Stati Uniti – I nostri legami con la California attraverso la storia degli emigranti

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In primavera, quando il volo per gli States era già stato prenotato, ho notato un certo fermento familiare attorno al computer. Mia moglie, che già ci lavora buona parte del giorno, si piazzava davanti allo schermo anche dopo la cena, momento solitamente consacrato alla conversazione, allo scambio di notizie, programmi e pareri. Aveva pure un fare un po’ misterioso. Facebook, ho pensato. Sta a vedere che si è lasciata incantare dai social network. Qualche giorno più tardi – e dopo molte ore a tu per tu con il Mac – mi annuncia trionfante che attraverso la rete ha ricostruito la storia dei suoi antenati emigrati in California e, addirittura, ha scoperto dei cugini americani con cui è riuscita a mettersi in contatto.
I fratelli di sua nonna, racconta, sono partiti da Vogorno all’inizio del Novecento, prima uno, poi l’altro un paio di anni dopo. Entrambi neanche ventenni, prima di allora usciti dalla Verzasca forse solo per qualche inverno da spazzacamino nella vicina Lombardia. Con qualche dato anagrafico ha trovato le loro tracce negli elenchi di Ellis Island, la grande porta d’entrata d’America, dove tutti gli immigrati venivano registrati (www.ellisisland.org). Purtroppo le ricerche sono complicate, mi confessa che ha impiegato tantissimo tempo: la grafia incerta dei nostri avi che avevano poca dimestichezza con la penna è spesso trascritta in modo approssimativo, fatto sta che Giuseppe è diventato Guiseppe, mentre Paolo si è trasformato in Caslo. Ha fatto molti tentativi, giocando un po’ con l’intuito. Ma ora sa quando e dove sono partiti, con quale nave, quando sono arrivati a New York. E, con il mazzetto di lettere che la nonna le ha affidato quand’era ragazza – quelle lettere che per qualche anno dopo la partenza i due hanno inviato a casa -, con i dati di internet, molta costanza e un po’ di fortuna, ecco che trova in California i discendenti di uno dei due fratelli. Il nostro viaggio ormai è programmato, ma un incontro bisogna proprio organizzarlo. E così diamo appuntamento ai cugini americani via mail e, nonostante il breve preavviso, tre si presentano con mariti e mogli. Una serata piacevole nella generale confusione di una conversazione multilingue: un po’ di inglese studiato tanti anni fa e mai praticato, un po’ di spagnolo che alcuni di loro conoscono perché siamo comunque poco lontano dal Messico, un po’ di dialetto ticinese. Eh, sì, perché il marito di una cugina, anch’esso discendente di emigranti ticinesi, ha imparato dal nonno qualche modo di dire tipico di qui… ed è strano per noi sentire quelle espressioni antiche, del dialetto di un Ticino che non c’è più. È un mondo che si apre al confronto. Ci raccontano dell’attaccamento che, nonostante siano di terza generazione, nutrono per la Svizzera, delle radici che conoscono poco, perché il nonno (e cioè il diciottenne partito da Vogorno) è morto giovane e non hanno ricordi di lui. Festeggiano il primo agosto ma sono americani fino al midollo, e amano pescare, il barbecue, Obama (alcuni sì, altri meno). Sono fieri di quelle origini lontane, del coraggio di quei giovani che hanno lasciato la terra natia per cercare di migliorare la loro vita.

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