Namibia – Un vero paradiso naturalistico

Namibia – Sulle dune più alte al mondo
Namibia – Passato coloniale e apartheid, pesante eredità della Namibia

È la quintessenza dell’Africa, con le dune di sabbia più alte al mondo, deserti rossi, distese di lava, canyon maestosi, coste misteriose e tanti, tanti animali. Per scoprire le gemme nascoste di questa terra si percorrono spazi immensi, attraverso paesaggi incontaminati e in gran parte disabitati

Le dune di sabbia più alte al mondo, deserti rossi, distese di lava, canyon maestosi, coste misteriose e tanti, tanti animali. La Namibia è tutto questo: una quintessenza dell’Africa. Per scoprire le gemme nascoste di questa terra si percorrono spazi immensi attraverso paesaggi incontaminati e in gran parte disabitati. La maggior parte di questo territorio, grande tre volte l’Italia, ma con soli tre milioni di abitanti, è desertica. La popolazione vive nelle regioni del nord (ai confini con l’Angola), ricche d’acqua, e sull’altipiano centrale (circondato dal deserto), sul quale si trova la capitale Windhoek. In questo paradiso naturistico le albe e i tramonti sono spettacolari e infuocano i colori della sabbia rossa del deserto. Durante le notti stellate sembra di toccare il cielo con un dito.
Nonostante si tratti di un paese molto sicuro, il turismo è limitato a causa del costo della vita relativamente elevato per chi visita la Namibia.
Lo stato è indipendente dal 1990, ma la vita socio-economica di questa giovane nazione dell’Africa nera è ancora molto influenzata dall’Apartheid imposta dal governo sudafricano durante la sua dominazione. Il potere economico del paese è ancora oggi detenuto in gran parte dai bianchi: il 5 per cento della popolazione controlla buona parte della ricchezza nazionale.
La Namibia dispone di un’infrastruttura turistica di alto livello con lodge di charme dispersi nella natura. La si può visitare con viaggi organizzati, ma anche individualmente, e senza correre pericoli, noleggiando un’automobile, preferibilmente 4×4. Trattandosi di un paese molto esteso i possibili itinerari di viaggio sono numerosi e dipendono dal tempo che si ha a disposizione. Questa domenica e la prossima pubblicherò il mio diario di viaggio lungo un percorso preparato da Kel 12, un’agenzia italiana che da molti anni offre a piccoli gruppi percorsi originali e ben congeniati.
Il nostro itinerario inizia dalla capitale Windhoek e prosegue alla scoperta dei deserti del Kalahari e del Namib con le dune più alte al mondo, della costa oceanica ricca di delfini, otarie, pellicani e fenicotteri, della splendida regione del Damaraland con fantasiose incisioni rupestri scolpite nelle rocce di arenaria, per terminare all’Etosha Park, dove si può ammirare ogni sorta di animali selvaggi: leoni, elefanti, rinoceronti, giraffe, zebre, aquile eccetera.

Windhoek, la capitale
Il nostro viaggio inizia da Windhoek, la capitale della Namibia. Per raggiungerla sono necessarie circa 20 ore di viaggio, partendo da Lugano e programmando due o tre scali.
Windhoek è una città di stampo europeo, con diversi palazzi che ricordano l’epoca coloniale tedesca, terminata alla fine della prima guerra mondiale. La città è molto pulita e sicura. Marco, la nostra guida, ci ripete più volte che la Namibia è la Svizzera dell’Africa. Ed in effetti, visitando il palazzo del governo namibiano, per gentile concessione di un poliziotto molto orgoglioso del suo paese, mi sembra di entrare nella residenza governativa di Bellinzona.
Passeggiando per il centro città si incontra un movimentato e colorato mix di popoli, che rappresenta la grande varietà dei gruppi etnici del paese. Circa 300 mila abitanti della capitale vivono ancora a Katatura, la città dei neri creata durante l’occupazione sudafricana per allontanare la popolazione di colore dal centro di Windhoek, riservato ai bianchi in base alle regole dell’apartheid. Katatura nella lingua locale significa “il posto in cui non vogliamo stabilirci”. Dopo l’indipendenza, avvenuta nel 1990, la capitale nera è diventata un vivace sobborgo della città, dove il governo ha portato i servizi principali e dove durante il giorno i turisti possono passeggiare in piena sicurezza, a differenza di quanto avviene in quartieri del genere nell’Africa del sud. Oggi questo sobborgo ha cambiato nome: da Katatura, cioè luogo in cui non desideriamo vivere, in Matatura, che nella lingua locale significa un posto dove invece amiamo vivere, anche se ai margini del quartiere stanno nascendo gli “squatter camps”, le bidonville di Windoek.
A Katatura si può visitare la comunità di Penduka, che gestisce un interessante progetto di recupero dell’artigianato locale: ricami, tessuti, batik, eccetera. Gli stessi prodotti si possono acquistare anche al Crafts Centre, il miglior negozio di artigianato namibiano, che si trova nel centro della capitale.

Verso il deserto del Kalahari
La prima tappa del nostro viaggio prevede il trasferimento verso il deserto del Kalahari. Lungo la strada incontriamo numerosi babbuini ed osserviamo enormi nidi sugli alberi, cosiddetti a condominio, perché ospitano colonie di uccellini con il petto giallo. Molto distanziate una dall’altra notiamo anche la presenza di grosse proprietà agricole (farms), che solitamente appartengono a bianchi.
Il Kalahari, con una superficie di circa 1,2 milioni di chilometri quadrati, è uno dei deserti più vasti al mondo. Si addentra per circa 400 chilometri in territorio namibiano, ma si estende anche in Botswana, Angola, Zimbabwe e Zambia. Propone un paesaggio prevalentemente pianeggiante, composto di deserto, steppa e savana ed è caratteristico per le sue dune di sabbia rossa. Un safari nella regione offre un primo approccio alla fauna africana (gazzelle, giraffe, gnu, struzzi, zebre e leoni) e al suo spettacolare territorio.

I San, un’etnia destinata a scomparire
Soprattutto nella regione del Kalahari e in Botswana vivono ancora gli ultimi eredi (circa 55 mila persone) dei San, uno dei popoli più antichi al mondo, autore di straordinari dipinti e incisioni rupestri. La storia di questo popolo nomade di cacciatori ricorda per certi aspetti quella degli indiani d’America. La popolazione vive in piccoli nuclei familiari, senza capi, né gerarchie. Spinta nel corso dei secoli verso zone sempre più inospitali da tribù di agricoltori dedite all’allevamento del bestiame e, in seguito, dai coloni, ha sviluppato una straordinaria conoscenza del territorio e individuato tecniche che permettono la sopravvivenza in condizioni estreme.
I San vivono nel paese da epoche remote e gli studiosi ritengono che certe tribù ancora presenti in zone discoste nel deserto del Kalahari non abbiano cambiato il loro stile di vita da 20 mila anni a questa parte. Ma oggi il futuro delle loro tradizioni e della cultura San è minacciato dall’impatto con la società moderna. I giovani trovano lavoro come personale ausiliario nelle fattorie e si sposano con rappresentanti di altre etnie. La Namibia è infatti un territorio multietnico ed i territori anticamente occupati dai San ospitano oggi popolazioni giunte da varie parti del continente nero.

Itinerario
1° giorno Ticino – Windhoek (via Johannesburg con pernottamento a bordo)
2° giorno Arrivo a Windhoek nel pomeriggio e tempo libero per scoprire il centro cittadino o per il relax
3° giorno Il deserto del Kalahari
4° e 5° giorno (320 km) I San, il Namib e le dune di Sossusvlei
6° giorno (380 km) Il deserto del Namib e Swakopmund
7° giorno Escursione a Walvis Bay e Sandwich Harbour e rientro a Swakopmund
8° giorno (350 km) Cape Cross e la Costa degli Scheletri
9° giorno (320 km) Damaraland, Twyfelfontein e Etosha
10° giorno (300 km) Etosha e il safari
11° giorno (410 km) Etosha, Okahandja (mercato del legno) e Windhoek
12° giorno Partenza per il Ticino (via Johannesburg)

Per saperne di più
Namibia Polaris, Firenze 2011
Namibia Dumont, Milano 2013
Namibia Lonely Planet, Torino 2010

Informazioni e consigli
– Per raggiungere la Namibia sono necessarie circa 13-14 ore di volo effettivo dall’Europa, ma bisogna calcolarne una ventina, perché non ci sono voli diretti e si devono effettuare uno o due scali.
– Il modo più semplice e comodo per organizzare il viaggio è aggregarsi a un piccolo gruppo o creare un proprio gruppo per visitare il paese accompagnati da una guida. Kel 12, l’agenzia italiana con cui viaggia sovente l’autore di questo diario, è specializzata per itinerari in Africa.
– È anche possibile visitare il paese da soli noleggiando un’automobile, meglio se 4×4. Kel 12 organizza anche viaggi di questo genere prenotando gli alberghi per la sera. Alcune vetture sono dotate di tenda per dormire sopra il tetto in campeggi solitamente bene attrezzati e situati in luoghi splendidi.
– I nomi delle località in Namibia sono scritti in inglese e le case di autonoleggio mettono a disposizione navigatori stradali.
– Le strade sono in ottimo stato. Su quelle asfaltate si tiene facilmente una media di percorrenza di 100 km/h, mentre sulle piste in terra battuta si circola a una media di 70 km/h.
– L’itinerario descritto comporta una tragitto di circa 4’000 km.
– L’infrastruttura alberghiera in Namibia è di ottimo livello.
– Per quanto concerne la sicurezza non ci sono problemi. È comunque sempre preferibile viaggiare di giorno.
– Sulla costa oceanica il mattino c’è quasi sempre la nebbia e la temperatura scende notevolmente.
– Le escursioni termiche, costa a parte, tra il giorno e la notte sono notevoli. Bisogna prevedere che può fare anche molto freddo.
– Attenzione al sole, che scotta anche quando c’è la nebbia.
– La cucina è buona e l’igiene, nelle infrastrutture turistiche, è garantita. La birra è ottima. Il vino importato dal Sud Africa è solitamente di qualità.
– Il periodo migliore per visitare la Namibia è settembre-ottobre, cioè durante la loro primavera.

Namibia – Sulle dune più alte al mondo

Namibia – Un vero paradiso naturalistico
Namibia – Passato coloniale e apartheid, pesante eredità della Namibia

Al tramonto lo straordinario color albicocca della sabbia si colora di rosso. In crociera sulla costa oceanica in compagnia di foche che saltano a bordo e delfini che sfrecciano tra le chiglie dei catamarani. E, per finire, il fotosafari all’Etosha National Park, uno dei più grandi e suggestivi dell’Africa

Tra dune spettacolari, paesaggi lunari e incontaminati, deserti rossi, distese di lava e canyon maestosi prosegue il nostro itinerario in Namibia. Dal deserto del Kalahari, che delimita il paese ad est, ci spostiamo verso ovest per visitare il deserto del Namib, che dà il nome al paese e si estende per oltre 2 mila chilometri lungo la costa oceanica. La strada che collega i due deserti attraversa un paesaggio lunare: le montagne hanno riflessi rossi e verdi e la terra del fondo della pista è violacea.

Le dune sabbiose più alte al mondo
Le dune di Sussusvlei, le più alte al mondo, nel Namib Naukluft Park sono uno spettacolo indimenticabile. Si ergono attorno ai letti bianchissimi di antichi laghi prosciugati, che mettono in risalto lo straordinario color albicocca della sabbia del deserto. Le tonalità di colore mutano a seconda della posizione del sole, ma al tramonto la tavolozza dei rossi è indescrivibile. Anche le forme delle dune, forgiate dal vento, sono in perenne mutamento. Il luogo più magico del Parco è certamente Dead Vlei, un lago prosciugato circondato da una corona di dune. Sulla distesa bianca dell’antico bacino si profilano spettrali gli scheletri di alcune piante morte 500 anni fa. Sculture e colori di cui è artefice la natura, il più grande artista al mondo!
Gli studiosi ritengono che il deserto del Namib risalga a 80 milioni di anni fa e sia uno dei più antichi al mondo. Pare sia stato forgiato dalle sabbie del Kalahari, dello stesso colore, trasportate dal fiume Orange fino al mare, da lì spinte a nord dalle fredde correnti artiche del Benguela e infine trasportate lungo la costa dalle onde del mare.
Le dune di Sussusvlei – la più alta raggiunge i 350 metri – si possono scalare con grande fatica, perché i piedi sprofondano nella sabbia e si avanza molto lentamente, come camminando nella neve fresca.
Un altro luogo magico della regione è il Sesriem Canyon, profondo 30 metri e lungo 1 chilometro, scavato dal fiume Tsauchab. Lo si può percorrere a piedi lungo il letto del fiume ormai prosciugato, perché qui non piove da ben tre anni.

Verso la nebbiosa costa oceanica
Il deserto del Namib si addentra per 70-150 chilometri nell’entroterra ed è delimitato a ovest dall’Oceano e ad est da una catena montuosa, che dà accesso all’altipiano centrale: una sorta di spina dorsale molto abitata, che ospita anche la capitale della Nambia. Una strada sterrata corre ai limiti del deserto e lungo le montagne. Si attraversa dapprima un paesaggio spettrale di dune pietrificate, quindi un profondo canyon. A Solitaire, uno dei rari villaggi che si incontrano lungo il tragitto, uno svizzero gestisce una pasticceria nota per produrre il miglior strudel di mele della Namibia. La tratta più spettacolare la si percorre però, prima di raggiungere la costa, fiancheggiando la Valle della Luna: come lo indica bene il nome, il paesaggio è davvero lunare e ricorda quello della celebre Dead Valley nel sud ovest degli Stati Uniti. Avvicinandosi al mare il clima cambia, diventa inaspettatamente fresco, a causa delle fredde correnti antartiche, e spesso anche nebbioso, soprattutto in mattinata. È un fenomeno che si verifica lungo tutta la costa oceanica della Namibia e non senza conseguenze per il deserto del Namib, definito dagli studiosi “un deserto che vive”.

Un deserto che vive
La costante presenza di nebbia, che si inoltra per una trentina di chilometri nell’entroterra desertico lungo la fascia costiera, favorisce la presenza di specie animali e vegetali che hanno saputo adattarsi alle esigenze dell’ambiente, ricavando da questo particolarissimo ecosistema l’acqua necessaria per sopravvivere. L’esempio più eclatante è quello della Weltschia, una delle piante più antiche al mondo. Nei pressi della Valle della Luna se ne possono ammirare vari esemplari, ma in particolare una pianta, che secondo gli studiosi ha addirittura 1600 anni di vita. Questo vegetale, con oltre 2 metri di diametro, non spicca per bellezza ed è curiosamente imparentato con le conifere. Trae i liquidi, di cui necessita per sopravvivere, soprattutto dalla condensazione della nebbia e solo in quantità limitata dal sottosuolo.

Tra otarie e delfini
La località più nota della costa è Swakopmund, una cittadina che ospita ancora diverse famiglie di origine tedesca, i cui antenati si erano stabiliti in Namibia quando il paese era una colonia dell’Impero germanico. La presenza di numerosi edifici di fine Ottocento e d’inizio Novecento, risalenti all’epoca coloniale, da l’impressione al turista di trovarsi in una cittadina tedesca sulle rive del Mare del Nord o del Mar Baltico.
La costa ed il suo mare ospitano numerosi animali: soprattutto fenicotteri rosa, che si radunano in grandi stormi attorno alle pozze, otarie (una specie di foca), presenti con una colonia di 100 mila esemplari, pellicani e delfini. In partenza da Swakopmund o dalla vicina e più moderna Walvis Bay, che come molte altre cittadine attraversate durante il nostro viaggio ricorda l’edilizia dei villaggi americani, vengono organizzate crociere per fare l’incontro con questi simpatici animali. Le goffe foche, che raggiungono un peso medio di 200 chilogrammi, salgono a bordo dei catamarani come animali addomesticati e si lasciano carezzare mentre il capitano offre loro freschi pesciolini di cui sono golosissime: ne mangiano in medie 15 chilogrammi al giorno. I pellicani atterrano con eleganza sugli scafi ed introducono il loro lungo becco arancione all’interno dei finestrini per ricevere pure loro i pesciolini. I delfini giocano con l’imbarcazione a due chiglie collocandosi nel bel mezzo del catamarano ed esibendosi in tuffi vertiginosi.
Un’altra esperienza indimenticabile è la gita di 60 chilometri in fuoristrada 4×4 lungo un paesaggio incontaminato e incantevole, che si snoda sulla sabbia in riva al mare da Walvis Bay a Sandwich Harbour per poi inoltrarsi nelle dune. I piloti delle vetture 4×4 si sbizzarriscono in acrobazie che lasciano i turisti senza fiato. Ma poi, per farsi perdonare, apparecchiano una tavola imbandita in riva al mare con ostriche e champagne.

Incisioni rupestri ed elefanti del deserto
Il nostro itinerario prosegue verso il Damaraland, la terra del popolo damara, una regione arida e ricca di arenaria che colora le montagne di rosso. Ma prima di abbandonare la costa incontriamo uno dei tanti relitti di navi vittime dei fondali marini in perenne mutamento di questa insidiosa costa oceanica. A questo proposito si racconta la storia di una nave inglese, che nel 1942 trasportava militari e passeggeri. Dopo essersi arenata chiamò in soccorso un’altra imbarcazione della flotta britannica, ma pure essa si insabbiò. Venne allora inviato un aeroplano, che sprofondò nella sabbia e non riuscì più a decollare. Infine, per mettere in salvo i naufraghi fu necessario inviare un convoglio di camion via terra.
La spettacolare terra del Damaraland è famosa per le incisioni rupestri e per i safari alla ricerca degli elefanti del deserto (una specie di dimensioni ridotte), che è possibile incontrare con un po’ di fortuna effettuando un’escursione in fuoristrada 4×4 attraverso un paesaggio sensazionale.
A Twyfelfontein, invece, si possono ammirare incisioni rupestri realizzate alcuni millenni fa. Si tratta di 2500 immagini rilevate su circa 200 lastre di arenaria rossa, che rappresentano leoni, elefanti, rinoceronti, zebre, antilopi, giraffe e struzzi presentati in forma stilizzata, ma con precisione di dettagli. La datazione di queste opere d’arte, cha appartengono al Patrimonio mondiale dell’Unesco, è alquanto incerta, ma gli studiosi ritengono si possa collocare tra 3 e 5 mila anni fa.

Uno dei parchi africani più famosi
Il nostro viaggio si conclude, prima di tornare nella capitale per il rientro in aereo, con la visita dell’Etosha National Park, uno dei parchi più grandi e più famosi di tutta l’Africa. Aree di savana, immense distese di cespugli spinosi, zone di fitta foresta, pianure sconfinate, un grande lago salato (per il momento prosciugato perché non piove da tre anni), e numerose pozze, costituiscono l’ambiente ideale per una moltitudine di animali selvatici. Il metodo più sicuro per avvistarli e fotografarli consiste nell’appostarsi nelle vicinanze di una pozza ed osservare il loro avvicendarsi nel rispetto della gerarchia che regola il mondo animale. In ordine di importanza ogni specie aspetta pazientemente il suo turno: dapprima gli elefanti, poi i predatori, quindi gli erbivori e infine i volatili. In una sola giornata abbiamo avuto l’opportunità di vedere diversi gruppi di elefanti giocare con il fango nell’acqua, un leone che dormiva satollo davanti alla carcassa di una giraffa che aveva appena assalito e in parte divorato, una famiglia di leoni che si avventava sua una sventurata preda. Più da lontano abbiamo avvistato anche due ippopotami. Ma abbiamo avuto l’opportunità di ammirare anche molti altri animali: giraffe, zebre, gazzelle di ogni specie, gnu, sciacalli, una iena e due aquile. Una giornata davvero proficua se confrontata con quanto avviene in altri parchi, dove è difficile avvistare gli animali.

Itinerario
1° giorno Ticino – Windhoek (via Johannesburg con pernottamento a bordo)
2° giorno Arrivo a Windhoek nel pomeriggio e tempo libero per scoprire il centro cittadino o per il relax
3° giorno Il deserto del Kalahari
4° e 5° giorno (320 km) I San, il Namib e le dune di Sossusvlei
6° giorno (380 km) Il deserto del Namib e Swakopmund
7° giorno Escursione a Walvis Bay e Sandwich Harbour e rientro a Swakopmund
8° giorno (350 km) Cape Cross e la Costa degli Scheletri
9° giorno (320 km) Damaraland, Twyfelfontein e Etosha
10° giorno (300 km) Etosha e il safari
11° giorno (410 km) Etosha, Okahandja (mercato del legno) e Windhoek
12° giorno Partenza per il Ticino (via Johannesburg)

Per saperne di più
Namibia Polaris, Firenze 2011
Namibia Dumont, Milano 2013
Namibia Lonely Planet, Torino 2010

Informazioni e consigli
– Per raggiungere la Namibia sono necessarie circa 13-14 ore di volo effettivo dall’Europa, ma bisogna calcolarne una ventina, perché non ci sono voli diretti e si devono effettuare uno o due scali.
– Il modo più semplice e comodo per organizzare il viaggio è aggregarsi a un piccolo gruppo o creare un proprio gruppo per visitare il paese accompagnati da una guida. Kel 12, l’agenzia italiana con cui viaggia sovente l’autore di questo diario, è specializzata per itinerari in Africa.
– È anche possibile visitare il paese da soli noleggiando un’automobile, meglio se 4×4. Kel 12 organizza anche viaggi di questo genere prenotando gli alberghi per la sera. Alcune vetture sono dotate di tenda per dormire sopra il tetto in campeggi solitamente bene attrezzati e situati in luoghi splendidi.
– I nomi delle località in Namibia sono scritti in inglese e le case di autonoleggio mettono a disposizione navigatori stradali.
– Le strade sono in ottimo stato. Su quelle asfaltate si tiene facilmente una media di percorrenza di 100 km/h, mentre sulle piste in terra battuta si circola a una media di 70 km/h.
– L’itinerario descritto comporta una tragitto di circa 4’000 km.
– L’infrastruttura alberghiera in Namibia è di ottimo livello.
– Per quanto concerne la sicurezza non ci sono problemi. È comunque sempre preferibile viaggiare di giorno.
– Sulla costa oceanica il mattino c’è quasi sempre la nebbia e la temperatura scende notevolmente.
– Le escursioni termiche, costa a parte, tra il giorno e la notte sono notevoli. Bisogna prevedere che può fare anche molto freddo.
– Attenzione al sole, che scotta anche quando c’è la nebbia.
– La cucina è buona e l’igiene, nelle infrastrutture turistiche, è garantita. La birra è ottima. Il vino importato dal Sud Africa è solitamente di qualità.
– Il periodo migliore per visitare la Namibia è settembre-ottobre, cioè durante la loro primavera.

Namibia – Passato coloniale e apartheid, pesante eredità della Namibia

Namibia – Un vero paradiso naturalistico
Namibia – Sulle dune più alte al mondo

Un recente viaggio in Namibia mi ha fatto riflettere sulle difficoltà che le giovani democrazie africane incontrano per costruire un futuro e superare le sgradevoli eredità dell’epoca coloniale. E questo anche in un Paese come la Namibia, che ha enormi potenzialità economiche e non è dilaniato da lotte religiose (l’80 per cento della popolazione è cristiana).
Iniziamo dalle potenzialità di questa giovane democrazia, nata nel 1990. Una prima opportunità è rappresentata da un territorio splendido e vastissimo (grande tre volte l’Italia), abitato da poco più di 2 milioni di abitanti, con una concentrazione media di 2 persone per chilometro quadrato. Grazie alla bellezza dei suoi paesaggi estremamente variegati la Namibia ha sviluppato un turismo di elevato livello e in continuo sviluppo: oggi rasenta il milione di visitatori all’anno.
Un’altra ricchezza del Paese è rappresentata dalla presenza di minerali di ogni genere: oro, argento, stagno, rame, piombo, zinco, pirite, fluorite, eccetera, ma soprattutto diamanti e uranio. Dalle miniere di diamanti namibiane provengono le gemme più pure al mondo. E per quanto attiene all’uranio la Namibia ospita la miniera più ampia della terra. Grazie alle correnti fredde antartiche la costa oceanica della Namibia figura tra le dieci regioni più pescose al mondo. Molto importante è anche l’agricoltura, che direttamente o indirettamente offre tuttora da vivere al 70 per cento della popolazione ed è particolarmente orientata verso l’allevamento del bestiame (80 per cento del reddito del settore). Il sottosuolo namibiano sembra essere ricco anche di gas e di giacimenti di petrolio: si sta procedendo a trivellazioni.
Nonostante queste enormi potenzialità e sebbene il reddito medio pro capite sia il più alto del continente dopo il Sud Africa, il 50 per cento degli abitanti vive tuttora al di sotto del livello di povertà. Questo è dovuto al fatto che il 5 per cento della popolazione, in prevalenza bianca, controlla i tre quarti dell’economia. E sono proprio questi i difficili retaggi del periodo coloniale con cui deve confrontarsi la Namibia indipendente. Ripercorrendo le tappe principali della sua storia si può ben capire come il processo di mutamento per giungere a una più equa distribuzione del reddito sarà lungo e difficile. Ventiquattro anni di indipendenza sono ben poca cosa di fronte a secoli di dominazioni estere: i boeri, i tedeschi, gli inglesi, i sudafricani. Non si dimentichi inoltre che il Paese deve ancora fare i conti con la scomoda eredità dell’apartheid, che di fatto ha diviso la Namibia tra bianchi e neri. Un’altra insidia è rappresentata dal fatto che la Namibia è uno stato multietnico, creato senza tener conto dei territori occupati in passato da queste differenti popolazioni. Lo strumento principale per affrontare tutte queste sfide è stato individuato nell’istruzione. Oggi l’84 per cento della popolazione è alfabetizzato. Sulla formazione si stanno investendo molti soldi e grandi energie, ma mancano gli insegnanti.

Camerun – Tutta l’Africa in un solo paese

Camerun – Dove il tempo sembra essersi fermato
Camerun – Stregato dalla gente e dai colori nel mio primo viaggio in Africa
Camerun Un medico ticinese nel Camerun, il ricordo di Giuseppe Maggi

Dalle foreste alle montagne, dai fiumi ai laghi, dalle dorate spiagge oceaniche ai verdi altopiani, dalla brulla savana al pre-deserto. Perché andare proprio qui? Perché è un continente in miniatura. Salvo le dune di sabbia, propone tutte le caratteristiche tipiche di questa terra

Perché piuttosto che andare in Kenya, Senegal, Etiopia, Tanzania o Mali dovrei recarmi proprio in Camerun? “Perché – risponde Stefano Nori, autore della guida “Polaris” (Firenze 2008) su questo paese – la sua ricchezza e la sua varietà umana e naturalistica sono immense e preziose, uniche e senza uguali in tutto il continente; perché qui un viaggio riserva tante soprese e situazioni inaspettate; perché mille documentari e reportage televisivi non potranno mai rendere giustizia a quanto visto direttamente sul campo. Infine, perché se l’esperienza ha ancora un valore, pur avendo visitato ben 26 stati africani, non mi sono più allontanato da questo bellissimo paese, sin dalla prima volta in cui ci andai, nel novembre 1987”. E anche perché – aggiungiamo noi – in un continente dilaniato da guerre e da pericoli per il viaggiatore, è un’isola di pace e di sicurezza.
Il nostro itinerario, organizzato da Kel 12, prevede una breve tappa a Douala, la capitale economica, per ripartire il mattino seguente verso l’estremo nord, che costituisce un triangolo incuneato tra Nigeria a ovest e Ciad ad est.
Douala, uno dei luoghi con maggiori precipitazioni di tutto il continente, è importante per il suo porto commerciale che serve tutta l’Africa occidentale. È una città particolarmente brutta con i suoi trasandati locali e negozi in stile europeo, che ricordano i tristi periodi dell’epoca coloniale: dall’Occidente sembra infatti aver preso solo il peggio. La sera a cena incontriamo due coppie di italiani che lavorano per aziende europee. Ci raccontano dell’estrema corruzione che regna in Camerun – è considerata la nazione più corrotta al mondo – e di quanto sia sgradevole vivere in questa città, dove gli europei conducono ancora vita separata, come durante il colonialismo. Questa immagine del paese stride profondamente con quella che ci faremo nei giorni successivi, che coincide invece con la descrizione citata sopra di Stefano Nori.
Il nostro volo interno del mattino seguente parte puntuale. Breve sosta tecnica a Yaounde, la capitale, per poi proseguire a nord verso Maroua, che raggiungiamo in un paio d’ore. Maroua, la cittadina più grande del settentrione, si presenta squadrata, con grandi viali urbanisticamente bene ordinati, con basse costruzioni e con un forte carattere di villaggio africano. La sua maggiore attrazione è costituita dal mercato centrale coperto suddiviso in due parti. Una artigianale per turisti, dove si viene aggrediti dai venditori, ed una, per la gente del luogo, suddivisa a seconda delle varie attività, dove spiccano le botteghe dei sarti. In altre zone della cittadina si visitano il quartiere dei fabbri, che producono oggetti riciclando ferro usato, e quello puzzolente delle concerie.

Piccoli regni all’interno dello stato
Una giornata del nostro viaggio è dedicata alla visita della “Chefferie” di Oudjilla, abbarbicata su una collina delle Mandara Mountains. Dista una cinquantina di chilometri da Maroua, ma ci scontriamo subito con uno dei mali del Camerun: le strade. Una gran parte del tragitto odierno si svolge su un’arteria asfaltata, ma cosparsa non di buchi bensì di crateri, tanto da costringere i veicoli quasi a fermarsi per superarli. Abbiamo visto camion fermi ai lati della careggiata in panne a causa delle condizioni stradali, tali da costringerci a tenere una media di 20-25 chilometri orari. Quando poi si giunge alla pista che monta sulla collina, le nostre 4×4 stentano a salire, tanto è cosparsa di sassi. Forse a piedi saremmo stati più veloci, ma i raggi del sole sono troppo cocenti. Sulla strada incontriamo diversi villaggi costituiti da assembramenti di “saré”, cioè di capanne rotonde collegate tra loro per ospitare un nucleo familiare. Con i loro tetti in paglia ed i muri in mattoni di banco (costituiti di terra, paglia e sterco di animale) sembrano appartenere al paesaggio. La “Chefferie” conta 25 villaggi e circa 30 mila abitanti. Ma prima di continuare la mia descrizione è necessario spiegare che cosa è una “chefferie”. È una sorta di regno all’interno dello stato e riconosciuto dal governo centrale. Questi regni, con compiti simili a quelli dei nostri comuni, giocano un ruolo fondamentale nella vita culturale e politica del Camerun. Lo stato, oltre a riconoscerli, basa gran parte della sua struttura sociale sull’autorità morale degli “Chef”, che sono accettati dai cittadini e che tramandano il loro potere ai discendenti di sangue. Esercitano funzioni giuridiche, politiche e spirituali, come vedremo nella Chefferie di Oudjilla, con un’autorità che si estende su tutti i campi della vita quotidiana. Il centro simbolico di questo potere è il palazzo. Ed allora entriamo nel “palazzo” di Oudjilla.

Visita al palazzo reale di Oudjilla
Ad accoglierci c’è il vecchio regnante, stravaccato su un lettino in legno con uno scopino in mano per difendersi dalle mosche, davanti a un vecchio televisore spento. Sostiene di avere già compiuto i cento anni, ma francamente sembra più giovane. Fa fatica ad alzarsi e ci saluta sdraiato. Ha 50 mogli e 113 figli. Parla a stento il francese, ma uno dei figli funge da traduttore. Alle nostre domande risponde evasivamente. Non così il principe ereditario – il secondo genito, poiché secondo la tradizione il primogenito è considerato meno intelligente – che nel frattempo ci ha raggiunti. Veste una tuta blu da meccanico, nonostante stesse lavorando nei campi, e parla perfettamente il francese. Ci accoglie con calore, anche perché da oltre un mese non riceve visite da turisti, e ci introduce nel palazzo. È costituito da un enorme assembramento di capanne simili a quelle prima descritte. Basti pensare che ognuna delle 50 mogli ha diritto a quattro unità, ma molto anguste: una per dormire, una per cucinare e due come deposito per il miglio.
La prima sala del palazzo è dedicata alle udienze. Lo chef svolge infatti un ruolo simile al nostro giudice di pace. Dirime dissidi legati soprattutto a divorzi e a questioni ereditarie, mentre i reati più gravi vengono demandati ai tribunali dello stato. Proseguiamo la nostra visita ed entriamo in una stalla molto buia, dove viene custodito il bue sacro. Per tre anni vive lontano dalla luce in uno spazio angusto affinché ingrassi, sino al sacrificio rituale che avviene nel periodo della raccolta del miglio tra novembre e dicembre. Nella capanna successiva sono conservate le urne funerarie degli antenati. Si accede quindi al quartiere delle mogli, che sono governate dalla prima consorte. Lo “chef” non dorme mai nelle loro stanze, ma sono le donne che a turno si recano nella sua abitazione posta all’esterno del “saré”, così come quelle dei figli adulti. Il “palazzo” è provvisto di corrente elettrica, ma non di acqua. Ed i pozzi sono lontani.
Ci incamminiamo con il principe ereditario verso una collina da cui si gode una splendida vista sulla campagna e sulle montagne circostanti. Tra i tanti tetti in paglia ne spiccano alcuni in lamiera. Gli chiediamo come vede il futuro della sua comunità. Non sarà infatti facile conciliare la conservazione di quel patrimonio etnico-culturale con i veloci e continui mutamenti della società, che stanno cominciando a giungere anche lassù. Con espressione preoccupata risponde di voler rimanere fedele alle tradizioni, ma di rendersi conto che dovrà fare i conti con il modernismo. Sarà quindi necessario, aggiunge, accettare molti compromessi. Ma la sua speranza è che Oudjilla venga in futuro considerata patrimonio mondiale dell’Unesco, perché è convinto che questo riconoscimento gli procurerebbe i mezzi necessari per conservare le tradizioni, con il rischio però, aggiungiamo noi, di diventare una sorta di riserva o di museo all’aperto.

Le attività ai bordi della strada
Se le strade sono sconnesse, i panorami che presentano valgono bene la scomodità del tragitto. E, soprattutto, sono luogo di vita. Così attraversando un ponte ci imbattiamo in un gruppetto di ragazzini che fanno il bagno nudi in un pozzo d’acqua e si divertono quando mostriamo le foto dei loro tuffi. Poco più avanti ci fermiamo per osservare un gruppetto di giovani donne che travasano da un recipiente all’altro i grani di miglio facendoli cadere dall’alto per ripulirli. Ripetono quel movimento più volte facendo sembianza di non vederci, ma quando ci avviciniamo ci sorridono e accennano qualche parola in francese. La gente in questo paese è molto dolce e disponibile: credo siano questi incontri l’esperienza più ricca del nostro viaggio. Attraversando i villaggi si notano bancarelle in cui si vende di tutto, anche se solitamente il mercato si svolge in un giorno ben preciso della settimana. Si commercia anche carne appena macellata. Sui bordi della strada assistiamo alla cruenta macellazione di uno zebù, una sorta di bue africano. Vediamo le interiora dell’animale sgozzato giacere sulla pelle distesa per terra come una tovaglia. Due giovani si accaniscono con una mazza sulla povera bestia, che viene ridotta in pezzi da vendere al vicino mercato.

Itinerario

1° giorno
Italia-Douala

2° giorno
Douala-Maroua

3° giorno
Maroua (il mercato settimanale) – Maga

4° giorno
Maga-Pouss (il mercato settimanale) – Waza

5° giorno
Waza-Oujilla-Col di Koza-Mokolo

6° e 7° giorno
Mokolo-Tourou (il mercato settimanale) – Roumsiki

8° giorno
Roumsiki-Mayo Plata (il mercato settimanale) – Maroua

9° giorno
Maroua-Douala-Parigi

Bibliografia
Camerun, il paese dei mille villaggi Polaris, Firenze 2008
Costa d’Avorio, Ghana, Togo, Benin, Nigeria, Cameroun Lonely Planet, Torino 2010

Camerun – Dove il tempo sembra essersi fermato

Camerun – Tutta l’Africa in un solo paese
Camerun – Stregato dalla gente e dai colori nel mio primo viaggio in Africa
Camerun Un medico ticinese nel Camerun, il ricordo di Giuseppe Maggi

Tra gli alberi ed enormi massi erranti, in un paesaggio che sembra un presepe vivente, sbucano i tetti in paglia di agglomerati di capanne cinte da un muro per garantire l’intimità famigliare. Sulle piste si incontrano donne incamminate verso i mercati. Nei villaggi lo stregone svolge ancora un ruolo sociale.

Proseguiamo il nostro itinerario nell’estremo nord del Camerun ai confini tra Nigeria e Tchad, organizzato da Kel 12, dirigendoci verso le Mandara Mountains, in una zona sperduta tra le colline percorrendo piste sconquassate, ma attraverso paesaggi dove il tempo sembra essersi fermato. Tra gli alberi ed enormi massi erranti sbucano i tetti in paglia di rotonde capanne collegate tra loro e circondate da muri in sasso per proteggere l’intimità familiare. Sembrano appartenere a un presepe vivente. La mia curiosità per conoscere la vita che si svolge all’interno di quelle mura (“saré”) è enorme. Ci fermiamo con le nostre jeep davanti a diversi gruppi di capanne. La gente è gentile ma non ci invita ad entrare, come vorremmo. Più avanti abbiamo però la possibilità di visitare un nucleo ormai disabitato.
Entrati nel muro di cinta si nota una sorta di gazebo in legno, sopra il quale viene essicato il miglio, e sotto, all’ombra, mangia il capofamiglia. Le donne ed i bambini consumano invece i pasti al coperto di un’altra tettoia in paglia situata davanti alla prima capanna, che appartiene al capofamiglia ed è dominata da una statua del suo dio personale, una sorta di angelo custode. Fino all’età di 7 anni i bimbi dormono assieme alla madre, in seguito tutti assieme. Dopo i 15 anni i maschi si trasferiscono fuori dal “saré”, mentre le ragazze, in attesa di prendere marito, occupano un’altra capanna interna. Negli spazi intimi che si creano tra le capanne, i membri della famiglia si lavano. Chi se lo può permettere dedica uno spazio coperto anche al bue sacro, che viene ingrassato per tre anni senza che possa mai uscire o vedere la luce del giorno. Siccome nel corso del tempo raggiunge proporzioni ragguardevoli per trasferirlo al luogo del sacrificio diventa necessario demolire una parete. La sua carne viene quindi cucinata, mentre le donne preparano la birra di miglio. La festa dura tre giorni e viene condivisa con gli abitanti del villaggio. Proseguiamo la nostra visita all’interno del “saré”. Un’ulteriore capanna, dove al centro si trova un ampio granaio per la conservazione del miglio, è destinata alla prima moglie, che dispone pure di uno spazio attiguo dove vengono custoditi gli animali di piccola taglia: soprattutto capre e pecore. Una successiva capanna è destinata alla seconda consorte e una ulteriore, con due granai per le scorte, alla mogle più giovane, che prima di iniziare la vita familiare viene qui segregata per tre giorni. Un ultimo spazio è consacrato alla cucina, dove le varie mogli si alternano ai fornelli.
Gli animali più grandi dormono all’aperto, ma all’interno delle mura, dove dispongono di una abbeveratoio. Accanto si trova una pietra sulla quale viene esposta la statua di un dio, al quale ci si rivolge quando sorgono problemi tra i membri della famiglia, naturalmente dopo avere consultato lo sciamano (stregone) del villaggio. A seconda del suo responso viene sacrificato un pollo sbattendogli la testa sul sasso e facendogli colare il sangue sulla pietra. La cerimonia termina con preghiere dopo avere mangiato tutti assieme l’animale sacrificato e bevendo l’immancabile birra di miglio.

Lo stregone del granchio
A proposito di sciamani, abbiamo avuto occasione di incontrarne uno a Roumsiki. È ormai diventato un’attrazione turistica, ma la gente del posto continua a recarsi da lui per ricevere consigli. Lo chiamano stregone del granchio, perché interloquisce con questo animale. Dopo avere ascoltato la domanda del suo interlocutore sistema dei legnetti posati su una coltre di terra all’interno di un’anfora. Quindi, dopo aver debitamente parlato con il granchio, lo introduce nell’anfora e lo lascia agire per una trentina di secondi. Interpretando il modo in cui sono stati scompigliati i legnetti formula la risposta. Io gli ho chiesto come prevedeva l’evoluzione della situazione economica europea. Senza scomporsi ha interloquito con il granchio per rispondermi che andrà sempre un po’ meglio, ma il progresso sarà lento.
Roumsiki è un villaggio fuori dal mondo, ma in grande trasformazione, dove si trovano alcuni simpatici oggetti artigianali e dove sopravvivono alcune antiche tradizioni. Come quella di trovarsi sotto i cosiddetti fichi della parola – uno destinato ai saggi, uno ai giovani ed uno alle donne – per discutere di questioni pubbliche.
Il paesaggio attorno è molto spettacolare: propone picchi di roccia vulcanica alti decine di metri che spuntano dal terreno distanti uno da uno dall’altro, ricordando lontanamente la californiana Monument Valley.

Itinerario

1° giorno
Italia-Douala

2° giorno
Douala-Maroua

3° giorno
Maroua (il mercato settimanale) – Maga

4° giorno
Maga-Pouss (il mercato settimanale) – Waza

5° giorno
Waza-Oujilla-Col di Koza-Mokolo

6° e 7° giorno
Mokolo-Tourou (il mercato settimanale) – Roumsiki

8° giorno
Roumsiki-Mayo Plata (il mercato settimanale) – Maroua

9° giorno
Maroua-Douala-Parigi

Bibliografia
Camerun, il paese dei mille villaggi Polaris, Firenze 2008
Costa d’Avorio, Ghana, Togo, Benin, Nigeria, Cameroun Lonely Planet, Torino 2010

Camerun – Un medico ticinese nel Camerun, il ricordo di Giuseppe Maggi

Camerun – Tutta l’Africa in un solo paese
Camerun – Dove il tempo sembra essersi fermato
Camerun – Stregato dalla gente e dai colori nel mio primo viaggio in Africa

Nel diario di viaggio ho scritto di quanto sia rimasto colpito dalla dolcezza e dalla gentilezza di quella gente e di come non si possa giudicare un viaggio del genere con gli stessi parametri di altre esperienze. Esiste però, purtroppo, anche un rovescio della medaglia, che sarebbe ingenuo e scorretto tacere, anche perché in parte chiama in causa la nostra civiltà occidentale. Raccontavo di come Douala, la capitale economica del Camerun, sia una brutta città costruita in epoca coloniale, che della nostra cultura ha recepito solo gli elementi peggiori. In Camerun ho incontrato un anziano italiano che con orgoglio mi raccontava come noi europei abbiamo portato la civilizzazione in Africa. E no, le cose non stanno proprio così. Il colonialismo certamente, ma per diversi aspetti anche certe forme di turismo, della nostra civiltà hanno “esportato” soprattutto il peggio. Basti pensare alla politica. Quali esempi abbiamo fornito e cosa abbiamo fatto per preparare quei Paesi a gestire l’indipendenza, dopo che ci siamo impossessati delle loro maggiori risorse? Il Camerun ha conquistato l’indipendenza nel 1960, dopo aver subito la dominazione dei tedeschi dapprima e dei francesi e degli inglesi in seguito, ed è subito finito sotto un padre padrone: il presidente Hamadou Ahijio, che ha governato per 22 anni. Il potere è poi passato a Paul Biya, che ha apparentemente “democratizzato” il Paese, portandolo al poco invidiabile primato di Stato più corrotto del mondo. In Camerun bisogna pagare per avere buoni voti a scuola, per entrare all’università, per disporre di un letto in ospedale, persino per ottenere un funerale decente. La corruzione segue abitudini e rituali, frutto di regole e norme di comportamento che condizionano la quotidianità. Ed è un vero peccato perché il Camerun ha di un interessante potenziale economico, potendo contare sull’esportazione di caffè, cacao, cotone, banane, olio di palma, legname e petrolio. Questo Paese, il cui reddito pro capite è uno dei più elevati del continente, può vantare la quasi totale autosufficienza alimentare. Se all’estero questo piccolo Stato, oggi purtroppo considerato a rischio per il turismo, è noto per aver dato le origini al giocatore di calcio Eto’o e al tennista Noah, in Ticino è invece conosciuto per essere stato la seconda patria del dottor Giuseppe Maggi, il medico di Caneggio che ha dedicato quarant’anni della sua vita alla battaglia contro la malaria e molti altri mali che affliggono le popolazioni più povere del Camerun del nord. Nella sua lunga attività, che gli valse anche una candidatura al premio Nobel per la pace, il medico ticinese ha costruito in Camerun cinque ospedali, quattro dei quali nel corso degli anni si sono resi autonomi. L’ultima sua creazione, invece, continua ad essere gestita da “L’Opera Umanitaria Dr. Maggi”, che porta avanti il sogno del fondatore – di cui quest’anno ricorre il venticinquesimo della morte – con un’équipe di cinquanta sanitari, tutti africani.

Egitto – Al sud, tra Nilo e deserto

Egitto – La città di Luxor, l’antica Tebe
Egitto – Un’autostrada del turismo
Egitto – I diversi volti dell’Islam

I templi dell’epoca tarda (300-30 a.C.) di Aswan, Kom Ombo,Idfu e Esna. La diga degli anni Sessanta che ha cambiato la vita del paese. La spettacolare Abu Simbel, salvata dalle acque del Lago Nasser grazie all’intervento dell’Unesco

Quando si pensa alla civiltà egiziana ci si dimentica spesso che ci si riferisce a un periodo lunghissimo che va dal 3000 a.C., quando nasce la prima dinastia faraonica, fino al 30 a.C., quando l’Egitto diventa una provincia romana. Un periodo quindi di quasi tremila anni, che ha conosciuto alti e bassi. I momenti migliori hanno sempre coinciso con un forte potere centrale, quelli difficili sono invece stati caratterizzati da divisioni politiche e sociali del paese. Un altro elemento fondamentale per comprendere questa straordinaria civiltà è il ruolo del Nilo, che quando nel corso dell’estate straripava ricopriva le rive, su un’estensione di alcuni chilometri, depositando un prezioso limo che rendeva fertilissima la terra. La grande ricchezza di questo paese, stretto tra due deserti, era legata al suo fiume, sulle cui sponde pulsava la vita allora, come avviene ancora oggi.
Il nostro itinerario segue dunque il tragitto del Nilo, ma a ritroso nel tempo. Nel senso che partiamo dall’epoca tarda faraonica cioè dal 300 a.C. al 30 a.C., quando il paese aveva trovato una difficile convivenza tra la civiltà egizia e quella greca, e giungiamo al periodo aureo toccato durante la XVIII dinastia (1540-1292 a.C.) e l’inizio della XIX (1292-1186 a.C.). La visita dello straordinario museo egizio del Cairo e delle piramidi è prevista per un altro viaggio, che contemplerà anche il deserto e la mediterranea Alessandria fondata da Alessandro Magno.
Non si tratta quindi dell’itinerario classico, sia per quanto riguarda il tragitto, sia il mezzo di trasporto: l’automobile invece della crociera in nave sul Nilo. Il nostro percorso scorre da sud a nord, da Aswan – con una puntatina in aereo nell’estremo sud, nel deserto nubiano, per visitare Abu Simbel – a Luxor, per raggiungere più a nord anche gli splendidi templi di Abydos e Dendera.
La prima tappa del viaggio è Aswan, che raggiungiamo in aereo da Milano, facendo scalo al Cairo. Qui visitiamo il Tempio di File e poi verso nord quelli di Kom Ombo, Idfu e Esna. Si tratta di monumenti risalenti all’epoca tolemaica (300 a.C. – 30 a.C.) frutto di un’interazione tra due grandi culture: quella egizia e quella greca. Come scrive Ernst H. Gombrich nella sua storia dell’arte “i maestri greci andarono alla scuola degli egizi, e noi tutti siamo allievi dei greci. Per questo l’arte egizia assume per noi un’importanza incalcolabile”.

I Greci in Egitto
Dopo oltre due millenni di storia sul trono dei faraoni, a partire dal VII secolo a.C., sedettero sovrani stranieri, che in molti casi cercarono di rispettare la cultura egizia. È quanto accadde alla dinastia dei tolomei (300 – 30 a.C.), che salì al potere dopo la conquista dell’Egitto da parte di Alessandro Magno e la sua incoronazione a faraone. Alla morte del grande condottiero, uno dei suoi amici più fedeli, il greco Tolomeo si proclamò re d’Egitto e fondò una dinastia che sarebbe durata tre secoli donando al paese una tarda fioritura anche nel mondo dell’arte e dell’architettura. Il tempio di File ad Aswan e quelli di Kom Ombo, Idfu e Isna, che si incontrano in quest’ordine lungo la strada che sale a nord verso Luxor, appartengono a quest’epoca.
Dedicato alla dea Iside il Tempio di File si trova su una suggestiva isola sul Nilo, che si raggiunge in barca. Per evitare che venisse sommerso dalle acque dopo la costruzione della grande diga costruita da Nasser negli anni Sessanta fu letteralmente smontato in 42 mila blocchi numerizzati e rimontato. Questo intervento, realizzato con l’aiuto dell’Unesco, ha richiesto otto anni di lavoro.
Iniziato nel IV secolo a.C. il luogo di culto fu abbellito dagli ultimi faraoni e ultimato durante l’impero romano. Il suo grado di conservazione è eccezionale e ci propone alto e bassorilievi di grande pregio artistico dedicati alla leggenda di Iside, sorella e consorte di Osiride, che venne ucciso dal fratello ma fu riportato in vita grazie a un battito d’ali della dea trasformatasi in uccello. Dalla loro unione nacque Horus, a cui è dedicato il tempio di Idfu, che è giunto a noi quasi intatto permettendoci quindi di penetrare dentro i misteri di un luogo di culto egizio. Cosa assolutamente proibita alla gente del tempo, costretta a rimanere nel cortile esterno, quindi lontana dal sacrario che si trovava nella parte posteriore e custodiva la statua d’oro del dio a cui era dedicato il tempio.
A Kom Ombo, immerso in uno splendido paesaggio in riva al Nilo attorniato da verdissimi campi coltivati a granturco e canna da zucchero, mi hanno particolarmente colpito alcuni bassorilievi che illustrano l’elevato livello raggiunto dalle arti mediche all’epoca dei faraoni. I sacerdoti presenti nei templi, oltre che a celebrare gli dei, praticavano infatti anche la medicina e l’astrologia. Di enorme interesse anche il cosiddetto nilometro, un marchingegno che permetteva di misurare il livello del Nilo durante le piene e dal quale dipendeva l’ammontare della tasse: minori se l’acqua era poca, maggiori se era molta.

Con le dighe cambia la vita
A partire dall’inizio del Novecento le piene del Nilo sono controllate dalle dighe: la cosiddetta Diga Vecchia fu costruita dagli inglesi nel 1902, la più recente risale invece agli anni Sessanta. Un’opera voluta da Nasser che ha permesso di aumentare del 30 per cento la superficie delle terre coltivabili, di raddoppiare le risorse energetiche e di regolarizzare l’irrigazione, consentendo un notevole sviluppo delle risaie e stabilizzando le acque del fiume favorendo in tal modo la navigazione permanente. Tutti questi vantaggi hanno però comportato un prezzo elevato per le popolazioni che vivevano lungo le rive del Nilo a nord di Aswan nella regione dove oggi si trova il lago Nasser. Le acque hanno infatti sommerso i villaggi dove vivevano 100 mila nubiani costretti a trasferirsi in altre parti del paese e in particolare in nuovi villaggi costruiti appositamente dal governo a nord, nei pressi di Kom Ombo, ma lontani dal Nilo. Un interessante museo di recente inaugurazione ad Aswan, presenta la cultura nubiana e il suo sviluppo nei secoli. A livello paesaggistico il lago, circondato dalle dorate sabbie del deserto, non sembra opera dell’uomo, ma una magia della natura.

Aswan, ponte tra le culture
La più meridionale delle città egiziane, famosa per il suo granito rosa, anticamente occupava unicamente l’isola Elefantina situata nel mezzo del Nilo in uno splendido paesaggio caratterizzato dalle sabbie del deserto. Storicamente sede di un importante mercato, ha favorito gli scambi economici e culturali tra il mondo arabo e l’Africa nera. Situata nei pressi della prima cataratta, una sorta di cascata, ha svolto un importante ruolo strategico, perché permetteva agli eserciti dei faraoni di controllare gli afflussi dalla regione della Nubia e quindi dall’Africa. Oggi è una graziosa cittadina, dove si può passeggiare lungo il Nilo, sulla cosiddetta Corniche in ricordo dell’epoca coloniale, ben rappresentata anche dal prestigioso hotel Old Cataract, purtroppo attualmente in restauro. Il vasto suk (mercato) ha in parte perso la sua tipicità. Sebbene di forte impronta turistica non si può rinunciare a una gita in feluca, dove “l’ozio acquisisce tutta la sua nobiltà”, mentre le vele spinte dal vento inoltrano i passeggeri in un paesaggio desertico e silenzioso, che permette di viaggiare con il pensiero ai tempi dei faraoni.

Indimenticabile Abu Simbel
Abu Simbel è una delle mete più interessanti del viaggio. Non ci troviamo più di fronte a monumenti dell’epoca tolemaica, ma risalenti a mille anni prima. Questo luogo di culto è stato costruito da Ramsete II (1279-1213 a.C.), uno dei più grandi faraoni della storia. Situato alle porte dell’Africa nel deserto nubiano è completamente scavato in uno sperone di roccia per un’altezza di 33 metri e una larghezza di 38. Nonostante queste dimensioni gigantesche gli scultori hanno saputo creare un’opera perfetta.
Ramsete II fu un grande costruttore, un grande guerriero, ma anche un uomo di pace, perché concluse con gli Ittiti forse il primo trattato scritto di pace della storia, che prevede numerose clausole, tra cui addirittura alcune dedicate alle estradizioni.
Due sono i monumenti che si visitano ad Abu Simbel: il Grande tempio, dedicato da Ramsete II a sé stesso e il Tempio di Hathor, offerto invece alla sua sposa preferita, la regina Nefertari, che in lingua egiziana antica significa la più bella tra le belle. Secondo alcuni storici il faraone costruì questo edificio maestoso per dimostrare la sua potenza ai possibili invasori provenienti dall’Africa.
L’atmosfera che si respira nei due templi è molto diversa. Quello di dimensioni più ridotte, dedicato alla moglie, è decisamente più leggero. Le figure di donna slanciate ed eleganti dipinte sulle pareti danno effettivamente l’impressione di entrare in un universo femminile. Più imponente e molto più ampio è invece il tempio grande. Sulle pareti sono rappresentate scene della famosa battaglia di Qadesh combattuta da Ramsete II contro gli Ittiti. Curioso il modo utilizzato per rendere l’idea del movimento: lo sdoppiamento dell’immagine. Due giorni all’anno – probabilmente quello del compleanno e quello dell’incoronazione del faraone – i raggi del sole penetrano attraverso un’angusta finestra illuminando sull’altare le figure del re sole e di Ramsete II, che si trovano accanto agli dei Amon-Ra e Ptah.
Impressionante immaginare che questo monumento sia stato smontato in mille blocchi e rimontato 62 metri più in alto per evitare di soccombere sotto le acque del lago Nassar.

Bibliografia
Egitto La Guida Verde Michelin, Milano 2002
Egitto Touring Club Italiano, Milano 2007
Egitto Lonely Planet, Torino 2008
Egitto Polaris, Firenze 2004
Hermann A. Schlegl, L’Antico Egitto Il Mulino, Bologna 2005
Sergio Donadoni, L’uomo egiziano Editori Laterza, Bari 2003

Egitto – La città di Luxor, l’antica Tebe

Egitto – Al sud, tra Nilo e deserto
Egitto – Un’autostrada del turismo
Egitto – I diversi volti dell’Islam

Le tombe dei faraoni nella valle dei Re, gli altri sepolcri nelle valli adiacenti e i templi funerari. La città dei vivi sulla sponda sinistra del Nilo con i templi di Karnak e di Luxor e quella dei morti sulla sponda destra con le tombe e i templi funerari, risalgono all’epoca in cui la civiltà egizia raggiunse il suo apice tra il 1500 e il 1200 Avanti Cristo.

Con la XVIII dinastia 3 mila 500 anni fa Tebe, l’attuale Luxor, sotto il faraone Ahmosi (1540-1515 a.C.) diventa capitale d’Egitto. I più insigni uomini del tempo – astronomi, architetti, medici, letterati – vengono chiamati alla corte da Amenhotep (1515-1494 a.C.) succeduto al padre Ahmosi. È in questo periodo che i sovrani trovano un nuovo luogo di sepoltura nella Valle dei re e che viene fondato Deir el-Medina, l’insediamento degli operai che lavorano alla costruzione delle tombe faraoniche.
Il nostro itinerario, dopo aver visitato i siti archeologici di Abu Simbel, di Aswan, e sul tragitto verso Luxor, di Kom Ombo, Idfu e Isna (vedi prima parte), approda dunque nell’antica Tebe, da cui spostandosi verso nord raggiungeremo anche Dendera e Abydos.
Luxor costituisce certamente la tappa principale del nostro itnerario, come di qualsiasi viaggio in Egitto, perché ospita i monumenti risalenti all’epoca in cui la civiltà egizia assurse al suo apice a partire dal 1500 a.C., quando il paese raggiunse anche la più ampia estensione territoriale della sua storia in seguito a una politica estera espansionistica. Risalgono a questo periodo anche i regni di Hatshepsut (1479-1457 a.C.), la donna faraone che fondò la valle delle regine e costruì poco distante un tempio di straordinaria modernità, e quello di Amenhotep IV(1353-1336 a.C.) che diede origine alla prima religione monoteistica nella storia dell’umanità. Il suo dio Aton, che amava tutte le creature della terra, fu però accantonato dai suoi successori – in primis dal leggendario Tutankhamon (1332-1323 a.C.) – che restaurarono il culto delle antiche divinità. La fase monoteista creò un clima difficile dal quale si uscì definitivamente con il faraone Sethi I (1290-1279 a.C.) della dinastia dei ramessidi e con suo figlio Ramesse II (1279-1213 a.C.), uno dei più importanti faraoni di tutti i tempi, famoso per aver siglato il primo trattato di pace scritto della storia – prevedeva persino clausole per l’estradizione – e per la sua straordinaria attività edificatoria. Viaggiando attraverso l’Egitto si incontrano così spesso monumenti edificati da questo faraone, che anche l’osservatore più distratto è costretto a collegare il suo nome a particolari opere architettoniche. Nei suoi edifici e nelle sue sculture dominano le proporzioni colossali. Basti pensare agli splendidi templi di Abu Simbel. Con il suo regno si conclude un’epoca aurea che non avrà più eguali nei secoli successivi.

L’antica Tebe vista dal cielo
Come in molti siti turistici di interesse eccezionale a Luxor sono organizzati voli in mongolfiera che permettono di osservare quei luoghi straordinari illuminati dai primi raggi del sole mentre si è sospesi nel vuoto. Si tratta certamente di un “business”, ma permette di avere una visione generale su tutta la zona archeologica come se ci si trovasse su una terrazza volante. Da lassù si osserva in lontananza la città dei vivi, che si affaccia sul Nilo con i suoi templi di Karnak e di Luxor, e quella dei morti in una zona estremamente suggestiva di montagne desertiche situate ai limiti dei verdissimi campi coltivati grazie alle acque del mitico fiume. I faraoni scelsero quel luogo per farsi seppellire e per iniziare un nuovo viaggio nell’aldilà accompagnati dai loro oggetti più cari. Quelle montagne irreali, del colore della sabbia, che annunciano il deserto, su cui nessun arbusto sopravvive, sono solcate da vallate che nascondono innumerevoli sepolcri. Da nord a sud si trovano in sequenza dapprima la celeberrima Valle dei re, quindi quella che ospita il tempio della faraona Hatshepsut e infine la Valle delle regine, separate da una collina dove sono sepolti gli alti dignitari dei vari regni che hanno ottenuto dai faraoni l’onore di condividere quel luogo sacro. A poca distanza si notano le rovine di una sorta di “città operaia”, abitata dalle maestranze addette alla costruzione dei sepolcri. Anche alcuni di loro hanno ottenuto il privilegio di percorrere il viaggio verso l’eternità su quelle alture.
Quelle montagne lunari sono precedute da una stretta pianura desertica, dove si trovano i templi funerari dei faraoni. Alcuni sono scomparsi, di altri resta solo qualche traccia poco identificabile e di altri ancora si possono vedere le rovine. Squadre di archeologi cercano di ricostruire colonnati, facciate e altri edifici per ricreare poco a poco quei templi che gli Egizi avevano soprannominato i “castelli di milioni di anni”.

Il viaggio nell’aldilà
Quelle tombe nascoste e segrete (per sfuggire all’avidità dei tombaroli, che esistevano già ai tempi dei faraoni), faticosamente scavate nelle profondità della montagna, nascondevano nelle viscere della terra straordinari tesori che accompagnavano i corpi dei defunti nella vita immortale. I corredi comprendono praticamente tutto quanto si può trovare in una casa terrena. Quei sepolcri non corrispondevano infatti all’immagine della morte definitiva. Più della fine di una vita, è l’immagine della rinascita ad essere presente in tutti gli edifici funerari.
Le tombe e i templi delle necropoli tebane, riportano sulle pareti i riti e le formule che i defunti dovevano pronunciare al cospetto dei guardiani delle porte delle dodici ore della notte. Come il sole, che attraversa la notte per rinascere ogni nuovo giorno, così anche i morti dovevano compiere un cammino attraverso il regno delle tenebre per raggiungere la luce della nuova vita. Le tombe dei faraoni, alle pareti come nei soffitti a volta, presentano immagini religiose, sorta di ‘preghiere’ e formule tratte dai libri sacri. Nei sepolcri degli alti dignitari sono invece frequenti scene che ricordano la vita: dal lavoro agricolo alla caccia, dai banchetti all’intimità familiare, dalle attività lavorative alla danza.
Purtroppo nell’affollatissima Valle dei re – raramente ho visitato un luogo con un simile assembramento di turisti – su una sessantina di tombe ne sono aperte alla visita solo una decina a turno. Siccome non sono certo state costruite per ospitare le folle, la presenza umana danneggia quelle straordinarie opere d’arte giunte a noi in perfetto stato di conservazione, nonostante risalgano a 3500 anni fa. Fate attenzione, perché se non lo chiedete espressamente acquistando un biglietto supplementare non vi fanno nemmeno visitare le dieci aperte. Nella Valle delle regine ne sono invece aperte solo tre. Quella celeberrima di Nefertiti è purtroppo chiusa al pubblico. Non lasciatevi scappare la visita delle tombe degli Alti dignitari e quelle del villaggio ‘operaio’, dove ne troverete di splendide e sarete in compagnia di pochissimi turisti, perché escluse dal tour convenzionale.
I ricchi arredi delle tombe sono finiti tutti al Museo egizio del Cairo, uno dei più importanti al mondo. Anche Luxor dispone di un piccolo, moderno museo, dove sono esposte opere minori, ma che meritano di essere viste. Di eccezionale interesse una decina di splendide statue recentemente rinvenute in un nascondiglio sotto il Tempio di Luxor.

Templi eterni
Sono molti i templi visitati durante questo viaggio in Egitto (vedi prima parte. La loro struttura è sostanzialmente sempre simile: cortili e sale davano accesso al sacrario, dove era custodita la statua solitamente in oro del dio a cui il luogo di culto era dedicato. I fedeli avevano accesso solo agli spazi aperti, mentre i luoghi chiusi erano riservati unicamente ai sacerdoti. Il complesso era circondato da una cinta muraria, all’interno della quale si trovavano anche le abitazioni dei sacerdoti e in qualche caso di altri cittadini. Ognuno di questi edifici giunti fino ai nostri giorni ci rivela alcune peculiarità, che nel loro insieme ci permettono di comprendere come si svolgeva anticamente la vita al loro interno.
Nella spianata desertica che precede le vallate dove sono custodite le tombe dei faraoni si possono visitare diversi templi funebri. Tra i più significativi figurano: il Ramesseum, di grande unità stilistica anche se molto rovinato, costruito dal solito Ramesse II; l’amplissimo Tempio di Ramesse III (1184-1153 a.C.), famoso per le sue superfici decorate; le due statue colossali che presidiavano l’immenso tempio di Amenofi III (1391-1353 a.C.), che secondo la leggenda cantano al sorgere del sole. Ma il tempio più famoso e più visitato tra tutti quelli della riva ovest del Nilo a Luxor è certamente quello della faraona Hatshepsut (1479-1457 a.C.), che non fu l’unica donna a salire sul trono. Costruì questo luogo di culto in un suggestivo fondovalle, che incornicia il monumento scavato nella montagna color rosa, in contrasto con il colore del cielo sempre azzurro. Si tratta di uno straordinario connubio di arte e natura, da qualsiasi parti lo si ammiri.
Il tempio più maestoso di tutto l’Egitto è però certamente quello di Karnak, dedicato al dio Amon e considerato il più vasto luogo sacro al mondo. È stato pensato come una sorta di fastosa residenza nella quale il dio soggiornava come un sovrano attorniato dalle cure dei sacerdoti. Costruito durante il periodo aureo, principalmente sotto la XVIII e la XIX dinastia, accoglie interventi di moltissimi faraoni anche di epoche successive. Colpisce per le sue dimensioni davvero faraoniche. Lo si può visitare anche di notte durante lo spettacolo “Son et lumière”, quando assume un fascino del tutto particolare. Anticamente era collegato da un lunghissimo viale con un altro grande luogo di culto dell’antica Tebe, il Tempio di Luxor. Anch’esso di pianta classica, fu opera di più faraoni appartenenti a diverse dinastie: ultimo dei quali fu Alessandro Magno, che conquistò l’Egitto nel 332 a.C. e a Menfi fu incoronato faraone. Il viale processuale che collegava i due siti sacri era arredato con 700 statue di sfingi a testa umana con corpo leonino.

Abydos, città sacra
Un’escursione di una giornata da Luxor permette di visitare la città sacra di Abydos, una sorta di Mecca egizia: ognuno doveva rendere visita al Tempio di Osiride, il sovrano del regno dei morti. Secondo la tradizione, infatti, Osiride, ucciso dal fratello Seth che rappresenta il male, perse la vita nei paraggi di questo sito sacro situato ai margini del deserto, che divenne ambita necropoli e meta di pellegrinaggi. Anche questo monumento, come quelli di Luxor, comprende edifici di ogni epoca, ma è famoso soprattutto per la fresca coloritura dei suoi raffinati rilievi parietali, che permette di capire come si presentavano al loro interno i templi nell’antico Egitto.
A Dendera, che si trova tra Luxor e Abydos, il tempio è dedicato alla dea e madre universale Hathor, a cui venivano associati l’amore, la musica e il divertimento. In questo luogo di culto, tra i meglio conservati dell’interno Egitto, un altro particolare permette di immaginare gli interni dei templi egizi: le colonne sono colorate su sfondo bianco. I suoi rilievi, realizzati circa mille anni dopo quelli di Abydos, risultano però di fattura nettamente inferiore. Particolarmente interessanti, comunque quelli in cui la dea Hathor si fa fecondare da Osiride sorvolando sul suo corpo disteso.

Bibliografia
Egitto La Guida Verde Michelin, Milano 2002
Egitto Touring Club Italiano, Milano 2007
Egitto Lonely Planet, Torino 2008
Egitto Polaris, Firenze 2004
Hermann A. Schlegl, L’Antico Egitto Il Mulino, Bologna 2005
Sergio Donadoni, L’uomo egiziano Editori Laterza, Bari 2003

Egitto – Un’autostrada del turismo

Egitto – Al sud, tra Nilo e deserto
Egitto – La città di Luxor, l’antica Tebe
Egitto – I diversi volti dell’Islam

L’Egitto è una sorta di Mecca del turismo: almeno una volta nella vita bisogna andarci. Ma come visitarlo? Il paese è ormai diventato una sorta di autostrada del turismo. Nel senso che tu scegli uno degli itinerari classici prestabiliti e lo segui senza
ripensamenti.
Prima di partire per un viaggio e prima di scegliere l’itinerario leggo guide e libri sulla destinazione. È un mio modo per percorrere il viaggio più volte e per evadere dai problemi della vita quotidiana. Una volta deciso il tragitto e le tappe mi affido a un’agenzia. Così ho fatto anche per l’Egitto. Ho trovato ottimi alberghi e un buon servizio, ma nonostante disponessimo di una guida e di un autista tutti per noi ho dovuto impormi per vedere quanto avevo deciso di visitare. La nostra guida, culturalmente preparata, ci voleva imporre le tappe classiche, scoraggiando i nostri tentativi di personalizzare l’itinerario sostenendo che quanto chiedevamo era molto faticoso, oppure che si trattava di monumenti non aperti al pubblico. A una mia puntuale verifica è risultato però non essere così. Intendiamoci, questo non mi è successo solo in Egitto. Anzi, è piuttosto nella norma. Se percorrete quella che chiamo autostrada del turismo, trovate una marea di gente. È davvero incredibile, per esempio, quanti turisti a Luxor – l’antica Tebe – visitano la Valle dei Re. Appena però vi scostate dal percorso tradizionale,
vedete opere d’arte eccezionali quasi deserte. Un’esperienza che fa davvero riflettere sul modo di praticare il turismo. Nella splendida Valle dei Re su una sessantina di tombe ne vengono aperte alle visite – a rotazione – meno di dieci. Questo per
preservare queste straordinarie testimonianze della civiltà egizia, che vengono danneggiate dalla presenza della folla. Il biglietto d’ingresso prevede l’entrata a tre tombe, ma nessuno vi dice che pagando un supplemento voi potete visitare anche
le altre sette. E dire che avete percorso migliaia di chilometri in aereo per arrivare fino a lì! In una valle adiacente a quella dei re si trovano splendidi sepolcri degli alti dignitari dei faraoni. Un luogo che secondo la nostra guida era in restauro e che invece era visitabile, ma dove arrivano pochissimi turisti. Eppure si tratta di opere famosissime, riprodotte su tutti i libri. Potrei portare numerosi altri esempi!
Per avere più tempo a disposizione avevamo scelto di spostarci in automobile, invece che in nave, e quindi di pernottare in albergo. Gli spostamenti su strada sono molto interessanti, perché permettono di vedere uno spaccato di vita nella fertilissima campagna che si estende lungo tutto il tragitto del Nilo. Nel sud dell’Egitto non esistono industrie, per cui la gente da millenni vive di agricoltura. Si passano villaggi dove la vita non è probabilmente molto diversa rispetto a tre o quattromila
anni fa, all’epoca dei faraoni. Molte case, come allora, sono costruite con mattoni di argilla e hanno ancora il tetto in paglia. Non si vede miseria, ma povertà, anche se le condizioni di vita sono certamente migliorate da quando negli anni Sessanta Nasser ha costruito l’enorme diga, che permette di irrigare i campi tutto l’anno e quindi non solo durante le piene del Nilo, come avveniva prima. Questo permette naturalmente di avere più raccolti.

Egitto – i diversi volti dell’Islam

Egitto – Al sud, tra Nilo e deserto
Egitto – La città di Luxor, l’antica Tebe
Egitto – Un’autostrada del turismo

Un viaggio in Egitto propone stimolanti riflessioni sul mondo arabo e islamico. Il mio approccio è di estremo interesse e di grande simpatia, sin da quando da bambino – ben cinquanta anni fa – avevo visitato il Marocco, un paese che adoro. In Egitto, come nelle altre nazioni medio-orientali, gli atteggiamenti della gente nei confronti di noi occidentali, secondo la mia esperienza, sono riconducibili a tre tipi: c’è chi è servile e disposto a qualsiasi compromesso pur di ottenere i nostri soldi, chi è disinteressatamente portato ad interagire con noi per presentarci il proprio paese, e infine chi ha un atteggiamento apertamente ostile nei
nostri confronti.
I primi dimostrano poca dignità e mettono spesso in imbarazzo con atteggiamenti insistenti, rischiando di compromettere il nostro rapporto con tutta la gente del luogo. Gli ultimi sono scostanti, perché di fatto rifiutano il dialogo. Per capire un paese abbiamo bisogno del contatto con i secondi, che in questi ultimi tempi per un turista diventa sempre più difficile incontrare. Questi diversi comportamenti sono strettamente collegati all’approccio religioso dei nostri interlocutori. L’Egitto è un paese per tradizione molto aperto verso il mondo occidentale. Gli intellettuali musulmani di formazione europea stanno portando avanti da anni un interessante discorso di modernizzazione dell’Islam. Ad essi si contrappongono gli integralisti, fautori invece di un’islamizzazione della modernità. Appartengono alle classi sociali maggiormente sfavorite da un governo corrotto. Il loro intento è di minare il consenso e di destabilizzare il potere costituito sia sul piano politico – tramite attentati ai quadri dello stato e dell’esercito – sia su quello economico – scoraggiando gli investimenti stranieri. Sono da vedere in quest’ottica gli atti di terrorismo degli ultimi anni ai danni dei turisti. Viaggiando in Egitto si percepisce questo clima conflittuale. Lungo il nostro itinerario in automobile tra Aswan e Luxor e quindi verso nord da Luxor ad Abydos abbiamo incontrato innumerevoli posti di blocco a una distanza di una decina di chilometri l’uno dall’altro e in prossimità di tutti i villaggi. Il governo sembra terrorizzato da eventuali episodi spiacevoli in cui potrebbero essere coinvolti turisti. E questo spiega forse una certa rigidità sugli itinerari proposti nel paese di cui parlavo qui. Ad Abydos dopo aver visitato uno splendido tempio un po’ discosto dai percorsi classici, ci siamo addentrati nel villaggio. Con estrema cortesia un poliziotto in civile si è avvicinato a noi per invitarci a non lasciare la via principale che attraversa il borgo. Chiedendo poi spiegazioni ci è stato detto che si vogliono evitare incidenti. D’altra parte in un altro villaggio ci siamo sottratti all’attenzione della nostra guida per visitare un mercato non turistico, ma quando abbiamo estratto la macchina fotografica siamo stati apostrofati.
A Luxor alloggiavamo nell’albergo dove il primo ministro egiziano si trovava per qualche giorno in vacanza con la famiglia. L’hotel era praticamente assediato dalla polizia e dalle guardie del corpo, mentre il poveraccio si faceva un bagno in piscina con moglie e figli. Episodi che fanno riflettere e che inquietano sul futuro di un paese che sta faticosamente cercando la sua strada per conciliare le sue tradizioni con un mondo sempre più globalizzato. La grande sfida sarà quella di far conciliare il profondo senso di religiosità della popolazione con la gestione di uno stato moderno e laico in cui la religione è considerata una questione personale, come avviene nelle democrazie occidentali.