Borgogna – L’inebriante “Route” tra vigneti e nomi prestigiosi

Borgogna – Tra castelli e monasteri medioevali
Borgogna – Lungo la strada dei grandi vini fermenta la cultura del territorio
Borgogna – Per i vini della Borgogna serve un fiuto professionale

Nella terra del “bon vivre” e dell’equilibrio. Cittadine a misura d’uomo, ricchezze artistiche, paesaggi bucolici. Gastronomia gustosa e raffinata, vini sopraffini. Lungo la strada dei “GrandsCrus” ognivillaggio, ogni pendio vanta un titolo glorioso.

Città a misura d’uomo, ricchezze artistiche, paesaggi bucolici, gastronomia gustosa e raffinata, vini sopraffini: siete in Borgogna, la terra del “bon vivre” e dell’equilibrio. Da Digione a Santenay, passando per Beaune, lungo 65 chilometri, si estende la “Côte-d’Or”. La si percorre lungo la “Route des Grands Crus”, che attraversa alcuni tra i vigneti più famosi al mondo. A ogni tappa di questo itinerario corrisponde un marchio di eccellenza. Ogni villaggio, ogni pendio porta un titolo glorioso. D’altra parte il ricco patrimonio architettonico di questo territorio della Francia presenta tutte le epoche artistiche, ad iniziare dal romanico, con più di 2 mila siti protetti e oltre 800 chiese, cappelle e strutture conventuali, nonché 400 castelli, palazzi e manieri. La regione conserva l’immensa eredità monastica dei due grandi ordini religiosi del Medioevo (benedettini di Cluny e cistercensi di Cîteaux), ma è pure la patria dei duchi di Borgogna, grandi mecenati, che contribuirono a creare la potenza e la fama di questa terra. Fino al XIV secolo il ducato ebbe sede a Beaune, ma poi con Filippo l’Ardito (1342-1404) scelse di stabilirsi definitivamente a Dijon, dove divenne particolarmente potente nel XIV e XV secolo. Questo fatto provocò una forte rivalità tra le due città, che ancora oggi si contendono l’eredità del prestigioso ducato.
Il nostro itinerario di viaggio percorre le cinque regioni in cui si suddivide la Borgogna (Côte-d’Or, Yonne, Nière, Saône-et-Loire e Morvan) e inizia da Beaune, che si raggiunge dal Ticino in circa 5 ore d’automobile. Presenterò la “Route des Grands Crus”, soffermandomi in particolare sulla piccola e graziosa Beaune e sulla grande Dijon, che sono due città a misura d’uomo.

La Route des Grands Crus
La pittoresca “Route des Grands Crus”, molto piacevole da percorrere in automobile, attraversa i principali vigneti della “Côte-d’or” per una sessantina di chilometri da Dijon a Santenay, toccando una trentina di graziosi villaggi agricoli, oltre a Beaune, la capitale del vino Bourgogne. La “Côte-d’Or” si suddivide in “Côte-de-Nuits” (da Nuits-St-Georges a nord di Beaune fino alle porte di Dijon) e “Côte-de-Beaune” (attorno a Beuane e in direzione sud fino a Santenay). La “Côte-de-Nuits” si estende lungo circa 20 chilometri mentre in larghezza il territorio vignato non supera quasi mai gli 800 metri. I suoi vini più prestigiosi sono rossi prodotti con uve di Pinot Nero. Il vino più famoso della “Côte” è certamente il Romanée-Conti, proveniente da una piccolissima tenuta nel villaggio di Vosne-Romanée. Sulla carta dei vini di un rinomato ristorante di Beaune veniva offerto a 10’500 euro la bottiglia (annata 1999). Gli esperti concordano nell’asserire che a Vosne-Romanée non esistono vini mediocri, ma solamente di qualità superiore. Proseguendo in direzione Dijon si incontra Vougeot, da cui si raggiunge l’omonimo cinquecentesco Château (interessante la visita), circondato da vigneti che furono piantati nel XII dai monaci dell’abbazia cistercense di Citaux, a cui la tenuta appartenne fino alla rivoluzione francese. Qui si produce un altro rosso celebre in tutto il mondo. A pochi chilometri sorge il villaggio di Chambolle-Musigny, che pure dà il nome a un vino molto noto, e in seguito si raggiunge Gevrey-Chambertin, dove si produce un rosso molto delicato. Alexandre Dumas scrisse a proposito di questo vino preferito da Napoleone: “A nessuno il futuro appare tanto rosa come se lo si osserva attraverso un calice di Chambertin”.
A sud della città e attorno a Beuane si estende invece la “Côte-de-Beaune”, più lunga e larga della “Côte-de-Nuits”, dalla quale si distingue anche per la produzione di grandi vini bianchi, oltre che rossi. Alle porte di Beaune in direzione nord, ad Aloxe-Corton, Carlo Magno (742-814) possedeva alcuni vigneti su una collina molto isolata, a cui si ispira ancora oggi il Corton-Charlemagne, un bianco di gran classe. I rossi di questo villaggio sono invece stati definiti da Voltaire “i più sinceri della costa di Beaune”. Dalle vicine colline di Pernand-Vergelesses, si gode una splendida vista su tutta la regione. All’entrata sud di Beaune si trovano invece i vigneti di Pommard e di Volnay, tanto apprezzati dal re di Francia Luigi XI e considerati tra i migliori di tutta la Borgogna. Più a sud si raggiunge Meursault, considerato il centro dei vini bianchi della “Côte-d’or”, che vengono ottenuti dalla vinificazione di uve Chardonnay: i Mersault, i Pulugny-Montrachet e i Chassagne-Montrachet sono ritenuti i migliori al mondo.

Beaune, capitale del vino bourgogne
A Beaune, la simpatica capitale del vino bourgogne, tutto parla di vino: non solo le numerose cantine che offrono i propri prodotti in degustazione, o il museo del vino situato nella dimora dei duchi di Borgogna; ma persino quell’opera straordinaria, assolutamente da non perdere, che è l’Hôtel-Dieu. Si tratta di un ospedale che aprì i battenti nel 1452 e rimase in funzione fino al 1971. Fu fondato al termine della guerra dei Cent’anni da Nicolas Rolin, cancelliere del duca Filippo il Buono. Per garantire le spese di gestione dell’istituto il suo fondatore diede in dotazione all’Hôtel alcune tenute viticole, i cui proventi andavano a coprire i deficit dell’ospedale. A partire dal 1850, quando il commercio del Bourgogne si internazionalizzò, ogni anno la terza domenica di dicembre nella grande sala medievale dell’Hôtel si svolge un evento mondiale: un’asta (curata da Christie’s) dei vini provenienti dai 60 ettari delle tenute, che si estendono tra Gevrey-Chambertin e Puligny-Montrachet. I proventi vengono ancora oggi devoluti all’opera dell’Hôtel-Dieu e i valori acquisiti all’asta costituiscono per i commercianti la base dei prezzi dell’annata.
Al di là di questa curiosità, la visita all’ospedale, che funzionò per oltre cinque secoli, è di grande interesse. La struttura ha più le parvenze di “un alloggio del principe che di un ospedale per i poveri”, con l’imponente e magnifico tetto in tegole verniciate e la corte d’onore, da cui si accede alla “salle des pôvres”, un’immensa camerata dove sono ancora allineati lungo le pareti 28 letti che per secoli hanno accolto i malati della cittadina. Separata da un semplice tramezzo, si trova una cappella, che consentiva ai degenti di assistere alle funzioni senza doversi spostare e ospitava un capolavoro dell’arte fiamminga del Quattrocento: il Giudizio universale di Roger Van der Weyden (ora esposto in un’altra sala), che ricorda con minuzia di particolari ciò che ci attende dopo la morte. La visita prosegue visitando le stanze per i malati più abbienti, per quelli in pericolo di vita, la cucina e la farmacia. Tutto è rimasto intatto, perfettamente conservato, come se il tempo si fosse fermato.

Dijon, la città dei duchi
Il ducato di Borgogna nel XIV secolo e soprattutto nel XV, per la sua ricchezza di idee e di vita artistica, rappresentò l’apice della cultura e della politica europea. Nel corso di un secolo, i duchi furono tra i principi più potenti della cristianità, con una posizione pari a quella del papa o dell’imperatore. Il loro regno si estendeva dal mare del Nord fino al Mediterraneo. Furono anche grandi mecenati e trasformarono Digione, lontana dalle guerre, in una città di cultura e di commercio senza pari: il palazzo ducale faceva da sfondo a sontuosi ricevimenti e gli affari prosperavano, consentendo alla grande borghesia di costruire fastose dimore ancora oggi visibili in “rue des Forges”, “rue Vauban” e “rue Verrerie”. Il fasto dei duchi, dopo un periodo di declino, venne poi ripreso e incrementato dalla nobiltà del XVII e XVIII secolo, che recuperò il Palazzo Ducale in disuso dai tempi di Carlo il Temerario (1433-1477) e trasformò i suoi dintorni in “Place Royale”, l’attuale semicircolare “Place de la Libération”, progettata dall’architetto Jules Hardouin-Mansart, che disegnò Versailles. Recentemente questa splendida e animatissima piazza, dove è piacevole sedersi all’ora dell’aperitivo in uno dei suoi numerosi caffè per gustarsi un kir (specialità a base di liquore di cassis e vino bianco), è stata arredata con ingegnosi getti d’acqua che fanno la gioia dei bimbi.
Ma, oltre a passeggiare per le vie del piacevolissimo centro storico pedonalizzato, non si può mancare una visita al Palazzo dei Duchi, che ospita uno dei più importanti e vasti musei d’arte di Francia. Indimenticabili le tombe di due duchi che fecero la grandezza di questa terra: quelle di Filippo l’Ardito (1342-1404) e di Giovanni Senza Paura (1371-1419) sepolto assieme alla consorte Margherita di Baviera. Le statue funerarie in marmo bianco giacciono su una lastra di marmo nero sorretta da una sorta di chiostro sotto al quale veglia un gruppo di figure piangenti o in lutto. Assolutamente da non perdere anche i due polittici trecenteschi della Crocifissione e quello dei Santi e Martiri.

Itinerario
1° giorno (530 km) Locarno – Beaune
2° giorno (40 km) Beaune – Santenay – Beaune
3° giorno (50 km) Beaune – Dijon
4° giorno Dijon
5° giorno (200 km) Dijon – Fontenay – Ancy-le-Franc – Tanlay – Chablis – Auxerre
6° giorno (350 km) Auxerre – Vézelay – Pouilly-sur-Loire – Cluny
7° giorno (150 km) Cluny – Cormatin – Beaune
8° giorno (530 km) Beaune – Locarno

Per saperne di più
Bourgogne Geoguide, Paris 2014
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Borgogna – Lungo la strada dei grandi vini fermenta la cultura del territorio

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Borgogna – Per i vini della Borgogna serve un fiuto professionale

Quando si dice Borgogna si pensa subito ai suoi vini, anche se questa terra è ricca di storia, arte e architettura. E infatti la viticoltura, con una produzione media di 200 milioni di bottiglie all’anno, di cui la metà destinate all’esportazione, e un fatturato di 1,2 miliardi di euro, costituisce un terzo delle entrate del settore agricolo, sebbene occupi meno del 2% del suo territorio. L’attività viticola genera inoltre 20 mila impieghi diretti e più di 100 mila indiretti (vetrerie, produzione di barrique e altro).
I primi documenti che attestano la produzione di vino in Borgogna risalgono all’epoca del dominio romano. Già nel VI secolo sembra che la produzione fosse elevata. Carlo Magno (742-814), proprietario di diversi vigneti nella regione di Aloxe-Corton, nel 794 fissò norme tassative che regolavano la cura delle viti e la produzione del vino. Nei secoli XI e XII furono soprattutto i monaci a praticare la viticoltura. I diversi ordini monastici, oltre a possedere varie tenute, avevano anche i mezzi finanziari, le cognizioni, le forze lavorative e soprattutto la volontà di produrre, in onore di Dio, il miglior vino possibile. Già alla corte dei duchi di Borgogna nel XIV e XV secolo i vini di questa regione godevano di buona fama. Ma fu con Luigi XIV e con il loro ingresso alla corte di Francia nel XVII secolo che i Bourgogne raggiunsero la grande notorietà. Si racconta che il medico personale del Re Sole gli prescrisse di prendere come medicina del vino di Borgogna. Fu così che all’inizio del XVIII secolo vennero fondate le prime case vinicole commerciali a Beaune. La Rivoluzione Francese portò al frazionamento delle proprietà terriere dei nobili e della Chiesa. Nel XIX secolo le innovazioni introdotte nella viticoltura e le migliori possibilità di trasporto via terra e via acqua incrementarono in grande misura il commercio e l’esportazione. Percorrendo gli itinerari che propongo questa settimana e la prossima, si potranno scoprire le zone di produzione del Bourgogne, lungo la “Route des Grands Crus” e altre strade panoramiche attraverso alcuni tra i più rinomati vigneti al mondo, dove si coltivano le uve Pinot Noir per i prestigiosi rossi (Vosne-Romanée, Vougeot, Gevrey-Chambertin, Pommard, Volnay e altri) e quelle Chardonnay per i fantastici bianchi (Montrachet, Mersault, Chablis, Pouilly-Fuissé). Paesaggi bucolici con gli splendidi vigneti nelle zone di collina, più favorevoli climaticamente, che danno origine ai “Grands Crus” e “Premiers Crus”, ma anche altri in pianura, dai quali si ricavano vini meno pregiati. Una giungla di denominazioni in cui non sempre è facile districarsi, anche quando si è sul posto.

Borgogna – Tra castelli e conventi la storia del Medioevo

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Borgogna – Per i vini della Borgogna serve un fiuto professionale

Attraversando i vigneti dello Chablis e del Poully-Fumé, l’itinerario propone la visita di alcuni castelli cinquecenteschi e di monasteri che diedero origine ai due massimi ordini monastici del Medioevo: i benedettini di Cluny e i cistercensi di Bernardo di Chiaravalle.

Prosegue il nostro viaggio nella Borgogna, terra del “bon vivre”, con le sue città a misura d’uomo, i paesaggi bucolici, la gastronomia gustosa e raffinata e i vini sopraffini. L’itinerario che vi proponiamo si sofferma su alcune delle testimonianze architettoniche più suggestive di questo territorio, ricco di presenze di ogni epoca artistica dal romanico in poi, con più di 2 mila siti protetti, di cui oltre 800 chiese, cappelle e strutture conventuali, nonché 400 castelli, palazzi e manieri. Visiteremo alcuni “châteaux” e i monasteri che diedero origine ai due massimi ordini monastici del Medioevo: i benedettini di Cluny ed i cistercensi che con San Bernardo di Chiaravalle si opposero al loro fasto. Naturalmente senza dimenticare zone viticole importanti come quella dei vigneti Chardonnay, da cui nascono i prestigiosi Chablis, e dei Cabernet Sauvignon che sulle rive della Loira danno origine a uno dei bianchi più originali della Borgogna: il Pouilly-Fumé.

L’abbazia di Cluny, ‘luce del mondo’
Una delle mete certamente più significative del nostro viaggio in Borgogna è il monastero cistercense di Cluny. Costruito nel XII secolo era il tempio di Dio più grande di tutta la cristianità (187 metri di lunghezza con 5 campanili e oltre 300 finestre). E lo rimase fino alla costruzione di San Pietro a Roma nel XVI secolo. Purtroppo la chiesa non è riuscita a salvarsi dalle distruzioni operate dalla Rivoluzione francese e le sue gloriose pietre sono state utilizzate per costruire scuderie e strade. Le vestigia dell’abbazia rimangono tuttavia impressionanti per le loro dimensioni, che permettono di intuire quali fossero i caratteri generali della sua opulenta architettura diffusasi in tutta la Borgogna e anche oltre. Coadiuvati da un’ottima audioguida e da vari supporti multimediali i visitatori, con un po’ di fantasia, riescono a immaginare come dovesse essere questo monastero che fece esclamare al papa Urbano II: “Siete la luce del mondo!”.
Cluny, all’inizio del X secolo, fu il centro della cosiddetta riforma cluniacense, che voleva recuperare i principi originali dell’ordine dei Benedettini fondato a Monte Cassino da Benedetto da Norcia (480-547). La regola della preghiera e del lavoro, al servizio di Dio e dell’uomo, costituiva il fondamento della dottrina di San Benedetto. “Ora et labora” era il suo motto. Con la preghiera e l’espiazione il monaco si assumeva l’alto compito di rappresentare l’umanità al cospetto di Dio. Allo stesso tempo, dissodava i boschi, arava i campi e nei suoi scritti raccoglieva i tesori culturali dell’umanità per tramandarli ai posteri. Con il passare degli anni, però, i monasteri benedettini divennero sempre più legati a interessi terreni ed i loro monaci si davano placidamente ai piaceri della vita. Ecco perché a Cluny si sentiva il bisogno di recuperare i principi originali dell’ordine. Ma questo avvenne con un’accentuazione esagerata della liturgia, a scapito dell’attività lavorativa. D’altra parte, grazie all’indipendenza dal potere politico e alla concessione di sottomettere altri conventi, l’abbazia di Cluny divenne ricchissima e molto potente: si dice che l’abate detenesse il potere di un papa. Da questa ricchezza traeva origine il fasto della sua architettura.

Da Cluny a Fontenay, si torna alla semplicità
Al fasto cluniacense si oppose nel XII secolo Bernardo da Clairvaux (1090-1153). Dall’abbazia di Chiaravalle in Borgogna criticava i cluniacensi, che “non possono allontanarsi quattro leghe da casa senza portare al loro seguito sessanta cavalli” e per i quali “la luce brilla solo in un candelabro d’oro o d’argento”. Nacque così la riforma cistercense, centrata sull’abbazia di Citeaux, che propugnava il ritorno alla povertà, all’ascesi più assoluta, alla semplicità e all’attività nei campi o nelle officine del convento. Grazie alla forte personalità di San Bernardo la riforma si espanse in tutta Europa. L’architettura cistercense, a differenza di quella cluniacense, era essenziale e ogni decorazione o sfarzo non solo erano considerati sconvenienti, ma proibiti. Tutti i conventi erano caratterizzati dagli stessi tratti fondamentali ispirati a una grande purezza architettonica. Tra gli esempi più belli di questa rigorosa interpretazione dello stile romanico figura il convento di Fontenay, a poco più di un’ora in automobile da Digione. Situato in un luogo incantevole, tra il bosco e i prati, perfettamente conservato nel corso dei secoli, il complesso architettonico, patrimonio mondiale dell’umanità, ispira al visitatore una grande serenità ritmata dal canto degli uccelli.

L’abbazia di Vezalay e le cripte di Auxerre
Fu dalla basilica di Vezalay che nel 1146 Bernardo di Chiaravalle alla presenza del re di Francia Luigi VII esortò i cavalieri ad intraprendere la seconda crociata. Vezalay era un’importante stazione dove sostavano i pellegrini che si recavano a Santiago di Compostela per pregare San Giacomo. Da una piccola altura, che sovrasta la valle, l’alto campanile della basilica salutava il corteo dei fedeli. La particolarità architettonica di questo luogo di culto è costituita da una specie di chiesa esterna rispetto a quella principale, che permetteva di seguire le celebrazioni liturgiche ai numerosi pellegrini rimasti senza posto all’interno. Gran parte di questo monumento è andato distrutto nel corso dei secoli ed è stato ampiamente restaurato per non dire ricostruito. Ma il timpano del portale centrale della chiesa, opera magistrale del romanico borgognone, si è ben conservato. Raffigura il Cristo che invia gli apostoli nel mondo a compiere miracoli.
Auxerre, capitale del vino bianco Chablis, è una graziosa cittadina affacciata sul fiume Yonne. Le sue colorate case a graticcio sono allineate in stradine che salgono alla cattedrale di Saint-Etienne e all’abbazia di St-Germain. Di particolare interesse, in questi due edifici religiosi, sono le due cripte. Quella della cattedrale romanica (1025-1035) ospita affreschi eccezionali dell’XI e XII secolo. È il solo esempio noto in Francia di un Cristo circondato da angeli che cavalca un cavallo bianco. Nel corridoio della cripta dell’antica abbazia, che ospita le spoglie di San Germano, si possono invece osservare alcuni tra gli affreschi più antichi di Francia, con la raffigurazione del Giudizio, della Lapidazione di S.Stefano e di due vescovi.

Castelli borgognoni del XVI e XVII secolo
Degli oltre 400 castelli, palazzi e manieri presenti in Borgogna il nostro itinerario prevede di visitarne tre, che per diversi motivi sono particolarmente significativi.
Iniziamo dal più antico: il castello di Ancy-le-Franc, costruito nel 1546 dall’architetto bolognese e allievo del Palladio, Sebastiano Serlio (1475-1554). Questo architetto, giunto alla corte del re francese Francesco I (1494-1547) portò i princìpi del Rinascimento italiano in Francia, e il castello di Ancy-le-Franc ne è il primo modello. Le reminiscenze artistiche italiane si notano dall’eleganza sobria di questa costruzione, il cui mobilio è purtroppo stato recentemente venduto all’asta. Particolarmente suggestiva è la scena di battaglia monocroma color ocra di Niccolò dell’Abate, che si trova in una galleria del castello.
Risale a pochi anni dopo, al 1550, il Château de Tanlay situato in riva al canale di Borgogna, su cui si affaccia anche il suo parco con alberi centenari. Forse perché il suo architetto Pietro il Muto era un ex ingegnere militare, forse a causa dei curiosi obelischi a forma piramidale che si elevano all’ingresso del ponte levatoio, forse ancora per i suoi vasti fossati colmi d’acqua, questo edificio interpreta bene l’immaginario collettivo del castello classico.
Il castello di Cormatin, costruito tra il 1605 e il 1616, mezzo secolo dopo i due precedenti, risulta invece di particolare interesse per i suoi arredamenti interni, che sono stati conservati in modo eccezionale e permettono di immergersi nell’universo raffinato della nobiltà francese del XVII secolo. Mentre a Parigi e in molte altre importanti località di Francia gli arredi di quest’epoca sono scomparsi, a Cormatin, forse per la sua posizione discosta, soprattutto nell’appartamento della marchesa tutto è rimasto come se fosse stato abitato fino al giorno prima. Non mancate dunque la visita guidata che si protrae per oltre un’ora.

Un bicchiere di Chablis o di Pouilly-Fumé
Dulcis in fundo, anche in questa pagina dedicata alla Borgogna non poteva mancare un accenno ai suoi straordinari vini. Questa seconda parte del nostro itinerario in Borgogna attraversa altri due vigneti di prestigio: quelli da cui si ottengono i bianchi Chablis e Poully-Fumé.
Lo Chablis viene prodotto quasi esclusivamente con uva Chardonnay. I vigneti si estendono attorno al grazioso villaggio di Chablis, dove il terreno in prevalenza calcare favorisce la produzione di un vino perfettamente secco, dal colore paglierino, dal profumo delicatissimo, dal sapore gentile e adatto all’invecchiamento, come la maggior parte dei bianchi della Borgogna.
L’ultima tappa enologica del nostro itinerario si svolge lungo la Loira. La nostra meta è Poully-sur-Loire, una regione dove i due terzi dei vigneti sono costituiti dal vitigno Chasselas, da cui si ricava un vino semplice e genuino da consumarsi giovane. Nel rimanente terzo cresce invece la stupenda uva bianca Sauvignon, che in questi paraggi viene pure chiamata “Blanc-Fumé”, dalla quale si ricavano i favolosi bianchi Poully-Fumé, chiari, arzilli, saporiti e normalmente secchi, che vengono imbottigliati dopo un anno e che non vanno confusi con i Poully-Fuissé, prodotti nel Mâconnais con uva Chardonnay.

Itinerario
1° giorno (530 km) Locarno – Beaune
2° giorno (40 km) Beaune – Santenay – Beaune
3° giorno (50 km) Beaune – Dijon
4° giorno Dijon
5° giorno (200 km) Dijon – Fontenay – Ancy-le-Franc – Tanlay – Chablis – Auxerre
6° giorno (350 km) Auxerre – Vézelay – Pouilly-sur-Loire – Cluny
7° giorno (150 km) Cluny – Cormatin – Beaune
8° giorno (530 km) Beaune – Locarno

Per saperne di più
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Borgogna e Champagne-Ardenne La guida verde Michelin, Milano 2008
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Visitare la Borgogna mi ha permesso di vivere due grandi passioni contemporaneamente: quella per i viaggi e quella per il vino. Ma se preparare un itinerario mi riesce sempre piuttosto facile, consultando guide cartacee, internet e racconti di viaggio, così non è per l’enologia. L’anno scorso nella regione di Bordeaux e quest’anno in Bourgogne, le patrie, forse, dei più grandi vini al mondo, mi sono sentito frustrato.
Certe cantine sono inaccessibili e nei ristoranti, anche quelli stellati, è raro trovare ottimi vini al bicchiere. Quando ti portano la carta, se non sei più che esperto, finisci per ordinare quelle stesse bottiglie blasonate che potresti bere in qualsiasi grande ristorante del mondo. E, anzi, certi produttori prediligono l’esportazione ai clienti locali. In terra francese – e sembra un paradosso – le scoperte enologiche non sono facili. Una sera mi è sembrato di aver degustato un grande Chablis e il sommelier mi ha dato il nome dell’enoteca dove era disponibile. Il mattino dopo mi precipito per acquistarne alcune bottiglie, ma di quel vino non ne rimaneva neppure una. Chiedo allora di consigliarmi altri Grand Cru, che dovrebbero essere i vini migliori, non solo i più cari. L’enologo mi risponde che non vale la pena di scegliere Grand Cru e mi consiglia altre bottiglie (che, tra l’altro, si sono rivelate ottime).
Tornato in Ticino telefono a Paolo Basso, campione del mondo dei sommeliers, e gli racconto di queste mie “frustrazioni”. “In effetti – mi spiega – in Borgogna non è facile fare grandi scoperte. I vini di elevata qualità sono rari. Ma questo è anche il grande fascino di questa terra, che dispone di due soli vitigni: lo Chardonnay per i bianchi ed il Pinot Nero per i rossi. Qui l’ingrediente è uno solo e non è quindi possibile, come invece avviene nella regione di Bordeaux, migliorare la qualità giocando la carta dell’assemblaggio di uve diverse”.
La legislazione in Borgogna suddivide i vini in 5 diverse categorie a seconda della posizione dei vigneti. Si tratta di una gerarchia molto chiara con i ‘Grand Cru’ al primo posto e i ‘Premier Cru’ al secondo. I prezzi seguono il prestigio della denominazione e del produttore, che rappresenta il vero parametro di qualità. Ma la posizione del vigneto costituisce un solo elemento nella qualità di un vino, che dipende anche da come si lavora tra le vigne e in seguito in cantina. Quanto influiscono questi altri due elementi?, chiediamo a Paolo Basso. “In modo determinante. Succede infatti spesso che alcuni ‘Premier Cru’ siano superiori ai ‘Grand Cru’ grazie alla maestria del viticoltore e del vinificatore”. Ma come districarsi allora in questa giungla? “Affidandosi all’esperienza degli esperti. Il nostro mestiere è proprio quello di scoprire i buoni vini, che hanno un ottimo rapporto prezzo/qualità. Quando decido di presentare un produttore sull’offerta della “Paolo Basso Wine”, lo faccio solo dopo avere assaggiato tutta la sua gamma di prodotti, anche di diverse annate, e dopo avere discusso con lui e visitato i suoi vigneti”. Basso rappresenta 11 cantine della Borgogna. Quali sono i suoi vini favoriti di questa regione? “In Borgogna si producono senza dubbio i migliori vini bianchi al mondo: i due ineguagliabili sono i “Montrachet” ed i “Corton Charlemagne”.

Marche – Una vacanza tra spiaggia e città d’arte

Il mare incontaminato della “Riserva naturale regionale del Conero”. Colline armoniose, ricoperte di vigneti, ulivi e gialli girasoli. Artistici centri urbani come Ascoli, Piceno, con una delle piazze più belle d’Italia, e la rinascimentale Urbino

Colline armoniose ricoperte di vigneti, ulivi e gialli girasoli che si estendono fino al mare. Spiagge sterminate che si impreziosiscono avvicinandosi alla “Riserva naturale regionale del Conero”. Due splendide città medioevali come Urbino e Ascoli Piceno. Piccoli borghi cinti da possenti mura come i famosi Offida e Gradara. Monasteri romanici immersi in una natura incontaminata. Una ricca proposta enogastronomica condita dai tartufi, con punte di diamante nei ristoranti due stelle Michelin a Senigallia. La patria degli outlet nel paradiso delle scarpe e dell’abbigliamento, ma anche dei teatri: all’inizio del Novecento si contavano oltre 100 palcoscenici, dei quali se ne sono conservati una settantina.
Le Marche sono tutto questo. Ma non pensate di trovare una fotocopia della Toscana, perché rischiereste di rimanere delusi, come è accaduto al sottoscritto. In un itinerario ipotetico segnalerò i luoghi più suggestivi visitati durante una vacanza tra mare e visite. Sì, perché le Marche, a differenza di altre regioni d’Italia, permettono di conciliare la vita di spiaggia con la scoperta di paesaggi, borghi e città.

Una delle piazze più belle d’Italia
Per l’omogeneità dei suoi edifici in travertino Ascoli Piceno, che si raggiunge in circa 6 ore d’automobile dal Ticino, è chiamata la piccola Siena. Il cuore della città è costituito dalla Piazza del Popolo, considerata una delle più belle d’Italia con i suoi edifici gotici e rinascimentali e gli eleganti portici. Il suo lastricato in travertino è reso lucido dalle passeggiate degli ascolani nel corso dei secoli. Ancora oggi uno dei riti della città consiste nel darsi appuntamento nel salotto cittadino per un aperitivo, possibilmente al Caffè Meletti per assaggiare la celebre anisetta, che il locale produce da oltre un secolo. Altro punto cardine cittadino è Piazza Arringo, su cui si affacciano la cattedrale ed i palazzi comunale e vescovile con l’interessante pinacoteca. Passeggiare per le vie del centro storico, ricco di monumenti in travertino che assumono sfumature di colore diverse a seconda del volgere delle ore, è molto rilassante. Un’atmosfera poco stressata ci ricorda di essere ormai alle porte del Mezzogiorno. Per gli appassionati d’arte moderna vale la pena di visitare la sezione della Galleria d’arte contemporanea dedicata al pittore Osvaldo Licini (1894-1958), che nacque vicino ad Ascoli, studiò a Bologna assieme a Modigliani e poi, sempre assieme lui, fece carriera a Parigi. Il museo si affaccia su Corso Mazzini, la via nobile della città fiancheggiata da palazzi di varie epoche. Ascoli è denominata anche la città delle 100 torri, di cui ne rimangono però ben poche, dopo che nel XIII secolo Federico II ne distrusse ben 91. Non lasciate Ascoli prima di avere assaggiato al ristorante “Gallo d’oro” le famose olive fritte all’ascolana, che sotto la doratura nascondono un ripieno sopraffino.

Tra vigneti e uliveti
Uscendo da Ascoli in direzione nord verso Offida si entra in un’armoniosa campagna collinare cosparsa di vigneti e di uliveti. Offida propone un piccolo centro con edifici medioevali conservati molto bene. Passeggiando per le strette viuzze che confluiscono nella bella Piazza del Popolo non si può non rimanere incantati da un’immagine che sa di antico: le donne che lavorano il tombolo davanti all’uscio di casa, seguendo una tradizione che si tramandano da generazioni. In un così piccolo villaggio sorprende poi di scoprire l’imponente teatro Serpente Aureo, recentemente restaurato e con un ricco cartellone. Ma nelle Marche ogni paesino che si rispetti ha il suo teatro, di cui è orgoglioso. Ai margini del borgo sull’apice di una collina, da cui si gode uno splendido panorama sulla campagna circostante, sorge l’austera Santa Maria della Rocca con splendidi affreschi del XIV secolo.
Il nostro itinerario prosegue verso nord in direzione di Fermo, passando per Monterubbiano, in un mosaico di campi, vigne, uliveti, che è una gioia per gli occhi.
Fermo, secolare città antagonista di Ascoli Piceno, circondata da possenti mura, è nota soprattutto per la sua piazza principale – non poteva non chiamarsi Piazza del Popolo – che affascina per la sua armonia e per le sue ampie proporzioni. Sul balcone del Palazzo dei Priori, che si affaccia sulla piazza, siede papa Sisto V, forse per simbolizzare la secolare fedeltà professata da questa città al papato. Dal piazzale Girfalco, che domina il borgo ed ospita il duomo con un bellissimo portale del XIII secolo, il panorama sul paesaggio circostante è splendido.

Tra sacro e profano
Si prosegue in direzione nord verso Sant’Elpidio a Mare, il regno della calzatura, che contrariamente all’apparenza si trova nell’entroterra. Qui viene fabbricata la maggior parte delle scarpe italiane esportate in tutto il mondo. L’outlet più noto è quello delle Tod’s Hogan, ma si trovano anche quelli di altre firme prestigiose come Fratelli Rossetti, Prada, eccetera.
Proseguendo sempre in direzione nord si giunge nella Valle del Chienti, dove a pochi chilometri di distanza uno dall’altro si trovano interessanti luoghi spirituali: il convento benedettino di Santa Maria a Piè di Chienti (1125), la chiesa di San Claudio (XI secolo) con l’originale portale fiancheggiato da due torri e l’interessante Abbazia di Fiastra, che merita una visita approfondita. Seguendo l’ottima audioguida si ripercorre la vita nel monastero nel corso dei secoli ammirando l’originaria architettura cistercense, che esprime in modo suggestivo la semplicità e l’umiltà su cui si fonda la riforma monastica operata da San Bernardo di Chiaravalle. Una delle regole, di origine benedettina, recita “ora et labora” (prega e lavora). Il lavoro, accanto alla preghiera, è sempre stato tenuto in grande considerazione dall’ordine, come si può notare visitando il “Cellarium” (deposito delle merci), la “Sala delle Oliere”, dove veniva prodotto l’olio, nonché le “Grotte” e le “Cantine”, dove veniva conservato e prodotto il vino.
Le Marche ospitano anche uno dei santuari più celebri della penisola e uno dei maggiori della Cristianità, visitato nel corso dei secoli da una miriade di pellegrini e ancora oggi da 4 milioni all’anno. Si tratta del santuario della Santa Casa di Loreto, attorno al quale è sorto un villaggio, circondato da possenti mura, dove la maggior parte dei cittadini vivono di turismo religioso. Oltrepassate le mura attraverso la porta Romana, lungo Corso Boccalini si raggiunge la tardorinascimentale piazza della Madonna, su cui si affaccia il santuario. Secondo la leggenda quattro angeli avrebbero trasportato da Nazareth dapprima all’Istria e quindi a Loreto la casa della Madre di Cristo per proteggerla dai musulmani. Sembra che le pietre dell’abitazione provengano effettivamente dalla grotta annessa alla casa dei genitori di Maria, ma furono trasportate in nave dai crociati. All’inizio del XVI secolo, attorno alla casa, venne costruito un rivestimento marmoreo di grande pregio, considerato “l’espressione più complessa della scultura cinquecentesca”.

Tra mare e colline
Il Parco naturale del monte Conero costituisce uno dei rarissimi tratti rocciosi della costa marchigiana e propone certamente le spiagge più suggestive di tutta la regione. Talune sono di difficile accesso, ma la zona è un paradiso per chi ama trascorrere le vacanze in gommone. La terrazza più suggestiva da cui si può ammirare la bellezza di questa parte della costa si trova in piazza Vittorio Veneto a Sirolo, un pittoresco villaggio che si erge su una falesia.
Un chilometro e mezzo di cinta muraria abbraccia invece la parte più antica della graziosa città di Jesi. Il tessuto urbano è scandito da un susseguirsi di piazze in un complesso architettonico compatto che integra armoniosamente tra loro edifici storici di epoche diverse. Anello di congiunzione tra la parte più antica della città e quella cinquecentesca è Piazza della Repubblica, su cui si affaccia il settecentesco teatro Pergolesi, uno dei maggiori templi della lirica italiana.
Proseguendo in direzione nord verso Senigallia e quindi Gradara, vale la pena di fare due brevi soste a Morro d’Alba, dove si può camminare sulle mura, e a Ostra, un grazioso villaggio dove in Piazza dei Martiri troneggia una suggestiva torre medioevale e si affaccia un graziosissimo teatro, che non pensereste mai di trovare quassù.
Si può dire quello che si vuole, ma Gradara, nonostante sia un villaggio estremamente turistico, mantiene il suo fascino. Con la sua doppia cinta muraria e le 17 torri appare scenografica sin da lontano. La rocca è celebre perché vi si sarebbe svolta la tragica storia d’amore di Paolo e Francesca narrata da Dante nella “Divina commedia” e ripresa da Boccaccio, da D’Annunzio e da numerosi pittori famosi. Paolo aveva chiesto la mano di Francesca per il fratello Giovanni, deturpato da un piede caprino. Ma i due cognati s’innamorarono uno dell’altro e continuarono a frequentarsi anche dopo il matrimonio. Quando Giovanni sorprese la coppia in atteggiamenti dolci li uccise entrambi.

La bella Urbino, città di Raffaello
Non per caso chiudiamo il nostro itinerario con Urbino: la tappa più bella di un viaggio bisognerebbe infatti lasciarla possibilmente sempre per ultima. Eletta patrimonio culturale dell’umanità dall’Unesco questa città permette di passeggiare sulle tracce del Rinascimento italiano, non solo visitando l’imponente Palazzo Ducale, ma passeggiando per tutto il centro urbano. Il suo periodo di massimo splendore lo conobbe sotto la signoria del duca Federico da Montefeltro (1442-1482), saggio condottiero, fine letterato e collezionista, protettore degli artisti. Fu durante il suo regno che venne progettato e costruito da Luciano Laurana il Palazzo Ducale, capolavoro di gusto ed equilibrio. Al suo interno ospita la Galleria Nazionale delle Marche con capolavori come la “Profanazione dell’ostia” di Paolo Uccello, la “Madonna di Senigallia” e la “Flagellazione” di Piero della Francesca, “La Muta” di Raffaello. Proprio quel Raffaello Santi, detto Sanzio, che venne al mondo nel 1483 in questa città e di cui si può visitare la casa natale, dove sono esposte opere del padre Giovanni Santi. Prima di andare a zonzo per vicoli, palazzi e chiese, vale la pena di visitare ancora l’Oratorio di San Giovanni, completamente decorato con splendidi affreschi del XIV secolo di Jacopo e Lorenzo Salimbeni. Cuore della città è l’animatissima Piazza della Repubblica. Sedendovi al tavolo di uno dei suoi caffè per l’aperitivo vi renderete conto di quale sia il ruolo dell’università in questa città: si dice che il numero degli studenti superi quello degli abitanti.

Bibliografia
Italia La Guida Verde Michelin, Milano 2002
Marche Dumont, Milano 2011
Marche Touring Club Italiano, Milano 2008

Francia – A Bordeaux, la capitale mondiale del vino

Francia – Dove nascono i migliori vini rossi al mondo

Questo itinerario non presenta nessuna punta eclatante, ma si compone di una serie di perle che inanellate una dopo l’altra in un filo conduttore permettono di assemblare una collana davvero piacevole costituita da natura, cultura ed enogastronomia.

La Francia, come anche l’Italia e la Spagna, rappresenta una meta vicina, ricca di spunti e di scoperte. Rimango sempre più affascinato dall’atmosfera che si percepisce nelle cittadine francesi e dalla pace che ispirano i vasti panorami di campagna. L’itinerario che sto per descrivere non presenta nessuna punta eclatante o particolarmente spettacolare, ma si compone di una serie di perle che infilate una dopo l’altra in un filo conduttore coerente permettono di assemblare una collana davvero piacevole, costituita da natura, cultura ed enogastronomia. La meta del viaggio è la regione di Bordeaux con la sua straordinaria tradizione enologica. Il nostro intento non era però quello di girare per cantine, bensì alla scoperta di un territorio che dà origine ai migliori vini al mondo. Anche lungo la strada di andata e ritorno dal Ticino, grazie alla guida sicura della Michelin Verde, abbiamo scoperto alcune chicche.

Borghi medievali lungo il tragitto
Ed iniziamo allora da una di queste scoperte: Le Puy-en-Velay, a circa sei ore d’auto dal Ticino. Situata nel fertile bacino bagnato dalla Loira, la città è famosa per i suoi picchi di origine vulcanica (i puys) che sorgono dalla pianura e dai quali si godono splendidi panorami. Il sobrio centro storico, caratterizzato da austeri edifici in granito e lava, è dominato dalla splendida cattedrale romanica (XI e XII secolo) di influenza araba. Costituiva una tappa, come altri edifici religiosi che incontreremo successivamente, sul cammino dei fedeli in pellegrinaggio verso Santiago de Compostela. Sin dal XVII secolo Le Puy-en-Velay è nota anche per i suoi pizzi al tombolo. In campo gastronomico sono rinomate le sue lenticchie, che si possono gustare nel ristorante con alloggio di Francois Gagnaire, cuoco stellato Michelin.
Prima di raggiungere il Bordolese zigzaghiamo tra l’Auvergne e il Périgord alla scoperta di due altri borghi medievali: Conques e Rocamadour. Oltre tre ore di automobile su strade secondarie ci separano dalla prima meta, situata in una valle sperduta. Tanto che ci chiediamo se valesse davvero la pena di allungare il percorso. Un dubbio che scompare immediatamente quando ci troviamo davanti uno splendido borgo con i suoi edifici dorati dai raggi del sole. Qui il tempo sembra essersi fermato e si può immaginare lo stupore dei pellegrini in cammino per Santiago di fronte a questa piccola perla costruita a forma di conchiglia (da qui il nome). Forse per la sua posizione discosta il villaggio è poco compromesso dal turismo, sebbene la sua chiesa dell’XI secolo offra uno splendido portale romanico e un tesoro di oreficeria religiosa tra i più importanti di Francia.
In posizione spettacolare, situato sulle falesie della gola scavata dal piccolo fiume Alzou, sorge il borgo di Rocamadour, dominato dal suo castello, che si erge a 125 metri dal fondovalle e con il quale è collegato da un ascensore. A metà montagna, tra l’abitato e il castello, sorge la città religiosa del XII secolo, importante meta di pellegrinaggio nel passato. Lungo il fiume si allinea invece una pittoresca confusione di vecchie case, vie a gradini, torri, piccole piazze a terrazza, chiese e cappelle. Data la sua posizione vicina all’autostrada che collega Parigi a Toulouse e avendo fatto molte concessioni al turismo Rocamadour non ha la magia di Conques. Non si lasci il villaggio prima di aver assaggiato il torrone locale (nougat): una vera leccornia!

Da Sauternes verso Bordeaux
In serata – siamo al secondo giorno di viaggio – giungiamo a Sauternes. Poche case, strette attorno a una chiesetta, sorgono all’interno di un’enorme estensione di vigneti. Il villaggio che dà il suo nome al vino bianco più famoso al mondo: Château d’Yquem Sauternes. Solo le cantine di una zona molto ristretta hanno però diritto a stampare sull’etichetta la prestigiosa denominazione.
In autunno in questa vallata, attraversata dal fiume Ciron (affluente della Garonne), quando la temperatura cala si formano le prime nebbie e l’umidità si posa sui grappoli. Nel corso della giornata, quando l’aria si riscalda, dalle bucce umide dell’uva spunta un fungo chiamato Botrytis cinerea, che ha la proprietà di togliere l’acqua dagli acini e di incrementarne così il contenuto di fruttosio e di glicerina, facendo raggrinzire e marcire i grappoli. È a questo punto che si vinifica. Secondo una leggenda il marchese Romain-Bertrand de Lur-Saluces scoprì questo fenomeno quando, a causa di un contrattempo, fu costretto a prolungare un viaggio in Russia. Tornato al Château d’Yquem provò ugualmente a vinificare e … nacque il Sauternes.
Non più di 50 chilometri di territorio completamente vignato lungo il fiume Garonne ci separano da Bordeuax. Ma in queste zone (Première Côte de Bordeaux e Entre Deux Mer) non si producono i grandi vini della regione. Le percorriamo zigzagando per la campagna alla scoperta di testimonianze del passato: pittoreschi villaggi, sontuosi castelli, chiesette romaniche e monasteri immersi nei vigneti. La prima tappa è il borgo medievale di Saint-Macaire, un villaggio da cartolina ma molto vissuto e non ancora trasformato in museo all’aperto. A Verdeleais, lungo la Garonne, visitiamo la tomba del celebre pittore Toulouse-Lautrec e saliamo su una collina con una vista sterminata sui vigneti. Non molto distante sorge l’idilliaco Château de la Brède, residenza del barone di Montesquieu (1689-1755), uno dei padri della democrazia moderna. Fa parte di un’immensa tenuta, gestita dal filosofo francese, che oltre ad essere stato presidente del parlamento di Bordeaux produceva vino e lo vendeva agli Inglesi. Nella regione dell’Entre-deux-Mers visitiamo tre graziose chiesette romaniche tra i vigneti (Ste-Croix-du-Mont, Huax e St-Genès-de-Lombaud), con le campane incorporate nella facciata, e le affascinanti rovine dell’abbazia benedettina Sauve-Majeure, che fu fondata nel 1079 da San Gerardo e vanta un passato di grande prestigio. In serata raggiungiamo Bordeaux.

Bordeaux, tra passato e futuro
È amore a prima vista. Bordeaux appare austera, ma anche vivace e dinamica. Il suo centro storico, che si può piacevolmente visitare a piedi, è caratterizzato soprattutto da un’architettura settecentesca, di cui conserva oltre 5mila palazzi in pietra di un caldo color ocra. L’unità stilistica la si nota soprattutto lungo la piacevole passeggiata che costeggia la “rive gauche” della Garonne, il fiume che pochi chilometri più avanti si getta in un’insenatura del mare. Ed è proprio il collegamento con l’Oceano Atlantico uno dei fattori del successo economico di Bordeaux, oltre naturalmente il privilegio di essere la capitale della regione vinicola più prestigiosa al mondo. Ma la città vecchia, animata da numerose piazzette su cui si affacciano i tipici “café” alla francese, è ricca anche di testimonianze architettoniche medievali. Tra gli edifici religiosi il più imponente è certamente la cattedrale, caratteristica per il suo campanile (flèche) separato dal corpo principale, ciò che la accomuna alla vicina basilica St-Michel. Tra i palazzi pubblici spiccano il Grand Théâtre, orgoglio cittadino, che domina Place de la Comédie, e la Borsa, che caratterizza l’omonima piazza in riva al fiume e si specchia sdoppiandosi in un’originale fontana concepita da Michel Courajoud. Quest’opera sembra voler evidenziare quanto questa città intenda valorizzare il proprio passato, ma anche volgere lo sguardo verso il futuro. Lo dimostra pure la presenza di altri interessanti interventi architettonici moderni come il Tribunal de grande instance costruito nel 1998 dall’architetto Richard Rogers, autore del Centre Pompidou a Parigi, e il Quartier Mériadeck che ospita gli edifici dell’amministrazione regionale progettati negli anni Settanta con interessanti proposte architettoniche. Molti di questi palazzi avrebbero ormai bisogno di qualche intervento di manutenzione.
Per chi ama lo shopping consigliamo di percorrere le piacevoli vie pedonali Rue Ste-Catherine e il Cours de l’Intendance che sfociano entrambe in Place de la Comédie. Chi invece è appassionato di vino si stupirà di trovare a Bordeaux meno Winebar con i grandi vini francesi di quanti non ne troverebbe in qualsiasi altra capitale europea.

Itinerario

1° giorno
Locarno-Le Puy-en-Velay (612 km)

2° giorno
Le Puy-en-Velay-Conques-Rocamadour-Sauternes (586 km)

3° giorno
Sauternes-La Brède-Bordeaux (107 km)

4° giorno
Bordeaux

5° giorno
Bordeaux-Arcachon-Pyla sur Mer (80 km)

6° giorno
Bordeaux-Haut Médoc-Libourne (140 km)

7° giorno
Libourne-Pétrus-St. Émilion (70 km)

8° giorno
St. Émilion-Périgord Noir-Sarlat (150 km)

9° giorno
Sarlat-Locarno (924 km)

Bibliografia
Francia Guida Michelin, Milano 1997
Francia Touring Club Italiano, Milano 1994
Francia Sud-Ovest La Guida Verde Michelin, Milano 2008

Francia – Dove nascono i migliori vini rossi al mondo

Francia – A Bordeaux, la capitale mondiale del vino

Un itinerario tra mare e colline, nelle regioni dell’Haut-Médoc, del Pomerol e del Saint Èmilion, alla scoperta di un territorio che dà origine ai migliori vini al mondo e ad altre prelibatezze per il palato come gli allevamenti di ostriche nel Bassin d’Arcachon con la duna più grande d’Europa.

Prosegue il nostro itinerario nella regione di Bordeaux con la sua straordinaria tradizione enologica. Il nostro intento non era però quello di girare per cantine, bensì alla scoperta di un territorio che dà origine ai migliori vini del mondo e ad altre prelibatezze per il palato. Anche lungo la strada del ritorno in Ticino, grazie alla guida sicura della Michelin Verde, abbiamo scoperto luoghi romantici e meravigliosi nel Périgord lungo le rive della Dordogna.

Nella patria delle ostriche
Il mattino del quinto giorno di viaggio lasciamo a malincuore – perché l’abbiamo molto amata – Bordeaux per dirigerci verso il Bassin d’Arcachon e verso l’Oceano Atlantico. Il bacino è un’insenatura lungo l’oceanica Costa d’Argento che si estende verso la Spagna, una laguna pescosa con l’acqua dolce del fiume Eyre e il sale delle maree. Simbolo di questo bacino è la cosiddetta Pinasse, un’imbarcazione dai colori vivaci a chiglia piatta costruita in legno di pino (da qui il nome). Pittoresche anche le variopinte capanne dei pescatori che si affacciano sullo specchio d’acqua. Ma il Bassin, sin dal tempo dei romani, è famoso per le sue ostriche. Fino a metà Ottocento erano selvatiche, in seguito iniziarono a scarseggiare e si dovettero allora escogitare metodi di allevamento. Si depositano così nell’acqua mattoni rivestiti di calce, sui quali si insediano le larve delle ostriche. Attraverso numerosi interventi manuali i molluschi vengono trattati per tre anni prima di finire sui tavoli dei più rinomati ristoranti di Francia. Il procedimento è bene illustrato alla “Maison de l’huître” nel villaggio di Guyan-Mestras, la capitale delle ostriche.

Tra mare, pinete e dune di sabbia
La regione del Bassin d’Arcachon offre innumerevoli possibilità di svago a contatto con la natura: passeggiate, gite in canoa, un centro ornitologico. Ma per chi non ha troppo tempo a disposizione l’attrazione più spettacolare è certamente rappresentata dalla Dune du Pilat. Lunga 2,7 chilometri, larga 500 metri e alta 105 è la più elevata d’Europa. È situata tra l’oceano (a ovest) e una fitta pineta (a est). Una passeggiata lungo la cresta della duna, accompagnati dal rumore del vento e delle onde che si infrangono sulla spiaggia, offre un’indimenticabile vista sull’Atlantico, sul mare di sabbia e sulla foresta, in un tripudio di colori.
Prima di lasciare questa splendida regione vale la pena di visitare Arcachon, una località balneare di fine Ottocento. Voluta da due astuti banchieri (i fratelli Pereire) fu concepita ex novo, grazie al prolungamento della ferrovia da La Teste, ex luogo di villeggiatura dei bordolesi, fino alla nuova Arcachon, dove vennero create moderne infrastrutture e costruite villette ai bordi del bosco e non lontano dal mare. Qui si veniva non tanto per la tintarella e i bagni di mare quanto per l’aria salubre. Da quando Napoleone III vi fece visita diventò una località alla moda frequentata da nobili, uomini d’affari, letterati, artisti e musicisti di grido come Toulouse-Lautrec, Sartre, Debussy, Alexandre Dumas, Cocteau e molti altri. Sulla collina, una sorta di Beverly Hills alla francese, rimangono molte di quelle costruzioni di fine Ottocento-inizio Novecento. Parecchie sono state restaurate, altre sono chiuse, ma passeggiando per le “Allée” (così si chiamano le strade) sembra di tornare indietro negli anni e di rivivere il tempo della Belle époque.

I sontuosi châteaux dell’Haut-Médoc
Il nostro viaggio volge al termine, ma i prossimi due giorni, il sesto e il settimo, sono dedicati alla scoperta delle regioni da cui provengono i vini rossi più prestigiosi del mondo: Haut-Médoc, Pomerol e Saint-Èmillion.
Iniziamo dall’Haut-Médoc, una regione che si estende sulla sponda destra della Gironde, un’insenatura del mare, dove i fiumi Dordonne e Garonne si incontrano prima di sfociare nell’oceano. Poco oltre la confluenza dei due fiumi, in direzione del mare, alla fine del Seicento fu costruito Fort Médoc (si può visitare), che faceva parte di un sistema di difesa per impedire alla flotta inglese di raggiungere Bordeaux.
La tradizione viticola della regione risale ai tempi del re Sole. È questa la patria per eccellenza dei Grands Crus Classés, voluti da Napoleone III nel 1855 in occasione dell’esposizione universale di Parigi per mettere il più possibile in luce i prodotti francesi di qualità. Si distinsero così diversi livelli: dal premier fino al cinquième grand cru. Questa classificazione, che fu decisa dai commercianti e non da un giudice super partes, detta legge ancora oggi. Percorrendo la strada statale D2 si attraversano immense e armoniose distese di vigneti suddivisi in sei giurisdizioni comunali: Margaux, Moulis, Listrac, Saint-Julien, Pauillac e Saint-Estephe. I vigneti più pregiati sorgono lungo pendii rivolti verso la Gironde e hanno la caratteristica di immagazzinare il calore durante il giorno per poi restituirlo durante le ore notturne. Nella regione, che fornisce solo l’8 per cento dei vini del bordolese, si coltivano i vitigni Merlot, Cabernet-Sauvignon, Cabernet Franc, Petit Verdot e Malbec. Da un’assemblaggio di queste uve nascono bottiglie prestigiose vendute a prezzi vertiginosi. Per visitare gli châteaux più rinomati, quasi tutti ottocenteschi e frutto della cosiddetta “aristocratie du bouchon”, è necessario prenotare con molto anticipo. Ma ci si può fare un’idea del loro valore economico e del business che si nasconde dietro edifici tanto sontuosi anche vedendoli dall’esterno. Vale pertanto la pena di soffermarsi, viaggiando da sud a nord, davanti a Château Siran appartenuto agli avi del pittore Toulouse-Lautrec, all’armonioso Château Margaux, a Château Beychevelle, al maestoso Château Lafite-Rothschild e al curioso Château Cos-d’Estournel dalla silhouette orientale.
Lasciamo l’Haut-Médoc attraversando la Gironde in traghetto da Lamarque verso Blaye per dirigerci, sempre tra paesaggi vignati, ma di prestigio minore, verso altre mecche del vino: Pomerol e St-Èmilion.

Nella patria di Petrus
Qui il clima meno marittimo e più continentale rispetto al Médoc, quindi più fresco andando verso l’autunno, fa sì che il Cabernet Sauvignon incontri sovente difficoltà a maturare completamente: ecco quindi che il taglio viene maggiormente caratterizzato dal Merlot, integrato dal Cabernet Franc: è questo che fa la differenza rispetto al Médoc. A nord-est della graziosa cittadina di Libourne, con la sua bella piazza centrale, si trova la piccolissima regione del Pomerol, dove viene prodotto forse il più grande vino rosso al mondo, il Petrus (100% Merlot). La sua cantina è anonima e non segnalata, ma costituisce una mecca per gli amanti del vino. A sud-est di Libourne si estende invece la regione del Sain Èmilion, dove è piacevole perdersi per le stradine tra i vigneti alla ricerca di graziose chiesette romaniche (Montagne, St-Georges, St-Christophe-des-Bardes, St-Hippolyte) e di castelli più antichi di quelli dell’Haut-Médoc, come per esempio Château de Pressac dove venne firmato il trattato che mise fine alla guerra dei Cent’anni. Tra queste vigne gloriose scorgiamo anche un segno del Ticino, tracciato dalla penna dell’architetto Mario Botta: lo splendido Château Faugères che dialoga magistralmente con il paesaggio circostante.
Questa regione non soddisfa però solo le papille gustative ma anche il “plaisir des yeux” , come dicono i francesi. Saint-Èmilion è infatti uno splendido borgo medievale costruito con una pietra dorata, ricco di graziose piazzette e sinuose viuzze e iscritto nella lista dei Patrimoni mondiali dell’Unesco. Di particolare interesse l’Èglise monolithe, una chiesa benedettina a tre navate che a partire dal IX secolo fu scavata nella roccia: quindi più opera scultorea che creazione architettonica. Unica in Europa per le sue dimensioni: 38 metri di lunghezza, 20 di larghezza e 11 di altezza.

Nel Périgord Noir lungo la Dordogne
Eccoci giunti all’ultimo giorno di visite, prima del viaggio di rientro. Ci spostiamo verso est per circa 100 chilometri per visitare un’incantevole e romantica regione – il sud del Périgord Noir – risalendo il fiume Dordogne lungo un’opulenta valle dominata da una schiera di roccaforti. Il percorso del fiume si snoda tra campi fioriti delimitati da pioppi. Il paesaggio è incantevole, fiabesco. La prima tappa è il Castello di Milandes, dove visse a lungo la nota e provocante artista Joséphine Baker (1906-1975). Un percorso museografico racconta la sua vita avventurosa. Più avanti i castelli di Beynac e di Castelnaud (archetipo del castello medievale dei libri di storia), situati uno in faccia all’altro, ci ricordano le interminabili battaglie tra Francesi e Inglesi nel XIII e nel IVX secolo. Da Domne, un incantevole villaggio che domina una collina, la vista abbraccia tutta la valle della Dordogna segnata dal fiume che si snoda tra i campi disseminati di villaggi e fattorie. Forse il più incantevole di questi borghi è La Roque-Gageac, aggrappato a una falesia con le case dai colori caldi della pietra allineate lungo la Dordogne. Sulla cresta della falesia si può passeggiare lungo i viali dei Giardini di Marqueyssac per raggiungere un belvedere che domina la valle a picco sopra il villaggio La Roque-Gageac. Beynac-et-Cazenac è un altro borgo abbarbicato su un’altra impressionante falesia. Ultima meta, dulcis in fundo, è Sarlat-la-Caneda, una romantica cittadina medievale costruita con una pietra color ocra biondo, in cui è piacevole perdersi per le strette viuzze che sfociano in graziose piazzette. Il borgo, spesso utilizzato come set cinematografico, è stato scelto nel 1962 dal Governo francese come intervento pilota di salvaguardia dei nuclei storici di valore.

Itinerario

1° giorno
Locarno-Le Puy-en-Velay (612 km)

2° giorno
Le Puy-en-Velay-Conques-Rocamadour-Sauternes (586 km)

3° giorno
Sauternes-La Brède-Bordeaux (107 km)

4° giorno
Bordeaux

5° giorno
Bordeaux-Arcachon-Pyla sur Mer (80 km)

6° giorno
Bordeaux-Haut Médoc-Libourne (140 km)

7° giorno
Libourne-Pétrus-St. Émilion (70 km)

8° giorno
St. Émilion-Périgord Noir-Sarlat (150 km)

9° giorno
Sarlat-Locarno (924 km)

Bibliografia
Francia Guida Michelin, Milano 1997
Francia Touring Club Italiano, Milano 1994
Francia Sud-Ovest La Guida Verde Michelin, Milano 2008

Turchia – Sulle orme dei Greci e dei Romani

Turchia – Re Mida e le antiche civiltà
Turchia – Il fascino di Istanbul ieri e oggi, una società in rapidissima crescita

Alla scoperta della mitica Troia, che ispirò i poemi di Omero; di Pergamo con la sua straordinaria biblioteca; di Efeso, considerata la Pompei turca; di Didima, celebre per le sentenze del suo oracolo; di Afrodisia, la città dell’amore; delle cascate pietrificate di Pamukkale, emblema della Turchia turistica.

Le coste turche che si affacciano sul Mar Egeo, distanti un tiro di schioppo dalle isole greche, sono state nel corso dell’antichità fortemente legate alla cultura dapprima greca e in seguito romana. Risultano ricchissime di luoghi che testimoniano questo passato. L’Associazione archeologica ticinese ha organizzato un interessante viaggio nella regione alla scoperta dei siti più significativi e più interessanti. Ecco il mio diario di viaggio.

Il nostro itinerario non poteva non iniziare dalla mitica Troia, che deve il suo fascino letterario ai poemi di Omero. Nell’Iliade, il poeta narra le conseguenze del rapimento della bellissima Elena che fu sottratta al marito Menelao, re greco di Sparta, dal troiano Paride. Furioso Menelao mosse guerra a Troia, che fu vinta dopo dieci anni grazie al celebre stratagemma del cavallo di legno ideato dall’astuto Ulisse; Elena fu restituita al legittimo sposo. Nell’Odissea, Omero racconta invece il travagliato viaggio di ritorno a casa di Ulisse e la morte di Achille, colpito da Paride, figlio di Menelao, al tallone, unico punto vulnerabile del suo corpo.
È probabile che l’epica omerica sia basata sul ricordo di una serie di guerre del XIII secolo a.C. dovute a rivalità commerciali tra i greci di Micene e i troiani. Troia era infatti situata in posizione strategica su una bassa catena di colline, dalle quali si potevano controllare i traffici via mare e via terra.
Per secoli gli studiosi pensarono che i luoghi descritti da Omero fossero unicamente fonte della sua fantasia. Fino a quando, nel 1871, un archeologo dilettante, Heinrich Schliemann – un inquieto uomo d’affari tedesco che visse a lungo in Russia –, non portò alla luce Troia. Gli scavi hanno rivelato ben nove antiche città sovrapposte con datazione risalente fino al 3000 a.C. Oggi si ritiene che la città a cui si riferiscono le vicende narrate da Omero appartenga al VI periodo. Di fatto, per immaginarsi come poteva essere, bisogna lavorare molto di fantasia, ma se si ha la fortuna di disporre di una valida guida, come è successo a noi, si riesce comunque a vivere la magia di quel luogo immerso in una splendida natura. Gli oggetti più significativi trovati durante gli scavi sono esposti al museo archeologico di Istanbul.

A Pergamo s’inventò la pergamena
Il nostro viaggio prosegue a sud verso Pergamo, famosa per la sua biblioteca e per la scoperta della carta pergamena. In funivia si raggiunge l’acropoli, situata sulla cima di una collina, da cui si gode una magnifica vista sulla vallata fino al mare.
La vera nascita di questa città, di cui si hanno tracce già nel VI secolo a.C., risale ad Alessandro Magno, che morì nel 323 a.C. senza designare un successore. I suoi generali si spartirono allora il suo regno e Lisimaco assunse il controllo di gran parte della regione egea. Stanziatosi a Pergamo con un cospicuo tesoro di 9’000 talenti, partì per una guerra di conquista senza fare ritorno. Il suo luogotenente Filetero si appropriò così del tesoro e strinse una serie di alleanze militari con i vicini, che permisero ai suoi discendenti di far fiorire uno dei centri più importanti del mondo ellenistico, famoso soprattutto per la sua straordinaria biblioteca che vantava un patrimonio di oltre 200 mila volumi. Per far crescere la città e conferirle sempre maggior prestigio si progettarono monumenti importanti prendendo Atene come modello.
La biblioteca assunse una tale importanza da far temere ai responsabili di quella di Alessandria, ricca di ben 700 mila volumi, che alcuni suoi famosi studiosi potessero lasciare l’Egitto attratti da Pergamo. Per scongiurare questa concorrenza gli Egiziani sospesero l’esportazione del papiro del Nilo. Gli scienziati di Pergamo si misero allora al lavoro e inventarono la pergamena ricavata da pelli di animali.
Visitando l’acropoli ci si può rendere conto delle enormi proporzioni della biblioteca e dello splendore dei monumenti principali, come l’altare di Zeus, i cui straordinari bassorilievi – capolavoro dell’arte ellenistica – sono stati trasferiti a Berlino da Carl Humann, l’ingegnere tedesco che nell’Ottocento scoprì la città mentre stava costruendo una linea ferroviaria.

Alle origini della medicina
Un altro punto di grande interesse di Pergamo riguarda la visita dell’Asclepeion: ospedale e scuola di medicina tra i più famosi dell’antichità. Creato in epoca ellenistica, raggiunse il massimo della fama nel periodo romano quando vi lavorò Galeno, considerato il padre della medicina occidentale. Il malato veniva curato fisicamente e psicologicamente. La diagnosi veniva rivelata al paziente, mentre si trovava in uno stato di sogno-dormiveglia, dal dio Asclepio (Esculapio).
Si accede al sito percorrendo una lunga via sacra su cui anticamente si affacciavano botteghe. Su una colonna con bassorilievi è inciso un serpente, simbolo del dio della medicina. Esattamente come il serpente che si spoglia della propria pelle e risorge a nuova vita, così i pazienti dell’Asclepeion si spogliavano delle loro malattie. E tra costoro si annoverano nomi celebri come Adriano, Marco Aurelio e Caracalla.

A Efeso si respira l’aria del passato
Efeso è certamente il sito più spettacolare del nostro itinerario, tanto che alcuni la considerano la Pompei turca. Visitando questa città, che in età romana fu capitale di una provincia e raggiunse una popolazione di 250 mila abitanti, la vita del passato sembra ancora animare le rovine. Camminando lungo le vie dell’epoca romana, su cui si affacciano imponenti fontane, si possono visitare le terme, il grande teatro, la splendida biblioteca di Celso, che è stata rimessa in piedi, la piazza del mercato, il tempio di Adriano, i curiosi gabinetti pubblici, il postribolo e i quartieri abitativi.
Efeso era già prospera nel 600 a.C., ma ciò che noi oggi visitiamo risale all’età romana. Era un centro commerciale e religioso di grande importanza. Il suo monumento più rinomato, di cui rimane però purtroppo poco da vedere, è certamente il tempio eretto in onore di Cibele dapprima, di Artemide in seguito, e considerato nell’antichità una delle sette meraviglie al mondo. Il santuario, che venne più volte ricostruito, fu meta di pellegrinaggi a partire dall’800 a.C.. Sorprende per le sue incredibili dimensioni, 110 metri per 55, se paragonate a quelle di un tempio normale che erano di 30 metri per 10.

Dall’oracolo a Didima invece che a Delfi
Proseguiamo in direzione sud e raggiungiamo Mileto, che dal 700 a.C. al 700 d.C., quando le acque del mare lambivano ancora la città, fu un importante centro commerciale e amministrativo, grazie al suo porto. Famosa per la sua urbanistica molto moderna, affascinante per le sue terme, il suo monumento più imponente è il grande teatro, che a testimonianza dell’importanza della città, poteva ospitare 15 mila spettatori. Collegato a Mileto da una via sacra lunga 17 chilometri, ancora oggi in aperta campagna, sorge il suggestivo tempio di Apollo a Didima, dove operava un oracolo considerato autorevole quanto quello di Delfi. Giunti sul posto i pellegrini ponevano le loro domande ai sacerdoti, che attraversando una galleria – tuttora esistente – entravano nel tempio e le riferivano all’oracolo, il quale ispirato da dio proponeva le sue risposte, che venivano poi comunicate ai fedeli. Il sito è molto ben conservato e permette di immaginare queste dinamiche di culto.

Afrodisia, città della dea dell’amore
Lasciamo la costa lungo il Mar Egeo per inoltrarci nell’entroterra. Situata su un altopiano all’altezza di 600 metri ci accoglie Afrodisia, circondata da montagne. Molto meno affollata, ma ben conservata quasi quanto Efeso, rende bene l’idea della grandiosità e delle imponenti dimensioni delle città classiche. Per molti secoli fu soprattutto un luogo sacro, dove si celebrava il culto di Afrodite (o in età romana di Venere) e ancor prima della dea assira dell’amore e della guerra: Nin. Si trasformò in città solo nel II secolo a.C. e divenne capitale della provincia romana della Caria. La maggior parte delle rovine, in buono stato di conservazione, risale dunque al periodo di Roma. Il monumento più celebre è certamente l’imponente tempio di Afrodite, trasformato in basilica cristiana attorno al 500 d.C.. Impressionante lo stadio, che con i suoi 270 metri di lunghezza e una capienza di 30 mila spettatori era uno dei più grandi del mondo antico. La città è famosa anche per la sua scuola di scultura. Nel piccolo museo sono esposte alcune opere, come la statua di Afrodite, che testimoniano l’abilità degli scultori locali.

Cascate pietrificate a Pamukkale
Le cascate pietrificate di Pamukkale rappresentano una delle immagini turistiche più celebrate della Turchia moderna. Si tratta di bianche e splendenti formazioni calcaree, formatesi in seguito all’azione delle acque mineralizzate calde che, scorrendo lungo la parete rocciosa, si raffreddano e depositano il calcio di cui sono ricche. Nel corso dei secoli si sono create suggestive vasche di travertino attorno alle quali i Romani costruirono una grande stazione termale, denominata Hierapolis, per sfruttare le proprietà curative, note da millenni, di queste acque.
Attorno a questa incredibile e unica attrazione turistica era nata negli scorsi decenni una grande speculazione, che aveva gravemente compromesso il fascino del luogo. Nel corso degli ultimi anni le costruzioni abusive sono state distrutte e Hierapolis ha riacquistato il suo enorme charme. Ai turisti è ancora permesso bagnarsi nelle vasche di travertino, che sono di nuovo rifornite dalle originali sorgenti, mentre anni fa venivano dirottate verso le terme di improvvisati alberghi.
Accanto alle cascate pietrificate si può visitare l’antica Hierapolis fondata in età romana. Particolarmente suggestiva la necropoli, con più di 1200 tombe, costituite da tumuli, sarcofagi o monumenti sepolcrali a forma di casa, e in qualche caso anche di palazzo. Al termine della nostra visita abbiamo percorso il lungo viale su cui si allineano queste testimonianze funerarie illuminate dall’ultima luce del giorno, dopo avere assistito allo spettacolo delle cascate pietrificate che riflettono i colori del tramonto.

Itinerario

1° giorno
Lugano-Milano-Istanbul-Canakkale

2° giorno
Canakkale-Troia-Pergamo-Kusadasi

3° giorno
Kusadasi-Efeso-Mileto e Didima-Kusadasi

4° giorno
Kusadasi-Afrodisia-Hierapolis (Pamukkale)

5° giorno
Pamukkale-Usask-Gordio-Ankara

6° giorno
Ankara-Hattusa-Yazilikaya-Alachahöyük-Ankara

7° giorno
Ankara-Istanbul

8° giorno
Istanbul

9° giorno
Istanbul-Milano-Ticino

Bibliografia
Turchia Clup Guide, Milano 1989
Turchia Le Guide Mondatori, Milano 2011

Turchia – Il fascino d’Istanbul ieri e oggi, una società in rapidissima crescita

Turchia – Sulle orme dei Greci e dei Romani
Turchia – Re Mida e le antiche civiltà

Il nostro itinerario archeologico in Turchia alla scoperta dei vari periodi di civilizzazione di questo affascinante Paese non poteva non terminare con una sosta di due giorni – troppo breve – a Istanbul, l’antica Costantinopoli. La prima volta che visitai questa splendida metropoli è stato oltre quarant’anni fa, quando non avevo ancora vent’anni. Fu amore a prima vista. Era il mio primo incontro con l’Oriente. E allora l’atmosfera orientale la si respirava davvero a pieni polmoni. Ricordo che sull’antico ponte di Galata gli uomini fumavano la tipica pipa ad acqua, il “narghilé”. Girando per le vie del centro storico, all’ombra dei monumenti che testimoniano secoli di storia, incontravo molte donne con il volto coperto. E poi ricordo i canti dei “muezzin” al tramonto per chiamare i fedeli alla preghiera e la gente che al Gran Bazar interrompeva il lavoro per recarsi alla moschea. Sono poi tornato sulle rive del Bosforo più volte a distanza di anni. Negli anni Ottanta mi ci recai – con grande sorpresa di amici e colleghi – per visionare un modernissimo impianto di impaginazione per giornali. Gli americani avevano deciso di installare lì il loro modello pilota per l’Europa. Era un segno che quella società si stava muovendo, soprattutto nella sua metropoli principale. Oggi di quella Istanbul che avevo visto da ragazzo e che tanto avevo amato rimane poco. Nel centro storico, il quartiere per intenderci di Santa Sofia e della Moschea Blu, case fatiscenti stanno per essere restaurate e la nostra guida ci dice con orgoglio: “Vedrete, fra qualche anno che meraviglia diventerà questo quartiere!”. Lontano dai luoghi storici e turistici la metropoli si è sviluppata ed europeizzata all’inverosimile e conta ormai 16 milioni di abitanti. In piazza Taksim, il centro moderno, le ragazze vestono all’occidentale. Per incontrare donne velate bisogna salire sulla spianata del Topkapi, davanti alla Moschea Blu, dove giungono le turiste da Paesi arabi lontani. Lo stesso discorso vale per il Gran Bazar, uno dei mercati più famosi al mondo, dove la merce esposta è ormai globalizzata. La periferia di Istanbul è sterminata, con grattacieli bene ordinati. Vi si respira la stessa atmosfera che in Cina: ovunque si volga lo sguardo si vedono cantieri edilizi, a testimonianza di una crescita economica rapidissima. La stessa impressione l’ho provata ad Ankara, ma anche nelle campagne del sud-ovest e del centro del Paese. Le antiche case contadine giacciono ormai abbandonate: sono state sostituite da grandi caseggiati disposti secondo un preciso piano regolatore. In un vasto campo, accanto a un villaggio agricolo, mi ha colpito la presenza di uno di questi casermoni: solitario come una pianta in mezzo alla campagna. Ma presto sarà affiancato da altri, che sorgeranno in modo ordinato, perché in questo Paese la crescita è inarrestabile. Come europeo, se penso a ciò che sta avvenendo nel vecchio continente, non posso non interrogarmi sugli anni a venire e giungere alla conclusione che noi stiamo probabilmente finendo un ciclo, mentre in Turchia si guarda ancora al futuro con fiducia.

Turchia – Re Mida e le antiche civiltà

Turchia – Sulle orme dei greci e dei romani
Turchia – Il fascino di Istanbul ieri e oggi, una società in rapidissima crescita

Dall’epoca romana ed ellenistica facciamo un salto indietro nel tempo alla scoperta delle più antiche civiltà che hanno popolato l’attuale Turchia. Tra cui quella del famoso Re Mida, che trasformava in oro tutto ciò che toccava.

Visitiamo i siti archeologici dell’età ittita, che corrisponde al secondo millennio a.C., e dei regni di Frigia del leggendario re Mida (VIII secolo a.C.) e di Lidia del ricchissimo Creso (VI secolo a.C.) che seguirono al mondo ittita. Prosegue così l’itinerario organizzato dall’Associazione archeologica ticinese in terra turca, con tappa naturalmente anche ad Ankara per visitare il prestigioso Museo delle civiltà anatoliche, dove sono stati raccolti gli oggetti più preziosi provenienti dai principali siti archeologici.
Al di fuori del mondo mesopotamico, gli Ittiti sono il popolo civilizzato più antico che si conosca di quel periodo. Di grande importanza è l’età definita del “grande impero” (XIII secolo a.C.), durante il quale gli Egiziani e gli Ittiti si divisero il mondo di allora. Dopo la guerra di Kadesh (1290 a.C.), in cui i due eserciti si scontrarono senza veri vincitori e vinti, i sovrani dei due paesi finirono per stringere un patto di alleanza di estrema modernità, tanto da prevedere addirittura l’estradizione per chi compiva reati. È di questo periodo anche la conquista di uno sbocco sul Mar Egeo, che apriva agli Ittiti nuovi confini. Gli elevati livelli culturali raggiunti da questa civiltà sono testimoniati dagli splendidi oggetti rinvenuti sui siti archeologici. La storia di questo popolo di origine indoeuropea la si conosce invece grazie alla scoperta di diverse tavolette scritte in caratteri cuneiformi, che soltanto dopo molti anni di studi è stato possibile decifrare. Parlano dei loro rapporti con gli Assiri e con l’Egitto, ma anche di contratti, di codici, di leggi, di procedure e di riti religiosi, di profezie degli oracoli e di letteratura. La forza militare degli Ittiti era determinata dall’uso della cavalleria, che grazie alla scoperta di un carro da guerra con ruote a raggi, si spostava con particolare rapidità di movimento sul campo di battaglia. A bordo del carro prendevano posto l’auriga, un arciere e un soldato con lo scudo per garantire la difesa.

Hattusa, capitale dell’impero ittita
Molto suggestiva è la visita di Hattusa, l’immensa capitale dell’impero ittita, con le sue solide mura costruite in pietra, che anticamente si estendevano per sei chilometri e con diverse porte di accesso, tra le quali imponenti e ben conservate sono quelle dette “dei leoni” e “del re”, dalle statue che le fiancheggiano, i cui originali sono attualmente conservati ad Ankara, così come diversi altri oggetti qui rinvenuti, tra i quali due recipienti in terracotta di notevoli proporzioni (90 centimetri) a forma di toro, in ottimo stato di conservazione.
Oggi dei grandi palazzi di un tempo sopravvivono solo le fondamenta in pietra calcarea, ma il sito sprigiona un fascino particolare: all’armonia delle colline color del grano su cui è stata costruita la città, si contrappongono imponenti e minacciosi massi rocciosi che conferiscono al luogo una forza incredibile. Questa atmosfera quasi soprannaturale è ancor più presente in uno straordinario santuario rupestre del XIII secolo a.C. (Yazilikaya). Il tempio è stato ricavato dalla natura e si compone di due gallerie su cui sono stati scolpiti magnifici bassorilievi a sfondo religioso. Celebre è il “Corteo delle dodici divinità” raffigurate da guerrieri armati.
Una trentina di chilometri verso nord separano Hattusa da Alacahöyük, centro fiorente della cultura preittita Hatti, dove sono state rinvenute tredici prestigiose tombe reali risalenti a un periodo tra il 2200 e il 1900 a.C.. Questi sepolcri di forma rettangolare –lunghi fino a 7 metri e larghi 3 – erano protetti da un muro in pietra grezza ricoperto di travi in legno su cui venivano posti i crani e gli zoccoli degli animali sacrificati durante i riti funebri. Gli scavi hanno portato alla luce oggetti artistici di bronzo, oro e argento di incomparabile bellezza, che raffigurano la concezione del mondo di allora e che venivano usati durante i servizi divini. Oggi sono esposti ad Ankara e rappresentano una buona parte del tesoro archeologico del Museo delle civiltà anatoliche.

I tesori di Creso re dei Lidi e di Re Mida del regno dei Frigi
I regni di Lidia e Frigia si riferiscono allo stesso territorio, popolato prima dai Frigi, che si sostituirono agli Ittiti, e in seguito dai Lidi, che furono soppiantati dai Persiani.
Gordio, la capitale dell’antica Frigia, si trova un centinaio di chilometri a ovest di Ankara. Il paesaggio è molto suggestivo perché cosparso di tumuli funerari, la maggior parte dei quali non ancora scavati dagli archeologi. Si tratta insomma di una grande necropoli all’aperto, che si può bene osservare dalla collina più elevata su cui sorgeva l’acropoli. Il tumulo più alto – 60 metri di altezza e 300 di diametro – ospita la tomba intatta di un re frigio dell’VIII secolo a.C., che si presume si chiamasse Mida o Gordio. Al tumulo si accede da una galleria laterale attraverso un lungo corridoio che conduce a una sorta di casetta in legno di cedro e circondata da tronchi di ginepro. Vi è stato rinvenuto il corpo di un uomo di età stimata tra i 60 e i 65 anni, alto 1 metro e 59 centimetri, intorno al quale erano deposti alcuni oggetti funerari, esposti in parte nel museo adiacente e in parte – i più preziosi e in particolare due tavolini pieghevoli in legno intarsiato – al Museo delle civiltà anatoliche di Ankara.
Legate a re Mida sono nate molte leggende. La più famosa tramanda una lezione morale sull’avidità. Si narra infatti che il re frigio abbia chiesto a Dioniso il potere di trasformare in oro tutto ciò che toccava. Ben presto si accorse di essere stato preso alla lettera: il cibo al tatto si trasformava in oro, così come accadde alla figlia durante un affettuoso abbraccio. Il re chiese allora a Dioniso di liberarlo da questa maledizione. Questi gli disse di immergersi nel fiume, le cui sabbie divennero aurifere.
Nel Museo Archeologico di Usak è esposto invece il cosiddetto “Tesoro di Creso”, costituito da uno splendido corredo per banchetti in argento, da gioielli e da una serie di tavole dipinte: tutti oggetti risalenti alla seconda metà del VI secolo a.C. e che furono al centro di un piccante giallo internazionale. Proveniente da tumuli funerari scavati da tombaroli, il tesoro finì negli Stati Uniti al Metropolitan Museum di New York. La polemica scoppiò nell’85 quando il prestigioso museo presentò una mostra in cui vennero annunciati straordinari reperti greco-orientali. Un giornalista americano, dopo avere intuito la provenienza del tesoro, prese contatto con un collega turco. Ne nacque un’inchiesta giornalistica internazionale, che, facendo leva su dissidi sorti tra i tombaroli turchi, poté dimostrare come il tesoro fosse stato trafugato negli Stati Uniti dalla Turchia. La questione assunse risvolti penali e politici e nel giro di dieci anni gli oggetti tornarono a Usak, dove erano stati rubati.

Itinerario

1° giorno
Lugano-Milano-Istanbul-Canakkale

2° giorno
Canakkale-Troia-Pergamo-Kusadasi

3° giorno
Kusadasi-Efeso-Mileto e Didima-Kusadasi

4° giorno
Kusadasi-Afrodisia-Hierapolis (Pamukkale)

5° giorno
Pamukkale-Usask-Gordio-Ankara

6° giorno
Ankara-Hattusa-Yazilikaya-Alachahöyük-Ankara

7° giorno
Ankara-Istanbul

8° giorno
Istanbul

9° giorno
Istanbul-Milano-Ticino

Bibliografia
Turchia Clup Guide, Milano 1989
Turchia Le Guide Mondatori, Milano 2011