Camerun – Stregato dalla gente e dai colori nel mio primo viaggio in Africa

Camerun – Tutta l’Africa in un solo paese
Camerun – Dove il tempo sembra essersi fermato
Camerun Un medico ticinese nel Camerun, il ricordo di Giuseppe Maggi

“Un concentrato d’Africa”, “Tutta l’Africa in un solo Paese”, “Un’Africa in miniatura”: sono gli slogan con cui si comincia timidamente a promuovere il turismo in Camerun, uno stato del centro Africa, situato nel cuore del Golfo della Guinea tra la Nigeria e il Congo, grande una volta e mezza l’Italia. E in effetti questo Paese, salvo le dune di sabbia, propone tutte le caratteristiche tipiche del continente: dalle fitte foreste alle alte montagne con fiumi, laghi e cascate, dalle dorate spiagge oceaniche ai verdi altopiani, dalla brulla savana saheliana popolata da elefanti al pre-deserto dell’estremo nord al confine con il Ciad. Ma il vero tesoro del Camerun è rappresentato dalla sua popolazione, oltre 240 etnie con lingue e culture proprie. Era il mio primo viaggio nell’Africa nera. Sono rimasto stregato dai colori, dagli odori, dalle sensazioni, dalla gentilezza e dalla dolcezza delle persone che ho incontrato. Mi sono subito reso conto che per vivere quell’esperienza non potevo ricorrere agli stessi parametri che solitamente utilizzo per altri viaggi. L’approccio è meno intellettuale e più sensitivo. Se in Europa vado a caccia di monumenti e di paesaggi, in Camerun mi devo maggiormente affidare alle mie sensazioni, alle percezioni. Al mio ritorno, quando gli amici mi chiedevano cosa avevo visto, mi trovavo in difficoltà a rispondere. Ho tentato di dire che avevo incontrato molta gente e avevo provato molte sensazioni, qualche volta difficili da comunicare. Il nostro itinerario, purtroppo molto breve, prevedeva la visita dell’estremo nord, un triangolo incuneato tra la Nigeria e il Ciad, alla scoperta di mercati e villaggi di campagna, dove il tempo sembra essersi fermato. Nel nord non ci sono grandi città, ma solo villaggi. E per lo più composti di capanne sparpagliate nella campagna, dato che l’80 per cento del Paese vive di agricoltura. I nuclei familiari vivono in piccole capanne rotonde edificate con terra, paglia e sterco di animale, tutte collegate tra loro, dove si svolgono le attività domestiche. Questo insieme di costruzioni è cinto da muri in pietra costruiti a secco. Inutile dire che la corrente elettrica è rara e l’acqua è spesso lontana. Il momento di maggior socializzazione per questa gente è costituito dal mercato settimanale, che si tiene sempre lo stesso giorno in determinati villaggi. Le capanne, con i loro tetti in paglia, sembrano mimetizzarsi con il paesaggio. Per ore e ore, percorrendo strade dissestate, si vedono persone lavorare nei campi coltivati attorno alle abitazioni e ci si chiede come sarà quella vita tanto diversa dalla nostra e certamente durissima e scomoda. Francamente non so quale risposta dare e mi rendo conto che qualsiasi confronto è fuori posto. Ma poi visitando Douala, la capitale economica del Paese, non ho dubbi: in Camerun si vive meglio in campagna che in quella città, perché del nostro modo di vivere occidentale la vita urbana sembra aver preso solo i peggiori difetti.

Stati Uniti – Quando la natura diventa artista, ecco il fascino dei grandi parchi

Stati Uniti – Grand Canyon e Monument Valley
Stati Uniti – Bryce Canyon e Death Valley
Stati Uniti – Da San Francisco a Los Angeles
Stati Uniti – I nostri legami con la California attraverso la storia degli emigranti

I parchi nazionali del Far West degli Stati Uniti offrono certamente alcuni dei paesaggi più spettacolari al mondo. Nessuna fotografia e nessuno scritto possono descrivere ciò che si vede e si prova di fronte a tanta bellezza. Mentre visitavo questi luoghi riflettevo sul fatto che nessun essere umano riuscirà mai ad eguagliare la straordinaria potenzialità artistica della natura. Se poi qualcuno appartiene alla mia generazione, cresciuta con il mito dei film western, l’emozione risulta amplificata, in quanto richiama immagini lontane legate all’infanzia e all’adolescenza. È un viaggio che vale veramente la pena di fare una volta nella vita. Lo si può effettuare individualmente senza la necessità di iscriversi a un gruppo organizzato. Muniti di un navigatore, negli Stati Uniti ci si sposta in automobile senza problemi, persino in metropoli come Los Angeles o San Francisco. Con buone guide (Michelin verde, Lonely Planet, Rough Guide) si può pianificare l’itinerario a proprio piacimento e con internet si possono effettuare le prenotazioni degli alberghi e di alcuni luoghi da visitare, dell’aereo – esiste un volo diretto della Swiss da Zurigo per Los Angeles – e dell’automobile. Data la natura del viaggio alla scoperta dei parchi nazionali è inevitabile percorrere alcuni tratti sterrati, perciò vale la pena di orientarsi verso un veicolo 4×4. Le strade lungo l’itinerario non sono trafficate e normalmente permettono di mantenere una media di 90-100 chilometri orari. È così possibile spostarsi in quattro o cinque ore da un parco all’altro percorrendo infinite strisce di asfalto tracciate nel deserto, che scorrono diritte, senza curve per centinaia di chilometri, attraversando sempre incantevoli paesaggi lunari. Il modo più efficace per visitare la regione, che attraversa gli stati della California, dell’Arizona, dello Utah e del Nevada, è di fermarsi nei parchi il primo mattino e il tardo pomeriggio ed effettuare gli spostamenti durante le ore più calde. Il termometro sfiora infatti spesso i 40 gradi e nella Death Valley anche i 50, ma il clima è molto secco. Attenzione, però, perché a San Francisco e sulla costa oceanica in direzione di Los Angeles, abbiamo trovato anche temperature molto fresche (11-13 gradi) a causa delle nebbie tipiche dei mesi di luglio e agosto. Il tempo necessario per percorrere l’itinerario proposto è di almeno 15 giorni, ma meglio prevederne una ventina. La gente negli Stati Uniti è molto gentile e sempre disposta ad aiutare i turisti. Gli alberghi sono funzionali. Nelle regioni dei parchi, salvo qualche struttura storica che cito nel diario di viaggio, i pernottamenti più comodi sono nei motel. I più affidabili sono quelli appartenenti alle grandi catene come Holiday Inn e Best Western. Sono simili a quelli che si vedono nei film, con il posteggio davanti alla camera. I costi sono ragionevolissimi: tra i 100 e 150 franchi a notte per una doppia o tripla (non fa differenza).

Danimarca – Una monarchia antica e democratica

Danimarca – Tra paesaggi marini selvaggi e una campagna armoniosa
Danimarca – Alla scoperta dei vichinghi e del castello di Amleto

La Danimarca non figura certo tra le mete turistiche più gettonate, salvo la sua capitale Copenhagen, che viene invece spesso proposta come destinazione per un fine settimana. Eppure è un paese che merita di essere visitato per le sue bellezze naturali (un mare selvaggio e paesaggi agricoli armoniosi illuminati dalla suggestiva luce del nord), per la sua offerta culturale (ville e castelli immersi nel verde, villaggi pittoreschi dove si ha l’impressione che il tempo si sia fermato) e per l’atmosfera tranquilla, piacevole, senza stress che si nota a partire dalla sua capitale. L’estate è certamente il momento ideale per visitare questo paese. Per la maggior parte dell’anno infatti i danesi vivono con la luce artificiale. Con l’arrivo della bella stagione ogni occasione è buona per stare all’aperto. Lo si nota soprattutto nella capitale, dove le vie del centro storico nelle giornate miti e soleggiate si affollano. Ma Copenhagen è anche indicativa dell’atmosfera che si respira in tutto il paese: una vita rilassata ma al tempo stesso febbrile. La guida verde Michelin definisce la capitale “un affascinante centro urbano di provincia con l’atmosfera di una capitale”. I danesi sono considerati dagli scandinavi i meridionali del nord. Sono un popolo simpatico, aperto, egualitario e non violento. Durante la seconda guerra mondiale, nonostante fossero occupati dai tedeschi, riuscirono a favorire la fuga degli ebrei in barca verso la neutrale Svezia, salvando loro la vita. Sono stati i primi a riconoscere il matrimonio tra gay già nel lontano 1989. In Danimarca è difficile diventare molto ricchi, a causa delle tasse elevate. In compenso la previdenza sociale è talmente sviluppata che la miseria è altrettanto rara. L’inno nazionale non canta di battaglie, di martiri, di eroi, ma intona “Det er et yndikt land”, che significa “questa è una terra meravigliosa”. I tifosi di calcio cantano: “Siamo rossi, siamo bianchi, siamo la dinamite danese”. Se vincono sono allegri e bevono. Se perdono sospirano
e bevono, ma non hanno mai provocato il minimo incidente. I danesi sono fieri della loro identità: sono infatti moltissime le case dove sventola la bandiera nazionale. Alla richiesta, posta da un recente sondaggio, di quantificare la propria felicità in una scala da 1 a 10, gli abitanti di questo paese hanno espresso la votazione massima tra diverse nazioni europee, con ben 8,3
punti. La loro soddisfazione si basa su un’economia fiorente, sul moderato tasso di disoccupazione, su stipendi elevati, su eccellenti servizi sociali in termini di abitazioni, ospedali e scuole, sull’efficienza dei trasporti pubblici e sul basso livello di criminalità. E si trattava soltanto dell’ultima di una serie di indagini condotte negli ultimi due decenni. Anche le precedenti hanno dimostrato come i danesi siano insolitamente soddisfatti di ciò che la vita riserva loro. Sono la monarchia più antica d’Europa ed il loro legame con la regina Margherita sembra sia ottimo. Su di lei in Danimarca si ripete da anni una
battuta che rende bene l’idea: se un giorno la corona dovesse scomparire, Margrethe sarebbe eletta presidente della Repubblica. La tradizione alla quale la sovrana appartiene conferma la sua democraticità, che si manifesta anche nella semplicità dell’aspetto. D’altra parte Margherita è una donna impegnata, intelligente e colta: ha conseguito ben quattro lauree universitarie.

Assisi – A lezione di umiltà e gioia lungo la strada del silenzio

Assisi – Ripercorrendo strade e valli di un soldato diventato santo

Insieme a Padre Callisto sulle tracce di San Francesco tra i luoghi della cristianità. Chiese e cripte ricche d’arte che vengono visitate da centinaia di pellegrini. La storia delle spoglie scomparse dopo la costruzione della “doppia basilica”.

Sotto l’influenza dell’ordine religioso fondato da Francesco, la città vide sbocciare un’arte nuova che segnò una svolta nella storia artistica dell’Italia. La sua lezione spirituale fatta di rinuncia, accettazione umile e gioia mistica, determinò una nuova visione artistica espressa nella purezza e nell’eleganza dell’arte gotica.
Due anni dopo la morte di Francesco era pronta la cripta della chiesa per accogliere le sue spoglie. Fu disegnata dal suo successore Elia e ad affrescare la basilica di San Francesco vennero chiamati i più importanti artisti del momento, tra cui Giotto che realizzò qui uno dei suoi capolavori narrando la vita del santo. Il grandioso complesso, tra i maggiori templi della cristianità, è formato dalla sovrapposizione di due chiese che lasciano individuare due differenti fasi costruttive. Il progetto della doppia basilica evidenziava la duplice funzione cui doveva rispondere la struttura, destinata inferiormente a chiesa tombale e a cripta, e superiormente ad aula monastica, di predicazione e cappella papale.
Le spoglie del santo, custodite per un paio d’anni nella chiesa di San Giorgio vicino a Santa Chiara, furono trasportate verso la nuova basilica, ma quando arrivarono nelle vicinanze si scontrarono due diverse visioni dell’ordine: chi riteneva che la chiesa fosse troppo ricca e quindi non fedele alle idee di Francesco e chi invece la riteneva idonea. Fatto sta che le spoglie scomparvero. La tradizione vuole però che il santo sia sepolto nella cripta della basilica inferiore, che si può visitare. Ed in effetti è probabile che il corpo di Francesco sia stato veramente sepolto in quella sede. Nel 1790 papa Pio VII ordinò dei lavori, che vennero eseguiti di notte per evitare pettegolezzi, per cercare il sepolcro. Sotto l’altare venne trovata una bara in pietra con le spoglie di un uomo, che vennero esaminate con metodi moderni nel 1940. Si stabilì che si trattava di un uomo di circa quarant’anni. È quindi probabile che si tratti di Francesco. Un ultimo esame eseguito negli anni Ottanta ha confermato questa tesi.
Del santo rimane comunque la storia della vita narrata da Giotto in diciannove superlativi affreschi. L’artista non terminò però il lavoro, perché partì per Firenze dove fu chiamato ad affrescare Santa Croce. Il lavoro venne proseguito dai suoi discepoli, ma confrontando le tavole del maestro con quelle dei suoi allievi, si apprezza ancor più la capacità di sintesi e l’essenzialità di Giotto.

Le Carceri, luogo di meditazione
Molti sono i luoghi francescani che si potrebbero ricordare, ma uno non può essere tralasciato perché di particolare importanza: “le Carceri”. Non si tratta di una prigione, ma di un sito appartato dove Francesco e i suoi compagni si ritiravano in silenzio a meditare. Si trova a mezza costa sul Monte Subasio. Lo si può raggiungere comodamente in automobile, ma molti pellegrini vi arrivano con il noto cavallo di San Francesco, cioè a piedi. In quel luogo il santo aveva prescritto una regola particolare che suggeriva penitenza e assoluto silenzio. Si narra che fece zittire anche degli uccelli che disturbavano la meditazione. Gli assisiani scoprirono molto presto quel bosco e iniziarono a frequentarlo rubandogli la pace. Il santo si ritirò quindi dapprima su un’isoletta del lago Trasimeno, in seguito sul più lontano monte de La Verna, dove per dirla con Dante ricevette “l’ultimo sigillo”, le stigmate.

Oman – Quattro giorni tra mare, deserto e montagne

Oman – Nel sultanato dove la natura regna sempre sovrana

Il paesaggio lunare dopo Muscat, le suggestive spiagge che portano a Sur, strade a sei corsie, qui il progresso corre più veloce delle guide turistiche.

La prima tappa prevede di raggiungere Ras Al Jinz, punto più orientale della Penisola Arabica e luogo di cova di diverse specie di tartarughe.
Da Muscat si attraversa un paesaggio lunare, con montagne rocciose tendenti al rosso, sulle quali non cresce nulla. D’altra parte qui non piove mai! La strada è scorrevole e si raggiunge velocemente la costa a Qurayyat, da dove un’autostrada a sei corsie porta fino a Sur costeggiando per chilometri e chilometri meravigliose spiagge di sabbia bianchissima. Mi sorprende notare che il percorso prevede addirittura l’illuminazione durante la notte. E pensare che secondo l’edizione 2005 della mia guida turistica Lonely Planet quest’itinerario sarebbe da percorrere in fuoristrada, perché le strade non sono asfaltate e attraversano fiumi… Segno che in questo paese il progresso è più veloce degli aggiornamenti delle guide.
Giunti a Tiwi si lascia l’autostrada per scendere nel villaggio e posteggiare l’automobile proprio sotto il viadotto autostradale. Da lì inizia una splendida passeggiata lungo il Wadi Shab, considerata una delle vallate più attrattive del paese. In arabo il suo nome significa “Gola fra le rupi”. In effetti il percorso si inoltra in un canyon impressionante, dove scorre un ruscello che crea affascinanti pozze verdazzurro. Il terribile ciclone Gonu del giugno 2007 ha lasciato tracce della sua furia devastando alcune piantagioni a terrazza, ma la natura sembra autosufficiente per riparare i danni. Ci inoltriamo tra quelle rocce altissime che si colorano sempre più di rosso durante il tramonto. Ragazzini sguazzano nelle pozze. Le palme che hanno resistito al ciclone danno un carattere particolarmente affascinante al luogo. La vallata è lunghissima. Ne percorriamo solo una piccola parte, prima di riprendere il nostro itinerario verso Ras Al Hadd, dove esiste un piccolo e modesto ma pulito albergo non distante dal luogo di cova delle tartarughe di mare.

La cova delle tartarughe
Alle 21.30 bisogna presentarsi al nuovissimo Centro di ricerca scientifica sulle tartarughe perfettamente organizzato. Ci troviamo in una zona protetta inserita nel patrimonio mondiale dell’Unesco. Il progetto prevede lo studio delle abitudini migratorie di questo animale in via di estinzione. I visitatori vengono divisi in piccoli gruppi di 10-15 persone, condotti da tre guide. Una rimane con il gruppo, le altre due, dotate di torce con luci speciali, vanno alla ricerca degli animali che stanno covando le uova a pochi metri dalle onde del mare. Abbiamo fortuna: una tartaruga è stata individuata. Ci spiegano di avvicinarci piano e in silenzio. La guida illumina con una luce rossa l’animale dalle dimensioni di un metro circa. Ha lentamente scavato un ampio solco nella sabbia dove sta depositando uova grandi come una pallina da ping pong. Finita la cova inizia l’enorme fatica di coprire con la sabbia quel “tesoro”. Con le zampe anteriori l’animale fa schizzare sabbia per un paio di metri. Questa operazione dura fino ad un’ora. Ma nel frattempo una delle nostre guide ha scovato un’altra tartaruga, verso la quale ci spostiamo lentamente per non spaventarla. La notte è stellata e sembra di poter toccare il cielo con un dito. Le onde del mare scandiscono il tempo. E’ un’esperienza indimenticabile!

Un tuffo nel passato
Il mattino seguente si ritorna verso Sur, che ci ricorda la forte vocazione marinara del paese. Questa città con il suo antico porto svolse infatti storicamente un ruolo importante nello sviluppo dei commerci tra l’Oman, l’Africa orientale e l’India. Per secoli fu uno dei principali cantieri navali della regione e ancora oggi rimane un’importante sede per la costruzione dei dhow, le tipiche imbarcazioni preparate direttamente sulla spiaggia. La costruzione di una di queste imbarcazioni in legno può richiedere più di un anno, ma la vita dello scafo può durare anche cento anni, grazie al fatto che sono costruite a incastro e quindi senza chiodi. Osservando gli operai dei cantieri mentre piallano a mano le assi di legno si riconosce subito una maestria che viene da secoli di esperienza.
Nel museo locale sono esposte immagini e modellini di molte imbarcazioni storiche. Mi ha colpito anche una serie di fotografie che pensavo fossero d’inizio secolo. Risalgono invece agli anni Sessanta e documentano bene come l’Oman fosse davvero fermo al Medioevo quando l’attuale sultano Qabus salì al potere rovesciando il regno del padre che si opponeva a qualsiasi cambiamento.
Lasciamo il mare per inoltrarci nell’entroterra in direzione del deserto. Dopo circa un’ora di automobile lasciamo la strada principale per risalire il Wadi Bani Kalid rinomato per la sua bellezza. La strada sale a zig zag tra i palmeti offrendo spettacolari scorci sulle montagne circostanti. Giunti al termine della carrozzabile, in prossimità di un laghetto, si parcheggia e si prosegue a piedi. A prenderci in consegna è un ragazzino che indossa la maglia di Kaka, il famoso calciatore del Milan (qui vanno matti per il calcio!). Da buon milanista non potevo che affidarmi a lui per proseguire a piedi verso la sorgente del fiume. Si cammina per una mezz’oretta tra altissime pareti di roccia attraversando pozze con l’acqua verde come quella della Verzasca. Ragazzini e turisti fanno il bagno. Maledico di aver lasciato il costume in automobile. A un certo punto si intravede un pertugio nella roccia, nel quale ci infiliamo. Kaka mi illumina il percorso con il suo telefonino portatile, finché giungiamo in un luogo caldo, buio e basso: siamo alla sorgente. Solo grazie al flash della mia macchina fotografica riesco a intravedere l’acqua che sgorga dalla montagna. Se soffrite di claustrofobia non entrate là dentro!

Il buio nel deserto
Un’ora circa di automobile ci separa dall’inizio del Rub al-Khali, denominato anche il “Quarto vuoto” perché occupa circa un quarto della Penisola Arabica. Questo deserto, incuneato tra gli Emirati, l’Arabia Saudita, lo Yemen e l’Oman, è considerato uno dei luoghi più desolati e caldi del pianeta. Raggiungiamo la regione del Wahiba Sands, cioè delle sabbie orientali, zona abituale di insediamento dei beduini del deserto, che offre una delle maggiori aree al mondo di dune sabbiose. Un campo con le tende tipiche dei beduini ricoperte di foglie di palma ci attende per la notte. Le dune sono alte e hanno un colore caldo. Il silenzio e la bellezza del paesaggio ispirano la meditazione. Passeggio a piedi nudi assieme alla guida perdendomi tra le dune, finché vedo le tracce di un fuoristrada. Mi spiega che i beduini, all’ora del tramonto, accompagnano i turisti in quei luoghi guidando spericolatamente su e giù per le dune. Desidero esserci anch’io. Torniamo al campo in tempo per provare anche quest’esperienza. Il fuoristrada su cui mi invitano a salire è alquanto sgangherato, ma quando viaggia sembra un’ottovolante. La signora tedesca che siede vicino a me grida divertita dalla paura. Raggiungiamo la collina più alta per contemplare il tramonto e prima dell’avventuroso rientro al campo torna il silenzio per contemplare il sole che scende e le nostre ombre che si allungano sempre più sulla sabbia.
Diventa subito notte e il cielo si popola di stelle. Avevo sempre sentito parlare del cielo del deserto, ma è ancora più straordinario di quanto immaginassi. Chi vuole può dormire all’aperto su letti in metallo sistemati fuori dalla tenda per continuare a contemplare il cielo, ma fa freddo ed io mi riparo al coperto.

Il mercato del bestiame
E’ venerdì mattina, giorno del mercato del bestiame a Nizwa, una cittadina situata al nord ai piedi delle montagne più imponenti del paese. Partiamo di buon’ora perché la fiera si conclude alle 11. In due ore circa di strade ampie e veloci arriviamo nella “Perla dell’Islam”, così veniva definita storicamente l’ultraconservatrice Nizwa, sede di faziosi imam fino agli anni Cinquanta e oggi seconda meta turistica dell’Oman.
Quando arriviamo il mercato del bestiame è in pieno svolgimento. Di fatto, però si tratta di un’importante asta. Gli animali sono “parcheggiati” al di fuori di una sorta di pista circolare, dove gli addetti sfilano trascinando un animale legato a una corda. Gli spettatori-acquirenti, situati ai lati, formulano le loro proposte. Terminato il giro, dopo qualche ulteriore contrattazione, l’animale viene assegnato al migliore offerente oppure viene ritirato dall’asta.
La cittadina è famosa anche per il suo forte rotondo del XVII secolo, dal quale si gode una meravigliosa vista sul villaggio attorniato da un immenso palmeto (gli ottimi datteri si possono comprare al souk sottostante), circondato a sua volta da una corona di maestose montagne.

Alla scoperta dei Monti Hajar
Da Nizwa si raggiungono in breve tempo Al-Hamra, uno dei villaggi più antichi del paese famoso per le sue case in mattoni di fango, e Bahla, rinomata per il suo forte elencato nel patrimonio mondiale dell’Unesco e attualmente in via di restauro.
Ci troviamo nel cuore dei Monti Hajar. Da qui si parte per le escursioni più spettacolari alla scoperta di queste montagne dai colori cangianti a seconda delle ore del giorno e così diverse da quelle europee. Una delle gite più gettonate, da effettuarsi in fuoristrada, è quella del Jebel Shams (Montagna del Sole) il monte più alto dell’Oman (3075 metri). “Per apprezzare appieno la sua sinistra bellezza – consiglia la guida Lonely Planet – potete trascorrere una notte sull’orlo del canyon nel nuovissimo Jebel Shams Hotel”. Il giorno seguente, sempre in fuoristrada, da Al-Hamra potete attraversare i monti Hajar passando per il Wadi Bani Awf. Si tratta di una strada spettacolare, che offre scorci suggestivi. Dopo un primo tratto di strada asfaltata in salita, si affronta una lunga discesa lungo una pista attraversando il delizioso villaggio di Hatt e raggiungendo il Wadi Bani Awf. La pista raggiunge la strada asfaltata nei pressi di Ar Rustaq, un’altra incantevole oasi, immersa tra i palmeti e le montagne, con un forte del XVII secolo. Sulla strada per Muskat non mancate di visitare anche la pittoresca cittadina di Nakhal con uno dei più bei forti dell’Oman.

Sulla lunga via dell’incenso ecco le lacrime degli dei
La regione del Dhofar dista mille chilometri da Muscat ed è facilmente raggiungibile in aereo. Dal finestrino osservo l’interminabile deserto roccioso che separa la capitale da Salalah, una città subtropicale che deve molto del suo carattere alle antiche colonie omanite dell’Africa orientale. Nel tragitto in taxi dall’aeroporto all’albergo mi colpiscono le imponenti coltivazioni delle palme di cocco, di banani e di papaia, che in effetti offrono un assaggio di Zanzibar nel cuore del deserto. Prima di raggiungere l’albergo la guida ferma il taxi davanti a una bancarella sui lati della strada che vende noci di cocco. Prima si beve il latte, poi si mangia la parte bianca. La banane sono di piccole dimensioni e gustosissime.
Il tempo per depositare le valige in hotel e via per il suk, dove mi colpisce il mosaico etnico della popolazione. L’influenza del periodo coloniale si fa sentire anche qui: molte persone sono mulatte o di colore. Le donne, contrariamente a Muscat, portano tutte il burka, salvo rare eccezioni. La specialità del locale suk sono l’incenso e i profumi. Già, perché in questa regione si produce da secoli l’incenso più puro al mondo. Il suk non è troppo animato. Eppure mi sembra poco turistico. Mi spiegano che in questa regione da metà giugno a metà settembre i monsoni provenienti dall’India provocano leggerissima pioggerella molto apprezzata dagli abitanti della Penisola Arabica, che si riversano a Salalah per avere un po’ di ristoro in un periodo di caldo torrido. Durante l’estate, mi spiega la guida, in questo souk non si può camminare ed i clienti sono sì turisti, ma arabi del Golfo.
Il mattino seguente visito a Salalah il museo “La terra dell’incenso” e quello marittimo che si trova nella stessa sede. Si tratta di due strutture modernissime e molto didattiche. Il primo racconta la storia della regione, il secondo sottolinea la tradizione marinara dell’Oman.
Ci avviamo verso ovest, cioè in direzione dello Yemen, che dista circa 200 chilometri. Sulla strada incrociamo numerosi cammelli, che spesso ci costringono a rallentare perché invadono la carreggiata: sembra che amino camminare sull’asfalto. Con la scomparsa delle carovane oggi sono allevati soprattutto per le corse ed i più pregiati raggiungono prezzi elevatissimi. Lasciamo la strada principale per addentrarci su una pista che ci porta in una zona dove crescono gli alberi dell’incenso. Crescono praticamente nel deserto, dal nulla. Sono alti un paio di metri ed hanno un aspetto quasi sofferente. L’incenso lo si ottiene incidendo la corteccia con un coltello. Ne esce un liquido bianco che una volta seccato viene staccato. E’ questo il preziosissimo incenso che anticamente valeva quanto l’oro e ha fatto la fortuna di queste popolazioni. Se si pensa che questa sostanza ha accompagnato per secoli i riti della venerazione e della sepoltura, i culti magici e le cerimonie di stato di egizi, babilonesi, persiani, greci e romani, si può ben capire l’importanza che aveva la “Via dell’incenso” che si snodava lungo una rotta di quasi tremila chilometri. Le carovane superavano deserti e altipiani, sfidavano temperature insopportabili, assalti dei predoni per far arrivare “le lacrime degli dei” sulle coste del Mediterraneo, dopo un viaggio di oltre due mesi.
Torniamo sulla strada principale per raggiungere in breve tempo Mughasail, una baia spettacolare con scogliere a picco sul mare, dove le onde hanno scavato delle caverne. La piattaforma rocciosa da cui si osserva lo splendido mare è collegata con queste caverne dai cosiddetti soffioni, una sorta di fori del diametro di mezzo metro. Quando le onde si infrangono fuoriescono con violenza da questi fori in superficie, provocando un suono forte e minaccioso. Tanto più il mare è agitato, tanto maggiore è lo spettacolo. Gli spruzzi sembra raggiungano quattro metri sopra la superficie.
Ritorniamo in direzione di Salalah per un piacevole pic nic al Wadi Dharbat, una valle che durante il monsone si trasforma in un paradiso verde con pozze varie e addirittura una cascata alta 300 metri. La guida mi descrive con grande enfasi questi paesaggi della stagione delle piogge.
Prima di riprendere l’aereo per Muscat c’è ancora il tempo per visitare la tomba di Giobbe, che venne messo alla prova per anni da Dio per verificare la sua religiosità, finché, paziente, poté dimostrare la sua buona fede. Giobbe è considerato profeta anche dalla religione islamica. La sua tomba è situata su una collina, da cui si gode una splendida vista su tutta la regione di Salalah.