Francia – Nel cuore dello Champagne

Francia – L’incontro con Renoir, De Gaulle e Diderot

Nelle cantine sotterranee dove riposano le bottiglie del famoso vino. Pittoreschi villaggi, grandi personaggi, arte, storia e gastronomia per un viaggio in auto fra magnifici paesaggi e vigneti partendo dal Ticino.

Enologia, gastronomia, arte, natura, storia, pittoreschi villaggi, grandi personaggi. Sono questi i variegati ingredienti di un viaggio nella regione dello Champagne, nel nord-est della Francia. Le strade corrono tra i vigneti offrendo scorci magnifici e attraversando campi coltivati. In primavera molti sono colorati di giallo dai fiori delle piantagioni di colza, altri sono solo arati e mostrano il suolo argilloso tanto apprezzato dalla vigna. Visti da lontano questi paesaggi di campagna sembrano quadri astratti. Nei villaggi le case sono addossate l’una all’altra per lasciare maggior spazio ai vigneti. Nelle città chiese e cattedrali sono maestose, ad iniziare da quella di Reims, una delle più belle di Francia. La loro struttura architettonica propone ampie finestre e rosoni che mettono in risalto le splendide vetrate, una delle prerogative dell’arte locale assieme alle sculture religiose. La storia e la cultura sono generose di testimonianze dai tempi antichi ad oggi: da quando i re francesi si facevano incoronare nella cattedrale di Reims, alle scoperte enologiche del sacerdote benedettino Dom Pérignon, che mise le basi per il successo mondiale dello champagne; dagli armoniosi paesaggi dipinti da Renoir, che in questa regione trascorreva le vacanze, alle meditazioni politiche di Charles De Gaulle ispirate dalla pace della sua villa in campagna, senza dimenticare la straordinaria opera di Denis Diderot precursore della modernità.
L’itinerario è facilmente percorribile in automobile partendo dal Ticino. In circa 7 ore si raggiunge Reims, da cui ci si sposta in seguito verso sud in brevi tappe giornaliere. Il rientro in Svizzera da Langres, la città circondata dalle mura fortificate più ampie d’Europa, comporta invece 5 ore di viaggio.

Le grandi cattedrali
La prima meta del nostro viaggio è Châlons-en-Champagne, che ci sorprende soprattutto per la sua basilica di Notre-Dame de l’Epine. D’ora in poi quando sentirò parlare di una “cattedrale nel deserto” penserò a questa imponente chiesa, realizzata sul modello della cattedrale di Reims, a 8 chilometri da Châlons, in piena campagna. Patrimonio mondiale dell’Unesco, la si scorge da lontano e la sua purezza di stile, secondo gli esperti, esprime la perfezione dell’architettura gotica (inizio XV secolo). Di puro stile gotico è pure la cattedrale di Châlons, dove facciamo il primo incontro con splendide vetrate, che ci accompagneranno durante tutto il viaggio. Notevole anche la chiesa di Notre-Dame-en-Vaux che presenta al suo interno la transizione dal romanico al gotico. In un piccolo museo adiacente sono state raccolte 55 colonne scolpite, di notevole fattura, che appartenevano a un antico chiostro romanico e rappresentano personaggi storici e religiosi.
Meno di un’ora di strada separa Châlons da Reims, dove un angelo sorridente vigila su una delle cattedrali considerate tra le più pregevoli del mondo cristiano, per la sua unità stilistica, per le sue statue, per le sue straordinarie vetrate antiche e quelle più recenti realizzate negli anni Settanta da Chagall, per i suoi ricordi legati alla storia di Francia. La tradizione cristiana di Reims risale al V secolo quando Clodoveo re dei Franchi, dopo avere sconfitto gli Alemanni accettò di farsi battezzare suggellando così l’unione del suo popolo, cioè dei Francesi, al cristianesimo. Nell’ottobre dell’816, nella basilica precedente a quella attuale, avvenne l’incoronazione imperiale di Luigi il Pio. Nell’attuale cattedrale tra il 1223 e il 1825 vennero incoronati ben 33 re francesi. I giorni precedenti la cerimonia risiedevano nell’adiacente Palazzo del Tau (che si può visitare), dove i vescovi andavano a cercare “il re che Dio aveva scelto per i Francesi”.
Nel 1962 la cattedrale di Reims ha vissuto un altro grande avvenimento di portata storica: la cerimonia di riconciliazione, tra Francia e Germania dopo gli avvenimenti della seconda guerra mondiale, voluta da Charles De Gaulle e Konrad Adenauer.
Passeggiare per le vie del centro storico di Reims è molto piacevole, ma non si può lasciare la città senza visitare la splendida chiesa di Saint-Remi, costruita nella prima metà dell’XI secolo, e una delle importanti cantine (Pommery, Taittinger, Veuve Clicquot, Mumm, Ruinart ecc.) che si trovano in collina, poco distante da Saint-Remi. Nei loro sotterranei in passato sono stati scavati 120 chilometri di gallerie, dove viene invecchiato lo champagne. Durante la seconda guerra mondiale questi tunnel servivano da rifugio e hanno ospitato ospedali e scuole. Se non trovate il tempo per visitare una cantina, vi potrete rifare nei giorni seguenti a Épernay, altra grande capitale dello champagne.

A spasso tra i vigneti
Un circuito di un centinaio di chilometri permette di scoprire il Parco naturale regionale della Montagna di Reims, dove vengono coltivate le uve Pinot Noir, Pinot Meunier e Chardonnay dai cui assemblaggi nascono alcuni tra i più rinomati champagne grands cru. Per rendersi conto della vastità della zona bisogna salire sul Faro di Verzenay, da cui il panorama a 360 gradi è fantastico. Ma che ci fa un faro in mezzo alla vigna? Fu l’originale trovata pubblicitaria di Joseph Goulet, che all’inizio del ‘900 lo fece costruire per far conoscere il suo champagne. Durante la seconda guerra il faro fu occupato dai soldati tedeschi che controllavano la pianura, mentre i francesi osservavano i loro spostamenti dalla montagna. Una montagna sui generis, alta appena 300 metri e ricoperta all’estremità da folti boschi, mentre tutt’attorno sulla pianura si sviluppano i vigneti. Accanto al faro è stato creato un moderno museo, che ricorrendo a tecnologie multimediali rappresenta il ciclo delle stagioni nei vigneti e illustra gli aspetti storici ed economici del vino dei re.
Poco distante, nel bosco di Verzy, si possono ammirare rarissimi esemplari di alberi dai tronchi contorti, caratteristica che ancora oggi rimane un mistero. Nella chiesa di Hautvillers, un pittoresco villaggio noto per le insegne che decorano le case indicando la professione delle famiglie d’origine, riposano le spoglie di Dom Pérignon. È grazie alle scoperte di questo frate benedettino, il quale dedicò gran parte della sua vita all’enologia, che nacque lo champagne moderno con le caratteristiche bollicine.

Épernay e la Côte des Blancs
Buona parte degli oltre 300 milioni di bottiglie di champagne prodotte annualmente vengono invecchiate nelle cantine di Reims e di Épernay. Quest’ultima è l’altra grande capitale del vino dei re, con oltre 100 chilometri di gallerie sotterranee. Lungo l’Avenue de Champagne si allineano, come a Reims, le cantine più rinomate. Noi abbiamo visitato quella di Mercier, attratti dalla creatività del suo fondatore Eugène Mercier. La visita è alquanto spettacolare. Con un ascensore panoramico si scende nei sotterranei, dove un trenino attende i visitatori, che anticamente erano invece accolti da carrozze trainate da cavalli. Ma non fu questa l’unica trovata di Mercier. Le pareti dei 18 chilometri di gallerie della sua cantina sono in parte scolpite da un artista di fine Ottocento e all’entrata si può ammirare la gigantesca botte, pure scolpita, che può contenere l’equivalente di 215mila bottiglie e che fu fatta costruire nel 1889 in occasione dell’Esposizione universale di Parigi. Fu trainata da Épernay a Parigi da 24 buoi e 18 cavalli durante un avventuroso viaggio che durò 20 giorni e richiese il rafforzamento di ponti e l’abbattimento di muri lungo il tragitto. Ma fu un grande successo e quindi una straordinaria trovata pubblicitaria. Ancora oggi Mercier è il secondo produttore al mondo di Champagne dopo Moët & Chandon.
A sud di Épernay si estende l’armoniosa Côte des Blancs, dove si coltiva quasi esclusivamente Chardonnay e dove le principali aziende dispongono di ampi vigneti. Negli ordinati villaggi situati lungo questo itinerario si notano una miriade di cantine di piccoli produttori locali. A Vertus ha sede Duval-Leroy, la cantina che produce uno champagne in collaborazione con il campione mondiale dei sommelier, il ticinese Paolo Basso.

La città santa della vetrate
Troyes è considerata la “Città Santa delle vetrate”. Già a partire dal XIV secolo si parla di una “école de Troyes” per lo stile “caratterizzato dai colori vivaci e dal disegno accurato”. Ancora oggi in questa città risiedono alcuni degli atelier di restauro delle vetrate più apprezzati di Francia. Per rendersi conto di questa inestimabile ricchezza basta visitare l’imponente cattedrale di Saint-Pierre-et-Saint-Paul, così come altre sontuose chiese (in particolare Saint-Jean, Sainte-Madeleine, Saint-Pantaléon, Saint-Urbain), dove l’architettura lascia ampi spazi alle finestre e ai rosoni. Dal 2013, inoltre, in un prestigioso antico palazzo è stato aperto il museo “Cité du Vitrail” che presenta una collezione di vetrate unica in Europa. E visitarlo è particolarmente interessante perché si possono osservare questi capolavori da vicino (mentre nelle chiese sono sempre situati molto in alto) per apprezzarne i particolari, simili a quelli di un dipinto, e gli splendidi colori.
Tutte le chiese della regione dello Champagne conservano opere dei maestri vetrai di Troyes; questa città era però famosa anche per le sue botteghe di scultori, che hanno prodotto capolavori sparsi in tutta la zona. Il centro storico di Troyes è a forma di tappo di Champagne e, oltre ad opere d’arte straordinarie (ad esempio l’interessante collezione di pittori fauves visibile al Museo d’arte contemporanea), conserva anche stradine pittoresche (in particolare rue des Chats) caratterizzate da case a graticcio, che presentano la loro tradizionale struttura in legno intervallata da mattoni intonacati.
La città anticamente era famosa per le sue fiere, che nel XII e XIII secolo erano note in tutta Europa. Ma fu anche il luogo dove, il 21 maggio 1420, la regina Isabella firmò un trattato che diseredava il delfino Carlo VII e consegnava di fatto la Francia agli Inglesi, designando Enrico V re d’Inghilterra legittimo erede al trono di Francia. Nove anni più tardi, il 17 luglio 1429 Carlo VII riconquistò il trono di Francia entrando nella cattedrale di Reims accompagnato da una commossa Giovanna d’Arco.

Itinerario
1° giorno (700 km) Ticino – Châlon en Champagne – Reims
2° giorno Reims
3° giorno (100 km) Circuito Montagne de Reims
4° giorno (100 km) Épernay – Côte des Blancs – Mont Aimé – Troyes
5° giorno Troyes
6° giorno (80 km) Troyes – Essoyes – Les Riceys
7° giorno (120 km) Les Riceys – Chaumont – Colombey-les-Deux-Églises
8° giorno (70 km) Colombey-les-Deux-Églises – Langres
9° giorno (450 km) Langres – Ticino

Per saperne di più
Champagne Ardenne Le guide vert Michelin, Nanterre 2014
Borgogna e Champagne-Ardenne La guida verde Michelin, Clermont-Ferrand 2008
Borgogna e Champagne-Ardenne Meridiani, Torino 2002
Francia Lonely Planet, Torino 2015
Champagne-Ardenne (carta geografica) 515 regional France, Michelin

Francia – L’incontro con Renoir, De Gaulle e Diderot

Francia – Nel cuore dello Champagne

I pittoreschi villaggi diventati il “buon ritiro” di personaggi che hanno fatto la storia. Viaggio nella regione dello Champagne verso Essoyes. E poi tappa a Colombey-les-Deux-Églises e infine a Langres, la città natale di uno dei padri del pensiero moderno.

La seconda parte di questo viaggio, pur continuando ad attraversare pittoreschi villaggi di campagna attorniati da campi coltivati e da vigneti, si caratterizza soprattutto per gli aspetti storico-culturali e ci permette di fare tre interessanti incontri con personaggi di grande calibro: Renoir a Essoyes, il generale De Gaulle a Colombey-les-Deux-Églises e infine il filosofo Diderot a Langres.

Nell’atelier di Renoir
In meno di un’ora di automobile da Troyes si arriva a Essoyes, villaggio della moglie di Renoir e della sua cugina Gabrielle, la modella preferita. Qui il pittore trascorreva i mesi estivi. Si possono visitare lo studio e la casa, che si raggiungono con una breve passeggiata lungo le pittoresche viuzze del borgo partendo dalla piazza principale, dove si trova l’Espace Renoir, un’esposizione che ripercorre la vita dell’artista e quella della sua famiglia attraverso riproduzioni di sue opere.
Il figlio Jean Renoir, grande cineasta, nel suo libro “Renoir, mio padre” (Edizioni Adelphi 2015) ripercorre i momenti felici delle estati trascorse in famiglia nel villaggio della Champagne. “Mio padre stava bene a Essoyes, e, mentre ricopriva di colori la tela, si godeva la nostra compagnia e quella degli abitanti del villaggio”. Comunque “lo si vedeva poco. Se ne andava da solo a disegnare nei campi”. La famiglia Renoir trascorreva in campagna ogni estate, ma con il passare degli anni la salute del pittore peggiorava, “si muoveva con sempre maggiore difficoltà… ma mia madre invitava molti amici e circondava mio padre di quella vita che tanto amava e che non poteva oramai più andare a cercare fuori”. “Quando lavorava in casa – prosegue il figlio Jean – noi ci disperdevamo e andavamo a divertirci con gli amici che avevamo in paese. A meno che non fossimo chiamati per posare, non entravamo nello studio. Mia madre, invece, andava spesso a trascorrervi una o due ore”. “Il ritorno da Essoyes era triste – racconta ancora Jean -: il cavallo Cocò ci portava fino a Polisot, a 12 chilometri, dove passava la ferrovia”.
Incuriositi dalla descrizione di una gita della famiglia Renoir a Les Riceys, proseguiamo in quella direzione e la sera ceniamo forse nella stessa osteria in cui Pierre-Auguste “si gustò il pollo in casseruola e i pois mange-tout avec des grelons, ovvero i piselli cotti con il lardo e si bevve più di una bottiglia di Pinot rosato”.

Nell’eremo di De Gaulle
Il mattino ci attardiamo a Les Riceys, un villaggio “avec du caractère” come viene presentato sui cartelloni stradali man mano che ci si avvicina. Sobrio, con case in sasso grigio, alti muretti che demarcano le proprietà come in Toscana, chiese imponenti e romantici ruscelli affluenti della Senna, è un borgo affascinante e famoso per il suo rosato, considerato uno dei migliori di Francia, proprio quello di cui parla Jean quando descrive la gita della famiglia Renoir.
Un centinaio di chilometri su belle strade di campagna ci separano da un altro austero villaggio campagnolo con le case in sasso: Colombey-lesDeux-Églises. Il generale De Gaulle, uno dei padri della Francia moderna, aveva costruito qui il suo eremo nel 1921, a metà strada tra Parigi e le guarnigioni francesi, dove il giovane colonnello, militare di professione, prestava servizio. Dapprima casa di vacanza, in seguito residenza primaria, alla Boisserie De Gaulle ha trascorso i momenti più significativi della sua vita, “alla ricerca di riflessione e di serenità” e ha scritto le sue memorie nello studio con idilliaca vista sulla campagna. Fu pure qui che nel 1958 ospitò il cancelliere Konrad Adenauer per suggellare la riappacificazione tra Francia e Germania “in un ambiente familiare” ritenuto “più significativo del decoro di un palazzo”.
Per sua volontà il generale è stato sepolto a Colombey-les-Deux-Églises in una semplice e austera tomba che reca unicamente la scritta “Charles De Gaulle”. Nello stesso villaggio Georges Pompidou, il politico che gli succedette all’Eliseo, inaugurò nel 1972 un’imponente croce di Lorena alta oltre 44 metri che domina la regione. Risale invece al 2008 il modernissimo museo “Mémorial Charles de Gaulle”, dove si può trascorrere un’intera giornata senza annoiarsi. Visitandolo si ripercorre la storia francese del XX secolo con l’ausilio di foto, filmati, animazioni, che rendono il percorso estremamente interessante.

Un secolo di storia
Si parte dalla prima guerra mondiale quando De Gaulle venne abbandonato dai suoi compagni sul campo di battaglia a Verdun pensando che fosse morto; in seguito fu fatto prigioniero dai tedeschi. Terminata la guerra De Gaulle si oppose alle strategie difensive del ministro Maginot, che sperava di tenere lontana la minaccia tedesca con la famosa linea fortificata che portava il suo nome. Linea che venne facilmente aggirata da Hitler, come De Gaulle aveva temuto, per invadere la Francia nel 1939. E mentre il maresciallo Pétain si apprestava a collaborare con l’occupante, De Gaulle da Londra lanciò un appello per evitare la resa e continuare la lotta contro il fascismo. Lotta che egli proseguì dall’estero: dapprima da Londra, in seguito dai territori delle colonie francesi, creando a Brazzaville, in Congo, la prima capitale della Francia libera, fino alla liberazione di Parigi del 26 agosto 1944. Seguirono l’elezione all’unanimità alla presidenza del governo, le dimissioni da questa carica nel 1946 e il ritorno al potere 12 anni più tardi alla testa del Rassemblement du peuple français. Nel 1968, travolto dai movimenti giovanili, uscì dalla scena politica in seguito alla sconfitta in un referendum che si era trasformato di fatto in una votazione pro o contro di lui. Due anni più tardi, il 9 novembre 1970, la morte.

La città natale di Denis Diderot
La strada che collega Colombey-les-DeuxÉglises a Langres, città natale del filosofo Denis Diderot, passa per Chaumont, un borgo medievale che merita una breve visita. In particolare in una cappella funeraria della basilica di St-Jean-Baptiste si può ammirare un gruppo di undici statue policrome del Quattrocento di grandezza naturale. I personaggi sono di un’espressività notevole, come quelli di un altro gruppo scultoreo considerevole che avevamo ammirato nella chiesa di Saint Jean-Baptiste di Chaource, poco distante da Essoyes. Due esempi eccezionali della ricchezza scultorea della regione.
La grande attrattiva di Langres è invece rappresentata dalla sua cinta muraria fortificata lunga 4 chilometri, che abbraccia tutta la città e offre un piacevole percorso con splendidi punti panoramici sulla regione agricola circostante. La cittadina è graziosa. La piazza principale è dedicata al suo cittadino più celebre, Denis Diderot, che troneggia al centro immortalato in una statua dallo scultore Bartholdi.

Il padre del pensiero moderno
Nel 2013, in occasione del terzo centenario della sua nascita, all’importante filosofo, nella cornice di una splendida residenza, è stato dedicato un modernissimo museo (Maison des Lumières), in cui il visitatore può interagire con il personaggio grazie a moderne tecniche digitali. Si percorre così la vita e l’opera di questo grande uomo destinato dalla famiglia alla vita ecclesiastica, ma che diventerà invece un simbolo del rinnovamento. Osteggiato dalla chiesa e dal potere costituito fino al punto da venire rinchiuso in carcere, attraverso l’istruzione e la cultura Diderot voleva rendere cosciente il popolo e allontanarlo dall’oppressione della fede e del potere dispotico. Grande anticipatore del pensiero moderno, già nel Settecento auspicava l’emancipazione della donna e la democraticizzazione degli studi. Spirito libero, romanziere, critico d’arte, drammaturgo, uomo di scienza, era interessato al progresso scientifico, alla scoperta di nuovi continenti e di culture diverse, alla circolazione delle idee grazie ai nuovi mezzi di trasporto e combatteva ogni tipo di intolleranza religiosa o politica.
Il suo capolavoro fu l’“Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers”: la più importante opera editoriale del suo secolo, che comportò la pubblicazione di 35 volumi sull’arco di un trentennio a metà Settecento. Vi furono coinvolti oltre mille lavoratori tra fabbricanti di carta, tipografi, disegnatori, rilegatori, stampatori e naturalmente gli estensori degli articoli tra i quali figurano personaggi di spicco dell’epoca, ad iniziare da Jean Jacques Rousseau.
L’obiettivo della pubblicazione era quello di cambiare il modo di pensare diffondendo una nuova filosofia. Come? Raccogliendo il maggior numero possibile di conoscenze da trasmettere ai contemporanei e alle future generazioni nella speranza “che i nostri nipoti, diventando più istruiti, siano al tempo stesso più virtuosi e felici”.

Itinerario
1° giorno (700 km) Ticino – Châlon en Champagne – Reims
2° giorno Reims
3° giorno (100 km) Circuito Montagne de Reims
4° giorno (100 km) Épernay – Côte des Blancs – Mont Aimé – Troyes
5° giorno Troyes
6° giorno (80 km) Troyes – Essoyes – Les Riceys
7° giorno (120 km) Les Riceys – Chaumont – Colombey-les-Deux-Églises
8° giorno (70 km) Colombey-les-Deux-Églises – Langres
9° giorno (450 km) Langres – Ticino

Per saperne di più
Champagne Ardenne Le guide vert Michelin, Nanterre 2014
Borgogna e Champagne-Ardenne La guida verde Michelin, Clermont-Ferrand 2008
Borgogna e Champagne-Ardenne Meridiani, Torino 2002
Francia Lonely Planet, Torino 2015
Champagne-Ardenne (carta geografica) 515 regional France, Michelin

Puglia – Nel magico Salento

Puglia – Dall’incanto dei Trulli sconfinando in Basilicata sino alla misteriosa Matera

Da Lecce e poi lungo la costa, un viaggio attraverso regioni dove si parla ancora un dialetto greco, per approdare a Otranto, “la bianca”. Le tappe sulla spettacolare litoranea che percorre il tacco dello “stivale” d’Italia per raggiungere Gallipoli, l’isola fortezza collegata alla terraferma da un antico ponte.

Occorre almeno una settimana per visitare i luoghi più significativi della Puglia, dal Salento al Gargano, con un breve sconfinamento in Basilicata per ammirare Matera, che da sola vale il viaggio. Il nostro affascinante itinerario circolare permette di scoprire le meraviglie del Barocco pugliese soprattutto a Lecce, Nardò e Martina Franca, le magnifiche e austere chiese romaniche sparse su tutto il territorio, borghi orientaleggianti rimasti intatti per secoli con case basse e bianchissime, spettacolari litorali, campagne armoniose popolate da uliveti millenari e vastissimi vigneti, paesaggi di fata come quelli dei trulli di Alberobello. Ma si fanno anche incontri speciali, come quello con Federico II, nipote del Barbarossa, che tanto amò queste terre, dove lasciò numerose testimonianze della sua poliedrica cultura. In particolare quel Castel del Monte, che potrebbe aver progettato lui stesso, ma che avrebbe potuto essere disegnato da un grande architetto del nostro tempo, tanto è essenziale la sua struttura. Se a tutto questo si aggiunge una cucina straordinaria, un’interessante produzione enologica, strutture ricettive di qualità, ci sono tutti gli ingredienti per una vacanza perfetta.
L’itinerario descritto si articola su circa 1.300 chilometri. Bari, da cui prende avvio il nostro viaggio in Puglia, è facilmente raggiungibile in aereo da Bergamo. Giunti sul posto è però indispensabile noleggiare un’auto.

Capitale del barocco
La più bella città italiana si trova in un lontano angolo del tacco: si ha l’impressione che architetti e scultori abbiano ereditato lo spirito e l’ingegno delicato dei greci, che anticamente hanno abitato queste zone”. Così scriveva nel 1717 il teologo irlandese George Berkeley nel suo diario di viaggio del Grand Tour. Sono passati tre secoli, ma lo stupore del turista davanti alle meraviglie del Barocco leccese rimane lo stesso. La città ha mantenuto inalterato il suo stile; si passeggia per una giornata intera nel centro storico, in gran parte pedonalizzato, senza vedere una costruzione moderna. I momenti più suggestivi per visitare Lecce sono il tramonto – quando gli edifici si tingono d’oro – e la notte, grazie a una splendida illuminazione.
La Firenze del Barocco”, come l’ha definita nell’Ottocento lo storico tedesco Ferdinand Gregorovius, è un museo all’aperto. I luoghi di maggiore fascino sono senz’altro la chiesa di Santa Croce, massima espressione del Barocco leccese, e l’imponente e armoniosa piazza del Duomo, salotto della città che si apre tra via Libertini e via Vittorio Veneto. Il Barocco a Lecce rappresenta uno dei momenti più sorprendenti e coinvolgenti dell’arte italiana. È fiorito tra il Seicento e il Settecento per celebrare la potenza e la ricchezza dei nobili latifondisti locali. Palazzi, chiese e conventi sono stati costruiti e ristrutturati interpretando in modo esuberante e fantasioso questo stile. Ne sono scaturiti suggestivi portoni, finestre, altari e facciate eleganti, decorati con incredibili ceselli, colonne tortili, vasi, fiori, frutta e mostri ricavati dalla pietra locale tenera e docile allo scalpello.
Ma la città non si ferma al Barocco. Propone anche testimonianze di epoche più remote come il teatro e l’anfiteatro romani, che si trovano pure nel centro storico.
Uno dei piaceri di un viaggio in Puglia è rappresentato dalla gastronomia. A Lecce c’è solo l’imbarazzo della scelta: noi abbiamo gustato un eccellente pasto nella semplice ma ottima osteria “Semiserio”, situata alle spalle di piazza Sant’Oronzo.

Otranto, l’orientale
La seconda giornata del nostro itinerario è piuttosto impegnativa. Si concentra sulla costa del tacco. Prima di raggiungere il mare facciamo però tappa a Galatina per visitare gli splendidi affreschi nella chiesa di santa Caterina d’Alessandria, considerata uno dei più significativi monumenti dell’arte romanica in Puglia. I meravigliosi dipinti, che ricoprono interamente la basilica, furono realizzati nella prima metà del Quattrocento da pittori di scuola giottesca e raccontano storie del Vecchio e del Nuovo Testamento.
Prima di raggiungere la costa si attraversa una regione dove si parla ancora un dialetto, il griko, che risale ai tempi della colonizzazione dell’antica Grecia. Siccome le rive elleniche distano appena una settantina di chilometri da quelle pugliesi, dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453 arrivarono in Puglia altri cittadini greci che rivitalizzarono l’influenza storica della loro patria importando anche riti ortodossi sopravvissuti per un paio di secoli. Il declino del griko ha coinciso con l’obbligo dell’insegnamento dell’italiano nelle scuole di tutto lo stivale a partire dal Novecento.
Poche decine di chilometri ci separano dalla candida e bianchissima Otranto, la città situata più a oriente d’Italia. Solare e mediterranea, dal cuore bizantino e dalla memoria saracena, circondata da possenti mura, i suoi stretti vicoli convergono verso la cattedrale. Per cinque secoli fu uno dei porti più importanti dell’impero bizantino, punto d’imbarco strategico verso l’Oriente. A testimonianza di quell’epoca rimane la chiesetta di San Pietro del IX-X secolo, officiata per lungo tempo dal clero greco che convisse con quello locale.
A ricordare il periodo saraceno rimane un triste episodio. Nel 1480 Otranto fu assediata da un esercito di 18mila musulmani. Dopo quindici giorni capitolò. Ottocento residenti, che si erano rifugiati nella cattedrale, vennero trucidati dopo essersi rifiutati di convertirsi all’Islam.
Lo splendido centro storico custodisce un’opera d’arte unica in Occidente: il mosaico della sua cattedrale romanica, risalente al 1163, sopravvissuto alla furia dei Turchi. Misura 54 metri di lunghezza e 28 di larghezza e si compone di 600mila piastrine. Il soggetto è un albero della vita, sorretto da due elefanti, attraverso il quale viene rappresentata la cultura del tempo, frutto di un’originalissima sintesi tra la tradizione locale e quella orientale. Presenta temi biblici, come quelli della torre di Babele o del diluvio universale; storici, come il trionfo di Alessandro Magno; e altri decisamente popolari, che raccontano la vita dei contadini, dei cacciatori, storie di animali e segni zodiacali. Per evitare spiacevoli disguidi meglio verificare gli orari di apertura, perché la chiesa fa una lunga pausa dalle 12 alle sino alle 15.

Lungo la costa del “tacco”
Riprendiamo il tragitto seguendo la litoranea che si snoda verso Marina di Leuca e propone uno dei più spettacolari paesaggi costieri della penisola. Là dove le acque dell’Adriatico s’incontrano con quelle del mar Ionio si ammirano bellissimi panorami sugli scogli. In particolare dal castello di Castro, un borgo medievale che offre anche una bella passeggiata lungo le mura.
All’estrema punta del Salento si raggiunge il santuario di Santa Maria di Leuca, che sorge a picco sul mare, in un luogo dove anticamente si pensava che finisse la terra (finis terrae). Secondo la tradizione, la basilica sarebbe stata fondata da San Pietro, che dopo aver convertito la popolazione trasformò un tempio pagano dedicato a Minerva in un luogo di culto cristiano. Meta di pellegrinaggio, distrutto a più riprese, si presenta oggi nella versione del 1720, quando fu ricostruito dopo le incursioni saracene.
Proseguiamo verso Gallipoli sulla strada nell’entroterra (S274), più veloce della poco spettacolare litoranea.

Gallipoli, la “città bella”
Il centro storico della bianchissima e orientaleggiante Gallipoli, caratterizzata come Otranto da case basse e vicoli stretti, si trova su un’isoletta collegata alla terraferma da un ponte edificato nel Seicento. La “Città bella”, dal greco kalé polis, circondata da possenti mura, acquista ancora maggiore fascino di notte, sia per la discreta illuminazione, sia perché ci sono meno turisti. È davvero piacevole perdersi nel labirinto di viuzze su cui si affacciano chiese e palazzi barocchi. Vale la pena pernottare nel centro storico, dove si trovano due affascinanti alberghi (Relais Corte Palmieri e Palazzo Mosco Inn) situati in antichi edifici.
Proseguendo in direzione di Matera, distante tre ore di automobile, è d’obbligo una tappa a Nardò, che si contende con Lecce il primato di perla del Barocco. Anch’essa conobbe il suo periodo di massimo splendore nel XVII e XVIII secolo con la presenza di un’università e di accademie letterarie. Colpita nel 1743 da un terribile terremoto venne in seguito in gran parte ricostruita. Per questa ragione conserva un insieme architettonico particolarmente omogeneo giunto fino ai giorni nostri.

Itinerario
1° giorno (150 km) Bari – Lecce
2° giorno (170 km) Lecce – Galatina – Solito – Otranto – Marina di Leuca – Marina di Pesculuse – Gallipoli
3° giorno (170 km) Gallipoli – Nardò – Massafra – Matera
4° giorno (100 km) Visita guidata dei Sassi di Matera – Matera – Altamura – Castel del Monte – Montegrosso
5° giorno (241 km) Montegrosso – Mattinata – Vieste – Peschici – Vico del Gargano – Monte Sant’Angelo – Mattinata
6° giorno (220 km) Mattinata – Trani – Polignano a Mare – Monopoli – Ostuni
7° giorno (80 km) Ostuni – Martina Franca – Locorotondo – Alberobello – Cisternino
8° giono (90 km) Ostuni – Bari

Per saperne di più
Puglia Carta geografica Michelin, Italia 363, Milano 2016
Puglia La guida verde Michelin, Milano 2009
Puglia Lonely Planet, Torino 2015
Puglia Le guide Mondadori, Milano 2015
Puglia Touring Club Italiano, Milano 2004
Puglia Meridiani Anno XXVIII n° 22s6, Milano agosto t2015
Italie du Sud Guides Bleus, Vannes 2015
Italia La guida Michelin 2016, Alberghi e Ristoranti, Milano 2016
Salento Touring Editore, Milano 2015
Basilicata Touring Club Italiano, Milano 2004
Salento Meridiani Anno XXIII n° 189, Milano giugno 2010

Puglia – Dall’incanto dei Trulli sconfinando in Basilicata sino alla misteriosa Matera

Puglia – Nel magico Salento

Visitare la città dei sassi è un’esperienza indimenticabile, che da sola vale un viaggio. Alla scoperta di Federico II e del suo Castel del Monte. Le spettacolari coste del Gargano, con la cattedrale di Trani a picco sul mare, per terminare ad Alberello, un autentico paesaggio di fate.

Prosegue il nostro viaggio in Puglia. Dopo aver visitato il Salento con Lecce, capitale del Barocco pugliese, i borghi orientaleggianti di Otranto e Gallipoli e lo splendido litorale del “tacco”, il nostro itinerario circolare in automobile sconfina in Basilicata per visitare Matera, proseguendo poi verso il Gargano e ritornando lungo la costa adriatica con tappa a Trani per terminare il viaggio nel paesaggio fatato di Alberobello.

Una inattesa rinascita
Ero stato assieme a mia moglie a Matera oltre trent’anni fa. Avevamo provato un sentimento di desolazione, quasi di angoscia, di fronte ai “Sassi”, le case-grotta allora abbandonate. Eravamo curiosi di vedere come era cambiata la città in questi decenni e siamo rimasti stupiti. Da vergogna nazionale, come era stata definita all’inizio degli anni Cinquanta, oggi è diventata patrimonio mondiale dell’Unesco. Nel corso degli ultimi decenni le sorti di Matera si sono ribaltate: come mai? Lo si può spiegare rileggendo la storia recente. A portare alla ribalta nazionale e internazionale il suo degrado, quando intere famiglie vivevano nelle case-grotta assieme ai loro animali, fu lo scrittore Carlo Levi con il suo romanzo “Cristo si è fermato a Eboli”, nel quale denunciava la condizione dei contadini del Mezzogiorno italiano. Matera assurse a simbolo della povertà nell’Italia del sud. Per rimediare a questa situazione, nel 1952 il governo democristiano di Alcide De Gasperi votò una legge che prevedeva il risanamento dei “Sassi” in due fasi: dapprima il trasferimento dei 16-20mila abitanti in nuovi quartieri e in seguito il recupero del patrimonio architettonico, nel frattempo abbandonato ed espropriato dallo Stato. Una nuova legge, varata nel 1986, decretò che i “Sassi” potevano essere concessi a costo zero per 99 anni a privati, a condizione che li ristrutturassero rispettando precise condizioni. Oggi circa il 60 per cento delle casegrotta ospita residenti, commerci, strutture ricettive e culturali. La città nel 2015 ha conosciuto un incremento turistico del 44 per cento. Il recupero in corso è attuato con estremo garbo e nel rispetto dei valori del passato, tanto che nel 1993 Matera è stata iscritta dall’Unesco nell’elenco dei beni culturali mondiali e nel 2019 sarà capitale europea della cultura. La visita ai “Sassi” è un’esperienza umana e spirituale unica, è come sfogliare un libro di storia dal vivo. Sì perché le colline delle Murge sono state abitate sin dalla preistoria e nel corso dei secoli hanno visto passare greci, romani, bizantini, normanni, francesi, spagnoli.
La regione dei “Sassi” è tappezzata di scale, porte, finestre, balconcini, case sovrapposte le une alle altre, dove le terrazze sono spesso in corrispondenza al tetto di abitazioni sottostanti. Un labirinto di dimore disposte a gruppi attorno a cortili dove si trova il pozzo comune per recuperare l’acqua piovana attraverso un ingegnoso sistema di canalizzazioni. Si potrebbe dire che si tratta di una città sotterranea, perché dietro alle facciate in mattoni si nascondono profonde grotte scavate nella tenera roccia calcarea.
Nella parte alta della città, sopra i “Sassi” si trovano chiese romaniche ed eleganti palazzi barocchi, costruiti soprattutto tra il Cinquecento e il Settecento, dove vivevano le classi abbienti.
Di fronte alla città, nel Parco della Murgia Materana, si possono visitare antichi villaggi di pastori o di comunità di monaci, pure scavati nella roccia, con romantiche chiesette rupestri (talune affrescate). Dal Parco si gode un panorama straordinario sui ”Sassi” e sulla città alta.
La bellezza di Matera è stata immortalata da grandi registi cinematografici come Pier Paolo Pasolini (Il Vangelo secondo Matteo), i fratelli Taviani (Allonsanfan), Francesco Rosi (Cristo si è fermato a Eboli), Giuseppe Tornatore (L’uomo delle stelle), Mel Gibson (La Passione di Cristo).
Matera merita un soggiorno di una, meglio due notti. Vale forse la pena di visitarla con una guida del posto, soprattutto il Parco della Murgia Materana. Luigi Mazzoccoli, per esempio, che ci ha fatto scoprire la sua terra come fosse un vecchio amico (tel. 0039347 0622542 e-mail info@guida-matera.it). Se ne avete la possibilità soggiornate inoltre all’hotel Sextantio che dispone di splendide camere ricavate da antiche case-grotta; ma anche molti altri alberghi e bed&breakfast offrono questa esperienza.

Castel del Monte
Tornando in Puglia, la prossima meta del nostro itinerario è Castel del Monte, designato dall’Unesco, come Matera, patrimonio dell’umanità. Di forma ottagonale, scandito agli angoli da otto torri anch’esse ottagonali, presenta una pianta essenziale, che avrebbe potuto essere disegnata da un grande architetto del nostro tempo. La struttura ottagonale si suppone che derivi da un compromesso tra il quadrato, che rappresenta l’uomo e la terra, e il cerchio, che corrisponde al cielo e a Dio. Il castello è stato edificato con l’utilizzo di tre pietre: una calcarea di colore beige, la breccia corallina del vicino Gargano ed eleganti marmi venati di grigio importati dall’Oriente. La costruzione durò vent’anni e sulla sua destinazione – a scopi difensivi o ritrovo di caccia? – gli storici discutono tuttora. Non si sa nemmeno chi sia stato il progettista, ma si pensa che avrebbe potuto essere lo stesso committente Federico II di Svevia, imperatore del Sacro Romano Impero e nipote del Barbarossa: un incontro davvero interessante. Personaggio poliedrico, considerato “grande cavaliere dell’intelletto”, fu importante statista e innovatore in campo legislativo. Innamorato del sud Italia – trascorse l’infanzia in Sicilia – e della Puglia, alla sua corte ospitò letterati, matematici, astronomi, musicisti e medici.

Sulla litoranea nel Gargano
Proseguiamo verso nord alla scoperta del Parco nazionale del Gargano, che ammiriamo in un primo approccio dalle torri del castello di Monte Sant’Angelo – un’altra creazione di Federico II – da cui il panorama è davvero eccezionale. Ma prima di raggiungere la costa percorrendo la spettacolare S89, che porta a Mattinata, visitiamo il santuario, uno dei più antichi della cristianità e anch’esso patrimonio dell’umanità. Secondo la tradizione, nell’anno 490 l’arcangelo San Michele, capo delle milizie celesti, sarebbe apparso al vescovo di Siponte. Per celebrare l’avvenimento fu edificata una chiesa, in parte scavata nella roccia, che all’epoca delle crociate divenne una tappa obbligatoria sulla via verso la Terrasanta.
Giunti a Mattinata, per ammirare i magnifici paesaggi costieri è necessario seguire le indicazioni “litoranea” che portano sulla statale P53. La tratta più spettacolare è quella tra Mattinata e Vieste, passando dalla Baia delle Zagare e deviando sulla P54 verso Pugnochiuso e le due torri a picco sul mare di Portogreco e Campi. Ritornati sulla P53 si ammirano splendidi panorami anche da Testa del Gargano. All’entrata di Vieste, a Pizzomunno, si viene accolti da un singolare scoglio isolato sulla spiaggia che sembra una scultura moderna. La bianca cittadina con pittoreschi vicoli offre belle vedute sul mare, in particolare dal castello di Federico II. A questo punto vale la pena tornare a Mattinata percorrendo un tratto di Foresta Umbra: boschi fittissimi di faggi, aceri, pini, tigli, querce e castagni.

La cattedrale in riva al mare
La tappa successiva del nostro itinerario è Trani, città particolarmente amata da Federico II, con il castello e la cattedrale in riva al mare, un pittoresco porto con un bel nucleo medievale alle spalle e alcune vie signorili con palazzi seicenteschi. L’Adriatico è splendido. Tanto che la principessa Diana nel 1981, durante il suo viaggio di nozze con Carlo d’Inghilterra, lo definì di seta. Ed è proprio sul blu di queste acque che si staglia la cattedrale, ambasciatrice del romanico pugliese con la sua sobria austerità. Solitaria, in riva al mare, è dedicata a san Nicola. Fondata nell’XI secolo è stata costruita sopra la precedente basilica di santa Maria, dietro al cui altare si apre la cripta di san Nicola. A sua volta Santa Maria poggia sull’Ipogeo di san Leucio del V secolo. Si tratta insomma di tre chiese sovrapposte.

Borghi incantati
Il nostro percorso circolare continua verso Polignano a mare, una delle località più fotografate dell’intera costa adriatica. Il suo candido e pittoresco centro storico, di origine greca, arroccato sulle scogliere a picco sul mare presenta uno splendido quadro d’insieme. Le case basse imbiancate a calce sono addossate l’una all’altra e si affacciano su una ragnatela di viottoli. Molte sono provviste di terrazze con vista sul mare azzurro tanto caro a Domenico Modugno, il cittadino più celebre del borgo. La falesia è caratterizzata alla sua base da numerose grotte erose dal mare. Il moto ondoso offre uno spettacolo spumeggiante con suoni impetuosi.
Ciò che sorprende di questo viaggio in Puglia è certamente la bellezza dei numerosi borghi e cittadine. Un’altra perla è Ostuni, che sorge su una collina a pochi chilometri dal mare, circondata da uliveti centenari che affondano le loro radici nella terra rossa. Il centro storico della cosiddetta “città presepe” è racchiuso da mura e torrioni cilindrici. Per sfruttare lo spazio all’interno della muraglia protettiva anche qui le case sono addossate le une alle altre e collegate tra loro da archi e scalinate in un tortuoso dedalo di vicoli, molti dei quali a fondo cieco. Splendida la quattrocentesca facciata della cattedrale che sorge sulla cima della collina, a cui si accede dalla via principale che si snoda fra palazzi signorili.
La Masseria Cervarolo, situata a 7 chilometri da Ostuni sulla strada per Martina Franca è un ottimo luogo dove pernottare. Si tratta di una struttura cinquecentesca convertita in elegante dimora di campagna con raffinati arredi di artigianato pugliese. Tre camere sono situate in altrettanti trulli, che facevano parte del complesso. Ottima anche la cucina e la selezione di vini locali.

La terra degli ulivi
Ed eccoci immersi allora nella magica zona dei trulli, che si estende tra Cisternino, Locorotondo, Alberobello e Martina Franca (Valle dell’Itria). Una campagna armoniosa e fertile, dalla terra rossa cosparsa di ulivi e di trulli che attribuiscono un tocco fiabesco al paesaggio intervallato da villaggi rupestri e borghi medievali. Tra questi ultimi spiccano Cisternino, spettacolare punto panoramico sulla valle dei trulli con il suo antico fascino un po’ orientale, e Locorotondo, con le basse case bianche raccolte in tondo (da qui il nome) attorno all’imponente chiesa matrice di san Giorgio.
Una svagatezza, una dolcezza del vivere che sembra impressa nei suoi lineamenti”. Così lo scrittore Carlo Castellaneta ha definito Martina Franca, unica città della Valle dell’Itria. Il centro storico, cinto da bastioni, conserva nelle vie centrali un pittoresco complesso barocco e rococò. Man mano che ci si allontana dalle vie “nobili” i palazzi signorili lasciano il posto alle piccole case bianche e basse tipiche della regione.

La capitale dei trulli
Il nostro viaggio in Puglia si conclude in un paesaggio incantato. Se nella valle dell’Itria si incontrano piccoli agglomerati di trulli dispersi nella campagna, ad Alberobello essi formano invece un vero e proprio villaggio protetto dall’Unesco come patrimonio dell’umanità. Nella capitale dei trulli questi camini delle fate sono infatti addossati l’uno all’altro. Il bianco delle pareti cilindriche contrasta con il grigio dei tetti in pietra. Gli ambienti interni sono a pianta quadrata con nicchie e vani lungo le pareti. Tutte le stanze comunicano con quella del trullo centrale, come si può ben vedere nel Museo del Territorio, che racconta la storia di queste costruzioni. La città è disposta su due colline: quella di Aia Piccola, che ospita 590 trulli adibiti soprattutto ad abitazione, e quella del più vasto Rione Monti, una zona che mantiene il suo fascino nonostante quasi tutti i trulli siano stati destinati a scopi turistici.
Curiosa è l’origine di queste abitazioni. Si racconta che un ingegnoso conte di Acquaviva, soprannominato il Guercio di Puglia, non possedendo l’autorizzazione regia per fondare un nuovo villaggio, emanò un decreto con il quale impose ai suoi contadini di costruire abitazioni a secco, senza l’uso di malta, cosicché, in caso di ispezioni governative le case avrebbero potuto essere smontate e poi riedificate.

Itinerario
1° giorno (150 km) Bari – Lecce
2° giorno (170 km) Lecce – Galatina – Solito – Otranto – Marina di Leuca – Marina di Pesculuse – Gallipoli
3° giorno (170 km) Gallipoli – Nardò – Massafra – Matera
4° giorno (100 km) Visita guidata dei Sassi di Matera – Matera – Altamura – Castel del Monte – Montegrosso
5° giorno (241 km) Montegrosso – Mattinata – Vieste – Peschici – Vico del Gargano – Monte Sant’Angelo – Mattinata
6° giorno (220 km) Mattinata – Trani – Polignano a Mare – Monopoli – Ostuni
7° giorno (80 km) Ostuni – Martina Franca – Locorotondo – Alberobello – Cisternino
8° giono (90 km) Ostuni – Bari

Per saperne di più
Puglia Carta geografica Michelin, Italia 363, Milano 2016
Puglia La guida verde Michelin, Milano 2009
Puglia Lonely Planet, Torino 2015
Puglia Le guide Mondadori, Milano 2015
Puglia Touring Club Italiano, Milano 2004
Puglia Meridiani Anno XXVIII n° 22s6, Milano agosto t2015
Italie du Sud Guides Bleus, Vannes 2015
Italia La guida Michelin 2016, Alberghi e Ristoranti, Milano 2016
Salento Touring Editore, Milano 2015
Basilicata Touring Club Italiano, Milano 2004
Salento Meridiani Anno XXIII n° 189, Milano giugno 2010

Barolo – La terra del vino dei re e re dei vini

Da uno splendido paesaggio nasce il Barolo, “vino dei re”

Un itinerario nelle Langhe, a sud di Alba, tra armoniose colline su cui sorgono villaggi con graziose chiesette addossate a poderosi castelli. Dove la vigna è protagonista del paesaggio e della cultura.

Un itinerario nella terra del “vino dei re e del re dei vini”: il Barolo. Nelle Langhe a sud di Alba, il nostro percorso si snoda tra armoniose colline battute dal vento. Sul crinale sorgono villaggi con graziose chiesette addossate a poderosi castelli. Protagonista del paesaggio è la vigna “che sale sul dorso di un colle fino a incidersi nel cielo” con i suoi filari ordinati come “quinte di una scena favolosa, in attesa di un evento” (Cesare Pavese, “Feria d’agosto”). La stagione migliore per visitare questa incantevole regione è l’autunno, quando i vigneti si tingono di un tripudio di colori, che vanno dal giallo al rosso. Ma è affascinante anche in primavera, quando le nebbioline del mattino si alzano lentamente e le colline appaiono come “se si togliesse loro il vestito da sotto in su” (Beppe Fenoglio, “I ventitrè giorni della città di Alba”), così come in estate, quando il sole avvolge la vigna portandola a maturazione.
Già Plinio diciassette secoli fa scriveva che le argille attorno ad Alba erano adatte alla vite. Secondo gli storici, per trovare le origini del vino Barolo bisogna però risalire al XIII secolo, quando i membri della famiglia Falletti, acquistando un castello dal comune di Alba, divennero Marchesi di Barolo. A intuire l’enorme potenzialità viticola della regione fu agli inizi dell’Ottocento una nobildonna francese, Juliette Colbert di Maulévrier pronipote del famoso ministro delle finanze di Re Sole, che sposò nel 1807 il Marchese di Barolo Carlo Tancredi Falletti. Juliette comprese che per rivelare tutte le qualità tipiche del suolo e del vitigno era necessaria una lunga fermentazione e un prolungato affinamento in botti di legno.
La tradizione narra che re Carlo Alberto di Savoia (1798-1849) rimproverasse la marchesa “imperocché mai gli aveva fatto gustare quel famoso vino del quale tanto aveva sentito parlare”. Cosicché, secondo la leggenda, la marchesa caricò una lunga fila di carri trainati da buoi con 325 carrà, piccole botti, una per ogni giorno dell’anno, escluso il periodo della Quaresima. Ogni botte, di circa 500 litri ciascuna, conteneva vino proveniente dalle diverse tenute della proprietà. La soddisfazione di Carlo Alberto fu tale che decise di acquistare il castello di Verduno con gli annessi vigneti e affidò la vinificazione delle uve a un generale e famoso enologo, Paolo Francesco Staglieno, il quale introdusse nuovi metodi di vinificazione. Alcuni anni più tardi fu un altro sovrano, Vittorio Emanuele II, a dare lustro all’etichetta acquistando pure lui un’importante tenuta: quella di Fontanafredda a Serralunga d’Alba, nel cuore della regione, alla quale è legata la piccante storia di cronaca rosa che legò il re alla Bella Rosin.
Un’altra famosa figura della storia d’Italia lega il suo nome al Barolo: il conte Camillo Benso di Cavour, proprietario del castello di Grinzane e dei contigui vigneti, che a metà Ottocento modernizzò la produzione e commercializzò il Barolo rendendolo famoso nelle corti di tutta Europa.

Tra le colline del Barolo
Il Barolo viene vinificato in undici comuni: Barolo, Castiglione Falletto, Serralunga (dove si produce esclusivamente questo vino), Monforte d’Alba, Novello, La Morra, Verduno, Grinzane Cavour, Diano d’Alba, Cherasco e Roddi. Per gli amanti del trekking esistono 250 chilometri di sentieri segnalati che attraversano tutta le regione collegando queste undici località. Anche l’itinerario in automobile che proponiamo in questa pagina tocca tutti i comuni, iniziando a percorrere il perimetro della zona per poi entrare nel cuore della regione e terminare al museo del vino di Barolo.
La nostra prima tappa prevede la visita di un altro interessante museo, dedicato alla storia e allo sviluppo del “vino dei re”, oltre che del tartufo. Il percorso inizia infatti dalla visita di Grinzane e del suo imponente castello, che fu abitato dal 1832 al 1849 dal grande statista Camillo Benso di Cavour, padre dell’unità d’Italia. L’ottima audioguida del museo racconta l’impegno del conte di Cavour per rinnovare la produzione del Barolo e per diffonderlo in tutto il continente. La maestosa costruzione, realizzata attorno alla torre centrale della prima metà dell’XI secolo, ospita ogni anno un prestigioso premio letterario e l’asta mondiale del tartufo, che si tiene a fine ottobre-inizio novembre e alla quale sono collegati via internet gourmet da tutto il mondo: l’anno scorso ha fruttato oltre 300 mila euro.
Si prosegue in direzione di Sinio, dove il locale castello ospita un interessante albergo gestito da una cittadina italo americana. Si prosegue, lungo una strada romantica, verso Serralunga, un piccolo borgo ad anelli concentrici, che si arrampica a spirale sulla collina fino al suo imponente e slanciato maniero duecentesco, che dal terzo piano offre un panorama straordinario sui dolci declivi della Langa, punteggiata da paeselli. La tappa successiva è Monforte d’Alba, dove una ragnatela di viuzze culmina in un’antica torre campanaria. Novello è caratterizzato dal castello in stile neogotico, dalla parrocchiale barocca e dalla Bottega del vino ospitata nella cripta di una chiesa sconsacrata. A Cherasco, capitale italiana delle lumache, il castello visconteo rievoca il passato di piazzaforte militare dei Savoia. La graziosa cittadina propone ampie strade porticate con nobili architetture, che vanno dal medioevo all’età barocca. Il nostro circuito perimetrale ad anello si conclude a Verduno e a Roddi, dove dai rispettivi manieri si aprono splendidi panorami su Langhe, Monferrato e Alpi.
A questo punto l’itinerario prosegue penetrando nel cuore della regione, dapprima a Castiglione Falletto, quindi all’antico borgo medioevale di La Morra, che si distende a ventaglio e offre panorami mozzafiato sul borgo di Barolo, ultima tappa del nostro percorso. Situato in una conca aperta, tra armoniose colline, le sue case sono addossate all’importante castello dei Falletti, Marchesi di Barolo, che diedero il nome al “vino dei re”. Un interessante e innovativo museo, con ottima audioguida, si sofferma sul vino nella storia e nell’arte, in cucina e nel cinema, nella musica e nella letteratura, nei miti universali e nelle tradizioni locali. L’esposizione è anche un omaggio alla storia del castello e ai personaggi illustri che lo hanno abitato: la nobildonna francese Juliette Colbert che divenne marchesa di Barolo e fu la prima, come abbiamo visto, a intuire nella prima metà dell’Ottocento le grandi potenzialità di questo vino e il patriota Silvio Pellico, uno dei grandi protagonisti del Risorgimento italiano, che qui fu bibliotecario dei Falletti e di cui sono conservate intatte la camera e lo studio.
L’itinerario si conclude nel modo più appagante negli scantinati del castello, che tennero a battesimo questo vino leggendario e che oggi ospitano l’Enoteca Regionale del Barolo, rappresentativa degli undici borghi della regione, con una vastissima scelta di etichette e di annate memorabili.

Soggiornare al Castello come a casa di amici
Quando arrivate al Castello di Sinio avete l’impressione di essere accolti a casa di amici. Suonate a un cancello che si affaccia sulla piazza del borgo, vi aprono, salite per un centinaio di metri in auto ed entrate nell’incantevole corte del maniero: ad attendervi c’è la proprietaria Denise Pardini con il suo staff, che vi spiega tutto della regione e dei suoi straordinari vini. L’albergo ha una ventina di camere, a prezzi accessibili per quanto offre, e dal mercoledì alla domenica sera la signora Denise vi delizia con la sua cucina tipica piemontese, ritoccata con un pizzico di modernità. “Conosco bene le ricette tailandesi, cajun e marocchine, ma in questa regione non mi permetterei mai – afferma – di allontanarmi dalla tradizione”. La carta dei vini è notevole e oltretutto la signora conosce tutte le bottiglie e le relative annate perché le ha acquistate lei stessa dai produttori, così come ogni piatto presentato in tavola esce dalle sue mani. Un posto davvero unico e particolare, come la storia della sua affascinante proprietaria.
Denise Pardini è nata a San Francisco da una famiglia lucchese di emigrati italiani. Le sue prime esperienze in cucina risalgono all’età di sette anni, quando talvolta preparava il pranzo ai suoi sei fratelli. La passione per l’enogastronomia la spinge verso la ristorazione e la induce ad aprire due ristoranti nella metropoli californiana: uno di cucina italiana. Dopo qualche anno cambia vita e si dedica al marketing nella vicina Silicon Valley. “A quei tempi – ricorda – era ancora possibile vivere nuove esperienze anche senza una formazione specifica”. Raggiunge posizioni al vertice in due aziende informatiche. Nel 1990 si prende un anno sabbatico, che decide di trascorrere in Italia approfondendo la lingua italiana parlata nell’infanzia in famiglia, ma ormai quasi dimenticata. Visita la Toscana, sua terra d’origine, le Marche, l’Umbria, il Lazio per poi approdare in Piemonte, dove viene a sapere che il castello di Sinio è in vendita. È amore a prima vista, “anche se si trovava in condizioni pietose”. Dedica quindici anni della sua vita e investe tutti i suoi averi nel progetto di trasformarlo in un elegante ma familiare albergo, che ha aperto i battenti nel 2005. Da dieci anni questo castello è un’oasi di accoglienza: provare per credere!

Itinerario
L’itinerario visita 11 comuni in cui viene prodotto il vino Barolo; ha una lunghezza di un centinaio di chilometri e richiede circa due giorni. Si incontrano nell’ordine: Grinzane Cavour, Diano d’Alba, Serralunga (passando per Sinio), Monforte d’Alba, Novello, Cherasco, Verduno, Roddi, Castiglione Falletto, La Morra e Barolo.

Per saperne di più
Piemonte Guida d’Italia, Touring Club Italiano, Milano 1976
Piemonte, Valle d’Aosta Guide d’Italia, Touring Club Italiano, Milano 2001
Italia La Guida Michelin 2015 (alberghi e ristoranti)

Normandia – Sulle tracce del grande Claude Monet

Un itinerario nel nord della Francia, guidati da Marco Goldin, uno dei maggiori esperti dell’Impressionismo, alla scoperta dei luoghi più spettacolari in cui il padre di questo movimento ha posato il cavalletto “en plein air” per dipingere i suoi capolavori

Le ampie spiagge di Deauville e Trouville-sur-Mer su cui si affacciano antichi edifici ben restaurati, risalenti agli albori del turismo; la pittoresca Honfleur situata sull’estuario della Senna, con le antiche viuzze strette fra le case a graticcio; la movimentata Le Havre; le splendide falesie della Côte d’Alabâtre a Dieppe, Pourville-sur-Mer, Fécamp ed Étretat; l’antica Rouen, città piena di fascino e ricca di storia con la sua imponente cattedrale di Nôtre-Dame e per finire l’incantevole giardino di Giverny creato da Monet: sono le tappe principali del nostro viaggio in Normandia. L’itinerario si conclude a Parigi visitando i numerosi musei che raccontano il percorso del padre dell’Impressionismo.
Il file rouge del viaggio per amanti dell’arte è costituito dall’opera di Claude Monet, per il quale questi luoghi, assieme alle rive della Senna attorno a Parigi, hanno rappresentato i soggetti della sua creazione artistica. La nostra guida d’eccezione, Marco Goldin, che tante mostre ha dedicato all’Impressionismo nei suoi oltre vent’anni di attività, ci illustra gli interessanti legami tra questi paesaggi e l’opera dell’artista, che li vede dipinti in momenti diversi: dapprima con maggiore attenzione al reale, poi sempre più interiorizzati con il passare del tempo fino a diventare delle rappresentazioni dell’anima. Un percorso interiore che durante il viaggio si ha l’occasione di verificare visitando i musei di Le Havre, di Rouen e soprattutto di Parigi, ricchi di opere di Monet. Dopo aver conosciuto questi luoghi, dove i paesaggi sono rimasti praticamente intatti, si prova un’emozione diversa di fronte ai capolavori dell’artista.

Trouville e Honfleur
La prima tappa del nostro itinerario sono le spiagge di Trouville e di Deauville, che proprio ai tempi in cui le ritraeva Monet, nella seconda metà dell’Ottocento, conoscevano un forte sviluppo turistico, grazie soprattutto alla nascita di una fitta rete ferroviaria in tutta la Francia. Il pittore descrive “la vita sulla spiaggia, con le sue luci e il suo vento costante, ma anche la sequenza di hotel e ristoranti, ognuno con la sua passerella di legno, dipinta di verde o rosso” che dava accesso al mare (da ‘Verso Monet’ di Marco Goldin, edizioni Linea d’ombra, Trieste 2013). Ma Trouville è anche il luogo in cui dipingeva Eugène Boudin, il primo maestro di Monet, che di lui scrive ne ‘La mia vita’: “E Boudin, con inesauribile bontà, intraprese la mia educazione. Finalmente i miei occhi si aprirono e capii la natura. Al tempo stesso imparai ad amarla”.
La tappa successiva del nostro viaggio è proprio la città natale di Boudin, alla cui opera è dedicato un interessante museo. Honfleur è un borgo incantevole con il suo romantico porticciolo (Vieux Bassin) e la chiesa di Santa Caterina, raro esemplare in Europa di edificio religioso costruito completamente in legno. In questi luoghi Monet ha mosso i suoi primi passi come pittore ritraendo il porto, la chiesa e la campagna in cui si trovava la Ferme de Saint Siméon (oggi albergo di lusso), punto d’incontro di diversi artisti, tra cui gli stessi Boudin e Monet, ma anche di Pissarro e del pittore olandese Johan Jongkind, di cui Monet scrisse: “È a lui che devo l’educazione definitiva del mio occhio”.
L’opera di Boudin è ben rappresentata, assieme ad alcuni interessanti lavori di Monet, anche al Musée d’art moderne André Malraux di Le Havre. In questa dinamica città industriale, che ospita uno degli scali portuali più importanti d’Europa, Monet si trasferì da Parigi all’età di 5 anni e vi trascorse infanzia e adolescenza. Destinato a seguire l’attività commerciale della famiglia si ribellò per dedicarsi alla pittura. Si fece notare sin da ragazzo per il suo talento di ritrattista, che lo rese noto in città e gli procurò qualche piccola entrata.

La Côte d’Alabâtre
In autostrada raggiungiamo Dieppe per poi ripercorrere la Côte d’Alabâtre di nuovo in direzione di Le Havre. A Pourville, dove Monet compose diversi capolavori, scopriamo un luogo magico ben descritto da Goldin (op. cit.): “Scogliere a picco sul mare tempestoso, la mutevolezza della luce, i prati spazzati dal vento e dalla pioggia, la piccola casa dei doganieri e soprattutto quel mare vasto che si tende davanti a lui nei mille colori che dall’azzurro divergono e sfumano nelle molteplici ore del giorno”. Dalla chiesetta romanica a picco sul mare, magistralmente rappresentata da Monet, scendiamo lungo un ripido sentiero che percorreva l’artista verso una spiaggetta dominata dalle falesie. Un luogo idilliaco dove il pittore piazzava il suo cavalletto in varie posizioni per rappresentare l’oceano e le falesie.
Una sessantina di chilometri lungo la costa ci separano dalle nostre successive destinazioni: Fécamp e Étretat, altri luoghi magici della pittura di Monet, caratterizzati anch’essi dalla presenza di imponenti falesie, che ad Étretat – romantico villaggio in riva al mare – si spezzano nell’oceano attraverso un ampio arco. Purtroppo la nebbia ci impedisce di godere della bellezza di questo paesaggio, che assume però connotazioni misteriose che inducono alla meditazione. Le condizioni meteorologiche in Normandia sono molto variabili e generano spesso condizioni di luce assai diverse da un momento all’altro. Luce che rappresenta un elemento fondamentale nella pittura di Monet e ha “il compito – scrive Goldin (op. cit.) – di rivelare quanto di nascosto è nella natura. Di renderlo evidente al di là del mistero”. I colori erano invece per gli impressionisti “gli attributi della luce”. Mentre “la natura acquisisce centralità, diventa l’immagine a cui riferirsi… Il paesaggio impressionista nasce (infatti) dall’unione di natura e cultura, dalla sovrapposizione di natura e vita moderna”. A questo proposito Monet afferma: “No, non sono un grande pittore. Grande poeta nemmeno. Io so solamente che faccio quanto è nelle mie possibilità per rendere ciò che provo davanti alla natura”.

Le cattedrali di Rouen
Lasciamo la costa percorrendo la valle della Senna fino a Rouen. Ci inoltriamo nelle viuzze tortuose scoprendo splendide case a graticcio, visitiamo il ricchissimo Musée des Beaux-Arts con una vasta sezione dedicata all’Impressionismo (ma c’è anche uno splendido Caravaggio) e ci fermiamo incantati davanti alla sontuosa cattedrale gotica, una delle principali di Francia. Come non ricordare le cattedrali di Monet, dipinte proprio in questa piazza da varie posizioni, che “restano in tutta la sua opera – osserva Goldin – un punto fondamentale di passaggio”, perché l’autore “fa di una pietra toccata dal sole o dalla notte, dalla rugiada del mattino o dalla nebbia della sera, un’esperienza non più della verità delle cose ma della verità interiore… Le pareti di roccia della chiesa sono un’anticipazione sontuosa di quanto avverrà di lì a pochissimo con le ninfee”.

Le ninfee di Giverny
Ed eccoci allora a Giverny, la residenza tanto amata da Monet, dove visse fino alla sua morte nel 1926. La acquistò nel 1883, quando era ormai diventato un artista ricco e di successo e l’ampliò nel corso degli anni, creando anche uno stagno per ospitare le celebri ninfee. Il giardino fu progettato da lui stesso e pensato non come tale, ma come soggetto della sua pittura. I piani di realizzazione erano talmente precisi, con indicati i tipi di fiori per ogni stagione e zona del parco, che ancora oggi viene coltivato così come lo aveva pensato l’artista. Visitarlo è un vero spettacolo per chi ama i fiori e la natura, al di là del suo forte significato artistico.
Monet – scrive ancora Goldin – ha bisogno di un luogo da guardare. In cui poter guardare la bellezza. E dopo aver tanto a lungo, durante gli anni, modificato i luoghi del suo guardare, ha bisogno adesso di uno spazio che sia quello definitivo… A Giverny s’incontrano natura e invenzione della natura, la sua memoria rivolta al futuro… Monet ha voluto crearvi il luogo, cioè la somma della sua esperienza di tutti gli altri luoghi visitati e vissuti, tanto che la stessa pittura delle ninfee è la somma e l’esito finale, di tutti i raggiungimenti passati… Dai salici, ai glicini, alle ninfee, alle rose, tutto pulsa nell’ultimo Monet per giungere alla pura bellezza che ha abbandonato il racconto… ’per entrare’ nella profondità delle cose e arrivare a parlare della natura come essenza… Monet che era partito come erede di Corot, adesso si trovava nella condizione di essere l’anticipatore di Pollock”.

Monet a Parigi
Tutto quanto abbiamo visto, tutti gli stimoli raccolti durante il viaggio, possono trovare un riscontro a Parigi visitando i numerosi musei dedicati all’Impressionismo, tanto osteggiato dalla cultura ufficiale di fine Ottocento. Al Musée d’Orsay si possono ammirare non solo le opere di questa scuola, ma anche quelle dei predecessori (la scuola di Barbizon) da cui è nato il rinnovamento della pittura ottocentesca. Al Musée Marmottan sono invece raccolti quadri della donazione del figlio Michel realizzati da Monet soprattutto durante gli ultimi anni di attività. Alcuni sono rimasti a uno stadio iniziale e molti sono incompiuti. Al Musée de l’Orangerie, oltre a una vasta collezione sull’Impressionismo, in due enormi sale ovoidali sono esposti 100 metri di dipinto dell’altezza di 1 metro e 97 dedicato alle ninfee e donato da Monet allo Stato francese nel 1918, al termine della prima guerra mondiale, come simbolo di pace. La disposizione delle pitture è stata decisa dall’artista, che ha dedicato molti anni di lavoro a quest’opera d’arte unica al mondo. E per terminare non si manchi una visita al museo Rodin, l’autore che ha rappresentato per la scultura dell’Ottocento ciò che ha significato Monet per la pittura. Molte delle opere esposte nei musei citati sono state presentate da Goldin nelle sue esposizioni degli ultimi vent’anni.

L’itinerario
1° giorno Milano Linate – Parigi – St. Gatien
2° giorno St. Gatien – Trouville – Deauville – Honfleur – Le Havre – Dieppe
3° giorno Dieppe – Pourville – Verangeville – Fécamp – Etretat – Rouen
4° giorno Rouen – Giverny – Parigi
5° giorno Parigi
6° giorno Parigi – Milano Linate

Olanda – Sulle tracce di Van Gogh

Viaggio sulle orme di uno degli artisti più amati al mondo, guidati da Marco Goldin, storico dell’arte e curatore di mostre. Con un’escursione nel Seicento olandese di Rembrandt e Vermeer. Per finire con la festa del tulipano al Keukenhof.

Il Panorama Mesdag è la più bella sensazione della mia vita. Ha un solo piccolo difetto che è la sua mancanza di difetti”. Così si esprime Vincent Van Gogh nel 1881 dopo aver visitato quell’opera d’arte con cui si apre il nostro itinerario sulle orme del grande maestro olandese. Un viaggio realizzato con una guida d’eccezione: Marco Goldin, uno dei maggiori conoscitori dell’opera di Van Gogh, autore di numerosi saggi e di mostre di grande successo, dove ha esposto molti capolavori di Vincent ottenuti in prestito da musei di mezzo mondo. Condotti da Goldin abbiamo scoperto l’evoluzione di questo pittore determinante per la storia dell’arte e collocato le sue opere all’interno del suo breve ma intenso percorso artistico. In questa occasione unica, il nostro accompagnatore ha commentato e interpretato i capolavori del genio olandese, i gusti dei collezionisti che per primi hanno creduto in lui, le origini lontane della sua arte, il contesto dentro il quale operava, i luoghi che lo hanno ispirato. E tra questi luoghi figurano proprio le dune di Scheveningen rappresentate nel Panorama Mesdag e ritratte da Van Gogh in un solo dipinto giovanile, oggi purtroppo scomparso in quanto rubato proprio al Museo Van Gogh.
Il “Panorama Mesdag” è un’opera spettacolare ed eccezionale. Si tratta di un dipinto di forma circolare di 120 metri di circonferenza per 14 di altezza. Lo spettatore si trova al centro della “rotonda”, a 14 metri di distanza dall’opera, e ha l’impressione di ammirare un panorama dall’alto di una duna. Infatti tra lui e il dipinto c’è una distesa di sabbia vera. A fine Ottocento, sia in Europa che negli Stati Uniti era diventata una moda montare capannoni dove si potevano ammirare panorami di questo genere. Per entrare si pagava il biglietto come per andare al cinema. Spesso all’interno si suonava musica dal vivo. Hendrik Willem Mesdag, ideatore e autore di questa originale opera d’arte, ha voluto rappresentare la vera anima di Scheveningen nel 1880, con le sue dune e l’antico villaggio di pescatori, per fermare il tempo, prima che il turismo snaturasse in parte quello splendido paesaggio.
Ma il Panorama Mesdag è interessante anche per un altro aspetto. A realizzare l’opera furono alcuni autori di quella scuola dell’Aia che hanno ispirato Van Gogh quando all’età di 27 anni ha scoperto la sua vocazione per l’arte. A cominciare dallo stesso Mesdag, che oltre a essere artista fu anche un grande collezionista e cliente di una casa d’aste gestita da uno zio di Van Gogh. E la tappa successiva del nostro viaggio è proprio la visita di questa collezione (Museum Mesdag), che il suo proprietario ha donato allo Stato nel 1903. Le opere esposte sono molto interessanti perché permettono di confrontare la scuola francese di Barbizon, cui appartenevano Millet, Daubigny, Corot, Rousseau e Courbet, con la scuola dell’Aia, di cui facevano parte lo stesso Mesdag, Jozef Israël e Mauve, lo zio di Van Gogh che lo incoraggiò ad avvicinarsi alla carriera artistica. Nei quadri naturalistici dai toni scuri e con profonda sensibilità sociale delle due scuole affondano le radici pittoriche di Van Gogh. Ma il nostro autore – spiega Goldin – va oltre la rappresentazione della natura: la interpreta. Le immagini a cui si ispira sono le stesse di quelle dei suoi predecessori e in una prima fase anche i colori rimangono cupi, ma il suo approccio – prosegue la nostra guida – è completamente diverso e assolutamente innovativo. “Non conosco altra via che quella di lottare con la natura – scriveva Vincent al fratello Theo – finché non mi riveli il suo segreto”. In Van Gogh, spiega Goldin, la natura e l’animo umano si compenetrano muovendosi reciprocamente l’una verso l’altro e viceversa, così che il respiro della natura diventa il respiro di colui che quella natura dipinge. E questo rende i paesaggi di Van Gogh forse i più straordinari di tutta la storia della pittura. Nel 1882, osserva Goldin, Vincent scrive al fratello Theo di come i suoi colori si vadano sempre più schiarendo nell’osservazione della natura. Ma il culmine del suo incontro con la luce Van Gogh lo raggiunge quando, dopo aver vissuto ad Anversa e Parigi, parte per il sud della Francia. “E quando vi sarà giunto non potrà che constatare come lì la luce abbia il suo senso e che da lì non si possa partire”.
Il tragitto artistico di Van Gogh dura solo dieci intensissimi anni, dal 1880 al 1890, durante i quali dipinge oltre 900 opere, 200 delle quali, grazie a una donazione dei discendenti dell’artista, appartengono al Museo Van Gogh di Amsterdam, assieme a 580 disegni.
Un’altra novantina di quadri e 200 disegni sono invece di proprietà della Collezione Kröller-Müller, che si trova immersa nello splendido Parco nazionale dell’Hoge Veluwe, e sono frutto del lavoro di una ricca e sensibile collezionista privata. Helene Kröller-Müller è stata tra i primi a scoprire l’opera di Van Gogh e nel 1935 ha ceduto i suoi dipinti allo Stato olandese.
Sono queste le due tappe successive del nostro viaggio. In entrambe i musei Goldin sottolinea l’incredibile evoluzione pittorica di questo genio dell’arte, partendo dalle tele buie del periodo olandese – caratterizzate da capolavori come “I mangiatori di patate” o i tessitori al telaio (alcune versioni si trovano in entrambe i musei) – per giungere alle opere più note come “La casa gialla” o la sua camera da letto di Arles, il “Mandorlo in fiore” dipinto per la nascita del figlio di Theo, un’incredibile serie di autoritratti, gli indimenticabili campi di grano con i corvi minacciosi nel cielo (uno dei suoi ultimi quadri) al Van Gogh Museum di Amsterdam, oppure i girasoli, “Il caffè di notte”, gli ulivi, il postino Joseph Roulin, il “Seminatore al tramonto” al Kröller-Müller Museum.
Nel parco di questo museo si può inoltre visitare uno dei giardini delle sculture più ampi d’Europa con oltre 150 opere di artisti contemporanei mentre a una ventina di minuti in bicicletta si può ammirare il padiglione di caccia St-Hubertus, costruito tra il 1914 e il 1920 dall’architetto olandese Berlage sulle rive di un lago artificiale.

La Golden Age olandese
Il secondo obiettivo del nostro viaggio in Olanda era la scoperta di molte tra le opere più significative del Seicento olandese, la ‘Golden age’. “Già nei primi anni del XVII secolo – scrive E. H. Kossmann in Storia del Mondo Moderno, volume IV, Cambridge 1982 – (l’Olanda) si stava abituando al suo status di paese indipendente e sovrano; diveniva in tutto e per tutto una nazione”. La compagnia delle Indie Orientali, che si può considerare la prima multinazionale della storia, fu “l’arma commerciale e militare con la quale gli Olandesi avrebbero distrutto il centenario impero portoghese in Asia” per diventare la principale potenza commerciale marittima d’Europa, retta da una borghesia e subordinata ai suoi interessi. “Nella storia – commenta ancora Kossmann – non c’è forse altro esempio di una civiltà, originalissima e completa, sorta in così breve tempo e in un territorio così angusto”. Questa epoca d’oro durò fino alla fine del XVII secolo, quando “gli influssi stranieri fecero perdere alla repubblica olandese i suoi caratteri profondamente originali e la resero più uniforme al resto d’Europa”. D’altra parte, “allo stesso tempo gli altri paesi cominciarono a imitare i suoi moduli di pensiero e di comportamento”, tanto che “l’illuminismo poté fondarsi su molte conquiste olandesi. E non è forse anche vero – conclude Kossmann – che anche la struttura sociale di altri paesi cominciò a evolversi nella stessa direzione?”.
Parallelamente, nella storia dell’arte, fa notare Marco Goldin, il Seicento olandese fu un momento unico e irripetibile. Mai prima di allora, né dopo, si verificò una tale concentrazione di pittori: non tutti grandi, ma con una qualità media molto elevata. È in Olanda che in quegli anni iniziò il collezionismo legato alla borghesia nascente. Fino ad allora i committenti delle opere erano i nobili o gli alti prelati. Ora l’arte veniva proposta sul libero mercato e venduta nelle gallerie o direttamente negli studi dei pittori. Ma questo comportò naturalmente un cambiamento dei soggetti e persino dei formati dei quadri. Vennero individuati temi che potessero piacere agli acquirenti. Si trattava insomma di un mondo in profondo mutamento in cui l’arte non veniva più considerata un bene di lusso. Nacquero molti generi pittorici: i ritratti, le nature morte, i paesaggi, le marine, le architetture, eccetera. Ma si assistette anche a un grande salto qualitativo. I ritratti non furono più celebrativi, ma diventarono introspettivi e cercarono di interpretare la psicologia del personaggio. Nei paesaggi il tema della realtà balzò in primissimo piano e due secoli più tardi Monet e gli impressionisti guardarono a queste opere per trovare la loro ispirazione.
Per scoprire questi straordinari capolavori del Seicento olandese abbiamo visitato il Rijksmuseum di Amsterdam e il Mauritshuis all’Aia. Con la guida di Goldin abbiamo constatato come ogni movimento artistico esprima dei geni, che ne hanno determinato l’evoluzione, ma anche come tra le varie opere di questi grandi maestri esistano capolavori fondamentali sia per lo sviluppo artistico del singolo artista, sia per un’intera epoca. E non sempre si tratta delle opere più famose.
Hanno lasciato una traccia indelebile dentro di noi alcuni quadri di Rembrandt, soprattutto ritratti e autoritratti, e i capolavori di Vermeer, questo autore di cui si conoscono solo una trentina di opere, di cui abbiamo visto sei capolavori. La visita di questi due musei, per tutto quanto propongono, rimane un momento davvero indimenticabile del viaggio.

Uno spettacolo indimenticabile
Nei due paragrafi precedenti abbiamo parlato di capolavori artistici prodotti da uomini eccezionali. Qui ci occupiamo invece di un altro grande autore, forse il più straordinario di tutti: la natura. Ma anche in questo caso con un’intermediazione umana, perché sono 500 i produttori che ogni anno creano uno degli spettacoli più unici al mondo per chi ama i fiori: l’Esposizione Floreale Nazionale del Keukenhof, a un’ora di strada da Amsterdam, giunta alla 67ma edizione. Si tratta di un’esperienza indescrivibile, che si tiene da fine marzo a metà maggio, ma che raggiunge il suo culmine nella seconda metà di aprile. 7 milioni di bulbi, 800 specie di tulipani, 32 ettari fioriti sono i numeri di questa kermesse. Per la visita occorre almeno mezza giornata. Si può passeggiare tra le aiuole del parco e visitare i tre padiglioni nei quali si tengono straordinarie mostre temporanee floreali. Quando l’abbiamo visitato noi il padiglione principale Willem-Alexander proponeva migliaia di tulipani sistemati in aiuole per creare un mosaico variopinto di macchie di colore. All’Oranje Nassau erano invece esposte migliaia di rose ordinate secondo le tinte. Il Beatrix era dedicato al mondo delle orchidee, mentre al padiglione Juliana si racconta la storia del tulipano, che giunse in Olanda nel Cinquecento importato dalla Turchia. Nel Seicento si assistette a una vera tulipanomania: i prezzi dei bulbi raggiunsero infatti il valore di una casa. Ma ancora oggi per l’Olanda questo mercato ricopre un’importanza particolare: il 62 per cento dei bulbi presenti nel mondo proviene infatti da questo paese.

Itinerario
1° giorno Locarno – Amsterdam via Milano o Zurigo
2° giorno Amsterdam: Rijskmuseum e Van Gogh Museum
3° giorno Amsterdam – L’Aia: Mauritshuis Museum, Mesdag Museum, Panorama Mesdag e visita della spiaggia di Scheveningen
4° giorno L’Aia – Otterlo: Kröller-Müller Museum, casa di caccia di St. Hubertus, gita in bicicletta nel parco nazionale di Hoge-Veluwe
5° giorno Visita del parco di tulipani di Keukenhof, vicino all’aeroporto. Ritorno Amsterdam-Locarno

Bretagna – Là dove si credeva che la terra finisse

Bretagna Il passo lento della storia tra riti, cultura e tradizioni

Questa selvaggia penisola allungata sull’Oceano con le sue vertiginose scogliere, le calette nascoste, le spiagge sferzate dal vento e dalle onde offre una straordinaria sintesi tra natura, cultura e tradizioni.

Un viaggio in Bretagna, là dove anticamente si pensava che la terra avesse fine (Finistère), offre splendidi e selvaggi paesaggi marini, interessanti e uniche opere architettoniche, nonché ricche tradizioni che sopravvivono da secoli.
Il nostro itinerario si limita alla scoperta della cosiddetta Bassa Bretagna, cioè la parte più ad ovest, dove si parla ancora il bretone e dove gli antichi usi e costumi sono tuttora molto diffusi. Non ci sono voli aerei diretti per la Bassa Bretagna ed è pertanto necessario fare scalo a Parigi per raggiungere Brest, dove si può noleggiare un’automobile. Il tragitto che proponiamo richiede una settimana abbondante. Coloro che dispongono di più tempo possono partire dal Ticino con il proprio veicolo, ma devono contare due giorni di viaggio all’andata e due al ritorno.

La Côte de Granit Rose
Il nostro viaggio inizia dalla regione più a nord, quella che si affaccia sulla Manica – il canale che divide la Francia dalla Gran Bretagna – visitando in particolare la costa dei Graniti Rosa. Prima di arrivarvi da Brest facciamo tappa a Tréguier, un’antica cittadina con strette viuzze e pregevoli case a graticcio annidate in fondo a un estuario con un’imponente cattedrale, dove si trova la tomba di St. Yves, il patrono degli avvocati. Saliamo lungo l’estuario fino a Le Gouffre, dove una splendida passeggiata lungo il mare dà un primo assaggio dei graniti rosa, con immensi massi rocciosi tra i quali sono state edificate alcune case signorili in granito, sempre rosa, che talvolta si appoggiano agli scogli. Ma lo spettacolo più straordinario lo si osserva una trentina di chilometri più ad ovest attorno al faro di Ploumanach, percorrendo a piedi una breve tratta del cosiddetto “sentiero dei doganieri”, che si estende lungo quasi tutta la costa bretone. L’atmosfera magica dei luoghi non è dovuta solo al colore di questo granito di grana grossa, ma anche alle sorprendenti forme scolpite dall’erosione del vento e dalla violenza delle onde oceaniche. Sembra di trovarsi in un vastissimo museo di sculture all’aperto, dentro il quale si può passeggiare per ore e dove l’artista ha un unico nome: natura.
Sulla vicina Île Grande, invece, il granito assume tonalità azzurre. Alla stazione ornitologica uno specialista commenta le immagini provenienti in diretta da una telecamera installata su un isolotto dell’arcipelago delle Sept-Îles, che si trova al largo ed è popolato da una foltissima colonia di uccelli, provenienti in primavera dalle coste africane.

Dalla costa nord a quella ovest
Dalla Costa Rosa in meno di un’ora in automobile si raggiunge la cittadina di Morlaix, da cui parte un interessante circuito alla scoperta dei migliori complessi parrocchiali (enclos paroissiaux), di cui riferiremo settimana prossima toccando gli aspetti più culturali-artistici e legati alla tradizione del nostro itinerario.Torniamo allora sulla costa nord, dove visitiamo ancora la tipica cittadina bretone di Roscoff, sviluppatasi a partire dal XVI secolo grazie agli scambi commerciali con l’Inghilterra. Dimore signorili in granito costruite da ricchi mercanti, armatori e corsari caratterizzano il quartiere che si affaccia sul porto. Un curioso museo dedicato ai “venditori di cipolla rosa” con immagini e documenti racconta la storia dei venditori che nel XIX secolo attraversavano la Manica e battevano in lungo e in largo le strade della Gran Bretagna a piedi o in bicicletta carichi di trecce di cipolle. Come non tracciare un parallelo con l’immigrazione dalle nostre valli verso il nord Europa o l’Italia? Perché viaggiare non significa dimenticare le proprie origini, bensì capire meglio le proprie radici scoprendo le esperienze di altri popoli. Da Roscoff ci trasferiamo dalla costa nord a quella ovest, passando da Le Folgoet, dove la basilica di Notre-Dame merita una visita soprattutto per ammirare un pontile che lega le due navate laterali della chiesa, finemente scolpito in granito e considerato uno dei capolavori dell’arte bretone.

Gli Abers costa selvaggia
La parte più settentrionale della costa ovest del Finistère offre lo spettacolo di un litorale molto selvaggio e frastagliato intercalato da numerosi estuari, detti “abers”, che danno il nome alla regione e che bene si possono ammirare visitando le Dunes de Ste-Marguerite e di Corn-ar-Gazel. Il sentiero dei doganieri, che segue quasi tutta la costa bretone, qui scorre su spettacolari falesie a strapiombo sul mare. In questa regione il turismo è scarso. Ci troviamo nella terra ideale per chi ama passeggiare nel silenzio, interrotto solo dal suono provocato dall’impatto delle onde contro gli scogli e accompagnato dal forte odore delle alghe, talvolta sgradevole, che costituiscono da secoli un patrimonio regionale importante. La Francia è infatti leader in Europa nel commercio delle alghe e i quattro quinti della produzione provengono proprio da queste coste. Nel piccolo villaggio di Plouguerneau un piccolo ecomuseo racconta la storia della raccolta praticata da secoli. Anticamente le alghe venivano utilizzate come fertilizzante, combustibile o cibo per animali. Oggi sono impiegate per la fabbricazione di prodotti cosmetici, nei centri di talassoterapia e sempre più spesso anche in cucina dai cuochi di grido, che le considerano la “verdura di mare”. Una sessantina di imbarcazioni provviste di un braccio meccanico snodato rastrellano i fondali marini raccogliendo ogni anno oltre 70 mila tonnellate di alghe, che poi vengono stese a seccare sul litorale.

La Route Des Phares
Al largo di queste coste, denominate anche “des Naufrageurs”, battute dalle onde dell’Atlantico e della Manica, sono affondate centinaia di navi. Si racconta addirittura che un tempo i contadini accendessero sulla costa fuochi all’aperto per confondere i capitani e provocare il naufragio delle loro imbarcazioni per poi saccheggiarne i relitti. Aneddoti a parte, molte più navi sarebbero affondate nel corso dei secoli se non ci fossero stati i fasci di luce dei fari, costruiti in Bretagna a partire dal 1695. Sentinelle dei mari, per secoli unico punto di riferimento per chi solcava le onde impetuose dell’Oceano Atlantico, queste strutture sono oggi per la quasi totalità automatizzate. I fari più imponenti sono certamente quelli dell’Île Vierge, a nord della costa ovest, che con i suoi 82.50 metri è il più alto d’Europa e quello delizioso di St-Mathieu, a sud, con accanto le suggestive rovine di un monastero benedettino del VI secolo. Ma sui quasi 90 chilometri di costa tra Brest e Portsall si sviluppa la cosiddetta “Route des phares et des balises”, dove si possono ammirare ben 30 fari e oltre 85 boe di segnalazione. Su una terrazza che si affaccia sul porto di Portsall si trova una delle due enormi ancore di 20 tonnellate ciascuna che appartenevano alla petroliera Amoco Cadiz. E’ il triste ricordo della catastrofe ecologica causata dal suo naufragio il 16 marzo 1978, quando durante una terribile tempesta, a causa di un guasto tecnico rimase in balia delle onde. Mentre attendeva l’autorizzazione dei suoi proprietari a farsi soccorrere si spezzò in due all’impatto con uno scoglio e riversò in mare 230 mila tonnellate di petrolio greggio.

La spettacolare penisola di Crozon
La penisola di Crozon rappresenta certamente uno dei luoghi più spettacolari e selvaggi di questo viaggio in terra bretone. Una sua magnifica veduta d’insieme si può avere dalla collina denominata Ménez-Hom. Questo monte alto appena 330 metri permette di spaziare sui luoghi appena descritti e ci introduce alla penisola di Crozon con le sue splendide punte che stiamo per visitare. Anticipa anche un panorama sulla penisola della Cornovaglia francese, che costituirà una delle prossime tappe. La penisola di Crozon propone quattro punte molto spettacolari. Iniziamo la visita da quella più a nord, denominata “des Espagnols”, che offre una splendida vista sulla costa tra Brest e la Pointe de St-Mathieu. Data la vicinanza con quest’altra sponda, nel 1594 una guarnigione di militari spagnoli alleati con la Lega Cattolica costruì (da qui il nome) una fortezza, di cui si visitano le rovine, per controllare l’ingresso del traffico marittimo verso la città di Brest. La Pointe de Penhir, con un dirupo di 70 metri sul mare, è la più spettacolare delle quattro punte della penisola e ospita un suggestivo monumento in onore dei bretoni delle Forces Françaises Libres, il movimento di liberazione fondato a Londra da Charles De Gaulle. La Pointe de Dinan propone invece una bella passeggiata da cui si ammira una fantastica roccia a forma di castello, mentre a Cap de la Chèvre si visitano le rovine di un posto di osservazione tedesco durante la seconda guerra mondiale.

La Cornovaglia francese
Dapprima reame e in seguito ducato, la Cornovaglia anticamente si estendeva su un territorio molto più vasto. Oggi si limita alla sola parte costiera, di cui il nostro itinerario prevede la visita della parte nord, quella più spettacolare. Questa regione è arricchita anche da tre interessanti luoghi d’arte: la capitale Quimper, lo splendido villaggio di Locronan e la suggestiva cittadella di Concarneau. In questa pagina ci limitiamo a parlare delle sole località costiere rimandando a settimana prossima la visita delle città d’arte. Secondo un detto bretone “nessuno ha mai attraversato questo mare senza paura né dolore” e una preghiera recita “Soccorrimi o Dio al Raz, la mia nave è così piccola e il mare così immenso…”. Alla Pointe du Raz, uno dei luoghi più selvaggi e spettacolari di tutta la Bretagna, dove si dice che il vento urla e l’Oceano tuona, sorge una eloquente statua dedicata a Notre-Dame-des Naufragés. Oltre 1 milione di turisti ogni anno contempla il mare aperto da questa punta, il cui accesso è regolamentato per permettere la tutela dell’ambiente naturale (per la visita si calcoli almeno 1 ora a piedi). Poco lontano e raggiungibile anche a piedi partendo dalla Pointe du Raz lungo il sentiero costiero, l’altrettanto interessante Pointe du Van (se la si raggiunge in auto si calcoli un’ora a piedi per la visita). Proseguendo sulla costa in direzione di Douarnenez, la capitale delle sardine, s’incontrano altre punte dal panorama straordinario (Pointe de Brézellec, Pointe de Beuzec e Pointe du Millier) e l’interessante Riserva Ornitologica di Cap Sizun, dove, soprattutto in primavera, si possono ammirare alcune migliaia di uccelli marini che si raggruppano in colonie. A Douarnenez attraversando una maxiscatola di sardine blu e gialla, si possono scoprire i segreti della conservazione del pesce, attività attorno alla quale da oltre due secoli ruota la vita di questa città. Nel porto, trasformato nel più importante museo galleggiante d’Europa, si possono visitare rimorchiatori, langoustier, velieri e molti altri esemplari di vecchi bastimenti.

Itinerario
1° giorno (150 km) Brest – Tréguier – Côte Rose
2° giorno Visita della Côte Rose
3° giorno (200 km) Côte Rose – Morlaix (itinerario complessi parrocchiali) – Roscoff
4° giorno (130 km) Roscoff – Le Folgoët – Porspoder (Abers)
5° giorno (150 km) Porspoder – Ponte de St-Mathieu – Plougastel – Daoulas – Ménez – Horn-Ste-Anne – La Palud
6° giorno (130 km) Ste-Anne – Locronan – Quimper – Concarneau – Ste-Anne
7° giorno (200 km) Ste-Anne – Cornovaglia (costiera nord) – Ste-Anne
8° giorno (100 km) Ste-Anne – Penisola di Crozon – Ste-Anne

Per saperne di più
Bretagna Guida Michelin rossa, Nanterre 2016
Bretagne, carte routière et Touristique Michelin, Boulogne 2015
Bretagna Traveller, Milano 2005

Bretagna – Il passo lento della storia tra riti, cultura e tradizioni

Bretagna – Là dove si credeva che la terra finisse

Oltre alla visita di alcune città medievali questo itinerario va alla scoperta dei più interessanti complessi parrocchiali, uno dei fenomeni artistici più singolari della regione con i suoi meravigliosi calvari scolpiti nel granito.

Prosegue il nostro viaggio nella cosiddetta Bassa Bretagna, cioè la regione più ad ovest della Francia, dove si parla ancora la lingua bretone e dove gli antichi usi e costumi sono tuttora molto diffusi. Ci soffermeremo sugli aspetti più culturali di questa affascinante regione, ricca di testimonianze storiche e artistiche. Oltre alla visita di alcune città medievali questo itinerario va alla scoperta dei principali complessi parrocchiali, uno dei fenomeni artistici più interessanti della Bretagna con i meravigliosi calvari scolpiti nel granito. Per scoprire queste meraviglie dell’arte locale si consiglia di percorrere l’itinerario circolare descritto dalla Guida Michelin Verde (vedi “per saperne di più”), che parte da Morlaix e tocca nell’ordine St-Thégonnec, Guimiliau, Lampul-Guimiliau, La Roche-Maurice, Pencran, La Martyre, Sizun. Per meglio capire ciò che vedremo è necessario spendere due parole sulla storia di questa regione, dove si riteneva finisse la terra (Finistère), e sulle sue tradizioni.

Asterix e Obelix
Chi non ha letto i fumetti di Asterix e Obelix, vicende che hanno come sfondo l’importante periodo di storia bretone? Le imprese dei due eroi raccontano infatti le battaglie dei Galli contro i Romani, che a partire dal 57 prima di Cristo invasero la regione, mantenendone il dominio fino al IV secolo dopo Cristo. Terminata l’epoca romana, tra il V e il VI secolo, la Bretagna fu invasa dai Celti provenienti dalla Britannia (cioè dall’Inghilterra) centro occidentale. Questa popolazione fu spinta ad attraversare il canale della Manica quando le sue terre furono a loro volta invase dai popoli germanici e danesi. La lingua bretone, che nel corso dei secoli ha subito numerosi mutamenti, fu introdotta da questi esuli inglesi, che per lungo tempo mantennero relazioni con la loro terra d’origine. È pure verosimile che le leggende riferite a re Artù, ai Cavalieri della tavola rotonda e a Mago Merlino, che in Bretagna fiorirono numerose, fossero state importate, insieme con la lingua e altre tradizioni, dall’immigrazione celtica di quel periodo. La Bretagna, e soprattutto la regione più ad ovest (Finistère), rimane fedele alle sue tradizioni e alla sua lingua, che viene ancora oggi parlata da oltre 300 mila persone. In questi ultimi vent’anni, dopo i profondi cambiamenti del dopoguerra, soprattutto nella Bassa Bretagna si è assistito a una valorizzazione delle proprie radici, nonostante l’abbandono dei villaggi rurali e l’inevitabile sviluppo del commercio, dell’industria e del turismo. Si sta per esempio recuperando la grande varietà e ricchezza dei costumi, trasmessi da una generazione all’altra, che ancora oggi vengono sfoggiati durante le grandi feste popolari, come per esempio le importanti processioni organizzate per celebrare il santo protettore dei villaggi. Gli abiti da cerimonia, generalmente neri, brillano soprattutto per la vivacità dei grembiuli ricamati. L’originalità del costume femminile è costituita anche dai copricapo: in ogni regione le cuffie hanno caratteristiche diverse, sempre austere, ma molto fantasiose.

Gli enclos paroisseaux
Anche il rapporto dei bretoni con la morte è profondamente influenzato dall’eredità celtica. Sugli ossari vediamo scolpito uno scheletro che tiene una falce, l’Ankou (il nome significa “angoscia”), che, narra la tradizione, la notte vaga su un carro che scricchiola. Chi sente il rumore o lo incontra morirà presto. La porta dell’inferno si troverebbe, si dice, nei monti d’Arrée, nel Finistère che stiamo visitando. Ed è proprio per permettere alla vita spirituale delle parrocchie di mantenere uno stretto legame con la comunità dei morti, che sono nati i cosiddetti “enclos paroisseaux”, cioè i recinti o complessi parrocchiali, i gruppi monumentali più caratteristici dei borghi bretoni. Un piccolo cimitero con pietre tombali uniformi è situato al centro del complesso. Attorno al camposanto, al quale si accede in generale da una porta trionfale, si trovano la chiesa con la piazzetta antistante, il calvario e l’ossario. Il complesso è solitamente racchiuso dentro un recinto in pietra. Queste architetture religiose, meraviglie spontanee che non hanno paragoni altrove, sono caratteristiche della devozione bretone ed espressione artistica della prosperità dei porti fluviali della regione tra il XV e il XVII secolo. La varietà architettonica di questi “recinti” si spiega con il forte spirito competitivo che regnava tra un villaggio e l’altro. L’ansia di primeggiare si tradusse in una specie di gara a chi faceva di più e meglio: a Guimilau si realizzarono raffinate decorazioni sul calvario, a La Martyre si puntò su un ornatissimo arco trionfale, a Pleyben si fece un ardito campanile e a Saint-Thégonnec l’attenzione fu messa nella varietà e nel numero di statue del calvario. Al cimitero si accedeva attraverso una porta monumentale riccamente decorata, una sorta di arco trionfale, denominato “porta dei morti”, che simboleggiava l’entrata del giusto nell’immortalità. Per far posto alle nuove salme nei minuscoli cimiteri si riesumavano i cadaveri. Le ossa venivano raccolte in piccoli contenitori traforati addossati al muro della chiesa o del cimitero. I crani venivano invece sistemati nelle cosiddette “scatole per capo” e conservate negli ossari. Ma l’elemento più suggestivo dei complessi parrocchiali è costituito dai cosiddetti calvari, piccoli monumenti in granito che rappresentano scene della Passione e culminano nel Cristo crocifisso. Si tratta di sculture semplici, ma l’espressione dei personaggi e l’energia che emanano sono davvero sorprendenti. Questi calvari erano concepiti come una sorta di fumetto e avevano una funzione didattica. Molti presentano una piattaforma su cui il sacerdote saliva per spiegare ai fedeli, con l’ausilio di una bacchetta, le scene rappresentate. Attorno al 1650, quando questa originale forma artistica raggiunse il suo apice, l’avventura si concluse: la Francia intraprese infatti una serie di interminabili guerre contro gli Inglesi e gli Olandesi, che interruppero i flussi mercantili nei porti bretoni facendo sprofondare la regione nella povertà.

Città medievali
Un salto nel passato. È quanto avete l’opportunità di fare visitando Locronan, un piccolo gioiello del Finistère, dove il tempo sembra essersi fermato e dove la vocazione turistica non ha compromesso l’architettura di questo bellissimo villaggio. Scelto da molti registi (tra cui Roman Polanski per “Tess”) come set cinematografico, il borgo si è sviluppato tra il XV e il XVII secolo grazie alla fabbricazione e alla commercializzazione di tele per velieri. La qualità di questi tessuti era tale da essere richiesti in tutta Europa per equipaggiare le navi della marina francese, di quella inglese e di quella spagnola. Si narra che le caravelle di Cristoforo Colombo veleggiassero grazie a tele tessute a Locronan. Il villaggio ha conservato una splendida piazza centrale con un antico pozzo, sulla quale si affacciano edifici rinascimentali in granito e l’ampia chiesa, che deve le sue origini a un vescovo eremita irlandese stabilitosi nel VII secolo in questa regione boschiva e autore, secondo la tradizione, di numerosi miracoli. Camminando lungo le strette viuzze del borgo, con un po’ di fantasia si può immaginare la vita nell’epoca medievale. A un’ora circa di automobile da Locronan sorge un’altra chicca del passato: l’incantevole cittadella (Ville close) di Concarneau circondata da imponenti mura medievali in granito. Si tratta di un’isoletta a forma irregolare lunga 350 metri e larga 100, con strette e pittoresche viuzze, collegata alla terra da un ponte. La si può scoprire sia passeggiando lungo le due animate arterie principali, sia percorrendo il panoramico giro delle mura, da cui si gode una bella vista sul porto peschereccio della cittadina, considerato tra i più importanti di Francia. Tra Locronan e Concarneau vale la pena di visitare anche Quimper, che si scorge da lontano grazie alle guglie della sua cattedrale, provvista di splendide vetrate, davanti alla quale si estende il centro storico caratterizzato da strette viuzze fiancheggiate da case a graticcio e battezzate con i nomi delle corporazioni medievali. Altre due piacevoli scoperte si trovano lungo l’itinerario costiero descritto settimana scorsa. Si tratta di Tréguier, antica cittadina annidata in fondo a un estuario con tipiche case a graticcio e un’imponente cattedrale, e di Roscoff, un villaggio costiero con signorili dimore in granito, edificate da ricchi mercanti, armatori e corsari che hanno costruito la loro fortuna sugli scambi commerciali con l’Inghilterra.

Itinerario
1° giorno (150 km) Brest – Tréguier – Côte Rose
2° giorno Visita della Côte Rose
3° giorno (200 km) Côte Rose – Morlaix (itinerario complessi parrocchiali) – Roscoff
4° giorno (130 km) Roscoff – Le Folgoët – Porspoder (Abers)
5° giorno (150 km) Porspoder – Ponte de St-Mathieu – Plougastel – Daoulas – Ménez – Horn-Ste-Anne – La Palud
6° giorno (130 km) Ste-Anne – Locronan – Quimper – Concarneau – Ste-Anne
7° giorno (200 km) Ste-Anne – Cornovaglia (costiera nord) – Ste-Anne
8° giorno (100 km) Ste-Anne – Penisola di Crozon – Ste-Anne

Per saperne di più
Bretagna Guida Michelin rossa, Nanterre 2016
Bretagne, carte routière et Touristique Michelin, Boulogne 2015
Bretagna Traveller, Milano 2005

Canarie – A spasso tra vulcani e deserti

Canarie – La sfida di un architetto contro la speculazione

Un itineario alla scoperta di Lanzarote e Fuerteventura, le isole più vicine alla costa africana. Tra il “Parque Natural de las Dunas” che sembra una continuazione del Sahara in riva al mare e i paesaggi surreali di vaste distese di lava.

Un territorio vulcanico con rare oasi verdeggianti, ricche di palme, intercalate ad aspre distese di lava nera dall’aspetto surreale e inquietante. Ma Lanzarote non sarebbe quello che è se César Manrique, un artista solitario innamorato della sua terra, non avesse utilizzato il suo genio creativo per realizzare le sue opere e valorizzare il paesaggio, dopo essersi battuto per anni contro la speculazione e la cementificazione dell’isola.
Lanzarote, con un’estensione di 60 chilometri e una larghezza di 20, è però famosa soprattutto per le sue immense spiagge di sabbia dorata sferzate dalla brezza del mare, che ogni anno richiamano oltre 2 milioni e mezzo di turisti. Il nostro itinerario propone di scoprire l’isola, con le sue incredibili bellezze naturali, ma è compatibile anche per chi sceglie questa meta come vacanza di mare. Gli amanti del bagno non perdano l’occasione di immergersi nelle acque limpidissime dell’idilliaca “Playa El Papagayo” a sud est dell’isola e della magnifica “Caleta de Famara” a nord ovest.

Una terra vulcanica
Chiunque avrebbe potuto credere, data la violenza dell’evento, che quella fosse la fine del mondo. Il cielo si oscurò tenebrosamente, il terreno si lacerò sprigionando vapori pestilenziali, il fuoco si riversò a fiumi distruggendo villaggi e uccidendo animali”. Così racconta un curato, testimone delle eruzioni che per sei lunghi anni, dal 1730 al 1736, coinvolsero 30 vulcani e ricoprirono di lava anche quelle poche terre fertili che erano state risparmiate dalle colate nei secoli precedenti. Per la popolazione di allora fu una catastrofe e molti abitanti furono costretti a lasciare l’isola. Oggi, però, paradossalmente, quella tragedia si è trasformata in un’incomparabile ricchezza turistica che caratterizza Lanzarote, conferendole un affascinante aspetto lunare.
Epicentro delle eruzioni settecentesche furono le “Montañas del Fuego”: il luogo più spettacolare, oggi Parco Nazionale voluto da César Manrique, dove l’architetto ha costruito un ristorante belvedere da cui si gode un’incredibile vista sui crateri dei vulcani e sul desolato paesaggio lavico che si estende fino al mare. Una stretta e tortuosa stradina (Ruta de los Vulcanes), che si percorre in torpedone, fiancheggia le cime dando la possibilità di ammirare l’interno dei coni vulcanici, attraverso un paesaggio da cui sorgono fantastiche formazioni laviche in gradazioni di nero, grigio, marrone e rosso, schiarite dal colore bianco giallognolo dei licheni. L’immenso campo di lava e vulcani arriva fino al mare, che si scorge all’orizzonte.
Uno dei tratti marini più affascinanti e inconsueti di Lanzarote è proprio quello della costa a sud ovest, che confina con il Parco Nazionale, dove le poderose onde dell’oceano con la loro bianchissima schiuma bianca, infrangendosi contro i nerissimi scogli lavici, offrono un indimenticabile contrasto. Questo paesaggio lo si può ammirare percorrendo in automobile la strada che dalle “Salinas de Janubio” (interessanti saline), attraversando “Los Hervideros”, porta a “El Golfo”, un pittoresco borgo in riva al mare famoso per i suoi ristoranti di pesce. Questo villaggio è noto per due attrazioni: all’entrata un lago vulcanico dall’acqua color smeraldo, che contrasta con la sabbia nera e il blu del mare, e all’uscita una breve ma spettacolare passeggiata ai bordi del Parco Nazionale.
Per chi ama camminare, Canary Trekking (si veda il programma su internet) organizza interessanti passeggiate di tre, quattro ore nelle zone vulcaniche più interessanti: ai confini del Parco Nazionale e a nord attorno al “Vulcano de la Corona” fino al “Risco de Famara”, un altro tratto spettacolare di costa. “È un piacere profondo, ineffabile, camminare in questi campi deserti e spazzati dal vento – ha scritto il premio Nobel José Saramago nei ‘Quaderni di Lanzarote’ – risalire un pendio difficile e guardare dall’alto il paesaggio nero, scorticato…”.
Il vulcano della Corona, che si può facilmente scalare, è, assieme al Timanfaya del Parco Nazionale, il più imponente dell’isola. La sua ultima eruzione, che risale a 5 mila anni fa, ha prodotto un interessante fenomeno: la creazione di un tunnel a più strati lungo 7,5 chilometri. Le gallerie si sono formate sotto la superficie della colata lavica, che a contatto con l’aria si è raffreddata e solidificata, permettendo al magma fuso di continuare a scorrere in profondità, finché l’eruzione non si è esaurita. Una tratta di 2 chilometri di questo singolare tunnel la si può visitare (Cueva de los Verdes) seguendo un percorso sotterraneo reso molto suggestivo da una sapiente illuminazione. In questi anfratti naturali nelle viscere della terra si nascosero per secoli gli abitanti dell’isola perseguitati dalle frequenti incursioni dei pirati marocchini, algerini, francesi e inglesi.
Lo stesso tunnel lo si trova, con il tetto crollato, in prossimità del mare (Jameos del Agua), vicino a un azzurro lago salato, dove vive una specie di granchio albino cieco, unico al mondo. Anche qui il genio artistico di César Manrique ha creato uno splendido mondo sotterraneo di acqua e piante con bar, ristoranti, un auditorium per 600 persone e un piccolo museo sui fenomeni vulcanici.
Nelle vicinanze vale la pena di visitare anche due altre interessanti attrazioni turistiche volute da Manrique: il “Mirador del Rio”, un punto panoramico con magnifica vista sull’isola Graciosa e altre minori, splendidamente integrato con il suo ristorante nell’ambiente roccioso della scogliera, e il “Jardin de Cactus”, con oltre 10 mila esemplari appartenenti a oltre mille diverse varietà. Nella regione merita una sosta anche la graziosa cittadina di Teguise, antica capitale dell’isola.

Le vigne tra la lava
Dopo l’eruzione del Settecento, che coprì i pochi terreni fertili risparmiati in passato dalla lava, la sussistenza dei “mago”, i contadini dell’isola, si fece difficile e molti furono costretti a emigrare. Ma chi rimase, spinto dalla disperazione, scavò nella cenere vulcanica alla ricerca della terra e vi piantò dei ceppi di vite. Fu un’ottima trovata, perché ancora oggi l’aspetto più caratteristico dell’agricoltura dell’isola è quello dei vigneti scavati nella sabbia vulcanica. Ogni pianta è inoltre protetta da un muretto a mezzaluna in pietra lavica, simile a un ricamo, che non ha il compito di bloccare l’aria – sovente il vento è impetuoso – ma di filtrarla. La composizione vulcanica del suolo conferisce al vino un sapore particolare. Al museo del vino nella “Cantina El Grifo”, la più antica dell’isola, si possono osservare alcune vigne piantate oltre due secoli fa scavando un metro e più nel terreno per trovare la terra.
Grazie a questo sistema di coltivazione unico al mondo si è constatato che la ghiaia lavica svolge varie funzioni: protegge la terra sottostante dall’eccessivo calore del sole, impedisce all’acqua incamerata nel terreno di evaporare troppo in fretta, accentua alcune proprietà minerali del suolo. I contadini di Lanzarote, dopo questa scoperta, spargono sui campi coltivati uno strato di cenere lavica, che agisce da spugna, assorbendo la notte l’umidità e trasmettendola durante il giorno alla terra.

Quando le dune si specchiano nell’Oceano
Uno “scheletro d’isola” la definì Miguel de Unamuno, l’intellettuale spagnolo esiliato a Fuerteventura nel 1924 dal dittatore spagnolo Miguel Primo de Rivera. Rimase probabilmente colpito dalla nudità degli spazi desertici delle dune, dalle cime pelate dei coni vulcanici estinti e dal profilo africano del paesaggio. Emblema spettacolare di questa natura è il “Parque Natural de las Dunas de Corralejo”, una propaggine del Sahara in riva al mare, con le sue dune di sabbia bianchissima che si estendono per una decina di chilometri a sud della città fino alle pendici del vulcano “Montaña Roja”. Solo due mostri di cemento della catena Riu interrompono l’incanto di questo paesaggio.
Con i suoi 160 chilometri di lunghezza e 30 di larghezza Fuerteventura è la seconda isola per vastità dell’arcipelago, dopo Tenerife. È celebre soprattutto per le acque turchesi e per le vaste spiagge sferzate dal vento che ne fanno un paradiso per i surfisti. Il mare è solitamente tanto più bello quanto più ci si allontana dai centri abitati, troppo spesso frutto di speculazione edilizia. All’interno dell’isola si trovano ancora alcuni villaggi caratteristici con case basse e bianchissime costruite attorno alla chiesa, quasi sempre chiusa. Ma se si ha la fortuna di trovarne qualcuna aperta, come a La Oliva, Antigua, Betancuria o Pajara si potranno ammirare i soffitti in legno e gli altari barocchi.
Per scoprire l’isola si può facilmente percorrere in un giorno un itinerario che si sviluppa da nord a sud. Si parte da Corralejo per raggiungere La Oliva con la sua graziosa piazzetta caratterizzata dalla “Iglesia de Nuestra Senora de la Candelaria”, dotata di un campanile costruito in pietra vulcanica nera che contrasta con il bianco del villaggio. A poca distanza si può visitare la “Casa de los Coroneles”, dove gli ufficiali stanziati in paese controllavano gli affari dell’isola per conto degli spagnoli. A Tefia, una ventina di chilometri a sud, l’”Ecomuseo de Alcogida” conserva una decina di antiche case restaurate e illustra la vita quotidiana degli isolani di un tempo con le loro attività agricole e artigianali.
Un segno distintivo del paesaggio di quest’isola è costituito dai frequenti mulini a vento, che nei tempi passati macinavano farina da grano, orzo e granturco, oppure servivano per pompare l’acqua dai pozzi. Ad Antigua un museo ne illustra la storia e presenta un’altra importante attività isolana: la produzione di un ottimo formaggio di capra. Pochi chilometri separano Antigua da Betancuria, antica capitale di Fuerteventura, raccolta all’interno di un cratere e attorniata da cime di vulcani estinti. Questo villaggio, senza dubbio il più bello dell’isola, fu fondato all’inizio del Quattrocento da Jean de Béthencourt, che conquistò Fuerteventura per conto della corona spagnola. Una strada molto spettacolare porta dapprima a Pajara e in seguito a La Pared al limite nord ovest della penisola di Jandia, dove si trova il confine tra due tipi di spiaggia, entrambi meravigliosi ma completamente diversi per il colore della sabbia: a sud dorata, a nord nera perché di origine vulcanica. Da La Pared, viaggiando sempre in direzione sud si raggiunge dapprima Costa Calma, una città rivierasca costruita negli anni Sessanta secondo un moderno piano urbanistico e in seguito la caotica Morro Jable. Spingendosi ancora più a sud si entra nel selvaggio “Parque Natural de Jandia”, dove non è giunta la speculazione edilizia. In un’ora e mezza circa di automobile si ritorna a Corralejo. Seguendo le indicazioni e la strada per l’aeroporto, una ventina di chilometri dopo La Lajita, si attraversa una desolata e spettacolare zona denominata “Malpais Grande”, dove la superficie lavica assume forme sorprendenti.

Itinerario
1° giorno Ticino – Arrecife – Femes – Playa Blanca – Corralejo
2° giorno Parque Natural de Las Dunas de Corralejo
3° giorno (235 km) Corralejo – La Oliva – Tefia – Betancuria – Pajara – Morro Jable – Corralejo
4° giorno Playa Blanca – Punta de Papagayo – Salinas De Janubio – El Golfo – Yaiza – La Geria – San Bartolomé – Arrecife – Costa Teguise
5° giorno Parque Nacional de Timanfaya con escursione a piedi
6° giorno Costa Teguise – Guatiza – Jameos del Agua – Cueva De Los Verdes – Malpais de Corona – Orzola – Mirador del Rio – Haría – Teguise – Costa Teguise
7° giorno Escursione a piedi al Volcan de la Corona
8° giorno Lanzarote – Zurigo Ticino

Per saperne di più
Canarie Meridiani, aprile 2014
Baleari e Canarie Meridiani, giugno 2001
Canarie Traveller, febbraio 2003