Samarcanda – Lungo la mitica “via della seta”

Uzbekistan – La via della seta

Alessandro Magno quando conquistò Samarcanda esclamò: “Tutto quello che ho udito di Markanda è vero, tranne il fatto che è più bella di quanto immaginassi”.

Lunedì 27 ottobre, giornata di trasferimento da Bukhara alla mitica Samarcanda. Partiamo il mattino di buonora per Shakhrisabz, città natale di Tamerlano, che richiede una deviazione rispetto al percorso più diretto. Attraversiamo la lunga periferia di Bukhara, particolarmente squallida. Le case sono alte solo un piano, ma molto trascurate. Man mano che ci allontaniamo dalla città ricompare il deserto con la sua monotonia, ma anche con la sua armonia. Di tanto in tanto si incontra un’oasi: non quelle idilliache, bensì insignificanti agglomerati di case trascurate. Sul tragitto passiamo anche davanti a due impianti di vitale importanza per il paese: uno per l’estrazione dal sottosuolo di gas e l’altro di petrolio. Giunti nella città natale di Tamerlano, che il regime autoritario di Karimov sembra avere adottato come eroe nazionale, ci imbattiamo subito nel monumento dedicato al condottiero. Molte persone sono radunate attorno ad esso, diverse orchestrine suonano motivi uzbeki. È una giornata freddissima, ma le giovani spose avvolte in leggerissimi e scollati abiti bianchi non rinunciano a una foto ricordo davanti alla statua del nuovo eroe, che ha sostituito quella di Lenin.
Condottiero valoroso e intelligente, Tamerlano riuscì a costituire un impero che aveva il suo confine orientale in India, mentre verso occidente arrivava ad affacciarsi sul Mediterraneo. Si creò la fama di uomo spietato e sanguinario, perché le sue campagne consistevano essenzialmente in guerre di occupazione e di saccheggio, piuttosto che nell’organizzazione sistematica, amministrativa e politica dei territori conquistati. Nel suo paese fu però anche un grande mecenate, un protettore di artisti: Samarcanda rimane la sua opera più duratura. Eppure è probabile che Shakhrisabz, la sua città natale, prima di essere distrutta nel XVI secolo dall’emiro di Bukhara, mettesse in ombra la stessa Samarcanda. Del palazzo reale, che richiese 24 anni di lavoro e fu probabilmente il progetto più ambizioso di Tamerlano, rimangono solo alcuni frammenti del gigantesco ingresso alto 40 metri. Oggi si può soltanto immaginare ciò che doveva essere il resto dell’edificio per grandezza e splendore. Proseguiamo la nostra visita incamminandoci verso il mausoleo dove è custodito il corpo di Jehangir, figlio prediletto di Tamerlano morto a 22 anni per una caduta da cavallo e descritto dalla tradizione locale come un eroe mancato. Il monumento è decorato con dipinti della fine del XIV secolo di particolare finezza.
Riprendiamo il nostro tragitto verso Samarcanda scegliendo la strada meno diretta che aggira le montagne. Il percorso è particolarmente suggestivo. Piove e siamo verso sera, d’autunno. Le poche foglie che rimangono sugli alberi sono ingiallite. Il terreno è arido, desertico, ma abitato. Mi colpisce l’armonia di quei paesaggi collinari. Le case sono costruite in argilla e ricoperte da tetti in paglia. Gli uomini si spostano a dorso d’asino o a cavallo. Le donne portano abiti colorati e i bimbi al passaggio del nostro torpedone salutano affettuosamente. Capre e pecore sono ovunque. Quà e la qualche mucca. La luce del crepuscolo, la stagione che annuncia il freddo inverno alle porte e forse il mio stato d’animo mi danno la sensazione di assistere a un presepio vivente, tale è l’armonia dei colori e delle forme. A poco a poco cala la notte e quel paesaggio magico si spegne davanti ai miei occhi. Ma siamo ormai alle porte di Samarcanda, che ci accoglie con le sue smaglianti luci cittadine, per la verità poco affascinanti.

Samarcanda, l’incomparabile
“Samarcanda l’incomparabile”, così titola il capitolo dedicato alla “città dorata” Ella Maillart, la nota viaggiatrice ginevrina che visitò questi luoghi negli anni Trenta, in piena era staliniana. Martedì 28 ottobre dedichiamo l’intera giornata alla visita di questo gioiello dell’Islam. E se ci fosse stato un po’ più di tempo sarebbe stato meglio! Perché Samarcanda è davvero quella città mitica che immaginavo e che sognavo. I suoi monumenti, anche se ormai immersi nel tessuto di una città moderna, sono davvero degni della loro fama. Questa è stata certamente la giornata più straordinaria di tutto il viaggio. Anche Alessandro Magno, quando nel 329 a.C. la conquistò, esclamò: “Tutto quello che ho udito di Markanda è vero, tranne il fatto che è più bella di quanto immaginassi”.
Nessun nome richiama alla mente la “Via della seta” quanto quello di Samarcanda, che si trovava al crocevia delle strade che conducevano le carovane in Cina, India e Persia. Quando Gengis Khan la distrusse completamente nel 1220 avrebbe potuto essere la fine della sua storia, ma nel 1370 Tamerlano decise di fare di Samarcanda la sua capitale e nei successivi 35 anni forgiò una nuova città, che diventò “giardino dell’anima” , “specchio del mondo” e assurse a epicentro culturale ed economico dell’Asia centrale. Tamerlano (1336-1405) è infatti il personaggio attorno a cui ruota tutta la storia dell’epoca d’oro di questa città e dei suoi monumenti. Persino di quelli postumi a Tamerlano. Penso alle due madrasse del Registan, la piazza principale, costruite due secoli più tardi copiando lo stile della Samarcanda di Tamerlano.
Il nostro itinerario inizia il mattino con la visita del mausoleo Guri Amir, che ospita la tomba di Tamerlano, nonché quelle del suo nipote e del suo maestro preferiti. “Chiunque aprirà questa tomba – recava un’iscrizione – sarà sconfitto da un nemico più terribile di me”. Gli archeologi comunisti non si fecero però fermare da questa avvertenza e aprirono il sarcofago per sapere se era vero che Tamerlano, “la tigre zoppa”, era claudicante a causa di una ferita ricevuta in battaglia e per verificare se a suo nipote Ulughbek, quando fu deposto, venne mozzata la testa. Ebbene i due interrogativi ebbero conferma positiva, ma il giorno dopo la scoperta, il 22 giugno 1941, Hitler attaccò l’Unione Sovietica.
Ulughbek successe al trono dello zio e regnò fino al 1449, quando venne deposto da un complotto di fondamentalisti islamici (già allora imperversavano), che non gradivano le sue scoperte scientifiche in campo astronomico. Più famoso come astronomo che come sovrano, trasformò la città in un centro intellettuale e costruì un centro di ricerca astronomico articolato su tre piani con un immenso astrolabio per l’osservazione della posizione delle stelle. È sopravvissuta solo la parte interrata. Il resto è stato distrutto.
Ma eccoci alla visita del luogo certamente più suggestivo di questa incredibile città: Shahr-iZindah, un viale di tombe. Lastricate di maiolica all’interno e all’esterno, disposte in lungo, così da creare un percorso lungo una via, questi sepolcri ricoperti di piastrine che vanno dal blu al verde rendono questo luogo di un fascino incredibile. Tamerlano fece seppellire qui alcune delle persone a lui più care. Il posto era sacro perché ospitava già la tomba di un cugino del profeta Maometto. “La leggenda vuole che il santo – racconta Terzani (op. cit.) – venuto qui a combattere gli infedeli, fosse catturato e decapitato. Ma lui non se ne fece un cruccio. Raccattò la testa che gli avevano appena mozzata, se la mise sotto il braccio e andò a stare in fondo a un pozzo che era lì nei pressi. Il pozzo c’è ancora e la gente dice che il Re Vivente (da qui il nome del luogo) è sempre laggiù che dorme e aspetta l’occasione per uscire e riprendere la sua guerra contro gli infedeli”. Questa destinazione è meta di pellegrinaggi per i musulmani di tutto il mondo: tre viaggi qui equivalgono a uno alla Mecca.
Prima del pranzo visitiamo ancora il museo di Afrosiab. Ospita i frammenti di alcuni affreschi interessanti del VII secolo, che raffigurano scene di caccia, un corteo di ambasciatori e visite di regnanti locali.
Dopo il pranzo a base di spiedini – specialità del luogo – ci rechiamo a visitare la moschea Bibi-Khanim, fatta costruire da una moglie di Tamerlano come regalo-sorpresa durante un’assenza del marito. La moschea, molto ricostruita, è particolarmente imponente e nota per una leggenda, secondo cui l’architetto progettista s’innamorò pazzamente della regina e rifiutò di terminare il lavoro a meno che lei non gli desse un bacio. Tale gesto lasciò un segno sulla guancia della donna e quando Tamerlano lo vide fece giustiziare l’architetto, condannò la moglie a essere murata viva nel suo mausoleo e ordinò che le donne portassero il velo per non rappresentare una tentazione per gli altri uomini al di fuori del matrimonio.
Accanto alla moschea si trova il frenetico e pittoresco, ma particolarmente ordinato, mercato agricolo coperto. Poco distante il souk con la sua offerta di vestiti, scialli, cappelli, turbanti di ogni genere e ogni altra sorta di oggetti. Dulcis in fundo il Registan, la piazza principale di Samarcanda. Nel medioevo era il centro commerciale della città e l’intera piazza era probabilmente occupata dal bazar. Oggi è dominata da tre palazzi e al centro offre ampi spazi. L’edificio principale è la Madrassa di Ulughbek del XV secolo, ai lati altre due madrasse edificate due secoli più tardi riprendendo i modelli architettonici dell’era di Tamerlano.

Il ritorno alla normalità
Mercoledì 29 ottobre lascio a malincuore Samarcanda per l’ultima tappa di trasferimento in torpedone verso la moderna capitale Tashkent, una metropoli di oltre 2 milioni di abitanti, tipica città dell’ex impero sovietico. Il traffico è caotico, ma i numerosi parchi e viali alberati la ingentiliscono. Il centro è monumentale, arredato da palazzi stile regime, fontane e statue di cattivo gusto rappresentanti la madre patria e, naturalmente, l’eroe nazionale Tamerlano. Visitiamo la pulitissima e ordinatissima metropolitana, opera del regime sovietico negli anni Settanta. È monumentale, di stile simile a quella di Mosca e ogni stazione è caratterizzata da un tema legato alla propaganda politica sovietica. È l’unica testimonianza che rimane di quei tempi, oltre al regime di Karimov, che sembra incarnare tutti i difetti di un’epoca terminata solo a parole. Visitiamo alcune moschee e madrasse seicentesche, che sembrano molto ricostruite. Ma dopo Samarcanda il discorso con l’arte islamica è chiuso. Il mattino seguente all’alba parte il nostro volo per Roma e Milano.

Attorno a Carona tra arte e natura

Una passeggiata nel bosco adatta a tutti con splendidi panorami sul lago Ceresio, con un tocco di arte e di cultura. È l’itinerario che vi propongo oggi sul monte Arbostora sopra Lugano. Posteggiate a Carona, lo splendido villaggio caratte­ristico per le sue antiche viuzze con palazzi pregevoli e con la secentesca chiesa dedicata a San Giorgio, all’entrata del paese, famosa per i suoi affreschi.
Il nostro itinerario inizia con la visita del Parco bota­nico San Grato, situato dieci minuti a piedi dopo il borgo. La sua storia è legata a due industriali: Mar­tin Wintheralter, ex proprietario della fabbrica di cer­niere lampo Riri di Mendrisio, e Luigi Giussani, am­ministratore delle acciaierie Monteforno. Il primo ne fece una propria residenza, il secondo aprì il risto­rante, creò il parco e costruì la piscina (oggi comu­nale). La proprietà passò poi all’Ubs che la donò nel 1997 a Lugano Turismo. Il parco è famoso soprattut­to per la sua collezione di azalee e rododendri che fioriscono in maggio, ma offre anche una straordina­ria varietà di conifere. Una serie di itinerari tematici vi permetteranno di scoprire gli angoli più suggestivi. Seguite quello panoramico, dal quale parte il comodo sentiero verso l’Alpe Vicania. La vista è davvero spet­tacolare: va dal San Salvatore al Camoghé, dal Mon­te Boglia al Sighignola, dal Monte Generoso ai vil­laggi rivieraschi. Un percorso ombreggiato ampio e pianeggiante vi porterà in poco più di un’ora all’Alpe Vicania, che si apre davanti a voi all’improvviso con i suoi ridenti prati. È di proprietà di un’interessante azienda agricola, così come lo splendido castello vi­sconteo sottostante. Il maniero quattrocentesco è cir­condato da un vigneto storico che trova le sue radici nel Medioevo. L’azienda agricola Vicania, che può contare su 172 ettari di natura incontaminata, coltiva la vigna e l’ulivo, pratica la frutticoltura e l’apicoltu­ra e alleva asini e cavalli. Offre la possibilità di effet­tuare escursioni equestri, con pony per i più piccoli. Propone la vendita dei propri prodotti, ma è nota so­prattutto per il suo ristorante di elevata gastronomia. In un ambiente di charme lo chef Andrea Muggiano cucina piatti ispirati alla tradizione mediterranea con prodotti dell’azienda e della regione. Su prenotazione uno degli enologi più interessanti del Ticino, Michele Conceprio, propone degustazioni di vini.
Dopo una stimolante sosta in questo luogo delizioso in tutti i sensi, il nostro itinerario prosegue ritornan­do a Carona percorrendo l’altro versante del Monte Arbostora. Il sentiero nel bosco, anche sulla via del ritorno, è ampio e ombreggiato e propone due appun­tamenti artistici di grande interesse: il santuario del­la Madonna d’Ongero e l’ex monastero di Torello con la suggestiva chiesa romanica di Santa Maria Assun­ta.
Il secentesco santuario di Madonna d’Ongero, che si raggiunge in circa 45 minuti di cammino dall’Alpe Vicania, è considerato un piccolo capolavoro dell’ar­te barocca in Ticino, con le notevoli decorazioni a stucco di Alessandro Casella e con gli affreschi sette­centeschi del grande artista ticinese Giuseppe Anto­nio Petrini contenuti nella navata.
Dalla Via Crucis che introduce al santuario scende un sentiero che in una ventina di minuti porta all’ex monastero di Torello. Venne consacrato all’inizio del Duecento da monaci agostiniani. Il monastero esten­deva i suoi diritti su numerose terre vicine: a Grancia aveva il deposito del grano e possedeva terreni a Ca­rabbia, Pazzallo, Figino e Bioggio. Nel corso dei se­coli venne poi trasformato in masseria. Sopravvissuto fino ai giorni nostri in un panoramico spazio verde che ricorda la Toscana, questo monumento conserva un fascino incredibile. Tornate a Madonna d’Ongero e da lì a Carona. Se siete accaldati potete fermarvi per un tuffo rinfrescante nella bella piscina comuna­le, immersa nel verde.

L’incanto alpino dei tre laghetti

Passo buona parte delle mie giornate in ufficio, davanti al computer, al telefo­no o in riunione, perciò il mio tempo libero lo voglio trascorrere all’aria aperta. D’inverno, sulle piste di sci, e non mi pesa­no nemmeno le levatacce o i chilometri da macinare per giungere nelle località più lontane; d’estate vado sul lago, che mi atti­ra come una calamita, oppure in montagna o nelle valli a camminare.
La mia montagna non è né ardita né speri­colata, ma non per questo meno avvincente. Quest’anno i paesaggi più affascinanti li ho incontrati nella regione dove si produce il mio formaggio preferito, il Piora, in Alta Leventina.
Questi alpeggi si raggiungono facilmente: c’è la funicolare a cremagliera del Ritom, che porta a quota 1800 metri. Parte da Piot­ta, è la più ripida d’Europa e ha una pen­denza massima che arriva fino all’87%. Al­la stazione di arrivo s’imbocca la strada che porta in breve tempo alla diga. Se inve­ce si vuole arrivarci con l’auto, o con la bi­cicletta, una strada stretta ma ben percorri­bile sale da Altanca (per chi arriva dall’au­tostrada l’uscita è quella di Quinto). Ai pie­di della diga c’è un parcheggio a pagamen­to.
Il paesaggio alpino della val Piora, lunga circa otto chilometri, è idilliaco, con pasco­li verdi e una miriade di laghetti, particola­mente frequentati durante la stagione della pesca. Molto interessanti anche la flora e la fauna e, con un po’ di fortuna, si rischia di incontrare camosci, caprioli, marmotte e magari un’aquila. Tra i fiori, stupende le orchidee selvatiche. Gli spazi sono vasti, c’è un grande silenzio. Noi abbiamo fatto il percorso attorno ai tre laghi Ritom, Cada­gno e Tom, partendo proprio dalla diga e costeggiando a sinistra il Ritom fino alla de­viazione segnalata per il lago Tom. Si sale per una trentina di minuti e si arriva in una conca veramente incantevole, dove si trova­no il laghetto e la cascina dell’alpeggio. I colori vivissimi, l’aria tersa, un incanto! La pensano come noi parecchi pescatori che placidamente aspettano le loro prede, e an­che qualche famigliola che ha scelto questo luogo per il pic nic domenicale. Continuia­mo il nostro percorso lungo le rive del lago e, sul versante opposto, saliamo fino al cri­nale. Sotto di noi il terzo lago, il Cadagno, che raggiungiamo di buon passo scendendo verso il piccolo nucleo. Più tardi, documen­tandomi su questo laghetto, scopro che ha una particolarità curiosa e rara: è compo­sto in pratica di due laghi sovrapposti che non entrano in contatto tra loro grazie alla presenza di colonie di batteri: una delle ra­gioni che spiega la presenza di un Centro di Biologia Alpina a queste latitudini.
Eccoci all’alpe Piora, dove visitiamo il ca­seificio che produce l’ottimo formaggio omonimo. Purtroppo per noi non c’è vendi­ta diretta di quella delizia. Ci consoliamo acquistando burro e ricotta. Tutti ottimi pro­dotti: sfido, non ho mai visto mucche in un posto tanto bello. Per forza il loro latte dev’essere eccellente! Proseguiamo fino al­la capanna Sat Cadagno, dove ci gustiamo la polenta col Piora e la ricotta. Il ritorno, con passo un po’ rallentato, lo facciamo sul versante opposto, passando nella magnifica pineta.

Sardegna – Dalle dolci colline al mare dei miti e della storia

Sardegna – Dietro le quinte di un’isola da cartolina

Un viaggio lungo una terra che sa essere aspra e dolce. La scoperta di un’isola alla moda, ma che ha conservato un fascino antico.

Natura, arte, storia e gastronomiasono gli ingredienti di questo itinerario lungo la costa occidentale della Sardegna, quella che si affaccia sulla Spagna. Il percorso si snoda in parte lungo la strada litoranea, per scoprire paesaggi marini incontaminati, e in parte penetra nell’affascinanteentroterra sardo alla ricerca dell’arte e della storia di quest’isola chiusa su se stessa. L’itinerario tocca le tappe principali della storia sarda: dalle straordinarie testimonianze preistoriche della civiltà nuragica alle rovine delle città cartaginesi e romane, per risalire alle tracce romaniche del cosiddetto periodo ‘giudicale’ e a quelle più recenti della lunga dominazione spagnola durata quattro secoli.
Le bellezze naturali non si limitano al mare, ma riguardano anche le armoniose campagne, che a tratti ricordano la Toscana.
La nostra proposta si articola su cinque giorni. Sarebbe più agevole dedicando un paio di giorni in più. Permetterebbe qualche sosta al mare per immergersi nelle acque trasparenti della costa. La stagione consigliata non è l’estate, ma la tarda primavera o il primo autunno. Le compagnie che noleggiano automobili concedono, con un piccolo sovrapprezzo, di ritirare il veicolo all’aeroporto di Cagliari e di riconsegnarlo ad Olbia. Questo permette di dimezzare il percorso.
Un mare incontaminato

Un mare incontaminato
Quando si parla di Sardegna si pensa al mare, all’acqua limpida, a fondali turchesi da sogno. Anche se l’isola non è solo questo, come vedremo col nostro itinerario, iniziamo dalle sue coste occidentali, certamente meno compromesse dal turismo rispetto a talune orientali.
L’itinerario ci porta dapprima a scoprire la Costa del Sud, nel punto più settentrionale dell’isola. Il tratto più suggestivo si estende per una ventina di chilometri da Capo Spartivento, poco dopo il villaggio di Bithia, fino alla baia del porto di Teulada. La costa appare frastagliata con scogli affioranti e in lontananza la granitica isola Rossa. Il percorso, scandito da una serie di torri di avvistamento in collegamento visivo tra loro, offre panorami spettacolari e si qualifica per avere mantenuto quasi integri i caratteri dell’ambiente naturale. Durante il nostro viaggio, all’inizio di maggio, le colline offrivano una tavolozza di colori indimenticabile: dal verde più tenero al più cupo, al giallo e viola dei fiori, alle foglie rosse di un arbusto molto diffuso.
La strada lascia la costa in direzione di Teulada lungo la valle del Rio degli oleandri. Il nostro itinerario si addentra a questo punto nell’entroterra e riprende la costa una sessantina di chilometri più avanti, quando da Gonnesa si lascia la statale 126 in direzione di Nebida, Masua e Buggerru lungo una strada che consente spettacolari scorci panoramici per i contrasti cromatici e l’andamento frastagliatissimo della costa. La zona, suggestiva per le sue rocce calcaree bianche, rossastre e violacee, è ricca di giacimenti metalliferi. Ancora oggi si estraggono zinco e piombo. Particolarmente spettacolare lo scoglio di candido calcare che fronteggia le case di Masua.
Ritorniamo sulla statale 126, per abbandonarla di nuovo in direzione del mare non molti chilometri più avanti verso Piscinas, la località famosa per le sue splendide dune di sabbia. Per un raggio di circa 3 chilometri quadrati alle montagne dorate, alte fino a 50 metri, ancora in movimento, si alternano quelle ormai consolidate dove sbucano dalla sabbia ginepri e fiori di ogni genere e colore. Una passeggiata in questi luoghi vi darà la sensazione di essere in un deserto in riva al mare. La spiaggia, assolutamente non deturpata, offre un delizioso e romantico alberghetto, dove si mangia pure molto bene, che non poteva non chiamarsi Albergo delle Dune.
La costa occidentale sarda offre un’altra strada panoramica di eccezionale interesse: quella che da Bosa porta ad Alghero. Scavata tra formazioni rocciose vi dà l’impressione di trovarvi in un sito ben più alto, anche perché i venti dominanti di ponente e maestrale vengono su fragranti e salmastri dal mare aperto. Man mano che vi avvicinate ad Alghero si impone alla vostra attenzione la possente sagoma del Capo Caccia, dove visiteremo le Grotte di Nettuno. Questi panorami mozzafiato costituiscono uno degli spettacoli naturali più belli dell’isola.
Il centro storico di Alghero è tanto piccolo quanto grazioso e piacevole da percorrere a piedi. È racchiuso in una corta penisola che si affaccia sul mare con i suoi bastioni e le torri che ricordano la dominazione spagnola. Sarebbe però più corretto parlare di catalanità di questa cittadina, da molti denominata “la piccola Barcellona”, dove ancora oggi gli abitanti parlano un dialetto arcaico del catalano.

Entroterra da scoprire
Anche se parliamo di entroterra, rimaniamo in tema di mare e iniziamo dalle Grotte di Nettuno. Si possono raggiungere in battello da Alghero (una gita di circa tre ore) o da un molo che si trova sulla strada litoranea un paio di chilometri prima del parcheggio per le grotte, che si possono raggiungere anche a piedi scendendo 656 gradini. Considerate fra le più suggestive del Mediterraneo, le arditissime costruzioni prodotte dalla natura attraverso un sapiente gioco di stalattiti e stalammiti non mancheranno di emozionarvi. Il nostro itinerario vi porterà a scoprire un altro spettacolo naturale certamente poco noto: quello delle cosiddette “Giare”, che si trovano nell’entroterra sardo tra Cagliari e Oristano. Che cosa sono? “Sono comunemente chiamate Giare – spiega l’autorevole guida rossa del Touring italiano – gli squadrati altopiani basaltici, dal profilo perfettamente orizzontale e coi fianchi scarpati, prodotti da esiti di manifestazioni vulcaniche durante l’Oligocene”. Si tratta di una sorta di immenso terrazzo che domina il territorio circostante, offrendo suggestivi panorami sulla ridente pianura sottostante. I villaggi, sin dalla preistoria, sono situati ai piedi delle Giare (particolarmente grazioso Tuili). Non mancate di visitare la Giara di Gesturi, la più vasta e paesisticamente rilevante. Ha una superficie superiore per lo più pianeggiante di 12 chilomentri di lunghezza e 4 di larghezza. Al culmine si divide in numerosi sentieri che si possono percorrere a piedi. Propone una “tipica vegetazione spontanea a macchia mediterranea, alternata da piccole sughere e praterie erbose punteggiate di numerosi ristagni, dove vivono allo stato brado alcune centinaia di esemplari di cavalli di taglia ridotta, esclusivi della Giara”.
Tra Carbonia e Guspini il nostro itinerario si qualifica per il carattere spiccatamente minerario che connota tutti gli aspetti (paesistici, ambientali e urbanistici) del territorio e permette di cogliere, in chiave di archeologia industriale, i segni dell’attività estrattiva metallifera (nella regione attorno a Iglesias) e carbonifera (nel Sulcis, cioè a sud di Iglesias), in passato vivacissima e oggi abbandonata in quasi tutti i distretti. Carbonia, pianificata negli anni Trenta dal fascismo per garantire manodopera alle miniere di carbone, si è oggi trasformata in una vivace e moderna città terziaria. Una trentina di chilometri più a nord, Ingurtosu (poco prima di Piscinas) rappresenta invece uno degli esempi di insediamento minerario (piombo e zinco) ottocentesco più significativi dell’isola. Previsto per oltre mille addetti, il complesso colpisce oggi per il suo stato di avanzato degrado. Di quei prestigiosi stabilimenti, qui come altrove nella regione, rimangono solo imponenti rovine, che verso il tramonto assumono un aspetto quasi minaccioso.

Dalla preistoria al Romanico
Sono due i periodi della storia sarda – osserva la guida verde del Touring – che hanno prodotto le architetture più orginali dell’isola: da una parte la lunga età nuragica, che ha disseminato delle sue 7 mila torri il paesaggio sardo, dall’altra il periodo ‘giudicale’, che ha visto sorgere nell’isola le grandi chiese romaniche”.
Se l’architettura romanica, con le sue caratteristiche chiese, è a tutti nota, non così si può affermare per quella nuragica, tipica della Sardegna. Soffermiamoci quindi brevemente su questa civiltà, prima di visitarne alcune delle opere più significative. Si sviluppò su un lungo periodo: dal 1800 alla fine del VI secolo a.C. e sopravvisse in certe zone interne fino alla conquista romana e oltre. La popolazione, dedita alla pastorizia e all’agricoltura, era calcolabile in 200, 250 mila abitanti distribuiti capillarmente sul territorio in piccoli villaggi. Nel corso del tempo i nuraghi diventarono veri e propri castelli attorno ai quali venivano costruite abitazioni e spazi pubblici, difesi a distanza da una cinta muraria. Dagli oggetti rinvenuti gli archeologi hanno potuto stabilire che si trattava di una società con un forte senso religioso, con ceti egemoni e classi subalterne. Dalle navicelle in bronzo rinvenute si può dedurre che i Sardi navigavano su proprie flottiglie.
Il nostro itinerario prevede la visita di due nuraghi (Su Nuraxi di Barumini e Losa) considerati “l’espressione più alta della tecnica costruttiva raggiunta nell’isola prima della fase punico-romana”. A differenza della maggior parte dei monumenti preistorici presenti in tutto il mondo questi nuraghi vi colpiranno per l’eccezionale grado di conservazione, che vi permetterà di entrare in locali giunti a noi, a distanza di quasi quattromila anni, ancora integri. E non si tratta di costruzioni semplici, ma estremamente complesse: nel villaggio nuragico Su Nuraxi addirittura a più piani sovrapposti. È davvero emozionante penetrare in quelle rovine e scoprire come vivevano e si difendevano gli uomini a quell’epoca.
Di eccezionale interesse, per lo straordinario stato di conservazione delle tombe, è un altro sito archeologico che si trova sul nostro percorso: il Monte Sirai, vicino a Carbonia. Si tratta di una colonia fenicia, fortemente integrata alla comunità nuragica preesistente, che fu fondata attorno al 750 a.C. e distrutta poco più di 200 anni dopo dai Cartaginesi.
Interessante anche la visita al Tempio di Antas, costruito dai Cartaginesi nel 500 a.C. in zona di un insediamento nuragico. Il tempio, situato in un’idilliaca e verdissima vallata a una ventina di chilometri da Iglesias, è stato ampiamente ricostruito nel corso di un discutibile restauro avvenuto negli anni Sessanta.
A Nora, punto di partenza del nostro itinerario e anticamente uno dei più importanti scali fenici dell’isola, potrete invece visitare le rovine di una fiorente città romana con un teatro ben conservato, le abitazioni, le terme e i templi. La sua ubicazione su una incantevole lingua di terra espansa sul mare consentiva l’attracco alle navi in tutte le condizioni di ventosità.
Nella parte terminale del nostro itinerario, a nordovest dell’isola, sorgono, a pochi chilometri di distanza una dall’altra, quattro chiesette fra gli esemplari più belli del romanico isolano. Alte sullo spazio circostante, immerse nel silenzio di ambienti ormai spopolati, colpiscono il visitatore per la loro armonia e semplicità esteriori e per la severità degli interni. Si tratta della basilica di SS. Trinità di Saccargia, di S. Michele di Salvenero, di S. Maria del Regno ad Ardara e di S. Antioco di Bisarcio.
Molto più a sud, nella prima tappa dell’itinerario, all’ingresso del villaggio di Tratalias sorge la chiesa di S. Maria, armoniosa ma imponente basilica romanica, che merita anch’essa di essere visitata.

L’itinerario

1° giorno – 45 km
Cagliari – Pula – Santa Margherita

2° giorno – 220 km
Santa Margherita – Nora – Bithia – Tratalias (chiesa di S. Maria) – Carbonia – Monte Sirai – Nebida – Masua – Buggerru – Tempio di Antas – Ingurtosu – Piscinas

3° giorno – 290 km
Piscinas – Guspini – Sanluri – Su Nuraxi (nuraghe) – Tuili – Gesturi (Giara) – Losa (nuraghe) – Macomer – Bosa – Alghero

4° giorno – 70 km
Alghero – Porto Conte – Grotta di Nettuno

5° giorno – 130 km
Alghero – Olbia (lungo il tragitto visita alle chiese romaniche di SS. Trinità di Saccargia, S. Michele di Salvenero, S. Maria del Regno ad Ardara e S. Antioco di Bisarcio)

Guide

Italia, La Guida Verde, Michelin, Edizioni per viaggiare, Milano 2002 (pagg. 454-467)
Italia 2008, Alberghi e ristoranti, Michelin
Sardegna, Guida d’Italia (guida rossa), Touring Club Italiano, Milano 2005
Sardegna, Guida d’Italia (guida verde), Touring Club Italiano, Milano 2004
Italie du sud, Les guides bleus, Hachette, Paris 1977
Sardegna, Meridiani, anno XVIII, numero 140, luglio 2005
La storia di Sardegna, Carlo Delfino Editore, Sassari 2000
Paolo Melis, Civiltà nuragica, Carlo Delfino Editore, Sassari 2003

Sardegna – Dietro le quinte di un’isola da cartolina

Sardegna – Dalle dolci colline al mare dei miti e della storia

La costa orientale sarda, quella più mondana, si affaccia sul Tirreno. Oltre al mare cristallino e alle calette da sogno, vale la pena, però, scoprire l’entroterra ancora selvaggio e altrettanto affascinante.

Oggi, quando si sente parlare di Sar­degna, per associazione di idee si pensa immediatamente al mare. È normale: è un’isola e ha splendide spiagge! Eppure storicamente esiste un’altra Sardegna, sviluppatasi all’interno delle coste, che può essere considerata la vera Sardegna. L’itinerario in automobile che vi proponiamo si sviluppa da Cagliari a Olbia lungo la strada statale 125, denominata “Orien­tale Sarda”, costruita sul tracciato di una delle quattro arterie d’epoca romana. Per conoscere la Sardegna più discosta e tradizionale, quella mon­tagnosa, vi suggeriamo due deviazioni sui Monti del Gennargentu e del Supramonte, tristemente famoso per i sequestri di persona.
Il tragitto proposto presenta motivi di interesse sia naturalistici che sociali: un ambiente sociale ancora cristallizzato, in cui sono riconoscibili comportamenti sedimentati da secoli e un am­biente naturale, che nella varietà degli aspetti co­stitutivi, rimanda alle due componenti più sugge­stive e intime dell’isola, ossia i monti solitari e lecoste di straordinaria varietà e bellezza.

Il mare
Il nostro itinerario lungo l’Orientale Sarda corre pre­valentemente all’interno. Per decine di chilometri capita di non incontrare un centro abitato. La strada si affaccia al mare solo in corrispondenza dello sboc­co di vallate alluvionali o allorché si eleva oltre il cordone montuoso litoraneo. Frequenti deviazioni collegano però con le località balneari.
Lungo il percorso vi proponiamo alcune deviazioni sulla costa, oltre naturalmente alla visita della Costa Smeralda e dell’arcipelago della Maddalena. La pri­ma riguarda il golfo di Arbatax. Sul promontorio granitico di capo Bellavista affiorano filoni di porfi­do che, spingendosi in mare, emergono coi caratteri­stici spuntoni noti come le “rocce rosse di Arbatax”. Molto grazioso anche il villaggio di Santa Maria Na­varrese, che si affaccia sul golfo con la sua graziosa chiesina e la torre spagnola, da cui si gode una splen­dida vista.
Giunti a Dorgali vi proponiamo una deviazione di 10 chilometri per scendere al mare, seguendo un tragitto spettacolare, in direzione di Cala Gonone. Splendida la strada lungo la costa che porta a Cala Luna.
Un’ottantina di chilometri più a nord vale la pena di deviare verso San Teodoro, borgata di antica origine, per poi raggiungere l’incantevole Capo Coda Caval­lo, da cui potrete godere di una splendida vista sulla costa e sulle isole verso nord.
La Costa Smeralda con le sue prestigiose località di Porto Cervo e Porto Rotondo non esige certo presen­tazioni. Se amate lo shopping, a Porto Cervo lascere­te l’anima, oltre che il portafogli.
Il luogo di mare forse più incantevole della Sardegna è però l’arcipelago della Maddalena con le sue sette isole. In automobile potrete visitare in parte Caprera e molto bene la Maddalena con le sue straordinarie strade panoramiche. Su tutta l’isola, ma in particola­re a Tegge in riva al mare, potrete ammirare straordi­narie opere d’arte scolpite nel corso dei secoli dalla natura attraverso il vento e le onde del mare. Secon­do il geografo francese Jules Sion, incantato dal­l’asprezza e dalla solitudine del paesaggio, ricordano le incisioni dantesche di Gustave Doré. Poco più avanti, una strada sterrata scende al mare verso Cala Madonnetta. Giunti al termine potrete salire a piedi verso una graziosa cappella costruita a forma di nave da cui si domina il golfo. Quando lascerete l’isola e in 20 minuti di traghetto tornerete a Palau, non man­cate di visitare il Capo d’Orso e di salire a piedi sulle splendide rocce scolpite dal vento.

L’altra Sardegna
Il carattere più rimarchevole del nostro itinerario lungo l’Orientale Sarda è costituito dalla bellezza dei paesaggi montani, che si succedono a partire dal trat­to iniziale. Proponiamo due deviazioni. La prima lungo la valle del Rio Pardu per ammirare le singolari formazioni rocciose localmente note come “tac­chi”, la seconda nel Supramonte, inoltrandovi da Dorgali verso il centro dell’isola, dopo aver attraver­sato suggestive montagne dolomitiche dalla connota­zione di tipo alpino, nonostante l’altezza non cospi­cua. Incontrerete territori incontaminati, paesaggi af­fascinanti, dove l’unico brusio sarà quello del vento. È questa un’altra Sardegna: delle montagne e della pastorizia, delle greggi e delle transumanze, chiusa in se stessa nelle sue impenetrabili regioni, che con­serva con orgoglio anche i suoi antichi tratti guerrie­ri. Una Sardegna che si oppose agli invasori di tutte le epoche, in parte con successo, e che si contrappo­ne a quella delle coste e delle pianure, dei campi col­tivati e delle città, aperta invece agli influssi dei con­quistatori stranieri. Un mondo a sé, caratterizzato dalle difficoltà di accesso e dalle dure condizioni di vita. In queste valli ripide e scoscese si è sviluppata quella comunità umana che in millenni ha costruito la Sardegna pastorale, con le sue pecore, le sue tran­sumanze, la sua fame di pascoli. La pastorizia, assie­me alla cerealicoltura è stata sempre la fonte princi­pale di ricchezza dell’economia sarda. Già nel 1611 Martin Carillo contava circa un milione di pecore. Ma la vita contadina era molto dura secondo il profi­lo tracciato da un pastore di Sarule: “che se nevica è contro di lui, se c’è la siccità che ne piange è lui, se i prezzi scendono lui ci rimette il latte e tutto, se sal­gono contro di lui, se ci sono i carabinieri è contro di lui, perché è pastore e il pastore è sempre solo, solu che se fera, solo come una fiera, e per lui non c’è ca­sa, non c’è paese, non c’è figlio, non c’è festa”.
Se già la Sardegna fu considerata “l’isola dimenticata”, vissuta in condizioni di singolare isolamento, poco considerata dai suoi conquistatori, “un’ecce­zione tra le isole mediterranee, perché ferma e chiu­sa in se stessa”, un “museo naturale di etnografia”, le regioni montagnose del centro est possono conside­rarsi un’isola nell’isola.
Nel cuore di questa Sardegna, in uno dei luoghi più magici toccati dal nostro itinerario, nella fresca cam­pagna del Supramonte, avvolta nel silenzio rilassante e antico delle coltivazioni di vigneti e olivi, dove l’aria profuma delle essenze di mirto e rosmarino, incontrate una delle leggende dell’ospitalità sarda: Su Gologone. Mentre Aga Khan concepiva il suo progetto turistico sulla Costa Smeralda, Peppeddu Palimodde e sua moglie, indebitandosi fino al collo, realizzarono un sogno quasi impossibile: aprire un ristorante con cucina tradizionale e in seguito un al­bergo di lusso in una regione allora dimenticata da tutti, in preda alla miseria e tristemente famosa per i suoi briganti. “Ci dicevano che eravamo matti – rac­conta la signora – perché la gente non sarebbe mai andata al ristorante per mangiare la cucina casalin­ga”. Oggi il ristorante Su Gologone è considerato un tempio della cucina sarda e il raffinato albergo un’oasi per chi ama la natura.

Le tombe dei giganti
Per le sue vicende storiche la Sardegna non offre un patrimonio artistico di particolare interesse, salvo le testimonianze del periodo nuragico, quando l’isola ­come fa notare lo storico Paolo Melis – “ebbe uno sviluppo originale e grandioso, quale non è dato ri­scontrare nelle altre aree mediterranee”.
La civiltà nuragica, come abbiamo nella prima parte, si sviluppò in Sardegna su un lungo periodo che va dal 1800 a. C. alla fine del VI secolo a. C. La popolazione, che si pensa superasse i 200 mila abi­tanti, era dedita soprattutto alla pastorizia e all’agri­coltura ed era distribuita capillarmente sul territorio in piccoli villaggi: i nuraghi appunto, in cui le abita­zioni venivano costruite attorno alla torre centrale (una sorta di castello), difesa a distanza da una cinta muraria.
Il nostro percorso lungo l’Orientale Sarda prevede la visita del villaggio nuragico di Serra Orios, a una de­cina di chilometri da Oliena, formato da oltre 70 co­struzioni per la maggior parte di tipo circolare. L’iti­nerario prevede però anche la visita di tre luoghi fu­nerari, definiti popolarmente “le tombe dei giganti” per le loro notevoli dimensioni. Si tratta di sepolcri collettivi della civiltà nuragica, che solitamente sor­gevano nei pressi di un villaggio. Al centro campeg­gia un’alta stele formata da un’unica lastra con un portale che rappresenta l’ingresso alla vita ultraterre­na. Ai lati della stele si trova una serie di lastroni in­fissi nel terreno, che delimitano uno spazio circolare ad esedra e che hanno un andamento digradante. Quest’area era riservata al culto e alle offerte per i de­funti. La stele è unita mediante un piccolo corridoio al corpo della tomba, che ha grandi dimensioni per la sepoltura comune dei membri del villaggio.
Sul nostro percorso incontriamo le tombe dei giganti Sa Ena ‘e Thomes, a pochi chilometri dal villaggio nuragico di Serra Orios, quella di Lu Coddhu ‘Ecchju a pochi chilometri da Arzachena e quella di Li Lol­ghi, a pochi chilometri dalla precedente.

L’itinerario

1° giorno
Milano – Cagliari

2° giorno – 282 km
Cagliari – Muravena – Jerzu – Arbatax – Cala Gonone – Oliena – Su Gologone

3° giorno – 189 km
Su Gologone – Serra Orios – Sa Ena’e Thomes – Lula – Siniscola – Sta Lucia – Posada – S. Teodoro – Pto S. Paolo – Olbia – Arzachena – Capo Orso – Palau – La Maddalena

4° giorno – 70 km
La Maddalena – Caprera – Palau – Golfo Arzachena – Porto Cervo

5° giorno – 65 km
Porto Cervo – Porto Rotondo – Golfo Aranci – Aeroporto

Guide

Italia, La Guida Verde, Michelin, Edizioni per viaggiare, Milano 2002 (pagg. 454-467)
Italia 2008, Alberghi e ristoranti, Michelin
Sardegna, Guida d’Italia (guida rossa), Touring Club Italiano, Milano 2005
Sardegna, Guida d’Italia (guida verde), Touring Club Italiano, Milano 2004
Italie du sud, Les guides bleus, Hachette, Paris 1977
Sardegna, Meridiani, anno XVIII, numero 140, luglio 2005
La storia di Sardegna, Carlo Delfino Editore, Sassari 2000
Paolo Melis, Civiltà nuragica, Carlo Delfino Editore, Sassari 2003
Serra Orrios e i monumenti archeologici di Dorgali, Sardegna archeologica, Carlo Delfino Editore, Sassari 2005

Lungo il cammino delle spose

L’itinerario che vi propongo oggi, percorso in aprile con una visita guidata promossa dal­l’associazione del locale museo, ci porta in Val Verzasca. Parte da Sonogno, dove proprio nel museo etnografico potete scoprire le radici di que­sta valle povera, che nei secoli scorsi costringeva molti giovanetti a lasciare la famiglia nel periodo invernale per guadagnarsi la pagnotta come spaz­zacamini.
Il personaggio più noto di Sonogno è certamente Cherubino Patà (1827-1899), il pittore che in giova­ne età emigrò in Francia e lavorò per quel grande maestro, riconosciuto dalla storia dell’arte univer­sale, che fu Gustave Courbet. Dei rapporti tra i due artisti si raccontano molte storie: chi ritiene che Pa­tà dipingesse opere poi firmate da Courbet e chi in­vece considera delle “patasserie” le opere meno riuscite attribuite al grande maestro. La chiesa par­rocchiale di Sonogno, appena restaurata, è affresca­ta da opere giovanili del Patà. A ventun anni, espul­so dalla Lombardia, il pittore tornò al suo paese na­tivo e dipinse una Natività, un’Annunciazione e al­cune figure di santi.
Prima di avviarci verso il fondovalle in direzione della val Redorta, ci soffermiamo ancora davanti a un affresco attribuito al pittore Rotanzi, dipinto sul­la facciata di una casa che appartiene a lontani an­tenati del Patà. Il dipinto, della fine del Settecento, è particolarmente curioso, perché palesemente ispira­to dal Giudizio universale, capolavoro realizzato da Michelangelo nella Cappella Sistina a Roma.
L’itinerario prosegue lungo il lato destro del fiume. Si attraversa uno splendido lariceto, considerato ­come ci spiega il professor Carlo Branca – uno degli alberi più nobili della flora alpina. D’inverno, a dif­ferenza per esempio dell’abete rosso molto presente in valle, perde gli aghi. Questo permette alla neve polverosa di cadere invece di fermarsi sui rami. Non trattenendo la neve i larici non si rovesciano e rag­giungono altezze molto elevate, con tronchi diritti. D’estate inoltre nei lariceti cresce l’erba e questo permette il pascolo.
Risalendo il fiume si giunge alla cascata della Froda. È piacevole ascoltare il frastuono dell’acqua che pre­cipita da un’altezza particolarmente elevata in un ro­mantico laghetto. Poco più avanti nei prati, prima di attraversare il ponticello che porta sulla strada asfal­tata, potete osservare una rarità botanica: il licopo­dio. Si tratta di una piantina che ha origini lontanis­sime: 300 milioni di anni fa erano alberi altissimi, che oggi sono regrediti fino a confondersi nell’erba.
Al termine della strada asfaltata, prima di imbocca­re il sentiero per Püscen Negro, si sale sulla destra per raggiungere in cinque minuti la località Scim i Mott. Su un muretto accanto alle case, Franco Bin­da, grande esperto in materia, ci mostra un masso cuppellare. Si tratta di sassi misteriosi, dove sono stati scavati canaletti e spazi tondi. Sono presenti su molte delle nostre montagne, ma non si sa a cosa servissero. Si sono fatte molte congetture, ma nessu­na è provata scientificamente.
Torniamo sui nostri passi e saliamo verso il monte Püscen Negro. Un cammino famoso perché si rac­conta che anticamente veniva percorso dalle ragaz­ze della Valmaggia che andavano in sposa ai sono­gnesi (e viceversa). In tre quarti d’ora circa si rag­giunge la meta. Interessante notare la trasposizione del nome direttamente dal latino al dialetto: da Pi­cea, che significa abete, deriva Püscen. Negro sta invece per il colore austero della pianta. Questo monte costituiva una tappa di transizione verso il più lontano alpe Redorta, che si raggiungeva in pie­na estate. Al ritorno si percorre lo stesso cammino. È consigliato fermarsi, prima di giungere a Sono­gno, al grotto Efra, dove si possono gustare ottime specialità locali.

Adriano, imperatore e grande viaggiatore

Vi propongo un itinerario sulle orme di uno dei primi viaggiatori della storia: l’impe­ratore Adriano. Un personaggio noto per il suo programma di pace e di benessere, che in­tendeva assicurare a tutto l’impero. Basò la sua politica sulla conoscenza dei popoli: per questo fu un grande viaggiatore. Non tanto, quindi, per il gusto di viaggiare, ma perché rinunciando al lin­guaggio delle armi doveva far sentire quanto più possibile i benefici del suo governo e della sua amministrazione. Per raggiungere questi scopi tro­vò indispensabile visitare e rivisitare le province e i confini, studiandone i bisogni e apportandovi ogni possibile vantaggio. Di questi suoi viaggi, che duravano anni perché l’impero era vastissimo, ci rimane oggi una singolare testimonianza nella Villa Adriana, a pochi chilometri da Roma, dove l’imperatore intendeva trascorrere “come fanno i fortunati doviziosi” gli ultimi anni della sua vita in una “sfarzosa tranquillità”.
La costruzione iniziò nel 126 quando Adriano era reduce dal suo primo viaggio nelle province orien­tali. Nella “Historia Augusta” (Vita Hadriani, 26) l’autore spiega che “per serbare memoria dei luo­ghi e degli edifici che più avevano colpito la sua fantasia d’artista nel corso dei suoi viaggi, l’impe­ratore aveva pensato di far riprodurre nella nuova villa edifici e luoghi celebri di Atene, il canale di Canopo, antico porto del delta del Nilo, la valle di Tempe in Tessaglia e perfino gli Inferi, quali li avevano descritti la fantasia dei poeti”.
Villa Adriana è considerata “il più grandioso complesso monumentale dell’antichità”. Si parla di “complesso” perché comprende i ruderi, che si estendono su un perimetro di circa 5 chilometri, di un palazzo imperiale con terme, biblioteche, teatri ed ampi giardini. Siamo quindi ben lontani dal concetto moderno di villa!
Di molti ruderi oggi non si conosce l’origine, ma il Pecile ispirato ad Atene e il Canopo in ricordo dell’omonima città in Egitto costituiscono due tra i momenti più suggestivi del percorso di visita, as­sieme alle terme e al vero e proprio palazzo impe­riale. Dovrete però ricorrere anche all’immagina­zione per raffigurarvi la grandiosità di quei luo­ghi. Particolarmente toccante il cosiddetto “Tea­tro marittimo”, una sorta di isolotto artificiale cir­condato da un canale. L’accesso era assicurato da ponticelli mobili. Adriano si ritirava qui alla ricer­ca della solitudine e della meditazione. Era un uo­mo di raffinata cultura. I suoi biografi raccontano che era profondamente versato in letteratura e in filosofia, dipingeva e scolpiva, suonava e cantava, scriveva versi latini e greci, amava con particolare trasporto l’architettura. Si interessava persino di geometria e di medicina. Aurelio Vittore ci ricorda però che era eccelso non solo nelle virtù, ma an­che nei vizi.
A pochi chilometri da Villa Adriana, nella regione dei Castelli romani, tanto decantati da Goethe e da Stendhal, si trova un’altra perla dell’architettu­ra italica, nata 1400 anni dopo: la cinquecentesca Villa d’Este, con i suoi sontuosi giardini e le indi­menticabili fontane. Per rimanere in tema pernottate nel romantico Hotel Torre Sant’Angelo, immerso nel verde e ri­cavato da un convento olivetano costruito sulle ro­vine della villa del famoso poeta latino Catullo.

In Val Calnègia tra pietra e cielo

Vi invito a percorrere una valle selvaggia e emozionante come solo i luoghi veri possono essere, la Val Calnègia sopra Foroglio. Incontaminata nel senso bello della parola, dove l’opera dell’uomo c’è ma è discreta, si sposa al paesaggio naturale, rispetta l’essenzialità delle linee e delle forme, non invade, non deturpa.
Ho pensato alla stupenda architettura di Jean Nouvel per la sala della musica di Lucerna, quando ho visto per la prima volta la “Splüia bela” in Val Calnègia. Quel “tetto” di pietra che si allunga a fendere il vuoto sopra il rifugio dell’alpigiano ricorda in bellezza e potenza quell’opera dell’architetto francese. Non è stata la sola sorpresa della gita: come non stupirsi di fronte alla forza del paesaggio di questa valle che si snoda tra dirupi, pietraie e macigni? O di fronte alla testimonianza viva delle fatiche dei contadini valmaggesi che d’estate trasferivano famiglia e bestie in Bavona e poi su, negli alpi, a contendere l’erba al cielo? Le cascine e le stalle sono perlopiù minuscole, i prati rubati al bosco. Ogni anfratto, ogni macigno veniva sfruttato come riparo per gli uomini e per le bestie. Sono i luoghi di Plinio Martini e del suo “Fondo del sacco”. Dello scrittore conservo un ricordo vivo, quello dell’ultima intervista che gli feci – era il 1977 – quando lavoravo per la Radio della Svizzera italiana. Già toccato dalla malattia, era in procinto di partire per Zurigo per curarsi, ma disponibile come sempre a parlare di letteratura, di politica, di religione.
Per raggiungere la Val Calnègia, meta ideale per una camminata di fine estate, si percorre la Vallemaggia fino a Foroglio, conosciuto per la magnifica cascata (e dai buongustai per l’ottima cucina di Martino Giovanettina e della sua famiglia al grotto Froda). Il sentiero segnalato porta in meno di mezz’ora di salita all’entrata della valle, proprio sopra la cascata. È l’unica fatica, perché poi il sentiero scorre abbastanza pianeggiante. Il primo maggengo, Puntid, è idilliaco, con le piccole case in pietra, prati verdissimi, lo scorrere del fiume che forma invitanti pozzi. Da qui si può raggiungere il rifugio sottoroccia di cui si parlava, quella “splüia” tanto grande da dare ospitalità a uomini e bestie, e c’era pure posto per conservare alimenti, utensili, legna. Tornati a Puntid si attraversa il fiume su un romantico ponticello e si continua il percorso tra impressionanti pareti rocciose. Un altro bel maggengo si raggiunge mediante una deviazione di pochi minuti: si chiama Gerra, ghiaia, e anche qui l’uomo conviveva con la pietra, sfruttando ogni possibilità, modificando quando poteva, adattandosi dove non era possibile fare altro. Tornati sul sentiero principale, si giunge in breve a Calnègia, ultimo nucleo prima della ripidissima salita verso gli alpi, un’escursione, questa, riservata ad escursionisti esperti. Per chi volesse informazioni supplementari segnalo il prospetto che fa parte della serie “Sentieri di pietra”, da chiedere a Vallemaggia Turismo tel. 091/753 18 85.

Paesi baltici – Le ‘metropoli’, le spiagge famose e i villaggi dell’altra Europa

Perché mai scegliere le Repubbliche baltiche come meta per le proprie vacanze? Perché Lituania, Lettonia ed Estonia sono interessanti sia politicamente, sia turisticamente. Le tre capitali, Vilnius, Riga e Tallinn sono di grande interesse storicoartistico, ma il viaggio offre anche affascinanti paesaggi marini (in particolare la penisola di Neringa in Lituania) e lunghi tratti di strada in campagna, dove si possono visitare graziosi villaggi e sontuose residenze nobiliari. Noi abbiamo viaggiato in automobile. L’abbiamo noleggiata a Vilnius, dove siamo giunti in aereo. Abbiamo attraversato le tre Repubbliche e siamo rientrati in aereo da Tallinn, dove abbiamo consegnato la vettura all’aeroporto. Le strade sono molto belle, anche perché la collina più alta sarà di 100 metri, e ben segnalate, salvo in Lituania. Di alberghi e ristoranti ce ne sono per tutte le tasche e per tutti i gusti. Esistono tre guide in italiano sui paesi baltici, quella del Touring, la Lonely Planet e la Rough Guides, ma hanno tutte il difetto di essere poco selettive. Per questa ragione mi permetto di suggerire un itinerario che tralascia certe destinazioni consigliate dalle guide. Naturalmente un viaggio di questo genere non seleziona solo mete affascinanti, ma prevede la scoperta di questi paesi con campagne molto povere e di scarso rilievo turistico. Il criterio del bello nel viaggio è spesso riduttivo, perché preclude esperienze interessanti in luoghi magari non incantevoli. Descrivendo l’itinerario cercherò di segnalare le scelte in base ai due criteri: quello del bello per i turisti e quello dell’interessante per i viaggiatori. Potrà forse essere d’aiuto a chi è interessato a queste destinazioni. Calcolate, comunque, almeno una decina di giorni per visitare i tre Paesi.

Le città
Se la lettone Riga è la metropoli dei Baltici e l’estone Tallinn ha un porto cruciale per le rotte tra Occidente e Oriente, la lituana Vilnius è situata al centro geografico d’Europa e in quanto tale è crocevia di lingue e culture diverse.

Vilnius e Kaunas in Lituania
Nonostante abbia oltre mezzo milione di abitanti Vilnius ha un centro storico molto tranquillo con case a due piani allenate su viuzze strette e romantiche. Spuntano gru ovunque, come a Praga una quindicina di anni fa. La gente crede nel futuro e sembra avere voglia di ricominciare, nonostante la storia non sia stata tenera con questa città, considerata la Gerusalemme europea prima che Hitler sterminasse la comunità ebraica (oltre 200 mila persone). Delle 96 sinagoghe costruite nel corso dei secoli ne rimane una soltanto. Tutte le altre sono state distrutte. Anche l’affascinante impronta barocca ha tristi radici storiche. Gli edifici costruiti nelle epoche precedenti sono infatti andati distrutti nel corso di sanguinose guerre e da un terribile incendio all’inizio del ‘600. Ma nel corso del XVII secolo una regina italiana, Bona Sforza, diede un nuovo impulso alle arti invitando architetti e pittori dall’Italia, che conferirono alla città un carattere barocco a noi familiare. Purtroppo le pene inferte dalla storia a questa città sono proseguite anche nel periodo sovietico. Lo testimonia un imponente edificio, che sorge lungo una delle vie più eleganti della città (Viale Gedimino), sede del famigerato KGB sovietico. Nelle pietre sulla base del palazzo sono incisi i nomi dei giovani prigionieri politici, quasi tutti ventenni o poco più, eliminati in nome della rivoluzione sovietica.
A 100 chilometri da Vilnius sorge un’altra fiera città lituana: Kaunas, che nel ‘900 in tristi circostanze fu capitale provvisoria del paese. Oggi conta 400mila abitanti e rappresenta il volto autentico di una Lituania periferica rispetto ai paesi dell’Europa occidentale, ma piena di dignità, determinazione e compostezza. Il suo municipio, chiamato affettuosamente “cigno bianco” per il colore e la slanciata torre della facciata, è l’emblema del grazioso e piccolo centro storico di impronta medievale, che ospita anche un’imponente cattedrale gotica.

Riga, metropoli europea
La lettone Riga è un’importante metropoli dell’Europa settentrionale ed è certamente la più occidentale delle tre capitali baltiche. Ha un piccolo centro storico denso di atmosfera soprattutto la notte, ma è bella anche fuori dalla città vecchia. Tutti i principali stili architettonici hanno lasciato splendide testimonianze: dall’arte medievale allo Jugendstil, quest’ultimo tra i più affascinanti e i meno conosciuti d’Europa. L’edificio più rappresentativo del centro storico è certamente il duomo, che si affaccia sull’omonima suggestiva piazza. Propone tutti gli stili possibili acquisiti nel corso dei secoli ed è famoso per il suo straordinario organo con quasi 7 mila canne: uno dei più potenti al mondo. Splendidi di notte, i due palazzi trecenteschi della Confraternita delle Teste Nere deludono di giorno, perché rivelano di essere un falso storico: distrutti nel corso dell’ultima guerra sono infatti stati completamente ricostruiti. A nord est del centro si estende un quartiere ottocentesco con ampi viali ricavati dall’abbattimento delle mura, com’è avvenuto a Vienna, a Barcellona e in altre importanti capitali europee. Anche Riga ha il suo Gaudì: si chiama Eisenstein ed è il padre del celebre regista cinematografico della “Corazzata Potiemkin”. I suoi palazzi in stile Liberty colpiscono per la creatività e la fantasia. I restauri della maggior parte di questi edifici sono già ultimati, altri sono in corso. Ammirando queste opere d’arte rimanete incantati, stupiti. Ma anche le altre numerose costruzioni in stile Liberty presenti nella Riga d’inizio ‘900 sono affascinanti.
A Riga potete visitare anche uno dei mercati più grandi e più antichi d’Europa. Risale alla fondazione della città nel XIII secolo. Oggi è ospitato in cinque enormi hangar di Zeppelin vicino alla stazione ferroviaria. Ogni capannone offre un genere alimentare.

Tartu e Tallinn, le perle estoni
Prima di giungere a Tallinn, certamente la più affascinante delle tre capitali baltiche, il nostro itinerario prevede una breve sosta a Tartu, una cittadina universitaria estone che lascia bene intuire l’incredibile atmosfera che ci attende nella capitale. Il centro storico di Tartu è piccolissimo: si riduce a una piazza e a poche vie che portano all’ottocentesca università e alle rovine della cattedrale in collina. L’elegante municipio in stile barocco olandese si affaccia sull’omonima piazza, sulla quale si allineano eleganti edifici in stile neoclassico pietroburghese.
Ed eccoci a Tallin. “Case alte e strette dai frontoni appuntiti o a gradoni o terminanti in armoniose volute si allineano su vie anguste, alle quali chiese monumentali e improvvise piazzette danno spesso respiro; mura intervallate da torri dalla caratteristica copertura, miracolosamente intatte, cingono una piccola città piena di fascino che si stenta a considerare reale”. Questa azzeccata descrizione proposta dalla guida del Touring rende bene l’idea di questa città dove non ci si stanca mai di passeggiare, soprattutto la notte, perché si ha la sensazione di tuffarsi in un’altra epoca.
Anche a livello di opere d’arte l’offerta è interessante e ci ricorda l’importante passato storico di questa città anseatica. Di notevole fattura una pala d’altare di un artista di Lubecca, capitale della Lega Anseatica, e la quattrocentesca “Danza macabra”di Bernt Notke, che ci ricorda come umili e potenti siano tutti uguali di fronte alla morte. L’imponente cattedrale ortodossa, costruita dai russi alla fine dell’Ottocento sulla romantica collina all’interno della città vecchia, da cui si gode una splendida vista, è considerata dagli abitanti di Tallin come una prevaricazione zarista. Tanto che ancora fino a qualche anno fa si parlava di demolirla. E’ un segno dei difficili rapporti con i russi, che per secoli dominarono questa città. La nostra guida ci ha portati con orgoglio a visitare anche lo “Stadio della canzone di Tallinn”, dove nel 1990 trecentomila persone si incontrarono per chiedere pacificamente l’indipendenza cantando melodie della tradizione estone.

Le dune del Sahara lituano amate da Thomas Mann
Sull’aereo che ci porta da Milano a Vilnius quattro giovani comunicano a tutti in modo particolarmente rumoroso che si recano in Lituania per le vacanze di mare e soprattutto alla ricerca di ragazze. In effetti nei tre paesi baltici si vedono splendide gambe molto allungate. Non so quale esito abbiano avuto le aspirazioni dei nostri compagni di viaggio, ma un fatto è certo: l’estate scorsa il tempo era migliore lassù che in Italia. Tutto il periodo del nostro soggiorno, nella seconda metà di agosto, quando il sole riscaldava il termometro toccava i 30 gradi.
Palanga è la località di mare più gettonata, con numerosi locali notturni. È una sorta di Rimini del nord, con ampi viali alberati.
Ma non è naturalmente questo il mare di cui intendo parlare, né quello di Jurmala vicino a Riga, considerata la Costa Azzurra lettone, bensì quello dell’aristocratica penisola di Neringa in Lituania, una delle mete più spettacolari del nostro itinerario, oggi parco nazionale. “Neringa è così sensazionale che bisogna vederla, come l’Italia o la Spagna, se all’anima si vogliono offrire immagini meravigliose”. Così si esprimeva Wilhelm Von Humboldt nel 1901. Thomas Mann, quando visitò la penisola per la prima volta nel 1929, ne rimase talmente affascinato che decise di costruirsi una villetta di vacanza a Nida, con una splendida vista sul mare e sulle dune. La sua casa oggi ospita un piccolo museo. Il noto filosofo francese Jean Paul Sartre negli anni Sessanta chiese un permesso speciale al leader sovietico Khruscev, che gli venne accordato, per trascorrere alcuni giorni sulle dune con la sua compagna Simone De Beauvoir.
Secondo una leggenda lituana la penisola fu creata dalla materna gigantessa del mare Neringa con diverse bracciate di sabbia portate amorevolmente nel suo grembiule per formare un porto protetto per i pescatori locali. Di fatto la penisola si formò 5 o 6 mila anni fa quando le onde e i venti del Mar Baltico fecero accumulare la sabbia nelle acque poco profonde vicino alla costa. La penisola, una lingua di terra larga non più di 4 chilometri, è una striscia ondulata su cui si innalzano imponenti dune di sabbia, alte fino a 50 metri, alcune delle quali talmente spoglie da avere un aspetto totalmente sahariano, altre invece ricoperte da un fitto tappeto di pini verde scuro, affusolate betulle argentee e sottili tigli affamati di terra. Sul bordo orientale della penisola si trovano alcuni villaggi sparsi che, da sempre,vivono del pesce presente nelle ricche acque della “laguna”. Le case in legno sono tipiche del nord, dipinte con delicati colori pastello. La costa occidentale è invece una lunga e sottile striscia di sabbia punteggiata di spiagge. Con il massiccio disboscamento effettuato nel XVI secolo per ricavare legname, le sabbie della costa sono rimaste in balia dei forti venti e hanno cominciato a spostarsi avanzando alla velocità di circa 20 metri all’anno: dal XVI al XIX secolo hanno inghiottito ben 14 villaggi. Oggi le sabbie scivolano a un ritmo ancora più intenso: la preziosa bellezza di questo luogo rischia così di andare perduta per sempre.
Le dune più suggestive le trovate a sud del villaggio di Nida, nei pressi della Valle della morte. Qui il paesaggio assomiglia talmente a quello sahariano che i tedeschi costruirono alla fine dell’Ottocento un campo di concentramento (da qui la denominazione) per i soldati francesi, nell’intento di vendicare i soldati del Kaiser detenuti dai francesi nel deserto del Sahara. Un’altra passeggiata indimenticabile la potrete effettuare a partire dal parcheggio situato un paio di chilometri a nord del villaggio di Pervalka. Si cammina per circa mezz’ora in una valle tra alte dune di sabbia per raggiungere una collinetta sulla sponda orientale, dalla quale si ammirano le due sponde del mare. Con il bel tempo i tramonti sono particolarmente romantici e spettacolari.

I massi erratici del parco nazionale
L’itinerario proposto nei paesi baltici, che dura appena dieci giorni, prevede la visita di un altro parco nazionale in Estonia: Lahemaa, che si trova una cinquantina di chilometri ad est di Tallinn, sulla strada per San Pietroburgo. Non ha certo la spettacolarità di Neringa, ma è interessante per vedere un mare tipico del nord, dove gli alberi arrivano a pochissimi metri dall’acqua in un paesaggio, per la verità, piuttosto monotono. Nel parco è possibile compiere numerose passeggiate scandite dalla presenza di enormi massi erratici, che non si capisce da dove vengano, visto che attorno non ci sono né rocce, né montagne. Due brevi passeggiate sono consigliate: una che parte dal villaggio di Altja verso la spiaggia, dove si trovano ancora alcune antiche case in legno di pescatori (30 minuti andata e ritorno) e una da Käsmu verso la punta dell’omonima penisola, dove si ammirano alcuni massi erraticifiniti nel mare.

Tra le antiche case in legno dei contadini
Le strade nei tre paesi baltici sono diritte, tagliate in mezzo alle foreste o alla campagna. Le tre nazioni sono scarsamente abitate. La densità demografica è tra le più basse d’Europa con circa 40 abitanti per chilometro quadrato, contro i 190 dell’Italia. La stragrande maggioranza della popolazione vive nelle città. Il paesaggio è piatto e monotono. Le antiche case dei contadini in legno non hanno sopravissuto alle insidie del tempo e si possono vedere quasi esclusivamente nei parchi etnografici di Riga e di Tallinn, dove sono stati trasportati antichi edifici in legno dalle varie regioni e ricostruiti, proprio come abbiamo fatto noi svizzeri al Ballenberg. Anche nei rari villaggi le case in legno non hanno resistito alle intemperie dei freddi inverni nel corso dei secoli. Le guide turistiche sono molto generose di lusinghieri aggettivi quando descrivono i villaggi di campagna, ma spesso francamente a sproposito. Gli unici che meritanodi essere visitati sono Kuldiga e Cesis in Lettonia.

Villaggi rurali di altri tempi
Le viuzze e le raccolte piazze di Kuldiga sono gli scenari prediletti dai cineasti lettoni per i film di soggetto storico. La cosiddetta “città d’oro” adagiata sulle rive del Venta 150 chilometri a ovest di Riga, ha un passato glorioso: fece parte della Lega anseatica, grazie al suo fiume navigabile. La grande guerra del nord all’inizio del ‘700 ne interruppe lo sviluppo. Preservato dall’industrializzazione il villaggio si è conservato quasi intatto fino ad oggi con le sue costruzioni in legno tipiche dei paesi del nord: la più antica risale alla fine del XVII secolo. In un’atmosfera romantica propone uno spaccato di vita rurale di altri tempi. Sulla strada tra Riga e Tallinn vale la pena di fare una breve sosta per visitare un altro interessante borgo di campagna: Cesis, meno affascinante del precedente, ma anch’esso con un passato importante di membro della Lega anseatica.

I nobili vivevano in sontuosi palazzi
Se rare sono le testimonianze della vita contadina, lo stesso non si può dire per le residenze dei nobili e dei possidenti terrieri situate lontano dalle città. Un’interessante gita di una giornata con partenza da Riga permette di scoprire opere sontuose di architetti e artisti italiani che avevano operato a San Pietroburgo. Le più straordinarie sono certamente i palazzi di Rundale e di Jelgava progettati da Francesco Bartolomeo Rastrelli, autore del famosissimo Palazzo d’inverno a San Pietroburgo. L’ar­chitetto portò con sé le maestranze che già avevano rea­lizzato nella capitale russa le sue grandi opere. Da San Pietroburgo giunsero un migliaio di operai, stuccatori, decoratori e arredatori. A dipingere le pareti e i soffitti furono chiamati Francesco Martini e Carlo Zucchi, gli stucchi furono affidati al berlinese Johann Michael Graff. Il risultato è di un’intensità eccezionale e costitui­sce uno dei migliori esempi di barocco in Lettonia con all’interno anche elementi rococò. La visita degli interni stupisce per l’estrosità e la creatività, ma anche per il grande rigore architettonico. Il parco disegnato dallo stesso Rastrelli andò distrutto ed oggi lo si sta ricostruen­do in base ai progetti originali. Ancora più imponente del palazzo di Rundale è quello di Jelgava, che nei sot­terranei ospita la cappella funeraria con 21 sarcofaghi dei duchi di Curlandia. I due palazzi sono legati alla fi­gura di uno di questi duchi (von Bühren) e alle sue vi­cende sentimentali con la zarina Anna Ioannovna nipote di Pietro il Grande. Quando Anna morì e le succedette Elisabetta il duca venne mandato in Siberia. I lavori di costruzione nei due palazzi vennero sospesi per oltre vent’anni, fino a quando sul trono salì Caterina la Gran­de e von Bühren poté tornare dalla Siberia.
A pochi chilometri di distanza, una sobria risposta allo sfarzo di questi due palazzi è certamente proposto dalla residenza estiva neoclassica della principessa Charlotte von Lieven, progettata da un altro grande architetto dell’epoca: Giacomo Quarenghi. Il palazzo le fu dona­to nel 1795 da Caterina la Grande come riconoscimen­to per i servigi resi in qualità di governante dell’impe­riale progenie. Gli interni, dalle sfumature pastello ocra, rosa e acqua del Nilo comunicano un senso di eleganza. La sala della cupola, con i suoi straordinari effetti luminosi, si dice sia stata progettata sul modello del Panteon di Roma. Il giardino all’inglese, con il pra­to e le piante sullo sfondo, mette in risalto la qualità ar­chitettonica di questa villa oggi adibita ad albergo, do­ve vi consiglio di fermarvi per una notte se ne avete la possibilità.
Un’altra incantevole opera risalente all’epoca zarista è il palazzo che lo zar Pietro il Grande fece costruire al­l’inizio del ‘700 per la moglie Caterina. L’elegante co­struzione barocca, poco distante dal centro di Tallin, af­fascina per il contrasto tra il rosso delle pareti e il bian­co degli stucchi delle finestre e delle balaustre. Fu pro­gettato dall’architetto italiano Niccolò Michetti. Poco distante si nota la semplice casetta in legno abitata dal­lo zar all’epoca della costruzione del palazzo.
A una cinquantina di chilometri da Tallin, immersa nel­la campagna, è interessante visitare la lussuosa residen­za di una famiglia di proprietari terrieri, i von Pahlen, appena restaurata. La sontuosa tenuta, provvista di un laghetto con la relativa casa per i bagnanti, uccelliere, scuderie, giardino d’inverno eccetera, contrasta con le case in legno dei contadini che non hanno resistito alle intemperie, ma che si possono vedere nel parco etno­graficodi Tallin.

L’itinerario

1° giorno
Lugano-Vilnius

2° giorno
Visita di Vilnius

3° giorno
Vilnius-Kaunas (100 km)
Kaunas-Klaipedia (200 km)
Klaipedia-Neringa (40 km)
Neringa-Klaipedia (40 km)

4° giorno
Klaipedia-Palanga (27 km)
Palanga-Liepaja (74 km)
Kuldiga-Talsi (53 km)
Talsi-Riga (110 km)

5° giorno
Gita a Riga-Bauska-Pilsrundave-Mezotne-Tervete-Zalenieki-Dobele-Jelgava-Riga

6° giorno
Visita di Riga

7° giorno
Riga-Cesis (85 km)
Cesis-Valmiera (43 km)
Valmiera-Tartu (135 km)
Tartu-Paide (100 km)
Paide-Tallinn (86 km)

8° giorno
Visita di Tallinn

9° giorno
Parco Nazionale Lahema (200 km)

10° giorno
Tallinn-Lugano

Una gita romantica alle Isole Borromee

Il lago Maggiore risplendeva in mezzo ai monti color azzurro cupo, e sull’acqua posavano deliziose isolette, ma il cielo non era chiaro, anzi era nascosto dalla foschia come in Danimarca. Solo verso sera il vento la portò via, e l’aria tremolò trasparente e pura nel cielo che sembrava profondo tre volte quello di Danimarca. Lungo la strada pendevano tralci d’uva, come per una festa; più bella di così non ho mai visto l’Italia”. Così descrisse le isole Borromee sul lago Maggiore Hans Christian Andersen, che vi trascorse “alcune giornate di sole e notti di luna nell’isola Bella”, come fa notare in un suo scritto Raffaele Fattalini, attento studioso del lago. E in effetti la prestigiosa guida Michelin verde, che per me rimane sempre la migliore, attribuisce alle Isole Borromee tre stelle, cioè il massimo punteggio come ai luoghi più prestigiosi d’Italia. Questo splendido angolo di lago entusiasmò anche Richard Wagner, che scrisse: “La visita delle isole mi incantò talmente, che non potevo nemmeno rendermi conto come fossi arrivato a tanta delizia e che cosa adessso ne dovessi fare”.
Bisogna dedicare una giornata a questa gita. Le isole si raggiungono in battello da vari approdi del lago Maggiore, ma in particolare da Stresa, dove un servizio di barche private garantisce continuamente il collegamento con le isole e tra un’isola e l’altra. Le tre isolette sono molto differenti tra loro. La più clebrata delle tre è l’isola Bella, famosa per il barocco nell’architettura, nelle sculture e nell’arte del giardinaggio. Abitata da pescatori venne acquistata e trasformata nel 1632 in “luogo di delizie” per volontà del conte Carlo III Borromeo, come omaggio alla moglie Isabella d’Adda (da qui il nome). Nel compatto palazzo a quattro piani si tenne, dieci anni dopo Locarno, la “Conferenza di Stresa” con Laval, Mac Donald e Mussolini, che sulla base della collaborazione italo-franco-britannica avrebbe dovuto garantire la pace europea. Il giardino del palazzo, articolato su dieci terrazze a forma di piramide tronca, è considerato uno dei capolavori dell’arte dei giardini all’italiana di epoca barocca. Le vedute sul lago e sulle sponde sono magnifiche. Splendido anche il giardino botanico dell’Isola Madre, ricco di piante rare e fiori esotici. Attorno al settecentesco palazzo si aggirano pavoni, fagiani e pappagalli in libertà. “E’ il luogo più voluttuoso che abbia mai visto”, osservò Gustave Flaubert. “La natura vi affascina con mille sensazioni strane e ci si sente in uno stato sensuale e delizioso”.
La più pittoresca delle tre isolette è certamente quella dei Pescatori con le sue caratteristiche vie strette e tortuose, che danno al villaggio un simpatico carattere di disordine edilizio. Ospita anche un romantico alberghetto (il ristorante propone piatti legati al territorio), il “Verbano”, dove potrete trascorere la notte e gustare l’isola la sera, dopo che tutti i turisti se ne saranno andati. E’ un’esperienza davvero indimenticabile.