Armenia – La letteratura del viaggiatore

Armenia – La tragedia del genocidio all’inizio del Novecento
Armenia – Monasteri e fortezze immersi in una natura selvaggia
Armenia – L’amara verità storica del genocidio armeno
Armenia – La rinascita iniziò dalla laguna veneta

La letteratura costituisce certamente un forte incentivo a viaggiare. Chi non ha mai sognato di visitare i luoghi che fanno da scenario al suo romanzo preferito? A me piace, quando ciò si rivela possibile, concretizzare questi sogni e partire per vedere “dal vivo” i paesaggi dei libri che leggo. Qualche volta però succede il contrario: si visita un paese, si scoprono orizzonti fino a quel momento sconosciuti, si gustano cibi particolari, si ascoltano musiche nuove e nasce il desiderio di accostarsi alla letteratura. Come scrivono gli autori di quel paese? Come vedono la loro realtà? Quali i loro pensieri, il loro vissuto, i problemi che affrontano? Così è successo per l’Armenia. Dopo il viaggio, e soprattutto dopo la sconvolgente visita al museo del genocidio a Yerevan, mi sono trovato a cercare scritti su questo tema. E nella biblioteca di casa ecco un libro dalla copertina suggestiva che mi ha colpito: “La masseria delle allodole”. Quanta forza possano avere le pagine di un libro lo ha dimostrato proprio il successo di quest’opera, che ha segnato l’esordio narrativo di Antonia Arslan (Rizzoli 2004). Muovendosi con sensibilità nel territorio fertile di emozioni che si situa tra ricordi familiari, ricerca storica e invenzione poetica, la Arslan (in origine Arslanian) ha raccontato le vicende armene con tale intensità da attirare l’attenzione di un pubblico vasto, che si è allargato ancora di più quando dal romanzo è stato tratto un film diretto dai fratelli Taviani. Il genocidio armeno è giunto così nelle case dei lettori – e degli spettatori – con grande forza. Antonia Arslan è nata a Padova da una famiglia di origine armena. Laureata in archeologia, per molti anni ha insegnato presso l’università della sua città, pubblicando nel contempo saggi letterari, contribuendo alla traduzione dell’opera del poeta armeno Varuyan e curando opere inerenti la storia del genocidio. Il salto verso il narrativo è del 2004. “Non potevo farne a meno” ha più volte ripetuto. E forse la spinta è arrivata dai ricordi d’infanzia: quel nonno serio e severo che l’accompagna a trovare “il suo santo” nella basilica padovana, che nei suoi tardi anni condivide con lei le immagini mai cancellate della sua patria lontana. Quel nonno arrivato in Italia da ragazzino per frequentare il Collegio armeno di Venezia, prestigiosa scuola per i rampolli delle famiglie più importanti della piccola nazione, e che non aveva mai più potuto tornare nella sua terra d’origine. Quel nonno che aveva sognato di portare in Armenia la moglie italiana e i suoi figli, la famiglia che nel frattempo si era creato in Italia, un progetto a lungo accarezzato con il fratello rimasto a casa e bruscamente spezzato proprio dai fatti del 1915. I maschi Arslanian brutalmente uccisi, le donne e i bambini spinti con altre migliaia di armeni verso il deserto siriano in una marcia forzata che ogni giorno faceva le sue vittime tra fame, febbre e violenze. Rinuncerà il nonno – dopo questo orrore – al suo passato, concedendosi solo nei suoi ultimi anni la nostalgia per quella terra, per gli affetti familiari perduti, per i sapori e i colori della sua infanzia. Una nostalgia che passerà alla nipotina e che costituirà – molti anni dopo – il motore della ricerca alla base della Masseria delle allodole. I profumi dell’Oriente (quelli del pane, dello yoghurt, dei dolci), le abitudini particolari di un parentado che dopo la diaspora (qualcuno in effetti si salverà) si espande su diversi continenti, le parole del nonno che ricorda la casa antica sulle colline e le dolci giornate di vendemmia: l’eco di quella cultura si fa materia di studio – delle proprie origini, ma anche di pagine di storia che non possono cadere nell’oblio.