 980 scelse Roskilde come capitale del suo nuovo regno. La città perse la sua importanza politica nel 1417 quando Erik Pomerania spostò la capitale a Copenhagen. Nella cattedrale romanica, che sorge al centro della città nelle vicinanze della piazza, sono seppelliti i monarchi danesi fino alle recenti generazioni. Roskilde riveste pertanto un ruolo di primo piano nella storia del paese.

Sulle orme dei vichinghi
Il Museo delle navi vichinghe ricorda l’importanza di questa cittadina in epoca vichinga. Espone i ritrovamenti di cinque navi vichinghe, costruite tra il 1030 e il 1042, riassemblati con cura certosina su nuove intelaiature. Permettono di capire quali fossero la struttura e le funzioni di queste imbarcazioni, che offrono un’interessante panoramica di quelle che erano le diverse tipologie in epoca vichinga. Sono infatti esposti un mercantile costruito per affrontare le traversate transoceaniche, una nave da guerra di 30 metri del tipo utilizzato per compiere incursioni all’estero, un mercantile costiero, una nave da guerra di 17 metri probabilmente impiegata in una zona baltica e un peschereccio. Nel fiordo accanto al museo si possono poi vedere le ricostruzioni di queste imbarcazioni con la spiegazione delle tecniche costruttive vichinghe. Un filmato presenta la navigazione da Roskilde a Dublino effettuata nel 2008 con una di queste navi ricostruite, seguendo naturalmente le rotte dei vichinghi. Sembra che l’incredibile agilità di questi vascelli fosse dovuta alla leggerezza dei materiali usati nella costruzione. In mare non c’era flotta o popolo che potesse contrastare la supremazia vichinga. Tra l’VIII e l’XI secolo, grazie soprattutto a questa supremazia i vichinghi riuscirono a invadere l’Inghilterra, a saccheggiare Parigi, a impadronirsi della Normandia, a conquistare Kiev, a combattere persino contro i greci alle porte di Costantinopoli.

Tre castelli che fecero la storia del paese
Dall’epoca vichinga facciamo un salto di alcuni secoli per visitare tre castelli importanti per la storia della Danimarca: Fredensborg, attuale residenza estiva dei sovrani; Frederiksborg, che per un secolo servì da residenza reale e Kronborg, che l’Amleto di Shakespeare ha reso noto nel mondo intero.
Fredensborg lo si può visitare solo in luglio quando la famiglia reale danese è assente. È però aperto al pubblico fino a tarda sera lo splendido parco che circonda la residenza e dove è molto piacevole passeggiare. Nei pressi c’è un albergo, stellato ma purtroppo decadente, ricavato da una classica locanda per gli ospiti fatta costruire da Federico IV nel 1723.
A pochi chilometri di distanza si trova il castello di Frederiksborg, che si estende su tre piccole isole in mezzo al lago Slotsso. Fino all’abolizione della monarchia assoluta i monarchi danesi furono consacrati nella splendida cappella del castello. Nella seconda metà dell’800 un incendio lo distrusse quasi completamente, ma venne rapidamente restaurato grazie all’aiuto di tutta la nazione e in particolare di J.C. Jacobsen, proprietario del birrificio Carlsberg. Dal 1882 è stato trasformato in Museo nazionale di storia danese, con mobilio, oggetti di interesse storico, ritratti e quadri. La parte più interessante della visita è comunque rappresentata dagli imponenti saloni.
Per recarsi a Helsingor, dove si trova Kronborg il castello di Amleto, vale la pena di fare una piccola deviazione verso la punta settentrionale dello Sjaelland, dove gli amanti del mare possono ammirare le splendide distese di sabbia di Hornbaek e Tivildeleje.
Il castello di Kronborg ospita da secoli un fantasma eccellente: quello del principe folle, reso reale dal genio di Shakespeare. Si narra che sulla terrazza di questo castello Amleto abbia visto il fantasma di suo padre avviluppato da una spessa coltre di nebbia. In verità sembra che Shakespeare non abbia mai visitato Kronborg con la sua imponente mole, sottolineata dalle alte torri e da un tetto di rame verde sormontato da eleganti guglie che tagliano il cielo. Si possono visitare la cappella, le stanze reali, la sala da ballo e ammirare un’importante collezione di arazzi. Il castello conserva un’atmosfera lugubre e misteriosa che ricorda ad ogni angolo il capolavoro di Shakespeare.

Copenhagen rilassata e febbrile
La prima sensazione che si prova passeggiando per le vie della capitale danese è del tutto particolare: rilassata ma al tempo stesso febbrile. La guida Michelin la definisce “un affascinante centro urbano di provincia con l’atmosfera di una capitale”. I suoi abitanti ne sono orgogliosi, si vantano di vivere nella sede della monarchia più antica del mondo e si cullano nel mito della democrazia ideale e della prospera tranquillità. Si narra che per vivere felici a Copenhagen basti apprendere un segreto: ci si deve trasformare in gatti da maggio a settembre e in orsi da ottobre ad aprile. L’orso campa beato nel calduccio della sua tana; il gatto, al contrario, ama vivere all’aperto, e quando trova un pertugio se la fila di casa per passeggiare magari su un tetto. In effetti il sole sembra rappresentare la vera ossessione di questo popolo: quando esce un tiepido raggio la città impazzisce e la sua via più affascinante, il Nihavn, un canale scavato alla fine del XVII secolo e oggi arteriavivacissima con le facciate delle case a pignoni tinteggiate a colori vivaci, si affolla. Tutto in questa città sembra volerci ricordare che quasi cinque secoli fa fu la capitale di un impero scandinavo che comprendeva Danimarca, Svezia e Norvegia, e che durante il regno di Cristiano IV, alla fine del Cinquecento, fu sede di una delle corti più splendide d’Europa. Copenhagen colpisce infatti i visitatori per la sua inattesa grandiosità monumentale: le ampie strade, i superbi castelli regali di Amalienborg (attuale sede della regina) e di Rosenborg, il solenne Christiansborg, sede del parlamento danese, le decine di torri, le chiese imponenti, i vastissimi parchi, i musei spettacolari, il dispiegamento di architetture neoclassiche, barocche, rinascimentali e della nostra epoca. Ma il simbolo di questa città rimane la celeberrima sirenetta seduta su una roccia che guarda il mare con infinita malinconia. È opera dell’artista danese Edvard Eriksen. La scolpì nel 1913 ispirato da una favola di Andersen, che narra la storia di una figlia del re del mare, la quale ha la disgrazia di innamorarsi di un principe “terrestre”.

Itinerario

1° giorno
Copenhagen-Odense (120 km)

2° giorno
Odense-Åhrus-Skagen (400 km)

3° giorno
Skagen-Frederikshavn-Ribe (432 km)

4° giorno
Ribe-Egeskov-Fåborg (175 km)

5° giorno
Fåborg-Mons Klint-Praestø (265 km)

6° giorno
Praestø-Roskilde-Hillerød (130 km)

7° giorno
Hillerød-Helsingør-Copenhagen (110 km)

8° e 9° giorno
Copenhagen

Bibiografia

Svezia, Norvegia, Danimarca La guida verde Michelin, Milano 2007
Danimarca Lonely Planet, edizione 2008
Danimarca, Islanda Guide d’Europa, Touring Club Italiano, Milano 2001
Danimarca Le Guide Mondadori, Milano 2008
Copenhagen e Danimarca Guide Low Cost, Firenze 2009
Copenhagen-Danimarca Meridiani no. 49, giugno 1996

Dalle Centovalli all’Onsernone

L’itinerario che vi propongo oggi spazia tra due valli, Centovalli e Onsernone, e percorre una delle più belle mulattiere del Cantone: quella che collega Loco in valle Onsernone a Intragna. Di origini antichissime, sicuramente antecedente al Cinquecento, era molto importante perché consentiva agli onsernonesi i rapporti con i mercati di Locarno e di Ascona, ma veniva utilizzata anche per il transito del bestiame del Locarnese che in estate veniva trasferito sugli alpeggi dell’Onsernone.
Si tratta di un itinerario facile, molto piacevole e interessante, che si può percorrere in mezza giornata: sono circa 3 ore di cammino (poco più di 7 chilometri), se non siete velocissimi, oltre naturalmente alle fermate, che possono essere numerose. Meglio partire il mattino presto, ma anche se volete dormire un po’ più a lungo non preoccupatevi perché il tragitto è quasi tutto ombreggiato.
Il punto di partenza più indicato è la fermata dell’autopostale “Intragna ponte”, che potete raggiungere con la vostra automobile (c’è un costoso posteggio). Da lì in circa un quarto d’ora salite al villaggio. Al termine dell’itinerario, quando arriverete a Loco, in una ventina di minuti l’autopostale di linea per Locarno vi riporterà dove avete parcheggiato.
Intragna merita certamente una prima sosta per visitare la barocca chiesa parrocchiale di San Gottardo (con le decorazioni pittoriche ottocentesche degli artisti locali Giacomo Antonio Pedrazzi, Giovanni Antonio Vanoni e Agostino Balestra) con la torre campanaria più alta del Ticino (65 metri) e la cinquecentesca Casa Maggetti, sede di un curato e interessante museo etnografico.
Dalla chiesa parrocchiale si segue uno stretto vicolo che porta all’ottocentesco oratorio del Sacro Cuore, da cui parte la mulattiera su cui si sviluppa il nostro itinerario.
Rimaste sostanzialmente ai margini dei grandi assi di traffico – spiega Massimo Colombo, responsabile di Via Storia per il Ticino – le valli del Locarnese sono state risparmiate dal notevole sviluppo subito dalla rete viaria che in alcune zone del cantone ha decisamente marcato il territorio. Ciò ha consentito la conservazione di gran parte delle secolari mulattiere contadine, ancor oggi ricche di grande fascino, che costituiscono una delle principali attrattive turistiche della regione: tra queste, la mulattiera che collega Intragna a Loco può essere considerata, a giusto titolo, una delle più belle del Ticino”.
Le frazioni che si trovavano sopra l’attuale villaggio di Intragna erano molto abitate, tanto che disponevano di una scuola propria davanti alla quale passa il nostro itinerario. In una trentina di minuti di salita si arriva a Pila, con un bel gruppo di rustici, dove si trova appunto la scuola. La vista è splendida e spazia sul villaggio sottostante, sull’imbocco delle Centovalli e dell’Onsernone, sulle Terre di Pedemonte fino ad abbracciare il lago Maggiore sullo sfondo. La mulattiera prosegue quindi verso Vosa, ancora frazione di Intragna. In lontananza si sente scorrere il fiume Isorno. Da qui il nome di Intragna, intra amnes, cioè tra due fiumi: Melezza e Isorno. Giunti all’oratorio Sacro Cuore di Gesù, eretto alla fine dell’Ottocento, si entra nel comune di Loco. Si giunge dapprima a Vosa di Dentro, per poi scendere verso le suggestive gole dell’Isorno. Oltrepassato il ponte in ferro, che ha sostituito quello cinquecentesco in pietra spazzato via dall’alluvione del 1978, la mulattiera risale in direzione di Loco. Sul tragitto si incontrano alcune cappelle porticate che offrivano rifugio ai viandanti. Incantevole la posizione di Niva, dove da quasi vent’anni si è ritirato a vita eremitica fra Bartolomeo Schmitz. Purtroppo il villaggio è in via di abbandono, ma grazie agli aiuti finanziari di diverse associazione si sta procedendo ad interessanti restauri. Si passa quindi dalla frazione di Rossa, prima di giungere a Loco, un tempo rinomato centro di lavorazione della paglia. Nel villaggio si consiglia di visitare il museo etnografico e la parrocchiale di San Remigio con le opere di un interessante pittore locale, Giovanni Samuele Meletta, e un’Ultima cena realizzata nel 1683 da Gottfried Maes di Anversa, offerta alla comunità da un emigrato arricchitosi.

In Vallemaggia sulle orme di Zoppi

Rima, dolce piano, luogo di sosta, paradiso del ciliegio!” Sono parole di Giuseppe Zoppi, tratte da “Il libro dell’alpe”, l’opera più nota di questo autore ticinese d’inizio Novecento, che forse qualche lettore ricorderà di avere studiato a scuola. Vi propongo oggi un itinerario circolare che da Broglio sale ai monti di Rima, che hanno ispirato questi versi a Zoppi, scende verso Prato-Sornico, per poi tornare a Broglio. Per percorrerlo calcolate al massimo quattro ore di cammino, più il tempo necessario per diverse soste. Per meglio apprezzare questo comodo e ombreggiato itinerario, vi consiglio di procurarvi (alla sede dell’ente turistico a Maggia o al negozio di artigianato Artis in piazza a Cevio) il pieghevole “Sentieri di pietra” dedicato a Broglio e a Prato-Sornico. Fa parte di una serie di una ventina di bellissimi prospetti che vi permetteranno di scoprire la Vallemaggia, soffermandovi davanti a luoghi e monumenti che senza le necessarie indicazioni difficilmente scoprireste e soprattutto apprezzereste.
Il nostro itinerario parte da Broglio, che raggiungete in circa tre quarti d’ora da Locarno. Raccolto attorno alla sua chiesa, che sulla facciata presenta un notevole San Cristoforo del Quattrocento, questo villaggio è circondato da una vasta campagna che era nota per i suoi gelsi. Furono piantati nel XIX secolo dalla famiglia Pometta. Le foglie servivano per nutrire i bachi allevati appositamente per ottenere la seta.
Imboccando il sentiero per i monti passate davanti alla casa dove nacque Giuseppe Zoppi (1896-1952), che ambientò in quei luoghi i suoi innumerevoli scritti. In un’ora circa raggiungete i monti di Rima. Sul percorso incontrate cinque cappelle di cui quattro affrescate nella seconda metà dell’Ottocento dal pittore valmaggese Giovanni Antonio Vanoni di Aurigeno. A questo proposito vi consigliamo di consultare il pieghevole della stessa collana “Aurigeno… e il Vanoni”. La prima cappella, che rappresenta una Deposizione, fu offerta come ex voto da un emigrante appena tornato dall’America, in segno di ringraziamento per essere scampato ad una burrasca in mare. Accanto alle cappelle si trovano alcune semplici croci in ferro per ricordare i contadini caduti sul versante opposto della valle mentre facevano il fieno di bosco o cercavano le capre. Una “caraa”, cioè un sentiero delimitato da muretti per impedire al bestiame in transito di uscire nei prati, vi introduce al monte, con le sue splendide torbe che si affacciano sul “dolce piano, luogo di sosta, paradiso del ciliegio” cantato da Zoppi. Un tempo soggiornavano qui per buona parte dell’anno gli abitanti di Broglio da una parte e quelli di Prato dall’altra. Le torbe in legno edificate su uno zoccolo in muratura, usate ai tempi come abitazione o come stalla, sono molto ben conservate. Anche quelle ristrutturate hanno in generale rispettato il valore architettonico originale.
Dai monti di Rima un comodo sentiero nel bosco di larici e faggi scende verso Prato-Sornico. Un villaggio che nel corso dei secoli ebbe un’importanza civile e religiosa particolare. A testimonianza di questo passato nel nucleo si conservano edifici di elevato valore storico: la chiesa parrocchiale, il campanile, il palazzo della giudicatura, la torba, la casa parrocchiale, i palazzi signorili e una casa in legno.
Seguite ora i cartelli indicatori per Broglio. Giunti in località Lovalt, immersa in una splendida campagna, su un’abitazione ammirate due interessanti affreschi a soggetto religioso del Seicento e del Settecento. Proseguite sul sentiero, attraversate il ponte sospeso sulla profonda gola scavata dal “Ri della Valle di Prato”, per giungere all’oratorio di Vedlà in un luogo idilliaco immerso nel verde. In una ventina di minuti arrivate di nuovo a Broglio.

Mondo etrusco – La civiltà più colta prima dei Romani

Mondo etrusco – Quattro tappe tra turismo e cultura

L’itinerario si sviluppa tra colline, laghetti e pianure, attraversa romantici villaggi appesi alla cima dei colli a cavallo di tre regioni – Toscana, Umbria e Lazio – che diedero origine ad un grande e misterioso popolo.

Un itinerario a tema alla scoperta del mondo etrusco: la civiltà di più elevato livello che abitò la penisola italica prima dei Romani. Un popolo particolarmente aperto agli influssi delle culture con cui venne in contatto grazie alla sua abilità nella navigazione, alla ricchezza di ferro delle sue montagne, alla fertilità del suo terreno. Commerciò con la Sardegna, con il Medio Oriente, con la Grecia e con l’Europa del nord. Tanto aperto che sulle sue origini nacquero diverse leggende. Si parlò di popolazioni giunte dal Medio Oriente o addirittura dal nord. Gli Etruschi semplicemente seppero cogliere gli influssi di altre civiltà per poi adattarli alle loro necessità.
L’itinerario si sviluppa tra colline, laghetti e pianure, attraversa romantici villaggi appesi alla cima dei colli nei territori della Toscana, dell’Umbria e del Lazio che diedero origine al popolo etrusco. La cosiddetta “Etruria propria”, cioè quella originaria, si estendeva infatti dall’Arno al Tevere ed era delimitata ad ovest dal Tirreno e ad est giungeva fino alle attuali Perugia, Orvieto e Viterbo. Nei periodi di maggior espansione e prima di essere romanizzato il popolo etrusco giunse fino alla costa adriatica, alla Padania e alla Campania.
Il nostro percorso, di circa 800 chilometri, parte da Firenze, dove si visita uno dei principali musei di arte etrusca, per concludersi a Cerveteri. In queste due città si possono infatti visitare i due principali musei di arte etrusca. I luoghi ricchi di testimonianze di questo popolo nella fascia fra Firenze e Roma sono moltissimi. Ne abbiamo scelti quattro particolarmente “spettacolari” dal profilo turistico e rappresentativi della cultura etrusca: Populonia, importante per le sue attività siderurgiche e unica città in riva al mare, che si affaccia sullo splendido golfo di Baratti; il triangolo dei romantici villaggi di Sovana, Sorano e Pitigliano scavati nelle impressionanti colline di tufo, una pietra particolarmente modellabile; Tarquinia per le sue incredibili pitture giunte a noi in ottimo stato di conservazione; e Cerveteri, forse il luogo più suggestivo del viaggio, dove percorrendo la città dei morti si ha la sensazione che il tempo si sia fermato.
Si consiglia di visitare questi straordinari siti archeologici accompagnati da una guida per meglio coglierne il significato profondo, sebbene tutte queste testimonianze siano giunte fino a noi in buono stato, così da poterne facilmente capire la funzionalità. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare non si tratta quindi di un viaggio per specialisti archeologi. Nei musei, soprattutto di Firenze e Roma ma anche di Tarquinia e Cerveteri, si possono ammirare soprattutto i corredi funerari scoperti nei sepolcri non derubati dai tombaroli di tutte le epoche, a partire da quella romana. Sì, corredi funerari, perché della civiltà etrusca ci rimangono soprattutto le testimonianze del culto dei morti. E’ infatti attraverso le tombe e gli oggetti ritrovati al loro interno che si è riusciti a studiare questo popolo. I defunti nella loro vita ultraterrena andavano infatti ad “abitare” case scavate nella roccia che riproducevano le abitazioni, molto più fragili perché costruite in legno e argilla, utilizzate nella vita terrena. Anche il corredo funebre era rappresentato da oggetti di uso giornaliero. I soggetti che appaiono nelle tombe affrescate (soprattutto a Tarquinia) e quelli incisi sulle ceramiche, nonché la funzionalità degli oggetti ritrovati (arredi, statue, ex voto) hanno permesso agli studiosi di capire come gli Etruschi abitavano, si vestivano, quali sport praticavano, quale musica ascoltavano, quali erano le loro credenze religiose. Ne esce l’immagine di un popolo molto evoluto, dove per esempio la donna, a differenza di quanto avveniva in Grecia e più tardi a Roma, occupava un posto importante nella famiglia e nella società.
L’arte per l’arte – spiegano Antonio Giuliano e Giancarlo Buzzi – agli Etruschi non interessava: le opere obbedivano a scopi funzionali”, a differenza di quanto avveniva nella cultura greca. Il periodo di maggior maturità artistica, spiegano i due studiosi, viene raggiunto nel VI secolo a.C. (a questo periodo risalgono gli affreschi di Tarquinia) quando gli Etruschi “fanno proprio il gusto dei Greci… ma lo correggono con spunti veristici, con una maggiore concretezza e immediatezza delle figurazioni”.

La cronologia
Prima di Gesù Cristo dieci secoli densi di storia e grandi scoperte
La cronologia dello sviluppo della civiltà etrusca va dal IX al I secolo prima della nascita di Cristo.
Perché nella regione che si estende tra Firenze e Roma e si affaccia sul Tirreno si è sviluppato il popolo etrusco? Le montagne dell’Etruria erano ricche soprattutto di ferro, ma anche di rame, stagno, piombo, zinco, argento e persino di sale. Come spiega Giovannangelo Camporeale, professore di etruscologia all’Università di Firenze e autore di numerosi saggi, si può equiparare, per la ricchezza della regione, l’importanza per quell’epoca della presenza di giacimenti di ferro a quella attuale di petrolio. Le manifatture etrusche raggiunsero un elevato livello. Gli oggetti in metallo venivano esportati in tutto il Mediterraneo e nel nord Europa, assieme a quelli in bucchero: una terra cotta che riscaldata in assenza di ossigeno e debitamente laccata assomigliava enormemente al bronzo, ma costava molto meno.
Il suolo, molto fertile, era adatto alla coltivazione di cereali (si parlerà più tardi dell’Etruria come del granaio di Roma), di vite (il vino etrusco veniva esportato) e di olivi. Le zone interne erano inoltre ricche di boschi, il cui legname serviva a rifornire i forni metallurgici e i cantieri navali. Gli Etruschi erano infatti abili navigatori e trasportavano nei paesi che si affacciavano sul Mediterraneo i loro prodotti e le loro ricchezze. Erano però anche molto aperti, come abbiamo visto, agli scambi culturali.
Sia attorno alle origini del popolo etrusco che della sua lingua, la tradizione ha costruito un alone di mistero. In effetti sono scarsissimi i documenti storici scritti giunti fino a noi, salvo qualche iscrizione su tombe o su oggetti che ha permesso di stabilire come l’alfabeto fosse molto simile a quello greco. “Strutturalmente però la lingua non è inseribile in uno dei gruppi linguistici che conosciamo” (Antonio Giuliano e Giancarlo Buzzi). Data la scarsità di documenti scritti, molto di quanto sappiano su questo popolo lo desumiamo dai ritrovamenti archeologici (tombe e corredi funebri) e da testimonianze latine e greche dei periodi in cui la civiltà tirrenica era però già in fase di decadenza.
Anche per quanto concerne le origini degli Etruschi si è voluto creare un alone di mistero immaginando migrazioni di interi popoli dal Medio oriente o dal nord Europa. “Non è il caso di pensare – osservano Antonio Giuliano e Giancarlo Buzzi – a una civiltà venuta dal di fuori che si impose, soppiantandole, a civiltà locali, ma a una tradizione culturale locale ben evidente e solida che si aprì a influssi esterni, a diverse e molteplici sollecitazioni”.
Il territorio era organizzato in città-stato simili a quelle greche, i cui vertici si incontravano una volta all’anno in un luogo non ancora identificato.
Dopo un periodo iniziale in cui “è ragionevole supporre fosse emerso un ceto aristocratico, durante il VII secolo a.C. si affermò un nuovo ceto di imprenditori e di trafficanti, che accumulava ricchezze e finiva per costituire un più vasto gruppo gentilizio, nelle cui mani si concentrava il potere”. Tra la fine del VII secolo e il principio del VI si afferma la città (alcune raggiunsero, secondo gli studiosi, alcune decina di migliaia di abitanti). “Artigiani, mercanti, agricoltori formavano un nuovo ceto, estremamente dinamico, la cui ricchezza non era più basata sulla proprietà immobiliare, ma sulla produzione e sullo scambio”. Pertanto la città è una conquista innanzitutto sociale.
Un’altra tappa fondamentale nel percorso storico del popolo etrusco è rappresentata dalla battaglia di Cuma del 474 a.C., quando i Siracusani vincono gli Etruschi e diventano padroni del Tirreno. Le metropoli costiere, a causa del declino della potenza marinara, si rivolgono allora verso l’interno, da una parte rivitalizzando le città-stato agricole, ma dall’altra creando fonti di conflitto.
Ci stiamo avviando verso il declino della civiltà etrusca. Un secolo più tardi inizia il lento processo di romanizzazione. La prima città-stato romanizzata è Veio nel 396 a.C. Seguiranno lentamente le altre. In alcuni casi il processo avverrà in maniera pacifica, in altri meno.

L’itinerario

1° giorno
Locarno – Firenze (425 km)

2° giorno
Museo Archeologico di Firenze

3° giorno
Firenze – Populonia (169 km)
Populonia – Valpiana (40 km)

4° giorno
Valpiana – Sovana (115 km)

5° giorno
Sovana – Tarquinia (73 km)
Tarquinia – Bracciano (68 km)

6° giorno
Bracciano – Cerveteri (18 km)
Cerveteri – Firenze (314 km)

7° giorno
Firenze – Locarno (425 km)