Birmania – In fuga lontano dalla globalizzazione

Birmania – Un passo nella storia
Birmania – Un lago, un mondo
Birmania – Birmania, dilemma etico per il turista
Birmania – Un paese sospeso tra storia e futuro

Un paese che non è stato ancora del tutto colonizzato dalle mode straniere, che ha salvaguardato una propria identità, la Birmania. Ed è proprio la Birmania il motivo per cui si visita questo paese. Un viaggio con Kel12, tra le popolazioni di montagna del Triangolo d’Oro, dove si coltiva l’oppio.

A causa del suo isolamento più o meno autoimposto – si legge sulla guida Lonely Placet – il Myanmar non è stato ancora del tutto colonizzato dalle mode straniere”. “Confrontato con Vietnam, Cambogia, Tailandia, Cina e col resto del Sud-Est Asiatico – si legge nel documento di Kel12, l’agenzia che ha organizzato in modo ineccepibile il nostro viaggio – è il paese meno stravolto nello stile di vita dai modelli occidentali. Se da una parte il suo rinchiudersi in sé stesso non ha consentito lo svilupparsi di forme di reale partecipazione popolare nella gestione della cosa pubblica, dall’altra ne ha salvaguardato l’identità, la ‘birmanità’. E la ‘birmanità’ è il motivo per cui si visita questo paese”.
E la ‘birmanità’, cioè una forte identità, la si percepisce in tutto il paese, dalla metropoli di Yangon ai villaggi sperduti del nord-ovest, dove vive la ribelle etnia Shan. A differenza di molti paesi in via di sviluppo, il Myanmar non ha ancora conosciuto il fenomeno della migrazione di massa verso le grandi città. Yangon non offre molte possibilità di lavoro. Uomini e donne vestono ancora il tradizionale ‘longyi’, una sorta di gonna lunga molto confortevole nei climi tropicali. In tutto il paese le donne si tingono ancora le guance con una crema naturale chiamata ‘Thanaka’. Se entrate in un grande magazzino della metropoli, trovate un clima assolutamente occidentale, anche se le marche dei prodotti sono diverse, che stride con quanto vedete a due passi dal centro, per esempio nel vastissimo quartiere cinese.
Dopo l’arrivo a Yangon, il nostro itinerario si sviluppa all’interno del paese, alla scoperta delle popolazioni di montagna, di quelle che vivono attorno al lago Inle e delle città imperiali, testimonianza di un passato di cui rimangono suggestivi monumenti soprattutto di architettura religiosa.
Un valore fondamentale della ‘birmanità’, che percepite appena posate piede su questo territorio, è la gentilezza e l’ospitalità innate. In città, come in campagna o nei villaggi di montagna, la gente vi invita a partecipare alla sua quotidianità, senza farvi sentire estranei. A Yangon, durante la visita a una pagoda a cui è annessa la facoltà di teologia, nella mensa dell’università una famiglia facoltosa di commercianti offriva il pranzo ai monaci (è una consuetudine in questo paese). Non appena ci hanno visti, ci hanno invitati a sederci per condividere il pasto con loro. Poco distante, mentre visitavamo un monastero per i novizi (ogni giovane buddista trascorre alcune settimane o mesi in un monastero) dove si teneva un’importante cerimonia, siamo stati invitati a partecipare. Il ricco commerciante che offriva doni a un folto gruppo di novizi orfani ci ha chiesto di distribuire i regali assieme a lui. Così come sulle montagne, quando vi accostate a una casa dove stanno festeggiando una ricorrenza vi invitano ad entrare e vi offrono il loro distillato di riso, molto simile alla nostra grappa. Noi, poco abituati a questo tipo di ospitalità, rimaniamo commossi da tanta generosità, comune a tutte le etnie che popolano questo paese vasto due volte l’Italia, ma con più o meno lo stesso numero di abitanti: circa 60 milioni.

Le popolazioni delle montagne
Da Yangon volo a Kyaing Tong, nello stato Shan al nord-est del paese vicino al confine con la Thailandia. I voli interni non sono diretti, ma fanno scalo nelle varie località. Chi è arrivato a destinazione scende, chi prosegue rimane a bordo: come sul bus. Osservando il paesaggio dall’alto noto che le strade sono pochissime e i villaggi pure. Il fattore di principale richiamo della valle dove siamo diretti e che si trova a 1200 metri di altitudine, è rappresentato dal suo estremo isolamento (si registrano 30 abitanti per chilometro quadrato). È meta ideale per brevi trekking nei villaggi molto distanti tra loro e popolati da tribù Shan. Un’etnia dal punto di vista etnico, culturale e linguistico molto affine alla popolazione thailandese che vive oltre confine. Questa terra è ricchissima: abbondano oro, argento, zinco, pietre preziose, piombo, ferro. Si tratta di una zona aperta al turismo solo a partire dal 2004. Lo forti spinte autonomiste sono state represse, dapprima con le armi e poi concedendo a questa regione uno statuto speciale. Si tratta di una zona calda perché situata nel cosiddetto ‘triangolo d’oro’, tristemente noto per le piantagioni di papavero da cui si ricava l’oppio. Oggi la produzione di questa sostanza nel Myanmar è notevolmente diminuita, perché ufficialmente proibita. Si sa però che in queste zone il papavero viene ancora coltivato.
La popolazione Shan vive di agricoltura ed è storicamente suddivisa in tribù, con costumi e idiomi molto diversi tra loro. Luogo ideale per rendersi conto di questa varietà è il mercato di Kyaing Tong, che attira dalle colline circostanti un coloratissimo afflusso di etnie, merci e artigianato della regione. La guida locale che ci accompagna sulle montagne, acquista cibo, medicine naturali e shampoo da portare in omaggio agli abitanti dei villaggi. Si è dimostrata una buona idea perché nessuno ci ha chiesto soldi e tutti erano molto soddisfatti. Più le nostre mete sono lontane da Kyaing Tong e dalle rare strade, più sono interessanti, perché poco frequentate dai pur pochi turisti che visitano questa zona. Visitando questi villaggi, salendo un dislivello di alcune centinaia di metri, si ha l’impressione che il tempo si sia fermato. Le capanne in cui vive la popolazione hanno la struttura in legno di bambù e le pareti di paglia e fogliame. Sono solitamente costruite su palafitte e non lontano, ben sollevato da terra c’è il deposito per il riso. All’interno, il locale di lavoro e di soggiorno è separato da quello dove si dorme. Nella tribù Akha, di religione animista, uomini e donne dormono in spazi separati e non hanno diritto di avere rapporti sessuali in casa. I numerosi animali da cortile – cani, maiali, galline, oche, eccetera – vivono al suolo e ‘passeggiano’ indisturbati per le vie del borgo. Un’abitazione importante, nei villaggi animisti, è quella dello stregone, dal quale ci si reca per tenere a bada gli spiriti. In qualche paesino meno discosto si notano anche rarissime case in muratura. Sono considerate le residenze dei ricchi: solitamente commercianti di prodotti agricoli o di oppio.
Il discorso sulla religione è alquanto complesso. In un villaggio sperduto su una montagna abbiamo trovato tre ‘quartieri’: uno buddista, uno cristiano e uno animista. La convivenza evidentemente è possibile, ma sembra non risulti sempre facile, perché queste tre religioni hanno credi profondamente diversi. In Myanmar anche i buddisti più praticanti amano Buddha, ma temono i cosiddetti Nat. Storicamente ogni Nat incarnava lo spirito di qualche celebre e leggendario personaggio storico, morto generalmente in modo drammatico. Moltissime pagode propongono le statue dei Nat, ai quali i fedeli chiedono conferme e favori.
Normalmente nei paraggi di ogni villaggio si trova una scuola, ma i genitori di religione animista spesso non permettono ai loro figli di frequentarla perché considerano lo studio una perdita di tempo. I giovani maestri, prima di poter insegnare in città, devono fare un’esperienza di alcuni anni in villaggi discosti. Abbiamo visitato più di una scuola e siamo sempre stati accolti con interesse.
Gli abiti variano di villaggio in villaggio. Gli uomini non vestono il ‘longji’, ma pantaloni molto larghi e una casacca scura. Assai più spettacolare e colorato è l’abbigliamento delle donne, che portano copricapi molto originali tramandati spesso di generazione in generazione. Ogni villaggio che si rispetti ha poi un luogo dove si distilla il riso. Queste tribù sono spesso in festa, soprattutto in coincidenza con le notti di plenilunio. A Kiaing Tong abbiamo assistito a un’affollatissima festa con canti, balli e lotterie. A un certo momento il cielo si è illuminato con una miriade di lanterne che volteggiavano nell’aria in direzione della luna piena. Uno spettacolo suggestivo e indimenticabile!

Quella pagoda che vale il viaggio
Ritengo non vi sia nulla di così stupefacente al mondo” commentava Ralph Fitch, il primo inglese a raggiungere il Myanmar nel 1558. “È un mistero dorato sull’orizzonte, una meraviglia che splende nel sole”, aggiungeva Kypling nelle sue ‘Lettere dall’Est’ pubblicate nel 1889. Sir Somerset Maugham descrisse invece la pagoda “come un’improvvisa speranza nelle tenebre dell’anima”. Non c’è davvero nessuna esagerazione in questi autorevoli pareri. Non saprei descrivere la Pagoda Shwedagon in altro modo che come un sogno ad occhi aperti. Avevo letto di questo monumento prima di partire, ma la mia immaginazione non era andata tanto lontano. Quando arrivate lassù su quella vastissima piattaforma (280 per 220 metri) è come guardare in un magico caleidoscopio: davanti a voi un immenso stupa a forma di cono e ovunque volgete lo sguardo trovate una miriade tabernacoli, tempietti, statue di Buddha e altre divinità, immagini di animali, edicole e decine di altri stupa di tutte le dimensioni. Visibile da qualsiasi punto della città, questo monumento ne è diventato il simbolo e da solo vale il viaggio in Myanmar. È uno dei luoghi buddisti con maggior significato religioso e ogni birmano spera di visitarlo almeno una volta nella sua vita. I pellegrini si radunano qui per pregare, per incontrarsi e per assaporare la pace incredibile che si sprigiona in questo luogo.
Secondo la leggenda, questo tempio avrebbe 2500 anni, ma secondo gli archeologi risale invece a un’epoca tra il VI e il X secolo. Ha subito l’impeto di ben otto terremoti. Il più violento, nel 1768, comportò un importante restauro che ce lo ha consegnato così come lo vediamo oggi.
Ho voluto visitarlo più volte per ammirarlo con le varie luci del giorno e della notte e non avrei mai voluto andarmene. Sarei rimasto lì per ore ad osservare la gente raccolta in piccoli gruppi a pregare o in meditazione, la magia di quei templi e dei loro tetti che si stagliano nel cielo. Ho avuto la fortuna di essere presente la notte in cui si celebra la festa delle luci. Gli ori dei templi, illuminati da una miriade di candele in contrasto con il blu scuro della notte sono diventati ancora più scintillanti. E’ stato uno spettacolo commovente. Molte famiglie sistemavano una stuoia sul pavimento e si preparavano per trascorrere la notte sotto la luna piena. Arrivava sempre più gente. Nessuno beveva, nessuno spingeva. Quando ci guardavano sorridevano e noi non ci sentivamo intrusi, ma partecipi di quella festa indimenticabile!