Canarie – La sfida di un architetto contro la speculazione

Canarie – A spasso tra vulcani e deserti

Come proteggere l’ambiente e le bellezze naturali contro lo sviluppo incontrollato del turismo senza però rinunciare al progresso economico? È stata questa la sfida di César Manrique (1919-1992), intellettuale, architetto, scultore, pittore nella sua amata isola di Lanzarote alle Canarie. Una sfida vinta in parte. Attraversando i villaggi all’interno di Lanzarote si può notare come lo stile architettonico tradizionale di piccole e basse abitazioni bianchissime, seppur interpretato in chiave moderna, sia rimasto la norma. Anche i borghi che si affacciano sul mare sono in gran parte stati risparmiati dalla speculazione edilizia. Questo impegno di Manrique è stato riconosciuto dopo la sua morte dall’Unesco, che ha dichiarato l’intera isola “Riserva della Biosfera”. Certo, la natura ha fatto la sua parte, ma Lanzarote non sarebbe quella che è oggi se Manrique non avesse deciso di realizzare la sua tela artistica direttamente sul territorio del suo paese.
Già durante gli studi di architettura all’Università di Tenerife e in seguito di Belle Arti a Madrid coltivava il sogno di disegnare le sue opere direttamente nel paesaggio. Tanto che sull’isola sono in molti a pensare che ci sia una Lanzarote prima e una dopo Manrique. Lui ha proposto con successo un modello di sviluppo alternativo, convinto che fosse possibile una sintesi tra arte e natura e un’integrazione tra diversi linguaggi artistici: pittura, scultura, disegno e architettura. Il suo genio ha reinventato il paesaggio, interpretando in chiave moderna l’estetica originale dell’isola.
Nato ad Arecife nel 1919, nel ‘37 Manrique si arruolò come nell’esercito franchista, ma nel ’39 ritornò sull’isola e diede fuoco alla sua divisa. Dopo gli studi trascorse parecchi anni a New York, dove divenne pupillo di Nelson Rockefeller ed espose al Museo Guggenheim. Nel ’68 tornò a Lanzarote. Erano gli anni in cui si decideva se lo sviluppo turistico dovesse corrispondere a colate di cemento e grandi alberghi o al rispetto del paesaggio e a costruzioni in armonia con la natura. In questo periodo Manrique organizzò manifestazioni di protesta e fondò il gruppo ambientalista “El Guincho” riuscendo a fare approvare al governo leggi che regolamentavano lo sviluppo urbanistico con norme per stabilire l’altezza, lo stile e il colore degli edifici. Ma non si limitò alla protesta, propose anche realizzazioni turistiche, che oggi sono alcuni tra i luoghi più spettacolari di Lanzarote: lo scenografico ristorante nel Parco Nazionale di Timanfaya che domina i crateri vulcanici, il “Mirador del Rio”, straordinario punto panoramico splendidamente integrato nell’ambiente roccioso della scogliera, il “Jameos del Agua”, un intervento architettonico moderno in un suggestivo mondo sotterraneo, i “Juguetes del Viento”, dei monumenti mobili che accompagnano il turista nella sua visita dell’isola. Senza dimenticare la sua casa, oggi “Fundación César Manrique”, costruita su un terreno coperto di lava e ceneri sfruttando cinque bolle vulcaniche formatesi oltre 200 anni fa.

Corsica – Coste selvagge e rocce scolpite

Corsica – L’introversa terra di Napoleone
Corsica – La battaglia della Corsica per un’identità oppressa
Corsica – Per Napoleone la Corsica era solo “un’escrescenza”

Un percorso dal golfo di Porto con le sue indimenticabili “guglie” vulcaniche rosse, che emergono dal Mediterraneo erose dall’acqua e dal vento, alle dolci colline della Falange con i villaggi affacciati sul mare.

I greci la chiamavano Kallisté, la più bella: un nome quanto mai appropriato per la Corsica, la splendida isola che ha ispirato numerosi scrittori e pittori, come Matisse, il quale sosteneva che il suo amore per il sud era proprio nato durante un soggiorno ad Ajaccio.
Arrivando in aereo, sopra il velo di foschia steso sul mare si vedono emergere le cime delle impervie montagne (50 vette superano i 2000 metri) illuminate dal sole. Man mano che ci si abbassa si scorgono ampi golfi, villaggi annidati sulle montagne, dolci colline. E’ proprio la scoperta di indimenticabili paesaggi marini, collinosi e montani a farvi amare questo splendido paese con oltre 1000 chilometri di coste e con cime che toccano i 2700 metri.
Ogni anno oltre 2 milioni di turisti atterrano o sbarcano sull’ “Ile de Beauté”: i due terzi sono francesi, seguiti da italiani, tedeschi e inglesi. Con soli 300 mila abitanti, nonostante il suo territorio corrisponda a un quinto di quello elvetico, l’isola è poco abitata. Il nostro itinerario si sviluppa lungo la costa occidentale – più esposta ai venti e più frastagliata rispetto a quella orientale diritta e monotona – e visita le parti più spettacolari della Corsica: il Golfo di Porto con le sue indimenticabili rocce vulcaniche rosse che emergono dal mare, scolpite dall’acqua e dal vento; le dolci colline della Balagne con i villaggi affacciati sul Mediterraneo e il Cap Corse, la selvaggia regione a nord dell’isola, che punta il dito verso il continente.
Per evitare due scali, scegliamo il volo diretto più vicino al Ticino che parte dall’aeroporto di Basilea-Mulhouse, ma l’isola è raggiungibile anche in traghetto da Livorno (circa 4 ore) e dalla costa francese (circa 10 ore). Il volo Easy Jet da Basilea atterra ad Ajaccio, capitale dell’isola, dove noleggiamo un’automobile di piccole dimensioni, dato che le strade sono molto strette. Nonostante l’isola abbia dimensioni ridotte – è lunga 183 chilometri e larga 83 – la circolazione è molto lenta (40 chilometri orari di media), salvo su poche arterie principali dove il traffico è più scorrevole.
Rimandiamo la visita di Ajaccio, animata, talvolta caotica e simpatica città, alla fine del viaggio e ci dirigiamo verso il Golfo di Porto, la meta più spettacolare del nostro viaggio. Lungo la strada costiera del Golfo di Sagone (il più ampio dell’isola) si ha un primo approccio alla bellezza selvaggia del paesaggio con il mare di un blu profondo che spicca tra gli scogli rosa e il verde della macchia mediterranea. A Cargese, il villaggio che chiude il golfo, vive una colonia di 300 famiglie greche, che sbarcarono in Corsica dal Peloponneso nel 1676 per sfuggire a una faida in corso nel loro paese. Oggi vivono pienamente inserite nello stile di vita corso, anche se osservano ancora la liturgia religiosa greca e celebrano i matrimoni seguendo l’antica tradizione di incoronare gli sposi con foglie di vite e rami di olivo.

Uno spettacolo naturale
Tutto un popolo mostruoso, un serraglio di incubi pietrificati dalla volontà di qualche dio stravagante”. Guy de Maupassant durante un viaggio in Corsica nel 1880 descrisse così le “Calanche”, che si trovano tra Porto e Piana. Soprattutto al tramonto, quando si colorano di sfumature dal rosso al viola, le particolari formazioni rocciose (i cosiddetti tafoni) scavate dal vento e dall’acqua si presentano come esili colonne, strane teste, torri appuntite alte fino a 300 metri. Il modo migliore per apprezzarle è una facile passeggiata (a metà strada tra Porto e Piana, in località Tête de chien) che attraversa angusti passaggi intorno a sagome simili ad alberi e caverne e porta fino a Château Fort, una spianata dalla quale si possono godere scorci superbi sul golfo e sulle “Calanche”.
Le rocce che spuntano perpendicolari dalle acque del Mediterraneo, sono spettacolari soprattutto se ammirate dal mare. In partenza da Porto diverse compagnie (meglio scegliere quelle con piccole imbarcazioni) organizzano escursioni di mezza giornata nel golfo, che permettono di raggiungere anche la meravigliosa riserva naturale di Scandola, accessibile solo via acqua. Si tratta di un altro sbalorditivo scenario naturale costituito da un sistema di grotte e faglie originate dalle eruzioni vulcaniche avvenute 250 milioni di anni fa. Anche qui i colori degli scogli, che variano dal grigio carbone del granito ai rossi incandescenti e ai viola ruggine del porfido, contrastano con il blu profondo del mare e il verde della vegetazione ricca di specie rare. Notevole anche il patrimonio faunistico della regione dove si possono osservare le caprette selvatiche arrampicarsi sulla roccia e con un po’ di fortuna il falco pescatore planare su nidi che occupano le punte degli scogli.
Una bellissima passeggiata a piedi (circa 5 ore andata e ritorno, con scarpe da montagna) permette di raggiungere la torre genovese che si trova sulla punta del Capo Rosso, estremità meridionale del golfo di Porto, da cui il panorama è splendido. Il sentiero parte da un ampio posteggio che si trova sulla Route de Ficajola, lasciando Piana in direzione della Plage d’Arone. Durante tutto il viaggio in Corsica abbiamo incontrato numerose di queste torri, sempre situate in luoghi con magnifici panorami. Ne rimangono una sessantina delle originali 85 realizzate lungo il litorale, visibili una dall’altra, in modo da poter comunicare tra loro. Avevano scopi difensivi, soprattutto per cautelarsi dalle incursioni dei pirati, e formavano una capillare rete di controllo che, grazie a un sistema di segnalazioni, permetteva a un messaggio di essere diramato in tutta l’isola in appena un’ora.
Terminata l’escursione – è consigliabile partire il mattino presto perché tutto il tragitto è esposto al sole – proseguendo sulla spettacolare Route de Ficajola si raggiunge la bellissima spiaggia di Arone, dove nel corso della seconda guerra mondiale, il 7 febbraio 1943, il sottomarino Casabianca sbarcò i primi carichi di armi e provviste per i partigiani corsi che combattevano l’esercito di Mussolini, presente sull’isola con ben 85 mila soldati.

I ridenti villaggi della Balagne
Un ultimo splendido panorama sul golfo di Porto con le sue meraviglie naturali lo si può ammirare prendendo la “D81”, denominata in questo tratto Route des Plages, in direzione di Calvi, quando si giunge in vetta al Col de la Croix. La strada prosegue quindi per alcuni chilometri nell’entroterra, ma si può riprendere lo spettacolare percorso lungo la costa imboccando la stretta e un po’ sconnessa “D81a” fino a Calvi, che appare da lontano con le sue belle spiagge di sabbia e con l’inconfondibile cittadella medievale fortificata a picco sul mare. Le vie del centro storico, invase dai turisti, sono animate e caotiche.
Si prosegue verso l’entroterra alla scoperta della Balagne, terra di ridenti colline affacciate sul mare e uno dei territori più fertili dell’isola. Seguendo la D151 si scoprono alcuni dei villaggi più suggestivi di questa regione agricola fortemente legata alla tradizione corsa. Passando per Montemaggiore, che offre uno splendido panorama sul golfo di Calvi dal sagrato della sua chiesa barocca, valicando il Col de Salvi, che pure offre belle vedute sulla regione, si arriva a Sant’Antonino, il più pittoresco e il più noto villaggio della Balagne. Arroccato a nido d’aquila su uno sperone roccioso il paese fortificato, costruito per difendersi dagli attacchi dei Saraceni, si erge a 500 metri sul livello del mare ed è disposto a cerchio. Le sue origini, come quelle del vicino borgo di Pigna, pure molto pittoresco, sono tra le più antiche dell’isola e risalgono al IX secolo. Con i suoi edifici color arancione accalcati l’uno contro l’altro, con la sua pianta circolare e le sue strette viuzze ricoperte di ciottoli e passaggi a volta sembra essere rimasto intatto da secoli.
La storia della Balagne è stata caratterizzata dalle lotte fra i clan di Corbara e di Sant’Antonino fino al XIX secolo, epoca in cui quest’ultimo visse l’apice del suo splendore. Lotte che hanno portato a violenti spargimenti di sangue spesso basati su un esasperato senso dell’onore. Bastava un adulterio, un’offesa o una diffamazione di qualsiasi tipo per portare a interminabili faide tra clan, perché ogni membro sapeva di poter contare per tutta la vita sull’incondizionata e assoluta solidarietà dei membri della sua famiglia allargata. I clan regolavano così le loro dispute senza ricorrere alla legge, facendosi giustizia da sé: l’omicidio era considerato un sacro dovere nei confronti della famiglia.

Itinerario

1° giorno (70 km – 1.30h) Basilea – Ajaccio – Piana
2° giorno Il Golfo di Porto – La riserva naturale di Scandola – Les Calanches
3° giorno (200 km – 5h) Piana – Calvi – La Balagne – Saint-Florent
4° giorno (120 km – 3h) Saint-Florent – Patrimonio – Cap Corse – Erbalunga
5° giorno (200 km – 4h) Erbalunga – Serra di Piano – Col de Teghime – Corti – Ajaccio
6° giorno (30 km) Ajaccio – Il gofo di Ajaccio – La Route des Sanguinaires e Pointe de la Parate
7° giorno (140 km) Costa Sud del Golfo d’Ajaccio
8° giorno Ajaccio – Basilea

Per saperne di più
Corse La Guide Vert Michelin, Clermont-Ferrand 2011
Corsica Rough Guides, Vallardi, Milano 2009
Corsica Lonely Planet, Torino 2013

Corsica – La battaglia della Corsica per un’identità oppressa

Corsica – Coste selvagge e rocce scolpite
Corsica – L’introversa terra di Napoleone
Corsica – Per Napoleone la Corsica era solo “un’escrescenza”

La Corsica è una terra splendida, con paesaggi incontaminati e ricca di tradizioni. Quest’isola non è però nota alla cronaca solo per le sue bellezze naturali, ma anche per i disordini e per le violenze causate dai movimenti autonomisti. Disordini e violenze che trovano certamente una spiegazione nella sua posizione geografica strategica che l’ha sempre resa terra di conquista per le potenze europee e del Mediterraneo. Nel corso dei secoli la Corsica è infatti stata ambita preda di pisani, genovesi, francesi, saraceni, spagnoli, britannici, senza dimenticare le truppe dell’Impero Romano e quelle del germanico Sacro romano impero.
Tutti questi occupanti hanno sempre tenuto in scarsa considerazione le aspirazioni dei corsi, che si sono battuti per secoli contro gli usurpatori stranieri. A lasciare la maggiore impronta sull’isola sono certamente stati quasi cinque secoli di dominazione genovese, dal 1284 al 1768, che seguivano a oltre due secoli (1077-1284) di occupazione pisana. Genova era confinata in un piccolo territorio e la Corsica era di notevole importanza strategica per lo sviluppo dei suoi commerci. Non fu quindi un caso se si affrettò a trasformarla in una sua roccaforte, adottando una politica repressiva e colonialista, erigendovi fortezze e una cintura di centinaia di torri di guardia, molte delle quali si possono ammirare ancora oggi.
L’unico serio episodio di autonomia dell’isola è legato alla straordinaria figura di Pascal Paoli, intellettuale brillante e illuminato che leggeva Montesquieu, intratteneva corrispondenza con Rousseau e che donò alla Corsica uno dei primi testi costituzionali democratici al mondo, facendo parlare di sé in tutti i salotti del continente.Quello che mise in piedi dal 1755 al 1769 con Corti capitale, fu un vero Stato moderno, che ebbe però breve vita e scomparve un anno dopo il trattato di Versailles del 1768, con cui Genova vendeva l’isola ai francesi, nonostante un tentativo di alleanza di Paoli con gli inglesi. Con un decreto del 1789 la Francia stabilì che “la Corsica fa parte dell’impero e che i suoi abitanti saranno retti dalla stessa Costituzione che governa gli altri francesi”. E sarà proprio il più illustre figlio dell’isola, Napoleone Bonaparte, durante il suo regno a francesizzare definitivamente la Corsica. Da allora i movimenti indipendentisti hanno continuato a battersi con alterne fortune, ma commettendo anche diversi eccessi, come l’assassinio il 6 febbraio 1998 del prefetto francese Claude Erignac, il più alto rappresentante dello Stato sull’isola. Fino a quell’episodio molti corsi avevano manifestato una certa simpatia per l’iniziativa dei nazionalisti, unici ai loro occhi a difendere la causa insulare. Oggi, anche a causa di diversi scandali che hanno coinvolto gli autonomisti, molti cittadini si chiedono se la violenza, che in un recente passato ha colpito l’isola, si giustificasse davvero con le rivendicazioni politiche o se non fosse invece il frutto di una lotta tra bande in cerca di arricchimento personale.

Corsica – L’introversa terra di Napoleone

Corsica – Coste selvagge e rocce scolpite
Corsica – La battaglia della Corsica per un’identità oppressa
Corsica – Per Napoleone la Corsica era solo “un’escrescenza”

Alla scoperta di Cap Corse, la selvaggia regione a nord dell’isola che punta il dito verso il continente, di Corti, patria dell’indipendentismo isolano, e di Ajaccio, dove tutto ricorda la figura dell’imperatore e le sue imprese.

Prosegue il nostro itinerario in Corsica, l’isola che i greci chiamavano Kallisté, la più bella. Dopo aver visitato le meraviglie naturali del Golfo di Porto e aver girovagato tra le colline della Balagne arriviamo a St. Florent, da cui partiremo per visitare la regione costiera del Cap Corse e inoltrarci in seguito nelle regioni montagnose all’interno dell’isola per visitare Corti, l’antica capitale della Corsica indipendente e concludere il nostro viaggio ritornando sulla costa occidentale nel Golfo di Ajaccio.

Patrimonio, capitale del vino corso
Il grazioso villaggio costiero di St. Florent, considerato la Saint-Tropez dell’isola, è avvolto come una conchiglia dalle colline della regione agricola del Nebbio, di cui è capoluogo. A pochi chilometri dal mare si trova Patrimonio, punta di diamante della produzione vitivinicola dell’isola, con 500 ettari coltivati a vigna. Sin dal tempo dei Romani nei suoi vigneti abbarbicati sotto le spettacolari pareti bianche dei monti che circondano il paese si producono alcuni tra i migliori vini della Corsica. Come l’olio d’oliva e il formaggio di pecora, il vino è un prodotto curato da secoli e nel quale si rivela tutta la ricchezza dei sapori del Paese. Nel corso degli ultimi quarant’anni il vino corso ha fatto un notevole salto di qualità e la viticoltura è diventata un fattore economico importante: porta infatti il 30 per cento degli introiti agricoli. I vitigni più diffusi sono, per i vini bianchi, il Vermentino e il Moscato e, per i rossi, gli autoctoni Nielluccio, il più tipico dell’isola, e Sciaccarellu, con cui si produce un vino simile al chiantigiano Sangiovese.

Un dito puntato sul continente
Non ho mai visto una strada simile. Si arrampica letteralmente lungo la parete di una roccia che sovrasta il mare, con un sentiero che in alcuni tratti non è più ampio di un piede”. Così annotava nel suo diario a proposito di Cap Corse James Boswell, un viaggiatore inglese sbarcato sull’isola nel 1765. Oggi esiste una strada costiera lunga 110 chilometri, ma la situazione per gli automobilisti rimane critica, perché in molti tratti due veicoli non incrociano. Sebbene tortuosa questa arteria permette di percorrere una delle regioni più selvagge e spettacolari, spesso considerata un’isola nell’isola, un mondo a parte, perché rimase per secoli accessibile solo via mare, fino a quando, all’inizio dell’Ottocento, Napoleone costruì la strada. Forse anche per questo il paesaggio è rimasto selvaggio e spettacolare, scandito dalle torri costruite in epoca genovese per proteggere gli abitanti dalle incursioni saracene. Villaggi di pescatori e borghi arroccati sulle alture si alternano con morbidi rilievi coperti dalla macchia mediterranea che piomba nel mare da altezze vertiginose. Questa lingua di terra, particolarmente spettacolare sulla costa ovest, lunga 40 chilometri e larga 10, come un muto rimprovero appare sulle carte geografiche come un dito puntato verso quella Genova che per secoli dominò la Corsica. La macchia (maquis in francese), un intrico di rovi che arriva solitamente al ginocchio ma può anche crescere fino a due volte la statura di un uomo, ricopre ormai molte aree un tempo coltivate ed emana un profumo tanto particolare che Napoleone Bonaparte era convinto di poter riconoscere la sua isola a occhi chiusi fidandosi solo del suo olfatto. Una caratteristica appariscente dei pittoreschi villaggi che si alternano soprattutto lungo la costa occidentale sono le “ville degli Americani”, le “maisons d’Américains”, cioè le case di corsi emigrati nei Caraibi o in America Latina costruite con il denaro guadagnato nelle miniere d’oro o nelle piantagioni di caffè e di canna da zucchero. Si tratta spesso di stupefacenti palazzi coloniali con facciate ornate da balconi, circondati da terrazze coltivate a giardino con palme e piante esotiche e, naturalmente, con una splendida vista sul mare. Sono testimonianze storiche di una regione profondamente segnata dall’emigrazione. In un’isola di montanari poco aperti al mondo esterno i capo-corsini erano invece marinai e pescatori per tradizione, propensi ad allargare i propri orizzonti e conoscere lidi più lontani. Il fenomeno dell’emigrazione all’inizio dell’Ottocento interessò comunque tutta l’isola. La destinazione più frequente era la Francia, seguita dall’Italia, soprattutto Pisa e Livorno. Molti si fecero invece tentare dal sogno delle Americhe, soprattutto dal Perù, dal Messico e dal Venezuela. Seguì poi l’avventura coloniale, soprattutto nell’Africa del nord. Oggi in Corsica vivono 300 mila persone, mentre si conta che tra i 700 e gli 800 mila Corsi abbiano lasciato l’isola e 500 mila vivano in Francia.
Agli amanti del trekking il Cap Corse offre una splendida passeggiata, il cosiddetto “Sentiero dei doganieri” (“Sentier des Douaniers”) che collega in circa 8 ore di cammino il romantico paesino di pescatori di Centuri a Macinaggio, percorrendo la punta del capo e attraversando un paesaggio incontaminato.
Il nostro itinerario prevede invece di pernottare a Erbalunga sulla sponda orientale di Cap Corse, da cui nei giorni di bel tempo le isole toscane dell’Elba e di Capraia sembrano a un tiro di schioppo. “Nid des Peintres”, questo rifugio di molti pittori famosi si raccoglie attorno a una torre imponente e a un minuscolo porto di pescatori, che ospita un ottimo e pittoresco ristorante: “Le Pirate”.

Corti, capitale dell’indipendenza
Prima di puntare su Corti, che dista circa due ore d’automobile da Erbalunga, se il cielo è azzurro e la giornata nitida vale la pena di fare una piccola deviazione verso il Col de Teghime, ma soprattutto verso la Serra di Pigno a quota 960 metri, da cui si gode uno splendido panorama sui due versanti del Cap Corse.
Come una pietra preziosa incastonata in una corona di montagne”: con questa suggestiva immagine la guida Lonely Planet descrive la posizione di Corti, essenza dell’anima corsa e custode dell’identità insulare, situata allo sbocco di diverse valli e circondata da montagne frastagliate in un paesaggio davvero scenografico. Il centro storico, dominato dalla vertiginosa fortezza a nido d’aquila che sorge sopra uno sperone roccioso, è caratterizzato da un labirinto di strette strade a ciottoli che confluiscono nella vivacissima piazza principale, dedicata all’eroe dell’indipendenza Pasquale Paoli. Da un imponente statua il “babbu di a patria” rivolge il suo sguardo imperioso verso l’animatissimo corso principale, pure a lui dedicato. La cittadina vivace e accogliente con le sue antiche dimore e le botteghe artigiane conta 7 mila abitanti, ma durante il periodo scolastico si anima di giovani che frequentano la sua università – unica sull’isola – che propone le facoltà di diritto, economia e studi ambientali, ma soprattutto lingua, storia e letteratura corse. Obiettivo principale dell’istituto è infatti quello di studiare e valorizzare la cultura locale. Dopo un lungo periodo di esistenza clandestina, trent’anni fa la lingua corsa è stata protagonista di una stupefacente rinascita. Oggi viene insegnata a scuola ed è parlata con fierezza da un terzo della popolazione. Gli studiosi la considerano l’ultimo latino antico ancora parlato. Di origini celtiche liguri e con una forte influenza del toscano medievale, si dice che se Dante tornasse in vita la capirebbe! Nella fortezza di Corti si può visitare il museo etnografico che propone un suggestivo viaggio nella storia dell’isola.
Questa simpatica cittadina è considerata la patria del nazionalismo insulare, perché dal 1755 al 1769 fu la capitale del primo e unico Stato corso indipendente della storia voluto da Pasquale Paoli, che proclamò una delle prime costituzioni democratiche del mondo. L’esperienza si concluse nel 1769 dopo che i genovesi vendettero la Corsica alla Francia e l’esercito indipendentista fu sconfitto da quello francese.

La regione di Ajaccio patria di Napoleone
Il nostro itinerario nel nord ovest della Corsica si conclude ad Ajaccio con la visita del centro storico e del suo splendido golfo. In questa città tutto parla del suo figlio più illustre: Napoleone Bonaparte. Strade, monumenti e musei ricordano l’incredibile destino di questo grande uomo che nel 1811 per decreto imperiale elesse la sua città natale capitale dell’isola a scapito di Bastia, ma che con la Corsica ebbe sempre un difficile rapporto.
Le case dai colori caldi del magnifico lungomare dominato dalla cittadella fortificata costruita dai genovesi per intimidire la rivoltosa nobiltà locale, i fastosi palazzi che si affacciano su ampi viali fiancheggiati da palme, le vie animate – per non dire caotiche – del centro creano un’atmosfera meridionale rilassata molto apprezzata dai turisti. Lungo l’animatissima strada pedonale dedicata al Cardinal Fesch, zio di Napoleone, si affacciano boutique e ristoranti di lusso, oltre all’eccezionale museo d’arte Fesch e alla Chapelle Impériale dove sono sepolti i membri della famiglia Bonaparte. Poco distante si possono visitare anche il Salon Napoléon nel palazzo del municipio, che conserva alcuni cimeli dell’imperatore, e la sua casa natale.
Il Golfo di Ajaccio è uno dei più ampi dell’isola e offre interessanti gite sia in battello, sia in automobile. Percorrendo la cosiddetta “Route des Sanguinaires” in direzione ovest si raggiunge il grande posteggio della Punta della Parata, da cui si prosegue a piedi (andata e ritorno circa un’ora) verso la punta per poi salire alla torre genovese, dove il panorama spazia sulla costa rocciosa del golfo e sulle suggestive Îles Sanguinaires, che tanto ispirarono lo scrittore francese Alphonse Daudet. Il loro nome è dettato dal colore che assumono al tramonto. Di ritorno verso Ajaccio seguendo le indicazioni per Capo di Feno, in pochi chilometri si raggiunge l’idilliaca Plage de Grand Capo. Se da Ajaccio ci si dirige invece in direzione sud si incontrano dapprima innumerevoli belle spiagge di sabbia bianca, ma con scarso fascino, dato che la zona è molto costruita e turistica. Per trovare un’altra spiaggetta idilliaca in un luogo incontaminato bisogna invece dirigersi verso Capu Muro, che chiude a sud il golfo, e scendere lungo una strada dissestata a Cala d’Orzu. Invece di scendere al mare si può anche proseguire fino al termine della strada, dove inizia un facile (sono comunque necessarie scarpe da montagna) ma suggestivo sentiero tra la macchia mediterranea, che in due ore tra andata e ritorno porta alla torre genovese di Punta Guardiola, con una splendida vista su tutto il Golfo di Ajaccio.

Itinerario
1° giorno (70 km – 1.30h) Basilea – Ajaccio
Ajaccio – Piana
2° giorno Il Golfo di Porto – La riserva naturale di Scandola – Les Calanches
3° giorno (200 km – 5h) Piana – Calvi – La Balagne – Saint-Florent
4° giorno (120 km – 3h) Saint-Florent – Patrimonio – Cap Corse – Erbalunga
5° giorno (200 km – 4h) Erbalunga – Serra di Piano – Col de Teghime – Corti – Ajaccio
6° giorno (30 km) Ajaccio – Il golfo di Ajaccio – La Route des Sanguinaires e Pointe de la Parate
7° giorno (140 km) Costa Sud del Golfo d’Ajaccio
8° giorno Ajaccio – Basilea

Per saperne di più
Corse La Guide Vert Michelin, Clermont-Ferrand 2011
Corsica Rough Guides, Vallardi, Milano 2009
Corsica Lonely Planet, Torino 2013

Corsica – Per Napoleone la Corsica era solo “un’escrescenza”

Corsica – Coste selvagge e rocce scolpite
Corsica – L’introversa terra di Napoleone
Corsica – La battaglia della Corsica per un’identità oppressa

Napoleone Bonaparte è certamente il più illustre cittadino corso e ad Ajaccio, sua città natale, tutto parla di lui. Nacque nel 1769, un anno cruciale per la storia dell’isola perché segnò il passaggio dalla dominazione genovese a quella francese. Proprio in quell’anno infatti s’infranse il sogno del patriota Pascal Paoli di creare una Corsica indipendente, retta da una costituzione tanto liberale e innovativa da richiamare l’attenzione di Jean-Jacques Rousseau, che accarezzò l’idea di trasferirsi sull’isola per studiarne e scriverne la storia.
Napoleone ha certamente conferito una fama internazionale alla sua città natale, che nel 1811 venne decretata “cité imperiale”. Sebbene ad Ajaccio oggi la sua presenza sia ancora ovunque, molti abitanti considerano l’imperatore come un francese che ha fatto unicamente i suoi interessi e quelli della Francia, in disaccordo con il movimento indipendentista dell’eroe isolano Paoli. Talvolta questa disapprovazione, soprattutto all’interno delle frange indipendentiste, viene espressa in modi eclatanti: qualche anno fa la statua di Napoleone nella piazza principale di Ajaccio fu imbrattata. Paradossalmente, fu infatti proprio questo figlio della Corsica – condotto dal destino nella Parigi della Rivoluzione, ai piedi delle piramidi d’Egitto, ai confini dell’Europa, a Jena, a Trafalgar, nella lontana Russia -, ad adoperarsi per la francesizzazione dell’isola.
Lo stesso Napoleone d’altra parte serbava una certa amarezza nei confronti del suo luogo natio. Uno dei generali che lo aveva seguito in esilio a Sant’Elena raccontò di un colloquio in cui Napoleone gli citò un’affermazione di M. de Choisel, secondo cui “se fosse stato possibile si sarebbe dovuto spingere la Corsica sotto il mare con un tridente” e l’imperatore aggiunse con animosità: “Aveva ragione, quest’isola non è nient’altro che un’escrescenza!”.
Anche la storia della famiglia Bonaparte non facilita i rapporti con chi ha creduto o crede nell’indipendenza dell’isola. Carlo, il padre di Napoleone, era infatti segretario e sostenitore di Pascal Paoli, ma quando i francesi sconfissero definitivamente l’eroe isolano nella battaglia di Ponte-Nuovo egli giunse a patti con loro, sia diventando il rappresentante della nobiltà corsa all’Assemblea Nazionale, sia utilizzando i suoi contatti con il governatore francese sull’isola per ottenere l’istruzione gratuita per i propri figli. Fu così che il giovane Napoleone all’età di 9 anni lasciò l’isola grazie a una borsa di studio per l’accademia militare di Brienne, sul continente, un’istituzione voluta proprio per educare i figli della nobiltà alla loro condizione, e proseguì poi il curriculum alla prestigiosa École Militaire di Parigi. Dopo lo scoppio della Rivoluzione tornò in Corsica per promuovere con entusiasmo lo spirito rivoluzionario nella sua terra natale. Entrò però in conflitto con Paoli e i suoi seguaci, che nel 1793 cacciarono dall’isola lui e la sua famiglia. Napoleone aveva ormai fatto la sua scelta per una Corsica francese, tanto che cambiò il suo nome da Napoleone a Napoléon. Sulla sua isola ritornò una sola volta, quando fu costretto ad ormeggiare, al rientro dalla campagna in Egitto.

La vera cultura del territorio vive tra i vigneti del Lavaux

Un paesaggio culturale che coniuga l’essere umano con la natura esprimendo un lungo ed intimo rapporto tra la popolazione e il suo territorio”. Con questa impegnativa motivazione la regione del Lavaux, tra Losanna e Vevey, è stata inserita tra i patrimoni mondiali dell’umanità.Un paesaggio spettacolare, ma anche un luogo vissuto e testimone di una storia viticola antica di oltre mille anni. Una passeggiata a piedi in questa regione, soprattutto nelle prime settimane dell’ autunno, è un’esperienza indimenticabile.
Il Lavaux, che ha saputo resistere alla tentazione dell’urbanizzazione e si estende su una lunghezza di circa 40 chilometri, ha centri storici molto ben conservati e oltre 10 mila terrazzamenti a picco sul lago, costruiti dall’uomo nel corso dei secoli, che si animano in modo particolare durante il periodo della vendemmia. La regione è denominata la Terra dei tre soli, in virtù dei quali la vigna gode di una condizione privilegiata: il sole del cielo, di cui beneficiano i pendii più ripidi; il sole del lago, che funge da specchio; il sole dei muri, che immagazzinano il calore. Qui tutto ruota attorno alla viticoltura, i cui segreti sono stati tramandati nei secoli, nonostante le difficoltà legate ai ripidi pendii, alla filossera e ai capricci del tempo. I vini bianchi che nascono da questa terra arida e sassosa racchiudono una lunga tradizione. Nonostante l’esiguità del territorio, sono differenti tra loro a seconda delle diverse zone di produzione. A portare la viticoltura – disboscando questi scoscesi pendii lacustri e costruendo i primi stretti terrazzamenti – furono dei monaci all’inizio dell’XI secolo. Da allora questo mosaico della natura si è sviluppato e si propone in tutta la sua bellezza agli occhi del viandante moderno, che scopre non solo un paesaggio indimenticabile, ma anche la sua storia, percependo la volontà dei suoi abitanti di continuare a rimanere testimoni di un patrimonio unico al mondo. Passeggiando tra i vigneti del Lavaux si sente un’intensa interazione, rara ai giorni nostri, tra l’uomo e la natura, tra il viticoltore e la sua terra. Sul posto è distribuito un prospetto che indica tre itinerari alla scoperta di questo straordinario territorio, ma se non avete molto tempo raggiungete St. Saphorin in treno e iniziate da questo incantevole villaggio, stretto attorno alla sua chiesa cinquecentesca, un percorso a piedi a metà collina.
Il tratto più spettacolare e selvaggio è quello iniziale che porta fino a Rivaz, dove c’è un centro di degustazione che vi permetterà di scoprire i vini della regione. La passeggiata prosegue tra vigneti terrazzati , attraverso la zona del celebre Dézaley, quindi i borghi medievali di Epesses e Riex con la graziosa cappella del XV secolo, per giungere Cully in riva al lago e risalire a Grandvaux: dalla piazza potrete ammirare ancora dall’alto le zone attraversate, prima di risalire sul treno nella locale stazione.

Germania – Un “vecchio Est” da riscoprire

Germania – Atmosfere nordiche e medievali
Germania – Nella vita di due anziani la storia della Germania
Germania – Il peso di una guerra atroce sulle grandi città tedesche

Viaggio a Dresda, la Firenze tedesca, distrutta, come tante città, dai bombardamenti degli alleati durante la seconda guerra mondiale. E Sanssouci, la Versailles prussiana. Verso il Mar Baltico e i suoi bianchi villaggi.

Nella tragica estate del ’68 mi trovavo nella Germania Occidentale per seguire dei corsi di lingua tedesca all’università di Heidelberg, quando il mondo fu scosso per l’invasione di Praga da parte delle truppe del Patto di Varsavia (Unione Sovietica, Bulgaria, Ungheria, Polonia e Germania dell’Est), che ponevano fine al sogno di Alexander Dubcek di creare un “socialismo dal volto umano”. Proprio in quel periodo avevo programmato di recarmi a Berlino in auto. Visto quanto succedeva in Cecoslovacchia ero un po’ reticente ad attraversare la Germania dell’Est per raggiungere Berlino, allora divisa dal muro che separava la zona occidentale e quella orientale. Il mio amore per la scoperta mi indusse però a partire. Per raggiungere l’attuale capitale tedesca da occidente esistevano tre corridoi di accesso attraverso i territori dell’est. Ho scelto quello più a sud. Giunto alla frontiera tra le due Germanie, per entrare all’est si valicava un stretta porta tra due massicci blocchi di cemento armato e si accedeva a un altro mondo. Alla dogana veniva rilasciato un lasciapassare con indicato l’orario di entrata e quello entro cui si sarebbe dovuto lasciare il paese. Dato questo clima intimidatorio la Germania dell’Est non era ovviamente una meta turistica. Dopo la caduta dell’ “impero sovietico” e la riunificazione delle due Germanie (1990) mi ero sempre ripromesso di visitare l’ex DDR, cioè quella parte del paese che per quasi mezzo secolo aveva vissuto sotto un regime comunista. Ecco la ragione di questo mio viaggio, che poi si estenderà anche verso Lubecca e Amburgo, che sono sempre appartenute alla sfera occidentale. Ho tralasciato Berlino, che richiede un appuntamento a sé.

Dresda, la Firenze della Germania
Per raggiungere Dresda dal Ticino sono necessarie tra le 8 e le 9 ore di automobile, su autostrade trafficate, ma dove chi ama guidare lo può fare libero dalle “frustrazioni” dovute ai limiti di velocità. Il primo approccio a questa città, che era considerata la culla del barocco tedesco, evidenzia i gravissimi danni subiti dai bombardamenti degli Alleati durante la seconda guerra mondiale. Lo stesso quadro lo troveremo nelle altre città che visiteremo nel corso del viaggio. A Dresda, tutto il centro storico fu raso al suolo e anche il resto della città fu quasi completamente distrutto. A differenza di altri centri, che purtroppo andavano colpiti perché determinanti per il potere nazista, sulla necessità della distruzione della “Firenze dell’Elba” gli storici avanzano molti dubbi, tanto che Churchill, dopo il conflitto si distanziò da quell’operazione militare.
Dopo la riunificazione delle due Germanie, quindi nel corso dell’ultimo ventennio, molti monumenti sono stati restaurati o, meglio detto, ricostruiti. Dresda ha così in piccola parte riacquistato la bellezza settecentesca, ben celebrata nelle tele del Canaletto, con la Frauenkirche e la Semperoper, con il castello di Augusto II il Forte (1670-1733) e l’annessa Ehemalige Katolische Hofkirche, con lo splendido Zwinger, il palazzo eretto a gloria del principe che diede alla città il suo splendore barocco. Quell’Augusto il Forte, principe assolutista che si autonominò re Sole, affascinato dalle corti italiane e da Versailles, ossessionato dall’ostentare la sua grandezza, acquisì stravaganti collezioni di oreficeria e di gioielli, esposti per materiale (ambra, smeraldo, argento, eccetera) nella straordinaria Grünes Gewölbe. Il sovrano sassone collezionò anche eccezionali opere di grandi maestri antichi raccolte alla Gemäldegalerie Alte Meister, che non ha nulla da invidiare ai più rinomati musei del mondo. Un’altra perla è costituita dal Porzellansammlung, la più vasta collezione di porcellane al mondo con oggetti provenienti dal Giappone e dalla Cina, ma soprattutto dalla prima manifattura europea che ebbe la sua sede dapprima a Dresda e in seguito nella vicina cittadina di Meissen.

Castello Sanssouci, Versailles prussiana
Il castello di Sanssouci, che significa in francese senza preoccupazioni, costituiva per il re di Prussia Federico il Grande (1712-1786) il rifugio da Berlino e dalla moglie Elisabetta Cristina, entrambe poco amate. Questo sovrano, sebbene nemico del principato di Sassonia, aveva in comune con Augusto il Forte l’amore per le arti e per la cultura francese. A Potsdam, in uno splendido scenario a una cinquantina di chilometri da Berlino, immerso in un parco di 300 ettari, costruì alcuni edifici, tra cui spicca la sua austera residenza barocca a un piano, affacciata su giardini a terrazza che digradano verso il parco. Essendo presentata dalle guide come “la più grande opera artistica di questo genere in Germania”, mi aspettavo di trovare anche qui ostentazione di ricchezza e uno sfoggio di potenza attraverso l’architettura. E invece Sanssouci non è nulla di tutto ciò, ma la residenza intima di un sovrano potente per sfuggire alla vita di stato e dedicarsi alla cultura e all’arte ed incontrare ospiti con cui spesso sembra litigasse. Così come successe con il filosofo francese Valtaire, che dopo tre anni di permanenza a corte se ne andò denunciando i comportamenti dittatoriali di Federico e accusandolo di trattare “il mondo intero come uno schiavo”.
Le stanze preferite dal sovrano, veri capolavori del rococò prussiano, erano quella della musica, l’intima biblioteca, ricchissima di testi in lingua francese, dove nessuno all’infuori di lui aveva accesso, e quella dei marmi, dove si svolgevano le “tavole rotonde filosofiche”. Per percorrere a piedi il vastissimo parco ed ammirare le altre residenze, alcune successive a Federico, bisogna calcolare un paio d’ore. La visita a Sanssouci, per evitare lunghe attese, è consigliabile prenotarla via internet.

A nord verso il Mar Baltico
Circa 200 chilometri separano Potsdam, la città dove gli Alleati si incontrarono dopo la seconda guerra mondiale per decidere il futuro della Germania, dal Mar Baltico. Il nostro itinerario attraversa la bella regione dei laghi del Meclemburgo e punta direttamente a nord-est verso l’isola di Rügen, residenza di personaggi famosi come Bismark, Thomas Mann, Albert Einstein, ma anche del presidente della Germania Democratica Erich Honegger e di Hitler, il quale prima della guerra iniziò la costruzione, mai ultimata, di un villaggio di vacanze – “Kraft durch Freude”, forza attraverso la gioia – per 20 mila persone. Nella più grande isola tedesca, entrata nell’immaginario collettivo nazionale grazie ai popolari dipinti di Caspar David Friedrich, le coste e le campagne si fondono. Se ci si immagina di trovare strade panoramiche costiere si rimane delusi, ma la vista sul mare dalle falesie di gesso (Stubbenkammer) rese famose dalle opere di Friedrich è davvero magnifica. Luogo ideale per vacanze attive – escursioni a piedi, in bicicletta, a cavallo o in barca – l’isola di Rügen offre chilometri di spiagge bianche e alcuni incantevoli villaggi, che corrispondono a pennello con la nostra idea di Mare del Nord. I villaggi di Binz e in particolare di Sellin propongono “Seebrücke”, cioè lunghe passerelle rialzate in legno adagiate sull’acqua con costruzioni a padiglione delle Belle Époque. Le case che si affacciano lungo la passeggiata a mare di Binz sono caratteristiche della cosiddetta “Bäderarchitektur”, un’architettura vacanziera di fine Ottocento-inizio Novecento, caratterizzata da graziose e bianchissime ville dell’alta società tedesca, provviste di romantiche verande in legno intagliato e in ferro battuto. Per completare il quadro sulle bianche spiagge di sabbia non possono mancare le “Strandkörbe”, sedili in vimini per ripararsi dal vento del nord mentre si ammira il mare di un azzurro intenso.
Ma prima di lasciare Rügen vale ancora la pena di visitare Potbus, una cittadina termale neoclassica d’inizio Ottocento voluta dal principe dell’isola Guglielmo Malta I. Interessante anche la sontuosa residenza di caccia del nobile Jagdschloss Granitz da cui si gode un bellissimo panorama. Di Potbus, una sorta di follia pianificatoria in stile neoclassico, rimangono la bella piazza circolare (Circus) e il teatro, che sorgeva di fronte alla residenza principesca, distrutta negli anni Sessanta dal regime della Germania dell’Est in quanto considerata “un simbolo di repressione feudale”.

Schwerin, la sontuosa Isola del castello
Il nostro itinerario prevede a questo punto la visita di altre due città che si affacciano sul Mar Baltico: Stralsund, da cui parte il ponte che collega l’isola di Rügen al continente, e Wismar, una seducente città costruita in mattoni rossi. Sebbene si trovino entrambe sul territorio dell’ex Germania dell’Est, ne parleremo nella seconda parte quando ci occuperemo delle città della famosa Lega Anseatica, un’alleanza che difendeva gli interessi dei commercianti tedeschi, di cui Stralsund e Wismar erano importanti membri.
Concludiamo quindi il nostro percorso nell’ex Germania comunista con la visita di Schwerin, capitale di Meclemburgo e Pomerania Occidentale dopo la riunificazione. Situata in uno splendido paesaggio ricco di laghi e di foreste, questa simpatica cittadina amministrativa presenta nella bella Marktplatz dimore seicentesche a graticcio e a pignone e, poco distante, un bel duomo. Ma il suo gioiello è costituito dalla Schlossinsel (Isola del castello), che ospita la sontuosa residenza dei granduchi di Meclemburgo-Schwerin, in stile neorinascimentale con alcuni elementi gotici e barocchi. È stata costruita tra il 1845 e il 1857 dal granduca Paul Friedrich Franz II, dopo lo spostamento della corte da Ludwigslust a Schwerin nel 1837, rimodellando la sede dei propri antenati in stile rinascimentale danese e ispirandosi al castello francese di Chambord nella Loira. Con le sue torrette, cupole a lanterne e volte a bulbo questo edificio rappresenta uno dei monumenti civili più importanti dell’Ottocento tedesco. Sebbene questo castello soddisfi il nostro immaginario collettivo, ancora una volta, come abbiamo visto in precedenza, ci troviamo di fronte a un’ostentazione di ricchezza con eccessi decorativi ispirati alla “grandeur” delle corti francesi.

Itinerario
1°, 2°, 3° giorno (832 km – 8h) Locarno – Dresda
4° giorno (200 km – 2h) Dresda – Potsdam
5° giorno (350 km – 3.30h) Potsdam – Putbus – Binz
6° giorno (300 km – 4h) Binz – Kap Arkona – Sassnitz – Stralsund – Bad Doberan – Wismar – Benz
7° giorno (100 km – 1.30h) Wismar – Schwerin – Lubecca
8°, 9°, 10° giorno (100 km – 1.15h) Lubecca – Travemünde – Amburgo
11° giorno (425 km – 4h) Amburgo – Colonia
12° giorno (750 km – 8h) Colonia – Locarno

Per saperne di più
Germania La Guida Verde, Michelin, Milano 2008
Germania Rough Guides, Feltrinelli, Milano 2012
Germania Lonely Planet, Torino 2013

Germania – Nella vita di due anziani la storia della Germania

Germania – Un “vecchio Est” da riscoprire
Germania – Atmosfere nordiche e medievali
Germania – Il peso di una guerra atroce sulle grandi città tedesche

Da giovane, prima di iniziare i miei studi universitari a Firenze, ho trascorso alcuni mesi in Germania, dapprima ad Heidelberg, in seguito ad Amburgo, per rafforzare le mie conoscenze della lingua tedesca. Era la fine degli anni Sessanta. Approfittavo del weekend per visitare il Paese. Ma a quei tempi c’era una zona della Germania, quella dell’est, appartenente al blocco comunista, difficilmente accessibile al turismo. Mi è così sempre rimasto il desiderio di conoscere anche quella parte del Paese. Desiderio esaudito l’estate scorsa, venticinque anni dopo la caduta del Muro di Berlino e la riunificazione delle due Germanie.
La prima tappa del nostro viaggio è Dresda, quella che fu la Firenze del nord, che venne irrimediabilmente distrutta dai bombardamenti alleati nel corso della seconda guerra mondiale. Soprattutto dopo la riunificazione, parte della città è stata ricostruita, naturalmente senza raggiungere gli splendori dei tempi passati. La sera decidiamo di cenare in una birreria per gustare i piatti tipici regionali. Il locale ha lunghe tavolate dove ci si siede uno accanto all’altro, senza eccessiva privacy. Ci accomodiamo vicino a una coppia di anziani tedeschi e mi vien da pensare, gustando uno stinco di maiale, a tutti i cambiamenti politici e ai drammi provocati dalla guerra che devono aver vissuto quei due. Ma non oso rompere il ghiaccio. Sono loro a farlo quando ci sentono parlare italiano. È l’occasione per dare sfogo alla mia curiosità. Ci chiedono se amiamo la loro città e ci raccontano orgogliosi della ricostruzione e dei tempi d’oro del XVII e XVIII secolo. Io sono interessato a sapere come hanno vissuto la guerra, il nazismo, in seguito il comunismo, e infine il ritorno alla democrazia. Ulrich e sua moglie Hildegard hanno più di 80 anni. Durante la guerra avevano frequentato le scuole della Germania nazista. I padri di entrambi avevano perso la vita combattendo per Hitler. Il papà di Ulrich era un sostenitore del Führer, perché suo padre era stato un pezzo grosso dell’esercito prussiano durante la prima guerra mondiale. “Aveva vissuto come un’umiliazione – racconta Ulrich – le condizioni di pace imposte dai vincitori”: da qui le simpatie della sua famiglia per Hitler, “senza certo immaginare – aggiunge, quasi scusandosi – a quale catastrofe ci avrebbe portati”. Dopo la seconda guerra mondiale, il regime politico è radicalmente mutato e Ulrich ha proseguito gli studi, fino a conseguire il titolo di ingegnere nell’università gestita dai comunisti. “Mi sono concentrato sugli studi – osserva – cercando di rimanere il più lontano possibile dalla politica”. Durante gli anni del regime ha continuato a lavorare ignorando le riunioni del partito a cui veniva regolarmente invitato. “Ma dopo la caduta del muro di Berlino e la riunificazione della Germania mi sono sentito in obbligo di impegnarmi in politica”. Oggi Ulrich e Hildegard sono degli ammiratori della cancelliera Merkel perché sono convinti che sia riuscita a dare alla Germania quel prestigio e quel benessere che si merita.

Germania – Atmosfere nordiche e medievali

Germania – Un “vecchio Est” da riscoprire
Germania – Nella vita di due anziani la storia della Germania
Germania – Il peso di una guerra atroce sulle grandi città tedesche

La ricchezza mercantile di Lubecca, regina della Lega Anseatica, si è espressa al meglio nell’architettura e la cosmopolita e innovativa Amburgo, che ha saputo più volte reinventarsi nel corso della storia.

Se il file rouge della prima parte di questo viaggio era costituito dalla scoperta dell’ex Germania dell’Est (quell’area del paese che dopo il secondo conflitto mondiale finì sotto l’influenza dell’Unione Sovietica), questa seconda parte del nostro itinerario ha invece come riferimento la Lega Anseatica, cioè l’unione commerciale dei mercanti tedeschi all’estero, che dalla seconda metà del XIII secolo fino alla fine XV si assicurò il monopolio quasi esclusivo dei traffici fra le opposte sponde del Mare del Nord e il Baltico. Una potenza paneuropea la cui influenza spaziava dall’Inghilterra alla Russia, dalla Scandinavia alle Alpi tedesche. Gli Anseatici importavano dalla Russia (area Baltico) il legno necessario per l’edilizia e le costruzioni navali, le pellicce molto apprezzate dalle classi più elevate, e la cera, molto richiesta per le candele che illuminavano le chiese e i palazzi signorili. Dal sud della Svezia e da una parte della Danimarca giungevano invece le aringhe, uno dei commerci più redditizi dell’epoca. Dalla Norvegia, e in particolare dalle Isole Lofoten, si importava il merluzzo. Dall’Inghilterra la lana di pecora e lo stagno. Il mercato di Bruges, uno dei più importanti del nord Europa, assicurava invece le spezie e i metalli preziosi. Nel suo periodo di massima floridezza la Lega Anseatica riuscì a stabilire stretti rapporti con oltre 160 città, coinvolte sia nel commercio marittimo che terrestre. In particolare Lubecca, Amburgo, Colonia, Stralsund e Danzica, tra il XIV il XV secolo, per l’attività dei loro commerci, per l’industria delle costruzioni navali e per la pesca godettero di una prosperità eccezionale. La città però più importante della Lega, di cui era anche sede, fu Lubecca grazie alla sua posizione geografica. Si trovava infatti sulla grande arteria commerciale Novgorod-Bruges, dove i mercanti provenienti dal Baltico orientale (Russia) dovevano lasciare la via del mare e raggiungere Amburgo via terra, evitando in tal modo la circumnavigazione dello Jutland, costosa e spesso pericolosa o addirittura impossibile. Partner fondamentale di Lubecca e della Lega era dunque Amburgo, che garantiva il collegamento tra il Baltico e il Mare del Nord.
Ecco dunque tracciato l’interesse storico delle tappe di questa seconda parte del nostro viaggio in Germania, che toccherà dapprima le cittadine di Stralsund e Wismar, in seguito Lubecca e Amburgo per terminare a Colonia.

Stralsund e Wismar, città anseatiche
Nel XIV secolo, durante la sua epoca d’oro, Stralsund era seconda solo a Lubecca, che per anni fu la sua grande rivale. I suoi monumenti principali, il Rathaus e la Nikolaikirche in mattoni gotici anseatici, sono ispirati a quelli della città leader della Lega. Alter Markt, cuore del centro storico, con il suo acciottolato e le case trecentesche ricorda il passato di una delle città più acclamate della Lega medievale. Passeggiare per le vie del centro di Stralsund, Patrimonio dell’Unesco, è un vero piacere. Non si può lasciare la città prima di aver visitato l’Ozeanum, una moderna costruzione che ricorda un’onda e ospita un acquario d’avanguardia, dove si viene trasportati nel mondo sottomarino di creature che vivono nel Mar Baltico, nei Mari del Nord e nell’Oceano Atlantico fino ad arrivare a latitudini polari. In una vasca immensa si possono ammirare migliaia di aringhe, prelibata preda dei pescatori nordici di tutti i tempi.
Meno nota ma ancor più affascinante per le sue atmosfere nordiche è Wismar, pure essa città anseatica Patrimonio dell’Unesco. La città vecchia, raccolta attorno alla vastissima Marktplatz, con le sue dimore recentemente restaurate, permette al visitatore di immaginare l’antico fasto di questa simpatica cittadina, che per 150 anni nel ‘600 e ‘700 visse sotto dominazione svedese. A tesimonianza di quel periodo in varie parti del centro si possono notare le colorate “teste svedesi” con i baffi a manubrio, i foulard sbarazzini e i copricapo a testa di leone posati su fluenti riccioli.

Lubecca, regina della Lega Anseatica
È stata una delle città europee più ricche e potenti tra il XIII e XV secolo. Una ricchezza mercantile che si è espressa al meglio nell’architettura, Patrimonio dell’Unesco. La regina della Hanse (nome comune per la Lega) offre ancora oggi al visitatore oltre mille edifici storici, in buona parte risparmiati dai bombardamenti della seconda guerra mondiale per merito del presidente della Croce Rossa Carl-Jacob Burkhart, che per raggiungere il suo scopo ricorse allo stratagemma di nominarla porto d’ingresso per le merci destinate ai prigionieri delle forze alleate. La tipica architettura in mattoni rossi si sviluppò in questa città e si diffuse in tutto il nord Europa. E in mattoni rossi sono costruiti molti dei più significativi monumenti di Lubecca, ad iniziare dalla Holstentor, la porta fortificata simbolo della città e sede di un interessante museo didattico sulla storia cittadina. Altro orgoglio di Lubecca è il Rathuas, edificato in mattoni smaltati nella prima metà del XIII secolo per celebrare il riconoscimento di città libera del Sacro Romano Impero: condizione essenziale per il successo mercantile nei due secoli successivi. Presenta una tipica struttura in mattoni rossi anche Marienkirche, la chiesa più imponente costruita dai mercanti cittadini proprio dietro al Rathaus e sormontata da altissime torri (125 metri), che non a caso sovrastano quelle del Duomo, sede vescovile. Interessanti le visite dell’Heiligen-Geist-Hospital, il più antico ospedale della Germania risalente al 1260 con le camere per i malati ordinate in fila, di alcuni palazzi delle Gilde (come quello della Corporazione dei marinai in Breite Strasse), oppure ancora di molte residenze signorili come la Buddenbrookhaus in Mengstrasse 4, dove Thomas Mann, nel romanzo d’esordio con il quale vinse il premio Nobel, ambientò la storia della famiglia di mercanti in declino Buddenbrook. Ma a Lubecca sono affascinanti non solo le principali arterie con i grandi edifici, bensì anche le più popolari viuzze laterali con le tradizionali case in mattoni. Non si può lasciare la città prima di aver fatto una breve incursione al Niederegger Café, di fronte al Rathaus, per gustare il marzapane, dolce tipico cittadino.

Amburgo, la città dalle mille vite
Nei secoli XIV e XV, Amburgo costituiva un elemento fondamentale della Lega Anseatica grazie al suo porto sul Mare del Nord, di cui i suoi alleati avevano bisogno per garantire il commercio da oriente a occidente, da Novgorod a Bruges. Quando alla fine del ‘400 iniziò la decadenza della Lega, la città sulle rive dell’Elba, che non si accontentò mai di questo semplice ruolo di porto di transito, invece di farsi travolgere dalla crisi colse l’occasione per emanciparsi e allacciare rapporti autonomi con i paesi dell’Europa del nord, che le permisero non solo di mantenere la sua ricchezza, ma anzi di aumentarla, reinventandosi senza sosta. Ed è proprio questa attitudine di adattamento ai mutamenti sociali che ha fatto la fortuna di Amburgo nel corso dei secoli. Una città che è rinata dopo il disastroso incendio del 1848, che distrusse un terzo dei suoi edifici, così come è risorta dopo i terribili bombardamenti della seconda guerra mondiale. Uno spirito vitale che si respira ancora oggi passeggiando per le vie di questa dinamica e cosmopolita metropoli, seconda per popolazione (circa 2 milioni di abitanti, di cui un quinto costituito da immigranti) solo a Berlino. Amburgo ha una densità territoriale di popolazione molto bassa rispetto alla media europea. Solo un terzo, infatti, della sua superficie urbana è edificata, il resto è costituito da parchi, fiumi, canali e laghi. Per questo è una città molto vivibile, rinomata per l’arte e i teatri, un radicato movimento culturale alternativo che convive con gente alla moda, e una vita notturna molto intensa, tanto da giustificare il soprannome di capitale del peccato.
Il centro cittadino, racchiuso fra il fiume Elba dove si trova il porto, i suoi canali su cui si affacciano gli antichi magazzini portuali e l’affascinante Alster con i suoi due bacini, è facilmente percorribile a piedi. Dall’immancabile gita in battello sul Binnenalster e l’Aussenalster, si ammirano le altissime torri (oltre 100 metri) dei monumenti più significativi: delle principali chiese (St. Jakobikirche, St. Petrikirche, St. Michaelis-Kirche e Sankt Nikolai) e del Rathaus, ricostruito nel 1897, sede di senato e parlamento regionali, cuore pulsante della città, fulcro della sua anima commerciale e quartiere dello shopping. Altro punto nevralgico della città è il porto, uno dei più importanti d’Europa, che confina con il quartiere a luci rosse di St. Pauli, con il suggestivo Speicherstadt, l’antica zona franca ricca di costruzioni in mattoni e tetti in rame e con il modernissimo Hafen City, dove si costruisce la città del futuro.

Colonia, Roma del Nord
Il nostro viaggio, dapprima attraverso l’ex DDR (Deutsche Demokratische Republik) e in seguito alla scoperta delle principali città che nel Medioevo diedero origine alla Lega Anseatica, si sta ormai concludendo. Proponiamo un’ultima veloce tappa a Colonia per visitare una delle cattedrali più rinomate al mondo e per interrompere la lunga trasferta da Amburgo al Ticino. D’altra parte il collegamento tra Colonia e la Lega Anseatica fu significativo, perché questa città, grazie alla sua posizione sulle rive del Reno e al centro di importanti vie di comunicazioni commerciali, aderì alla Lega.
Città di origine romana, molto aperta, nota per il suo dialetto e per la sua birra Kölsch, ma anche per l’Acqua di Colonia, presenta un centro storico molto animato con una moltitudine di chiese romaniche e case colorate lungo il fiume. Ma la ragione principale per visitare Köln è la sua splendida cattedrale gotica, uno degli edifici religiosi più celebri al mondo, sede dell’autorità cattolica tedesca. Unico edificio risparmiato dai bombardamenti alleati nella seconda guerra mondiale – il resto della città venne raso al suolo – custodisce inestimabili tesori e opere d’arte: vetrate dei secoli XIII e XVI, il Reliquiario dei Re Magi offerto alla città da Federico Barbarossa nel XII secolo, il Crocifisso di Gero, il più antico del mondo occidentale risalente al 970, diverse pale d’altare di fattura elevatissima e arredi sacri nella Domschatzkammer. La costruzione, ispirata alle gigantesche cattedrali francesi, iniziò nel XII secolo. I lavori si protrassero stancamente fino al 1560 quando vennero interrotti per l’esaurimento dei fondi disponibili. Si dovettero attendere ben tre secoli, e cioè fino al 1880, per completare la costruzione. Una generosa donazione del re di Prussia Federico Guglielmo IV permise di costruire le due guglie che si elevano fino a 157 metri di altezza e costituiscono il simbolo di Colonia.

Itinerario
1°, 2°, 3° giorno (832 km – 8h) Locarno – Dresda
4° giorno (200 km – 2h) Dresda – Potsdam
5° giorno (350 km – 3.30h) Potsdam – Putbus – Binz
6° giorno (300 km – 4h) Binz – Kap Arkona – Sassnitz – Stralsund – Bad Doberan – Wismar – Benz
7° giorno (100 km – 1.30h) Wismar – Schwerin – Lubecca
8°, 9°, 10° giorno (100 km – 1.15h) Lubecca – Travemünde – Amburgo
11° giorno (425 km – 4h) Amburgo – Colonia
12° giorno (750 km – 8h) Colonia – Locarno

Per saperne di più
Germania La Guida Verde, Michelin, Milano 2008
Germania Rough Guides, Feltrinelli, Milano 2012
Germania Lonely Planet, Torino 2013

Germania – Il peso di una guerra atroce sulle grandi città tedesche

Germania – Un “vecchio Est” da riscoprire
Germania – Atmosfere nordiche e medievali
Germania – Nella vita di due anziani la storia della Germania

Una cartolina in vendita nelle edicole di Colonia ritrae la città nel 1945, dopo la fine della seconda guerra mondiale, con il suo splendido duomo quasi intatto che troneggia su un deserto di macerie. Un’immagine simbolo, valida per molte città tedesche, che mostra le terribili conseguenze della guerra e dei bombardamenti alleati. È il caro prezzo che il Paese ha pagato per aver seguito Hitler nella sua follia militare. Ma erano davvero tutte necessarie queste distruzioni? Purtroppo è una domanda che ci si può porre solo dal profilo storico, consci che nell’ottica bellica i parametri di giudizio sono molto diversi da quelli della storia.
Alla gente di Dresda: siamo stati costretti a bombardare la vostra città a causa del pesante traffico militare che i vostri impianti ferroviari hanno portato avanti. La distruzione di obiettivi diversi non è stata intenzionale”. Questo il testo di un volantino lanciato sulla città dopo il bombardamento del febbraio 1945, quando furono sganciate 3900 tonnellate di esplosivo che provocarono la morte di decine di migliaia di persone. Un numero di vittime esagerato dapprima dalla propaganda nazista, che parlò di 200 mila morti, poi dai comunisti che ne stimarono 135 mila. Il raid scatenò comunque il primo dissenso pubblico sulla politica dei bombardamenti. Churchill, che lo aveva approvato, se ne distanziò subito dopo lasciandone la responsabilità al maresciallo Arthur “Bomber” Harris, responsabile delle operazioni aeree. Gli storici ne dibattono ancora oggi. Per molti si trattò di un crimine, perché ritengono che con l’Armata Rossa alle porte di Berlino la guerra era ormai decisa, altri sostengono invece che il bombardamento era giustificato perché la città avrebbe potuto offrire rifugio alle truppe tedesche in fuga da est. Molto diverso, invece, il discorso sull’Operazione Gomorra ad Amburgo, decisa dallo stesso maresciallo nel luglio del 1943. La città con il suo porto, allora il più importante d’Europa, costituiva infatti un punto nevralgico del Terzo Reich. La cosiddetta Feuersturm (tempesta di fuoco) durò una settimana, uccise decine di migliaia di civili e distrusse oltre la metà delle abitazioni, l’80% della zona portuale e il 40% di quella industriale. Nella cripta della chiesa di Sankt Nikolai, gravemente danneggiata dai bombardamenti e mai ricostruita, una mostra molto toccante dedicata agli orrori della guerra mette a confronto tre eventi traumatici del secondo conflitto mondiale: da una parte l’Operazione Gomorra degli Alleati, dall’altra il bombardamento tedesco di Conventry nel 1940 e la distruzione di Varsavia perpetrate dalla Wehrmacht. L’esposizione inserisce i tre avvenimenti nel loro contesto storico rendendo evidenti le responsabilità politiche del Terzo Reich. Anche visitando il museo storico della città (Museum für Hamburgische Geschichte), che propone una mostra sulla storia degli ebrei ad Amburgo, non si ha mai l’impressione che la Germania odierna voglia glissare sul passato nazista non assumendosi le sue responsabilità storiche, anzi…!