India – Le capitali dell’impero Moghul

India – Nel Rajasthan dei maragià

A Delhi, tra antico e moderno. L’emozione davanti al Taj Mahal, una delle sette meraviglie del mondo, con la sua romantica storia d’amore. La città fantasma di Fatehpur Sikri, che fu abitata per soli dodici anni.

Il nostro itinerario in Rajasthan – siamo cinque amici – parte da New Delhi e termina due settimane dopo nella stessa metropoli percorrendo un tragitto circolare di oltre 2mila chilometri a bordo di un piccolo bus, con autista e una guida molto colta. L’operatore è Kel12, la società italiana con la quale viaggio da molti anni.
La circolazione stradale in India è estremamente disordinata. La pavimentazione è spesso carente al di fuori delle autostrade, dove capita però che una mucca (sacra) occupi la corsia di sorpasso.
La prima parte del viaggio, che presentiamo in questa pagina, si sofferma sulle capitali dell’impero Moghul, situate ai confini con il Rajasthan.

Delhi, capitale da secoli
Le due settimane previste per il nostro itinerario ci permettono di effettuare una visita molto (troppo) limitata della Delhi storica, antica sede dell’impero musulmano dei Moghul. Per percorrere le tappe principali della storia indiana visitiamo dapprima il Museo nazionale, che propone una serie di sculture induiste sopravvissute alla furia degli invasori islamici. È d’obbligo un momento di riflessione sulla tomba, molto essenziale, di Mahatma Gandhi, padre dell’India indipendente, una delle più belle figure politiche del XX secolo. Poco lontano sorgono i palazzi amministrativi della capitale, costruiti in gran parte dagli Inglesi per gestire la colonia indiana.
Ma i monumenti più interessanti riguardano il periodo dell’impero islamico della dinastia Moghul. Si tratta del Forte Rosso e delle due moschee: la Jama Masjid, edificata nel XVII secolo, tuttora la più grande e imponente di tutta l’Asia, e il Qutb Minar, uno splendido minareto in pietra arenaria rossa alto 72 metri, risalente al 1199 e appartenente a un’immensa moschea ormai diroccata. Ma come: due moschee? L’India non è il Paese dell’induismo? Sì, ma la sua storia ruota in gran parte attorno all’impero musulmano dei Moghul, che regnarono dal 1526 fino all’inizio del dominio inglese nella seconda metà del XVIII secolo. E ancora prima di loro, già nel XIII-XIV secolo Delhi era governata da un sultano. Le prime incursioni musulmane in India risalgono tuttavia a due secoli prima.

Taj Mahal, storia d’amore
Prima di entrare nel Rajasthan – governato per secoli da principi locali induisti, che se la dovettero vedere dapprima con l’impero musulmano e in seguito con quello britannico – visitiamo Agra, prima sede dell’impero islamico dei Moghul.
Agra è mondialmente nota per conservare una delle sette meraviglie del mondo: il Taj Mahal, “una lacrima sul viso dell’eternità”, un monumento all’amore romantico ed eterno. Il mausoleo che sorge in riva al fiume Yamuna venne infatti costruito dall’imperatore Moghul Shah Jahan per custodire il corpo della sua amata moglie Arjumand Bann Begun. La leggenda racconta che il sovrano avesse incontrato la sua sposa nel bazar reale di Agra, dove le donne di corte una volta all’anno erano solite recarsi per fingere di prendere il posto dei mercanti nella vendita di gioielli e abiti in seta. Il giovane principe sedicenne, figlio dell’imperatore Jahangir discendente di Tamerlano, acquistò dalla ragazza una perla di vetro e il giorno seguente la chiese in moglie. L’imperatore, affascinato dalla bellezza della sposa del figlio, la battezzò con il nuovo nome di Mumtaz Mahal, gioiello del palazzo. Nonostante le sue numerose concubine, Shah Jahan non si separò mai da lei, che lo seguì persino nelle campagne militari e morì dando alla luce il quattordicesimo figlio. Per rendere immortale la bellezza fisica e morale della sua amata, l’imperatore concepì il Taj Mahal, un’opera architettonica perfetta, apice dell’architettura Moghul e simbolo dell’amore eterno. La costruzione richiese 21 anni di lavoro e vennero impiegati 20mila uomini. Davanti alla tomba sorgono meravigliosi giardini suddivisi in quattro quadrati separati da corsi d’acqua, che evocano l’immagine islamica dei Giardini del Paradiso, dove scorrono fiumi di acqua, latte, vino e miele. La piattaforma su cui sorge il mausoleo è attorniata da quattro minareti e culmina in una cupola alta 55 metri, accentuata da una guglia in ottone di 17 metri.
La bellezza del Taj Mahal è emozionante. Di fronte a tanta perfezione si rimane impietriti e senza parole. Davanti al fascino e alla magia di questo monumento non si vorrebbe più andar via.

Forte Rosso, prigione dorata
Ma la storia romantica non finisce qui. Prosegue anche al Forte Rosso, che sorge pure lungo il fiume Yamuna, ma sulla sponda opposta, da cui il Taj Mahal appare in tutto il suo splendore. È da una torre del castello che Shah Hahan dovette malinconicamente osservare il mausoleo dedicato alla sua amata dopo che il figlio Aurangzeb lo spodestò e lo imprigionò. Alla sua morte il corpo fu trasportato lungo il fiume e sepolto accanto a quello della sua compagna.
Il Forte Rosso, che dista 2 chilometri dal Taj Mahal, è una maestosa cittadella imperiale a forma di mezzaluna costruita tra il 1565 e il 1573. I suoi alti bastioni (20 metri) in arenaria rossa circondano la collina su un perimetro di 2,5 chilometri, intervallati da porte d’entrata, che l’imperatore superava a dorso di elefante. I palazzi che sorgono all’interno delle mura sono un ottimo esempio di architettura indomusulmana, la cui caratteristica sta nel coniugare le due tradizioni culturali del paese. Sono costruiti in mattoni e ricoperti di arenaria rossa o di marmo. Solo un quarto della cittadella è aperta al pubblico, le parti rimanenti sono destinate a scopi militari. Si visitano le sontuose residenze degli imperatori e quelle delle loro concubine, nonché gli spazi pubblici in cui il sovrano concedeva udienza e pronunciava truci condanne: come buttare i malcapitati nel pozzo o in una fossa d’acqua con coccodrilli, o ancora in una stanza abitata dai serpenti.

Fatehpur Sikri, la città fantasma
A 40 chilometri da Agra sulla strada che porta a Jaipur si trova Fatehpur Sikri, uno dei luoghi più misteriosi e affascinanti dell’intero viaggio. Si tratta di una vastissima città con sontuosi palazzi imperiali, costruita tra il 1571 e il 1585, che divenne capitale dell’impero Moghul ma fu abitata per soli 12 anni, dopo di che venne abbandonata (sono ancora misteriosi i motivi). La costruzione di questa città, giunta a noi praticamente intatta, fu voluta dall’imperatore Akbar, brillante stratega, fine politico e amante dell’arte e della letteratura, nonostante fosse analfabeta. Siccome i suoi figli maschi morivano tutti in giovane età, temendo che la dinastia Moghul si estinguesse, Akbar si rivolse al santone sufi Shaikh Salim che viveva a Sikri. Questi gli predisse la nascita di un figlio maschio che sarebbe diventato imperatore e avrebbe proseguito la dinastia. Un anno dopo il bimbo nacque e Akbar, in segno di gratitudine, iniziò la costruzione della città a Sikri, luogo di residenza del santone. Trattandosi di una città costruita ex novo, venne pianificata con concetti innovativi cercando di conciliare la grandezza imperiale con il concetto di santità. Akbar, monarca tollerante, era molto interessato alla storia delle religioni, tanto che tentò con scarso successo di proporne una (Din-i-Ilahi) che sintetizzasse islamismo, induismo, giainismo e buddismo.
A Fathepur Sikri si visitano i palazzi privati del sultano e dei suoi principali collaboratori, le sale delle udienze pubbliche e private, gli edifici amministrativi (banca, posta con piccioni viaggiatori, eccetera) e religiosi, le torri, i giardini, i padiglioni per la musica e le danze. Uno dei quartieri più vasti è quello dedicato alle concubine: l’imperatore ne contava oltre 5mila. Erano divise in categorie: quelle di terza, secondaeprimacategoria,nonchétre mogli preferite, una indù, una musulmana e una cristiana. Collezionare donne sembra fosse una vera ossessione per Akbar, che pretendeva dai principi sconfitti le figlie più graziose.

Per capire l’India
Un viaggio in India è un’esperienza davvero interessante per la ricchezza multiculturale del Paese e per tutto quanto ha prodotto sul piano artistico, architettonico e religioso. Un viaggio di due settimane in una singola regione (il Rajasthan) non permette certamente di capire un Paese, ma induce a porsi alcuni interrogativi sorti già dalle letture di preparazione e da esperienze sul posto. Senza alcuna pretesa di spiegare l’India a chicchessia vorrei qui di seguito proporre alcune riflessioni scaturite da questo incontro con il Rajasthan, nel nord dell’India.
La prima osservazione riguarda il rapporto con i musulmani (che rappresentano il 14,2 per cento della popolazione) in una nazione a larga maggioranza induista (79,8 per cento). Una questione che in Rajasthan e in tutta l’India ha profonde radici storiche. Gli islamici invasero infatti il nord del Paese a partire dalla fine dell’XI secolo e lo governarono dal XIII-XIV fino alla dominazione britannica. La regione era suddivisa in reami locali presieduti da principi (maragià) induisti. I rapporti tra le due religioni conobbero momenti alterni, ma il potere imperiale, soprattutto con la dinastia Moghul, rimase sempre saldamente in mano islamica fino all’inizio del colonialismo inglese. I maragià dovettero quindi barcamenarsi per mantenere il loro potere e le loro ricchezze a livello locale. E ci riuscirono. Per questo il Rajasthan abbonda di monumenti storici ben conservati, anche se a pagare il pegno all’impero islamico e a quello britannico sotto forma di tasse furono soprattutto i sudditi. I rapporti tra indù e musulmani in India rimangono tuttora molto delicati, soprattutto dopo l’ascesa al potere nel 2014 del premier neoliberista e nazionalista Narendra Modi, che fonda la sua politica populista sulle origini induiste della nazione.
La seconda riflessione riguarda il sistema delle caste, che suddivide gli induisti principalmente in quattro categorie (sacerdoti, guerrieri, gente comune e servi) e ne prevede una quinta per i fuori casta, che “adempiono funzioni necessarie e sporche che contaminerebbero gli altri uomini”. Storicamente una piaga per l’India, tanto che buddismo e giainismo sono nati anche per contrastare le atrocità di questo sistema rigido di potere che ha ingessato per secoli la società induista (per esempio non è previsto che si possano scalare le caste, così come non ci si può sposare tra caste diverse). A livello legislativo questo sistema è stato abolito, ma nelle campagne sembra che sopravviva con esiti raccapriccianti.
Queste due problematiche – la convivenza tra diverse religioni e il sistema delle caste devono poi fare i conti con l’attuale globalizzazione mondiale, che spesso non facilita le questioni, ma le acuisce. D’altra parte non bisogna dimenticare che la più grande democrazia del mondo – quella indiana con un miliardo e 200mila persone – è estremamente giovane: risale al 1947, anno dell’indipendenza dalla colonizzazione britannica. Una democrazia che ha portato alla ribalta figure importanti come Mahatma Gandhi, Nehru e sua figlia Indira Gandhi, che hanno garantito al Paese leggi moderne. Ma le leggi innovative devono fare i conti con una cultura popolare tuttora fortemente ancorata al passato. Per cui si intuisce come la giovane democrazia indiana debba ancora percorrere una lunga strada. L’avvento al potere di un leader populista e nazionalista come l’attuale premier Modi non raccorcerà certamente i tempi.

Itinerario
1° giorno Milano – Francoforte – Delhi
2° giorno Agra
3° giorno Jaipur
4° giorno Visita alla fortezza di Amber e di Jaipur
5° giorno Deogarth
6° giorno Udaipur e visita al City Palace
7° giorno Jodhur e sosta al tempio Jainista di Ranakpur
8° e 9° giorno Jaisalmer
10° giorno Bikaner, nel deserto del Thar
11° giorno Pushkar e partecipazione alla fiera dei cammelli
12° e 13° giorno Visita della vecchia e nuova Delhi
14° giorno Delhi – Milano

Per saperne di più
Rajasthan et Gujarat Guides Belus, Hachette Livre, Paris 2014
India del nord The Rough Guide, Vallardi editore, Milano 2008
India del nord Polaris, Firenze 2014
India del nord Lonely Planet, Torino 2013
Cinzia Pieruccini e Mamma Congedo, Viaggio nell’India del nord Einaudi Editore, Torino 2010
Giorgio Renato Franci, L’induismo Il Mulino, Bologna 2005
Dietmar Rothmund, Storia dell’India Il Mulino, Bologna 200

India – Nel Rajasthan dei maragià

India – Le capitali dell’impero Moghul

Un viaggio tra splendide dimore, opulenti palazzi reali, fortezze, templi e leggendari tesori. E poi una sosta a Pushkar, ai bordi del deserto, durante la fiera di cammelli più grande al mondo.

Riprendiamo il nostro itinerario in India. Dopo avere visitato le antiche capitali (Delhi, Agra e Fatehpur) dell’impero musulmano Moghul, entriamo nel vivo del viaggio varcando il confine con il Rajasthan, una regione paragonabile all’Italia, sia quanto a popolazione (circa 70 milioni di abitanti), sia per estensione. Il periodo ideale per effettuare questo viaggio va da ottobre ad aprile.
Come abbiamo visto nella prima parte gli islamici invasero l’India del nord a partire dall’XI secolo e la governarono dalla fine del XIII fino alla dominazione britannica. La regione del Rajasthan era suddivisa in reami locali presieduti da principi (maragià) induisti. I signori locali dovettero quindi barcamenarsi per secoli per mantenere le loro tradizioni, il potere e di conseguenza le loro ricchezze a livello locale. E ci riuscirono, per questo il Rajasthan abbonda di monumenti storici ben conservati e mantiene una sua forte identità. In nessun’altra parte dell’India si trova una concentrazione di splendide dimore, opulenti palazzi reali, fortezze, templi e leggendari tesori come in Rajasthan. Immergersi in questa realtà è un’esperienza indimenticabile. A cominciare dai coloratissimi, rumorosissimi e caotici mercati dei centri principali, dove non è possibile camminare spensierati perché una miriade di motorette strombazzanti ti sfrecciano accanto, zigzagando a fatica tra persone e mucche sacre che si nutrono di immondizie. La gente è gentile, non ti senti mai a disagio, ma anzi accolto. Affascinanti gli abbigliamenti, soprattutto delle donne, che accostano, con ottimi risultati, colori sgargianti e si accompagnano a uomini baffuti con turbanti altrettanto variopinti.
Con una legge del 1971 l’allora premier Indira Gandhi ha abolito i titoli e i privilegi dei maragià locali, ridimensionandone drasticamente i diritti di proprietà. La maggior parte di loro si sono allora trasformati in operatori turistici, riconvertendo i loro splendidi palazzi in sontuosi hotel di lusso. Soggiornare in questi luoghi, per chi ne ha la possibilità, fa parte delle attrattive del viaggio.

Jaipur, la città rosa
Trafficata capitale del Rajasthan, Jaipur fu edificata a partire dal 1727 dal maragià Jai Singh II, seguendo un piano ragionato. Monarca illuminato, concepì l’urbanistica della città con strade ampie e diritte che si incrociano ad angolo retto. Ogni quartiere ospita specifiche attività artigianali. Il palazzo reale, in parte ancora abitato dai discendenti della dinastia, è vastissimo e occupa buona parte del centro storico. Se ne visitano alcune fastose sale. Di grande interesse a Jaipur è l’osservatorio astronomico, il più grande dei cinque che Jai Singh fece costruire in India con chiari intenti didattici. Gli strumenti sono infatti di dimensioni colossali e tuttora funzionanti. Ma il simbolo della città è costituito dal cosiddetto Palazzo dei Venti, costruito a fine Settecento per permettere alle concubine del maragià di assistere alla vita della città. Si affaccia infatti sull’animatissimo mercato, che occupa gran parte delle vie del centro storico. Il soprannome di città rosa risale al 1876, quando in occasione della visita del principe del Galles il signore locale ordinò di dipingere tutte le case di rosa. Un regolamento che è rimasto in vigore fino ai nostri giorni.
Di grande interesse è anche la visita di Amber, l’antica città del Cinquecento che si trova a 10 chilometri di distanza e fu abbandonata due secoli più tardi quando venne edificata Jaipur. È circondata da 15 chilometri di mura, che seguono la cresta delle colline circostanti. Si estende attorno al forte mai espugnato di Jaigarh, costruito a nido d’aquila in cima a un colle che controlla la stretta valle di Amber, punto di passaggio obbligato tra Delhi e il Rajasthan, dove transitavano importanti carovane di commercianti. La fortezza, che si raggiunge a dorso di elefante, ospita la sontuosa reggia dei maragià alleati all’impero Moghul.

Udaipur, la città bianca
Romantica città bianca, che si affaccia sulle rive del lago Pichola incorniciato da maestose colline, viene anche definita la Venezia d’Oriente per la sua caratteristica di affacciarsi sull’acqua. Fondata nel 1568 da Udai Singh II è oggi in parte ancora governata da Arund Singh, settantaseiesimo discendente della dinastia, importante artefice del successo turistico di Udaipur. Un successo di cui siamo rimasti vittime, perché non siamo in pratica riusciti a visitare il complesso reale composto da 11 palazzi e numerose corti collegate tra loro da stretti corridoi. L’eccessivo numero di visitatori, soprattutto indiani che approfittavano di una settimana di vacanza (la festa delle luci) per visitare uno dei luoghi più suggestivi del Paese, ha creato code chilometriche. Ci siamo così limitati ad ammirare dal lago l’imponente palazzo reale in pietra gialla, costruito sull’arco di tre secoli, e a visitare la splendida residenza estiva in marmo, situata su un’isola e trasformata in elegante albergo (Lake Palace); abbiamo passeggiato nel giardino in cui i maragià trascorrevano il loro tempo libero con le concubine, per poi immergerci nel mare di folla del bazar, dove ci siamo pure persi. Ma nessun timore: gli Indiani si fanno in quattro per aiutarti!

Pace e serenità nel tempio giainista
Merita certamente una deviazione, sulla strada tra Udaipur e Jodhpur la visita all’imponente tempio di Ranakpur, straordinaria espressione della fede giainista. Costruito in marmo nel 1439 è il più grande dell’intera India. Nonostante la sua mole – si compone di 29 sale, 80 cupole e 1444 colonne – dall’esterno appare leggero ed elegante. All’interno colpisce l’abilità degli artigiani che hanno scolpito il marmo rendendolo in certi particolari simile a un ricamo. Ogni colonna è diversa dall’altra e propone motivi floreali, geometrici o immagini di divinità. Numerose le statue dedicate a danzatrici, che rappresentano i movimenti della danza sacra e devozionale dei riti giainisti. Nel tempio si respira un’atmosfera di pace e di serenità.

Jodhpur, la città blu
Riprendiamo la strada e dalla quiete del tempio giainista ci immergiamo di nuovo nel caotico traffico indiano. Le motorette sono come mosche: sfrecciano da tutte le parti e nessuno dei loro conduttori indossa il casco. Gli specchietti retrovisori sono un optional, perché chi giunge da dietro annuncia il suo arrivo strombazzando. A Jodhpur prima di raggiungere l’albergo ci perdiamo – ma questa volta solo in senso figurato – nell’animatissimo mercato. L’amplissima zona riservata ai prodotti della terra ci ricorda che il Rajasthan è uno stato a vocazione rurale: tuttora la maggior parte della popolazione lavora nei campi.
Il mattino seguente di buon’ora visitiamo la città blu, che si estende attorno al Forte Meherangarh costruito nella seconda metà del Quattrocento su uno sperone roccioso dal quale si dominano l’abitato e la pianura circostante. La cinta attorno alla città si estende per 10 chilometri con mura alte fino a 36 metri e profonde fino a 21. Un complesso sistema di porte dà accesso alla residenza del maragià che si trovava nella fortezza. Dall’alto il panorama è magnifico. Il colore blu delle case inizialmente indicava le residenze dei brahmani, la casta più elevata, riservata ai sacerdoti, ma con il passare degli anni è stato utilizzato semplicemente per proteggersi dagli insetti. Passeggiando per le tortuose stradine medievali si incontrano numerose haveli, antiche case dei commercianti, che ricordano i fasti del passato di questa città situata all’incrocio fra le due più importanti vie carovaniere del Rajasthan: quella delle spezie, che nel deserto prosegue verso Jaisalmer e il Pakistan, e quella del mare che scende verso il Gujarat.

Jaisalmer, città dorata
Jaisalmer, la città dorata, vista da lontano con la sua cinta muraria che racchiude il centro storico, sembra un miraggio nel deserto del Thar, uno dei luoghi più aridi del pianeta. All’interno dei bastioni si trovano il palazzo reale e numerose lussuose haveli, le antiche case dei commercianti che si arricchirono quando da questi luoghi transitavano le carovane che garantivano i collegamenti tra l’India e l’Asia centrale. Passeggiando per le strette e quiete vie del centro si respira la tipica atmosfera di una città del deserto. Dalle terrazze del palazzo reale lo sguardo si perde nel vuoto e la nostra fantasia evoca il mistero delle piste carovaniere. Gli edifici sono costruiti in arenaria gialla, che con il calar del sole si colorano di oro giustificando il soprannome di città dorata. Assistiamo al tramonto dalle dune di sabbia che raggiungiamo a dorso di dromedario. Il turismo rappresenta oggi la maggiore fonte di reddito di questo luogo misterioso e incantato, certamente una delle mete più affascinanti del viaggio.

Il tempio dei ratti
Uno dei monumenti più bizzarri dell’India e senza dubbio del nostro viaggio è certamente il tempio di Karni Mata, dedicato alla dea protettrice di Bikaner, tappa successiva del nostro itinerario. Nel tempio scorrazzano orde di topi brulicanti che i fedeli venerano come divinità in attesa di reincarnarsi in una vita migliore. I pellegrini offrono mangime ai piccoli roditori ed è ritenuto di buon auspicio mangiare il cibo sbocconcellato dai topi, così come sembra porti fortuna se uno di loro ti cammina sui piedi. Ma attenzione a non calpestarli perché si potrebbe essere costretti a donare la riproduzione in oro del malcapitato per placare le ire della dea protettrice.
Bikaner è un’altra città del deserto, nota soprattutto per il suo magnifico forte costruito sulle rocce che affiorano dal Thar. Anche qui come in altre cittadelle notiamo all’entrata una serie di impronte di mani. Sono quelle delle donne che hanno partecipato a un suicidio di massa previsto da un antico codice cavalleresco indiano. Per non cadere prigionieri nelle mani del nemico gli uomini indossavano abiti color zafferano e si gettavano tra le fila dell’esercito avversario incontro a morte certa, mentre le donne e i bambini spiravano tra le fiamme delle pire.
Nel polveroso museo del palazzo del maragià di Bikaner sono esposti molti regali donati dalla corona inglese (persino un aereo della prima guerra mondiale) in segno di riconoscenza per la sua fedeltà e per aver costituito un battaglione di cammellieri al servizio della regina.

La fiera dei dromedari
Chiudiamo il nostro viaggio in bellezza nella città sacra di Pushkar, che abbiamo la fortuna di visitare durante la fiera annuale dei dromedari. Migliaia di uomini del deserto vi giungono a piedi e sostano sulle aride colline circostanti con i loro dromedari, ma anche con cavalli, mucche e bufali che vengono contrattati durante dodici giorni. Ma la grande festa prevede molto altro: corse di dromedari, esibizioni di incantatori di serpenti e bimbi sui trampoli, recite teatrali e prove di abilità. Numerosissime sono le giostre. Tutto questo è però accompagnato anche da un grande fervore religioso. Pushkar è infatti considerata dagli indù una città sacra, che andrebbe visitata almeno una volta nella vita. Durante questi giorni di festa il misticismo acquisisce una magia particolare e molti pellegrini si immergono nelle acque sacre del lago attorno al quale sorgono centinaia di piccoli templi. Dietro ad essi si espande la città con il suo animato bazar. Le cerimonie religiose con il profumo degli incensi, i canti e le processioni, rappresentano momenti di grande suggestione. Sacro e profano convivono per giorni durante la fiera, senza urtarsi l’un l’altro.
Il nostro viaggio volge al termine e il mattino all’alba, prima di lasciare Pushkar per Delhi visitiamo la collina dove sono ammassati centinaia di dromedari con i loro proprietari, commercianti che trascorrono la notte sotto tende improvvisate. È l’immagine di questo itinerario che mi porterò dentro con maggiore affetto.

Itinerario
1° giorno Milano – Francoforte – Delhi
2° giorno Agra
3° giorno Jaipur
4° giorno Visita alla fortezza di Amber e di Jaipur
5° giorno Deogarth
6° giorno Udaipur e visita al City Palace
7° giorno Jodhur e sosta al tempio Jainista di Ranakpur
8° e 9° giorno Jaisalmer
10° giorno Bikaner, nel deserto del Thar
11° giorno Pushkar e partecipazione alla fiera dei cammelli
12° e 13° giorno Visita della vecchia e nuova Delhi
14° giorno Delhi – Milano

Per saperne di più
Rajasthan et Gujarat Guides Belus, Hachette Livre, Paris 2014
India del nord The Rough Guide, Vallardi editore, Milano 2008
India del nord Polaris, Firenze 2014
India del nord Lonely Planet, Torino 2013
Cinzia Pieruccini e Mamma Congedo, Viaggio nell’India del nord Einaudi Editore, Torino 2010
Giorgio Renato Franci, L’induismo Il Mulino, Bologna 2005
Dietmar Rothmund, Storia dell’India Il Mulino, Bologna 200