Canarie – A spasso tra vulcani e deserti

Canarie – La sfida di un architetto contro la speculazione

Un itineario alla scoperta di Lanzarote e Fuerteventura, le isole più vicine alla costa africana. Tra il “Parque Natural de las Dunas” che sembra una continuazione del Sahara in riva al mare e i paesaggi surreali di vaste distese di lava.

Un territorio vulcanico con rare oasi verdeggianti, ricche di palme, intercalate ad aspre distese di lava nera dall’aspetto surreale e inquietante. Ma Lanzarote non sarebbe quello che è se César Manrique, un artista solitario innamorato della sua terra, non avesse utilizzato il suo genio creativo per realizzare le sue opere e valorizzare il paesaggio, dopo essersi battuto per anni contro la speculazione e la cementificazione dell’isola.
Lanzarote, con un’estensione di 60 chilometri e una larghezza di 20, è però famosa soprattutto per le sue immense spiagge di sabbia dorata sferzate dalla brezza del mare, che ogni anno richiamano oltre 2 milioni e mezzo di turisti. Il nostro itinerario propone di scoprire l’isola, con le sue incredibili bellezze naturali, ma è compatibile anche per chi sceglie questa meta come vacanza di mare. Gli amanti del bagno non perdano l’occasione di immergersi nelle acque limpidissime dell’idilliaca “Playa El Papagayo” a sud est dell’isola e della magnifica “Caleta de Famara” a nord ovest.

Una terra vulcanica
Chiunque avrebbe potuto credere, data la violenza dell’evento, che quella fosse la fine del mondo. Il cielo si oscurò tenebrosamente, il terreno si lacerò sprigionando vapori pestilenziali, il fuoco si riversò a fiumi distruggendo villaggi e uccidendo animali”. Così racconta un curato, testimone delle eruzioni che per sei lunghi anni, dal 1730 al 1736, coinvolsero 30 vulcani e ricoprirono di lava anche quelle poche terre fertili che erano state risparmiate dalle colate nei secoli precedenti. Per la popolazione di allora fu una catastrofe e molti abitanti furono costretti a lasciare l’isola. Oggi, però, paradossalmente, quella tragedia si è trasformata in un’incomparabile ricchezza turistica che caratterizza Lanzarote, conferendole un affascinante aspetto lunare.
Epicentro delle eruzioni settecentesche furono le “Montañas del Fuego”: il luogo più spettacolare, oggi Parco Nazionale voluto da César Manrique, dove l’architetto ha costruito un ristorante belvedere da cui si gode un’incredibile vista sui crateri dei vulcani e sul desolato paesaggio lavico che si estende fino al mare. Una stretta e tortuosa stradina (Ruta de los Vulcanes), che si percorre in torpedone, fiancheggia le cime dando la possibilità di ammirare l’interno dei coni vulcanici, attraverso un paesaggio da cui sorgono fantastiche formazioni laviche in gradazioni di nero, grigio, marrone e rosso, schiarite dal colore bianco giallognolo dei licheni. L’immenso campo di lava e vulcani arriva fino al mare, che si scorge all’orizzonte.
Uno dei tratti marini più affascinanti e inconsueti di Lanzarote è proprio quello della costa a sud ovest, che confina con il Parco Nazionale, dove le poderose onde dell’oceano con la loro bianchissima schiuma bianca, infrangendosi contro i nerissimi scogli lavici, offrono un indimenticabile contrasto. Questo paesaggio lo si può ammirare percorrendo in automobile la strada che dalle “Salinas de Janubio” (interessanti saline), attraversando “Los Hervideros”, porta a “El Golfo”, un pittoresco borgo in riva al mare famoso per i suoi ristoranti di pesce. Questo villaggio è noto per due attrazioni: all’entrata un lago vulcanico dall’acqua color smeraldo, che contrasta con la sabbia nera e il blu del mare, e all’uscita una breve ma spettacolare passeggiata ai bordi del Parco Nazionale.
Per chi ama camminare, Canary Trekking (si veda il programma su internet) organizza interessanti passeggiate di tre, quattro ore nelle zone vulcaniche più interessanti: ai confini del Parco Nazionale e a nord attorno al “Vulcano de la Corona” fino al “Risco de Famara”, un altro tratto spettacolare di costa. “È un piacere profondo, ineffabile, camminare in questi campi deserti e spazzati dal vento – ha scritto il premio Nobel José Saramago nei ‘Quaderni di Lanzarote’ – risalire un pendio difficile e guardare dall’alto il paesaggio nero, scorticato…”.
Il vulcano della Corona, che si può facilmente scalare, è, assieme al Timanfaya del Parco Nazionale, il più imponente dell’isola. La sua ultima eruzione, che risale a 5 mila anni fa, ha prodotto un interessante fenomeno: la creazione di un tunnel a più strati lungo 7,5 chilometri. Le gallerie si sono formate sotto la superficie della colata lavica, che a contatto con l’aria si è raffreddata e solidificata, permettendo al magma fuso di continuare a scorrere in profondità, finché l’eruzione non si è esaurita. Una tratta di 2 chilometri di questo singolare tunnel la si può visitare (Cueva de los Verdes) seguendo un percorso sotterraneo reso molto suggestivo da una sapiente illuminazione. In questi anfratti naturali nelle viscere della terra si nascosero per secoli gli abitanti dell’isola perseguitati dalle frequenti incursioni dei pirati marocchini, algerini, francesi e inglesi.
Lo stesso tunnel lo si trova, con il tetto crollato, in prossimità del mare (Jameos del Agua), vicino a un azzurro lago salato, dove vive una specie di granchio albino cieco, unico al mondo. Anche qui il genio artistico di César Manrique ha creato uno splendido mondo sotterraneo di acqua e piante con bar, ristoranti, un auditorium per 600 persone e un piccolo museo sui fenomeni vulcanici.
Nelle vicinanze vale la pena di visitare anche due altre interessanti attrazioni turistiche volute da Manrique: il “Mirador del Rio”, un punto panoramico con magnifica vista sull’isola Graciosa e altre minori, splendidamente integrato con il suo ristorante nell’ambiente roccioso della scogliera, e il “Jardin de Cactus”, con oltre 10 mila esemplari appartenenti a oltre mille diverse varietà. Nella regione merita una sosta anche la graziosa cittadina di Teguise, antica capitale dell’isola.

Le vigne tra la lava
Dopo l’eruzione del Settecento, che coprì i pochi terreni fertili risparmiati in passato dalla lava, la sussistenza dei “mago”, i contadini dell’isola, si fece difficile e molti furono costretti a emigrare. Ma chi rimase, spinto dalla disperazione, scavò nella cenere vulcanica alla ricerca della terra e vi piantò dei ceppi di vite. Fu un’ottima trovata, perché ancora oggi l’aspetto più caratteristico dell’agricoltura dell’isola è quello dei vigneti scavati nella sabbia vulcanica. Ogni pianta è inoltre protetta da un muretto a mezzaluna in pietra lavica, simile a un ricamo, che non ha il compito di bloccare l’aria – sovente il vento è impetuoso – ma di filtrarla. La composizione vulcanica del suolo conferisce al vino un sapore particolare. Al museo del vino nella “Cantina El Grifo”, la più antica dell’isola, si possono osservare alcune vigne piantate oltre due secoli fa scavando un metro e più nel terreno per trovare la terra.
Grazie a questo sistema di coltivazione unico al mondo si è constatato che la ghiaia lavica svolge varie funzioni: protegge la terra sottostante dall’eccessivo calore del sole, impedisce all’acqua incamerata nel terreno di evaporare troppo in fretta, accentua alcune proprietà minerali del suolo. I contadini di Lanzarote, dopo questa scoperta, spargono sui campi coltivati uno strato di cenere lavica, che agisce da spugna, assorbendo la notte l’umidità e trasmettendola durante il giorno alla terra.

Quando le dune si specchiano nell’Oceano
Uno “scheletro d’isola” la definì Miguel de Unamuno, l’intellettuale spagnolo esiliato a Fuerteventura nel 1924 dal dittatore spagnolo Miguel Primo de Rivera. Rimase probabilmente colpito dalla nudità degli spazi desertici delle dune, dalle cime pelate dei coni vulcanici estinti e dal profilo africano del paesaggio. Emblema spettacolare di questa natura è il “Parque Natural de las Dunas de Corralejo”, una propaggine del Sahara in riva al mare, con le sue dune di sabbia bianchissima che si estendono per una decina di chilometri a sud della città fino alle pendici del vulcano “Montaña Roja”. Solo due mostri di cemento della catena Riu interrompono l’incanto di questo paesaggio.
Con i suoi 160 chilometri di lunghezza e 30 di larghezza Fuerteventura è la seconda isola per vastità dell’arcipelago, dopo Tenerife. È celebre soprattutto per le acque turchesi e per le vaste spiagge sferzate dal vento che ne fanno un paradiso per i surfisti. Il mare è solitamente tanto più bello quanto più ci si allontana dai centri abitati, troppo spesso frutto di speculazione edilizia. All’interno dell’isola si trovano ancora alcuni villaggi caratteristici con case basse e bianchissime costruite attorno alla chiesa, quasi sempre chiusa. Ma se si ha la fortuna di trovarne qualcuna aperta, come a La Oliva, Antigua, Betancuria o Pajara si potranno ammirare i soffitti in legno e gli altari barocchi.
Per scoprire l’isola si può facilmente percorrere in un giorno un itinerario che si sviluppa da nord a sud. Si parte da Corralejo per raggiungere La Oliva con la sua graziosa piazzetta caratterizzata dalla “Iglesia de Nuestra Senora de la Candelaria”, dotata di un campanile costruito in pietra vulcanica nera che contrasta con il bianco del villaggio. A poca distanza si può visitare la “Casa de los Coroneles”, dove gli ufficiali stanziati in paese controllavano gli affari dell’isola per conto degli spagnoli. A Tefia, una ventina di chilometri a sud, l’”Ecomuseo de Alcogida” conserva una decina di antiche case restaurate e illustra la vita quotidiana degli isolani di un tempo con le loro attività agricole e artigianali.
Un segno distintivo del paesaggio di quest’isola è costituito dai frequenti mulini a vento, che nei tempi passati macinavano farina da grano, orzo e granturco, oppure servivano per pompare l’acqua dai pozzi. Ad Antigua un museo ne illustra la storia e presenta un’altra importante attività isolana: la produzione di un ottimo formaggio di capra. Pochi chilometri separano Antigua da Betancuria, antica capitale di Fuerteventura, raccolta all’interno di un cratere e attorniata da cime di vulcani estinti. Questo villaggio, senza dubbio il più bello dell’isola, fu fondato all’inizio del Quattrocento da Jean de Béthencourt, che conquistò Fuerteventura per conto della corona spagnola. Una strada molto spettacolare porta dapprima a Pajara e in seguito a La Pared al limite nord ovest della penisola di Jandia, dove si trova il confine tra due tipi di spiaggia, entrambi meravigliosi ma completamente diversi per il colore della sabbia: a sud dorata, a nord nera perché di origine vulcanica. Da La Pared, viaggiando sempre in direzione sud si raggiunge dapprima Costa Calma, una città rivierasca costruita negli anni Sessanta secondo un moderno piano urbanistico e in seguito la caotica Morro Jable. Spingendosi ancora più a sud si entra nel selvaggio “Parque Natural de Jandia”, dove non è giunta la speculazione edilizia. In un’ora e mezza circa di automobile si ritorna a Corralejo. Seguendo le indicazioni e la strada per l’aeroporto, una ventina di chilometri dopo La Lajita, si attraversa una desolata e spettacolare zona denominata “Malpais Grande”, dove la superficie lavica assume forme sorprendenti.

Itinerario
1° giorno Ticino – Arrecife – Femes – Playa Blanca – Corralejo
2° giorno Parque Natural de Las Dunas de Corralejo
3° giorno (235 km) Corralejo – La Oliva – Tefia – Betancuria – Pajara – Morro Jable – Corralejo
4° giorno Playa Blanca – Punta de Papagayo – Salinas De Janubio – El Golfo – Yaiza – La Geria – San Bartolomé – Arrecife – Costa Teguise
5° giorno Parque Nacional de Timanfaya con escursione a piedi
6° giorno Costa Teguise – Guatiza – Jameos del Agua – Cueva De Los Verdes – Malpais de Corona – Orzola – Mirador del Rio – Haría – Teguise – Costa Teguise
7° giorno Escursione a piedi al Volcan de la Corona
8° giorno Lanzarote – Zurigo Ticino

Per saperne di più
Canarie Meridiani, aprile 2014
Baleari e Canarie Meridiani, giugno 2001
Canarie Traveller, febbraio 2003

Canarie – La sfida di un architetto contro la speculazione

Canarie – A spasso tra vulcani e deserti

Come proteggere l’ambiente e le bellezze naturali contro lo sviluppo incontrollato del turismo senza però rinunciare al progresso economico? È stata questa la sfida di César Manrique (1919-1992), intellettuale, architetto, scultore, pittore nella sua amata isola di Lanzarote alle Canarie. Una sfida vinta in parte. Attraversando i villaggi all’interno di Lanzarote si può notare come lo stile architettonico tradizionale di piccole e basse abitazioni bianchissime, seppur interpretato in chiave moderna, sia rimasto la norma. Anche i borghi che si affacciano sul mare sono in gran parte stati risparmiati dalla speculazione edilizia. Questo impegno di Manrique è stato riconosciuto dopo la sua morte dall’Unesco, che ha dichiarato l’intera isola “Riserva della Biosfera”. Certo, la natura ha fatto la sua parte, ma Lanzarote non sarebbe quella che è oggi se Manrique non avesse deciso di realizzare la sua tela artistica direttamente sul territorio del suo paese.
Già durante gli studi di architettura all’Università di Tenerife e in seguito di Belle Arti a Madrid coltivava il sogno di disegnare le sue opere direttamente nel paesaggio. Tanto che sull’isola sono in molti a pensare che ci sia una Lanzarote prima e una dopo Manrique. Lui ha proposto con successo un modello di sviluppo alternativo, convinto che fosse possibile una sintesi tra arte e natura e un’integrazione tra diversi linguaggi artistici: pittura, scultura, disegno e architettura. Il suo genio ha reinventato il paesaggio, interpretando in chiave moderna l’estetica originale dell’isola.
Nato ad Arecife nel 1919, nel ‘37 Manrique si arruolò come nell’esercito franchista, ma nel ’39 ritornò sull’isola e diede fuoco alla sua divisa. Dopo gli studi trascorse parecchi anni a New York, dove divenne pupillo di Nelson Rockefeller ed espose al Museo Guggenheim. Nel ’68 tornò a Lanzarote. Erano gli anni in cui si decideva se lo sviluppo turistico dovesse corrispondere a colate di cemento e grandi alberghi o al rispetto del paesaggio e a costruzioni in armonia con la natura. In questo periodo Manrique organizzò manifestazioni di protesta e fondò il gruppo ambientalista “El Guincho” riuscendo a fare approvare al governo leggi che regolamentavano lo sviluppo urbanistico con norme per stabilire l’altezza, lo stile e il colore degli edifici. Ma non si limitò alla protesta, propose anche realizzazioni turistiche, che oggi sono alcuni tra i luoghi più spettacolari di Lanzarote: lo scenografico ristorante nel Parco Nazionale di Timanfaya che domina i crateri vulcanici, il “Mirador del Rio”, straordinario punto panoramico splendidamente integrato nell’ambiente roccioso della scogliera, il “Jameos del Agua”, un intervento architettonico moderno in un suggestivo mondo sotterraneo, i “Juguetes del Viento”, dei monumenti mobili che accompagnano il turista nella sua visita dell’isola. Senza dimenticare la sua casa, oggi “Fundación César Manrique”, costruita su un terreno coperto di lava e ceneri sfruttando cinque bolle vulcaniche formatesi oltre 200 anni fa.

Tenerife – Sulla cima di Spagna, ma alle Canarie

La Gomera

Un viaggio alla scoperta di una Tenerife discosta dai centri più rinomati. Nei suoi splendidi parchi nazionali, a cominciare dai paesaggi lunari del vulcano del Teide, la montagna più alta di Spagna, per poi scendere verso le scogliere selvagge ad est e ad ovest dell’isola.

Non dimenticate di mettere gli occhiali da sole se arrivate per la prima volta sulla punta sud occidentale di Tenerife. Ne avrete bisogno per proteggervi non solo dal sole accecante, ma anche per non restare abbagliati dalle insegne al neon, dalla sabbia bianca (importata dal Sahara) e dai turisti nordeuropei rossi come gamberi. Grandi resort pieni di piscine e con buffet all-you-can-eat hanno trasformato questa sonnolenta costa di pescatori in uno dei più importanti motori economici di Tenerife”. La guida Lonely Planet presenta così le spiagge più famose – Los Cristianos, Playa de las Americas e Adeje – della costa sud che hanno reso celebre l’isola nel mondo ed ogni anno ospitano 10 milioni di turisti. Senza nulla voler togliere a chi opta per una settimana di sole e mare per allontanarsi dal freddo dei nostri inverni, esiste anche un’altra Tenerife, molto meno nota, ma straordinaria, con paesaggi particolarmente suggestivi. È alla scoperta di questa Tenerife, discosta dai centri più rinomati e per fortuna non ancora invasa dal cemento armato degli enormi alberghi e apparthotel, che ho organizzato un viaggio l’autunno scorso. L’itinerario prevedeva anche la visita della vicina isola di La Gomera. Ne è nata una vacanza meravigliosa, al di là delle mie aspettative, che consiglio a chi ama immergersi in una natura incontaminata tra mare e montagne.

Il vulcano del Teide, un paesaggio lunare
Eravamo molto delusi quando dalla costa nord dell’isola guardavamo in alto la strada che attraversando la valle di Orotava sale verso il Teide, la montagna più alta di Spagna (3718 metri). Ma dato che avevamo prenotato per la notte al Parador de la Canada del Teide, a quota 2’200 metri, siamo saliti in ogni caso. Dopo aver attraversato una densissima nebbia, che non avremmo mai associato con il clima delle Canarie, tutt’a un tratto siamo sbucati in un paesaggio lunare con un cielo blu molto terso. Iniziava lo spettacolo. Davanti a noi sua maestà il vulcano, all’interno del quale gli indigeni dell’isola anticamente credevano vivesse il diavolo Guyota, che un bel giorno decise di uscire dalla sua tana sotterranea e vide il sole. Ingelosito dalla sua luce, lo rubò per nasconderlo nel suo covo, portando morte, distruzione e oscurità su tutta l’isola. I Guanci pregarono allora Chaman, il dio del sole, che sconfisse Guyota e riportò la luce. Questa leggenda è legata a un’eruzione che avvenne nel XIII secolo, quando una nube di cenere oscurò il sole e l’unica luce che gli abitanti potettero vedere per giorni è quella che veniva dalla bocca del vulcano. Ciò li indusse a credere che il sole fosse intrappolato al suo interno. Terminata l’eruzione, la cenere si depositò sul terreno e il sole tornò a splendere.
Il Parco Nazionale del Teide è di una bellezza mozzafiato. Le guide spiegano che qui si trova più dell’ottanta per cento delle formazioni vulcaniche del mondo, con terreni, rocce e pinnacoli di lava di ogni colore e forma. Il nostro primo impatto è stato ancora più incantevole perché era l’ora del tramonto, con il cielo che si illumina di tutte le tonalità dal giallo, all’arancione, al rosso fuoco riflettendo i suoi colori sulle rocce cangianti. Quando piomba la notte invece si gode lo spettacolo delle stelle.
Il mattino seguente ci siamo alzati di buonora per camminare lungo i sentieri che i Guanci prima e i pastori spagnoli poi percorrevano per portare al pascolo le capre. Si tratta delle “cañadas”, ossia i sette “sentieri dei greggi al pascolo”, detti anche “strettoie” o gole. Una gita pianeggiante di circa 17 chilometri ai piedi del vulcano, della durata di 5 ore, che collega i due punti di informazione del Parco (bisogna partire entro le 9 per poter rientrare con il bus delle ore 15). Lungo il tragitto il paesaggio muta in continuazione. Sulla destra si ergono montagne rocciose levigate e lavorate dal vento. Sulla sinistra domina imponente la vista del Teide, una montagna multicolore, dove si vedono ancora le colate rosso scuro dell’ultima eruzione avvenuta nel Settecento. La montagna è brulla, ma ospita un po’ di sterpaglia che arricchisce di qualche tonalità di verde una gamma che in autunno varia dal color sabbia, passando per tutte le gradazioni del marrone e terminare al rosso scuro delle colate di lava. Tra il sentiero che corre lungo le rocce e il Teide si estendono vasti campi lavici molto scuri, alcuni nero cupo con componenti luccicanti che brillano ai raggi del sole. Pochi gli arbusti. Alcuni verdi, la maggior parte bruni. Qua e la spiccano originali pennacchi simili a code di volpe, tipici della zona, e rocce dalle forme singolari. A tratti sembra di intravedere forme modellate da un artista, ma è tutta opera della natura. Quando giungiamo al termine del percorso siamo stanchi, ma anche delusi che lo spettacolo a cui abbiamo assistito sia terminato.
Questi sentieri sono deserti: in una giornata abbiamo incontrato solo due altri turisti. Non è così per salire in teleferica (made in Switzerland) sul Teide. Ogni anno trasporta 4 milioni di persone. Già per la prima corsa alle 9 di mattina si fa la coda. Arrivati in cima, la vetta è riservata a sole 150 persone al giorno: bisogna essere in possesso di un permesso speciale (che si può scaricare da internet). La salita richiede mezz’ora. Più ci si avvicina alla bocca del vulcano addormentato, più si sente un forte odore di zolfo. Dall’alto si può godere lo spettacolo della vallata vulcanica estendersi maestosamente sotto di noi e le isole di La Gomera, La Palma ed El Hierro emergere dall’Atlantico.

Da una punta dell’isola all’altra
Oltre al Parco Nazionale del Teide, Tenerife offre al viaggiatore altre due meraviglie: le punte ovest ed est dell’isola decretate “parchi rurali”, quindi zone protette.
Le spiagge di sabbia, che hanno reso celebre Tenerife a livello internazionale, terminano a Los Gigantes, una località turistica sulla costa ovest, a partire dalla quale inizia una zona scogliosa che si protrae fino alla splendida punta del Teno. Da Los Gigantes la strada sale verso Santiago del Teide, da cui prendendo a sinistra si entra in un paesaggio montagnoso a picco sul mare con splendidi panorami fino al villaggio di Masca, diventato molto turistico perché facilmente raggiungibile dalle spiagge più affollate. Da qui un percorso panoramico molto spettacolare porta a Buenavista, da cui si può raggiungere la Punta del Teno, oltrepassando cartelli indicatori che intimano di fermarsi, ma che nessuno osserva. Montagne solitarie si ergono come giganti verso l’interno, mentre le onde poderose dell’oceano si infrangono contro gli scuri scogli lavici e sulla nera spiaggia vulcanica. Solo un faro ricorda la presenza dell’uomo.
In un paio d’ore di automobile si può raggiungere la punta opposta di Tenerife, quella a est. Una comoda autostrada conduce fino all’antica capitale, San Cristobal de la Laguna. Viaggiando in direzione del Parque Rural di Anaga la strada inizia a salire e si attraversa una zona di boschi di lauro con splendidi “mirador” (punti panoramici) sulle vallate e sul mare. Vale la pena di ridiscendere fino a Benijo, dove il paesaggio marino ricco di scogli è di una bellezza indimenticabile. La costa in questa zona colpisce per la sua struttura frastagliata e per le bizzarre formazioni laviche che spuntano dal mare e vengono investite con violenza dalle impetuose onde dell’Oceano. La regione è ricca di sentieri, ma non sempre ben segnalati.

L’architettura canaria a Laguna e Orotava
Dal 1999 La Laguna è stata inserita dall’Unesco nell’elenco dei luoghi Patrimonio dell’Umanità. E in effetti il suo centro storico è un gioiello ricco di edifici pittoreschi, di sontuose ville, di strette viuzze. La sua struttura risale agli inizi del Cinquecento, quando gli spagnoli, dopo avere conquistato l’isola alla fine del secolo precedente, vi costituirono la capitale che in seguito fu adottata come modello urbanistico per molte altre città coloniali nelle Americhe.
Un’altra cittadina coloniale degna di nota è certamente Orotava, uno dei siti più apprezzabili in stile “canario” di tutto l’arcipelago, con i suoi palazzi dotati dei tipici balconi in legno. La cittadina è molto bella anche dall’alto. In particolare dal mirador dedicato al viaggiatore tedesco del Settecento Alexander von Humboldt, che si dice cadde in ginocchio sopraffatto dalla bellezza di questo paesaggio – oggi purtroppo molto costruito – affermando: “Devo confessare di non aver mai visto altrove un’immagine così armoniosa, varia e affascinante, caratterizzata da un alternarsi di verde e roccia”.

Bibliografia
Spagna del Sud La Guida Verde, Milano 2006
Isole Canarie Lonely Planet, Torino 2008
Spagna del Sud Touring Club It., Milano 2004
Canarie Le Guide Mondadori, Milano 2011
Canarie Traveller, Milano febbraio 2003
Attilio Gaudio, Canarie Milano 1991
Tenerife Low Cost, Milano 2008
Tenerife Ada Pocket, Modena 1993

La Gomera – L’isola di Cristoforo Colombo

Tenerife

Boschi incantati che ti danno l’impressione di entrare in una fiaba, valli lussureggianti, scogliere impenetrabili interrotte da piccole spiagge incontaminate, formazioni rocciose che sembrano enormi sculture.

Boschi incantati che ti danno l’impressione di entrare in una fiaba, valli lussureggianti, scogliere impenetrabili interrotte da piccole spiagge incontaminate, formazioni rocciose che sembrano enormi sculture prodotte dall’antica attività vulcanica, bianchi paesini molto pittoreschi, una storia legata alle grandi imprese di Cristoforo Colombo: la poco conosciuta isoletta La Gomera, appartenente all’arcipelago delle Canarie, è tutto questo! Qui il turismo dei grandi numeri non arriva, salvo in una spiaggia a sud, nella Valle del Gran Rey. Fino agli anni Cinquanta, quando venne inaugurato un piccolo molo che apriva la strada al trasporto in traghetto e al commercio, quest’isola era stata isolata dal mondo ed era praticamente autosufficiente. Oggi è stata riconosciuta patrimonio dell’umanità dall’Unesco per i suoi boschi magici, che fanno parte del Parco Nazionale de Garajonay, e per un particolare linguaggio fischiato, il “silbo”, grazie al quale gli abitanti comunicavano tra loro da una vallata all’altra. Si può partire da questi due riconoscimenti per descrivere le particolarità di questo piccolo paradiso immerso nelle acque dell’oceano Atlantico.
Iniziamo dal “silbo”, questo antico linguaggio più simile al modo di comunicare degli uccelli che a quello degli umani. In condizioni ideali i messaggi fischiati potevano essere uditi fino a 4 chilometri di distanza risparmiando agli isolani la fatica di andare su e giù per i ripidi pendii soltanto per portare un messaggio a un vicino. Nato probabilmente per segnalare pericoli, con il tempo il “silbo” si è sviluppato fino a diventare un vero e proprio linguaggio. È certamente stata la conformazione del paesaggio gomero ad aguzzare l’ingegno dei suoi abitanti per elaborare questo singolare modo di comunicare a distanza. Se si guarda infatti l’isola dall’alto appare come una fortezza impenetrabile con montagne al centro che degradano verso il mare proponendo ripide scogliere. Strade strettissime e serpeggianti corrono tra pareti rocciose e gole disseminate di bianchi villaggi aggrappati a dirupi apparentemente inaccessibili.
Anche le peculiarità del Parco Nazionale servono a spiegare l’esistenza di questa isola, dove Cristoforo Colombo fece scalo durante le sue quattro spedizioni prima di affrontare l’Oceano verso le Americhe. Cercava viveri, ma soprattutto acqua. Sì perché La Gomera è ricca d’acqua. Come mai? Gli alisei, quegli stessi venti che fecero veleggiare le caravelle di Colombo alla scoperta del Nuovo Continente, avvicinandosi all’isola incontrano l’ostacolo della montagna e salendo trovano aria più fredda che si condensa sotto forma di nebbia. Queste nuvole accarezzano le foreste di lauri di cui sono ricchi i boschi e provocano le condizioni ideali affinché sugli alberi si formino delle muffe, che ricoprono completamente i tronchi e i rami creando un’atmosfera magica. Grazie a queste muffe l’umidità viene catturata e trasformata in goccioline che penetrano delicatamente nel terreno e si trasformano in graziosi ruscelli.

Strade panoramiche a strapiombo sul mare
Il modo migliore per visitare La Gomera è certamente quello di percorrerla in auto e di fare tappa agli innumerevoli “miradores” per godersi panorami eccezionali. Per apprezzare l’isola ci vogliono almeno due giorni: uno dedicato al giro del suo territorio, un altro al Parco Nazionale. La Gomera è raggiungibile in aereo dai copoluoghi dell’arcipelago oppure con la nave in un’ora di navigazione dalla spiaggia di Los Cristianos a Tenerife. Offre uno splendido Parador con ottima cucina a prezzi contenuti (fa parte della catena di alberghi gestita dallo Stato spagnolo) e una magnifica vista sul mare.
L’escursione del giro dell’isola richiede un’intera giornata su strade molto agevoli, che portano dal mare alla montagna e viceversa nel giro di pochi minuti. Salendo si gioca a nascondino con le nuvole, poi, quando ci si avvicina al mare il sole torna a splendere come per incanto. I panorami sono da mozzafiato: sul mare, sulle ridenti vallate che scendono verso l’Oceano, sulle montagne brulle e su altre di un verde rigoglioso. A ogni curva lo scenario si modifica e diventa sempre più avvincente. È una gita che non si vorrebbe finisse mai, tanto sono spettacolari i paesaggi attraversati.
Ho girato tante isole, ma raramente ho trovato strade panoramiche tanto affascinanti. La Gomera è bella nel suo insieme, non offre villaggi o spiagge particolari, ma merita davvero di essere visitata. Anche per scoprire il suo Parco Nazionale. Camminare nel Parco è un’emozione. Attraversando i boschi di lauro sembra di inoltrarsi in un racconto di fantascienza. Le piante paiono non avere tronco, perché sono completamente ricoperte di muschio: in alcuni luoghi piatto, in altri rigonfio per cui ne raddoppia il diametro. Anche i rami vengono completamente ricoperti di verde, che in certi casi si trasforma in una sorta di barba ballonzolante. È difficile esprimere a parole le emozioni che si provano, così come nessuna foto riesce a descrivere il mistero di questi boschi. Per apprezzarne la magia bisogna viverli, percorrerli per ore lasciandosi condurre da Riccardo, che ne conosce gli angoli più suggestivi.
Se avrete fortuna potete incontrare Luis, un personaggio molto alternativo e uno dei pochi sull’isola in grado di interpretare il “silbo”, il linguaggio segreto di questi luoghi. Abbiamo incontrato Luis in un ristorante sulla graziosa piazzetta di Vallehermoso. Ci ha spiegato e dimostrato, sotto gli occhi dei turisti attoniti, la filosofia di quel modo di comunicare che lui ha appreso da suo nonno e che teme stia scomparendo nonostante sia protetto dall’Unesco. Mentre ci dirigevano verso l’auto parcheggiata ad alcune centinaia di metri ci accompagnava il suo saluto, interpretato fischiando in tutte le lingue.

Tutto ricorda Colombo
Nel capoluogo dell’isola, San Sebastian de La Gomera, tutto ricorda Cristoforo Colombo. Un piccolo museo nella Casa de la Aguada ripercorre le tappe della scoperta del Nuovo Mondo. Sopra il pozzo che si trova nel patio, dove secondo la tradizione Colombo si rifornì di acqua prima di affrontare l’Oceano, si legge la scritta: “Con quest’acqua fu battezzata l’America”. Nella graziosa chiesetta della Virgen de la Asuncion viene ricordato che Colombo e i suoi uomini si recarono a pregare prima di mettersi in viaggio. Poco distante sorge la Casa de Colon, costruita nel luogo in cui si suppone abbia alloggiato il celebre navigatore durante la sua permanenza sull’isola, che sembra non fosse dettata solo dalla necessità di imbarcare acqua e provviste, ma anche da una piccante storia sentimentale con Beatrice di Bobadilla. La bella moglie del crudele governatore spagnolo Hernan Peraza non fece girare la testa solo a Colombo, ma persino al re di Spagna Ferdinando il Cattolico, suscitando l’odio della regina Isabella.

Bibliografia
Spagna del Sud La Guida Verde, Milano 2006
Isole Canarie Lonely Planet, Torino 2008
Spagna del Sud Touring Club It., Milano 2004
Canarie Le Guide Mondadori, Milano 2011
Canarie Traveller, Milano febbraio 2003
Attilio Gaudio, Canarie Milano 1991