Lungo il cammino delle spose

L’itinerario che vi propongo oggi, percorso in aprile con una visita guidata promossa dal­l’associazione del locale museo, ci porta in Val Verzasca. Parte da Sonogno, dove proprio nel museo etnografico potete scoprire le radici di que­sta valle povera, che nei secoli scorsi costringeva molti giovanetti a lasciare la famiglia nel periodo invernale per guadagnarsi la pagnotta come spaz­zacamini.
Il personaggio più noto di Sonogno è certamente Cherubino Patà (1827-1899), il pittore che in giova­ne età emigrò in Francia e lavorò per quel grande maestro, riconosciuto dalla storia dell’arte univer­sale, che fu Gustave Courbet. Dei rapporti tra i due artisti si raccontano molte storie: chi ritiene che Pa­tà dipingesse opere poi firmate da Courbet e chi in­vece considera delle “patasserie” le opere meno riuscite attribuite al grande maestro. La chiesa par­rocchiale di Sonogno, appena restaurata, è affresca­ta da opere giovanili del Patà. A ventun anni, espul­so dalla Lombardia, il pittore tornò al suo paese na­tivo e dipinse una Natività, un’Annunciazione e al­cune figure di santi.
Prima di avviarci verso il fondovalle in direzione della val Redorta, ci soffermiamo ancora davanti a un affresco attribuito al pittore Rotanzi, dipinto sul­la facciata di una casa che appartiene a lontani an­tenati del Patà. Il dipinto, della fine del Settecento, è particolarmente curioso, perché palesemente ispira­to dal Giudizio universale, capolavoro realizzato da Michelangelo nella Cappella Sistina a Roma.
L’itinerario prosegue lungo il lato destro del fiume. Si attraversa uno splendido lariceto, considerato ­come ci spiega il professor Carlo Branca – uno degli alberi più nobili della flora alpina. D’inverno, a dif­ferenza per esempio dell’abete rosso molto presente in valle, perde gli aghi. Questo permette alla neve polverosa di cadere invece di fermarsi sui rami. Non trattenendo la neve i larici non si rovesciano e rag­giungono altezze molto elevate, con tronchi diritti. D’estate inoltre nei lariceti cresce l’erba e questo permette il pascolo.
Risalendo il fiume si giunge alla cascata della Froda. È piacevole ascoltare il frastuono dell’acqua che pre­cipita da un’altezza particolarmente elevata in un ro­mantico laghetto. Poco più avanti nei prati, prima di attraversare il ponticello che porta sulla strada asfal­tata, potete osservare una rarità botanica: il licopo­dio. Si tratta di una piantina che ha origini lontanis­sime: 300 milioni di anni fa erano alberi altissimi, che oggi sono regrediti fino a confondersi nell’erba.
Al termine della strada asfaltata, prima di imbocca­re il sentiero per Püscen Negro, si sale sulla destra per raggiungere in cinque minuti la località Scim i Mott. Su un muretto accanto alle case, Franco Bin­da, grande esperto in materia, ci mostra un masso cuppellare. Si tratta di sassi misteriosi, dove sono stati scavati canaletti e spazi tondi. Sono presenti su molte delle nostre montagne, ma non si sa a cosa servissero. Si sono fatte molte congetture, ma nessu­na è provata scientificamente.
Torniamo sui nostri passi e saliamo verso il monte Püscen Negro. Un cammino famoso perché si rac­conta che anticamente veniva percorso dalle ragaz­ze della Valmaggia che andavano in sposa ai sono­gnesi (e viceversa). In tre quarti d’ora circa si rag­giunge la meta. Interessante notare la trasposizione del nome direttamente dal latino al dialetto: da Pi­cea, che significa abete, deriva Püscen. Negro sta invece per il colore austero della pianta. Questo monte costituiva una tappa di transizione verso il più lontano alpe Redorta, che si raggiungeva in pie­na estate. Al ritorno si percorre lo stesso cammino. È consigliato fermarsi, prima di giungere a Sono­gno, al grotto Efra, dove si possono gustare ottime specialità locali.

Adriano, imperatore e grande viaggiatore

Vi propongo un itinerario sulle orme di uno dei primi viaggiatori della storia: l’impe­ratore Adriano. Un personaggio noto per il suo programma di pace e di benessere, che in­tendeva assicurare a tutto l’impero. Basò la sua politica sulla conoscenza dei popoli: per questo fu un grande viaggiatore. Non tanto, quindi, per il gusto di viaggiare, ma perché rinunciando al lin­guaggio delle armi doveva far sentire quanto più possibile i benefici del suo governo e della sua amministrazione. Per raggiungere questi scopi tro­vò indispensabile visitare e rivisitare le province e i confini, studiandone i bisogni e apportandovi ogni possibile vantaggio. Di questi suoi viaggi, che duravano anni perché l’impero era vastissimo, ci rimane oggi una singolare testimonianza nella Villa Adriana, a pochi chilometri da Roma, dove l’imperatore intendeva trascorrere “come fanno i fortunati doviziosi” gli ultimi anni della sua vita in una “sfarzosa tranquillità”.
La costruzione iniziò nel 126 quando Adriano era reduce dal suo primo viaggio nelle province orien­tali. Nella “Historia Augusta” (Vita Hadriani, 26) l’autore spiega che “per serbare memoria dei luo­ghi e degli edifici che più avevano colpito la sua fantasia d’artista nel corso dei suoi viaggi, l’impe­ratore aveva pensato di far riprodurre nella nuova villa edifici e luoghi celebri di Atene, il canale di Canopo, antico porto del delta del Nilo, la valle di Tempe in Tessaglia e perfino gli Inferi, quali li avevano descritti la fantasia dei poeti”.
Villa Adriana è considerata “il più grandioso complesso monumentale dell’antichità”. Si parla di “complesso” perché comprende i ruderi, che si estendono su un perimetro di circa 5 chilometri, di un palazzo imperiale con terme, biblioteche, teatri ed ampi giardini. Siamo quindi ben lontani dal concetto moderno di villa!
Di molti ruderi oggi non si conosce l’origine, ma il Pecile ispirato ad Atene e il Canopo in ricordo dell’omonima città in Egitto costituiscono due tra i momenti più suggestivi del percorso di visita, as­sieme alle terme e al vero e proprio palazzo impe­riale. Dovrete però ricorrere anche all’immagina­zione per raffigurarvi la grandiosità di quei luo­ghi. Particolarmente toccante il cosiddetto “Tea­tro marittimo”, una sorta di isolotto artificiale cir­condato da un canale. L’accesso era assicurato da ponticelli mobili. Adriano si ritirava qui alla ricer­ca della solitudine e della meditazione. Era un uo­mo di raffinata cultura. I suoi biografi raccontano che era profondamente versato in letteratura e in filosofia, dipingeva e scolpiva, suonava e cantava, scriveva versi latini e greci, amava con particolare trasporto l’architettura. Si interessava persino di geometria e di medicina. Aurelio Vittore ci ricorda però che era eccelso non solo nelle virtù, ma an­che nei vizi.
A pochi chilometri da Villa Adriana, nella regione dei Castelli romani, tanto decantati da Goethe e da Stendhal, si trova un’altra perla dell’architettu­ra italica, nata 1400 anni dopo: la cinquecentesca Villa d’Este, con i suoi sontuosi giardini e le indi­menticabili fontane. Per rimanere in tema pernottate nel romantico Hotel Torre Sant’Angelo, immerso nel verde e ri­cavato da un convento olivetano costruito sulle ro­vine della villa del famoso poeta latino Catullo.

In Val Calnègia tra pietra e cielo

Vi invito a percorrere una valle selvaggia e emozionante come solo i luoghi veri possono essere, la Val Calnègia sopra Foroglio. Incontaminata nel senso bello della parola, dove l’opera dell’uomo c’è ma è discreta, si sposa al paesaggio naturale, rispetta l’essenzialità delle linee e delle forme, non invade, non deturpa.
Ho pensato alla stupenda architettura di Jean Nouvel per la sala della musica di Lucerna, quando ho visto per la prima volta la “Splüia bela” in Val Calnègia. Quel “tetto” di pietra che si allunga a fendere il vuoto sopra il rifugio dell’alpigiano ricorda in bellezza e potenza quell’opera dell’architetto francese. Non è stata la sola sorpresa della gita: come non stupirsi di fronte alla forza del paesaggio di questa valle che si snoda tra dirupi, pietraie e macigni? O di fronte alla testimonianza viva delle fatiche dei contadini valmaggesi che d’estate trasferivano famiglia e bestie in Bavona e poi su, negli alpi, a contendere l’erba al cielo? Le cascine e le stalle sono perlopiù minuscole, i prati rubati al bosco. Ogni anfratto, ogni macigno veniva sfruttato come riparo per gli uomini e per le bestie. Sono i luoghi di Plinio Martini e del suo “Fondo del sacco”. Dello scrittore conservo un ricordo vivo, quello dell’ultima intervista che gli feci – era il 1977 – quando lavoravo per la Radio della Svizzera italiana. Già toccato dalla malattia, era in procinto di partire per Zurigo per curarsi, ma disponibile come sempre a parlare di letteratura, di politica, di religione.
Per raggiungere la Val Calnègia, meta ideale per una camminata di fine estate, si percorre la Vallemaggia fino a Foroglio, conosciuto per la magnifica cascata (e dai buongustai per l’ottima cucina di Martino Giovanettina e della sua famiglia al grotto Froda). Il sentiero segnalato porta in meno di mezz’ora di salita all’entrata della valle, proprio sopra la cascata. È l’unica fatica, perché poi il sentiero scorre abbastanza pianeggiante. Il primo maggengo, Puntid, è idilliaco, con le piccole case in pietra, prati verdissimi, lo scorrere del fiume che forma invitanti pozzi. Da qui si può raggiungere il rifugio sottoroccia di cui si parlava, quella “splüia” tanto grande da dare ospitalità a uomini e bestie, e c’era pure posto per conservare alimenti, utensili, legna. Tornati a Puntid si attraversa il fiume su un romantico ponticello e si continua il percorso tra impressionanti pareti rocciose. Un altro bel maggengo si raggiunge mediante una deviazione di pochi minuti: si chiama Gerra, ghiaia, e anche qui l’uomo conviveva con la pietra, sfruttando ogni possibilità, modificando quando poteva, adattandosi dove non era possibile fare altro. Tornati sul sentiero principale, si giunge in breve a Calnègia, ultimo nucleo prima della ripidissima salita verso gli alpi, un’escursione, questa, riservata ad escursionisti esperti. Per chi volesse informazioni supplementari segnalo il prospetto che fa parte della serie “Sentieri di pietra”, da chiedere a Vallemaggia Turismo tel. 091/753 18 85.

Paesi baltici – Le ‘metropoli’, le spiagge famose e i villaggi dell’altra Europa

Perché mai scegliere le Repubbliche baltiche come meta per le proprie vacanze? Perché Lituania, Lettonia ed Estonia sono interessanti sia politicamente, sia turisticamente. Le tre capitali, Vilnius, Riga e Tallinn sono di grande interesse storicoartistico, ma il viaggio offre anche affascinanti paesaggi marini (in particolare la penisola di Neringa in Lituania) e lunghi tratti di strada in campagna, dove si possono visitare graziosi villaggi e sontuose residenze nobiliari. Noi abbiamo viaggiato in automobile. L’abbiamo noleggiata a Vilnius, dove siamo giunti in aereo. Abbiamo attraversato le tre Repubbliche e siamo rientrati in aereo da Tallinn, dove abbiamo consegnato la vettura all’aeroporto. Le strade sono molto belle, anche perché la collina più alta sarà di 100 metri, e ben segnalate, salvo in Lituania. Di alberghi e ristoranti ce ne sono per tutte le tasche e per tutti i gusti. Esistono tre guide in italiano sui paesi baltici, quella del Touring, la Lonely Planet e la Rough Guides, ma hanno tutte il difetto di essere poco selettive. Per questa ragione mi permetto di suggerire un itinerario che tralascia certe destinazioni consigliate dalle guide. Naturalmente un viaggio di questo genere non seleziona solo mete affascinanti, ma prevede la scoperta di questi paesi con campagne molto povere e di scarso rilievo turistico. Il criterio del bello nel viaggio è spesso riduttivo, perché preclude esperienze interessanti in luoghi magari non incantevoli. Descrivendo l’itinerario cercherò di segnalare le scelte in base ai due criteri: quello del bello per i turisti e quello dell’interessante per i viaggiatori. Potrà forse essere d’aiuto a chi è interessato a queste destinazioni. Calcolate, comunque, almeno una decina di giorni per visitare i tre Paesi.

Le città
Se la lettone Riga è la metropoli dei Baltici e l’estone Tallinn ha un porto cruciale per le rotte tra Occidente e Oriente, la lituana Vilnius è situata al centro geografico d’Europa e in quanto tale è crocevia di lingue e culture diverse.

Vilnius e Kaunas in Lituania
Nonostante abbia oltre mezzo milione di abitanti Vilnius ha un centro storico molto tranquillo con case a due piani allenate su viuzze strette e romantiche. Spuntano gru ovunque, come a Praga una quindicina di anni fa. La gente crede nel futuro e sembra avere voglia di ricominciare, nonostante la storia non sia stata tenera con questa città, considerata la Gerusalemme europea prima che Hitler sterminasse la comunità ebraica (oltre 200 mila persone). Delle 96 sinagoghe costruite nel corso dei secoli ne rimane una soltanto. Tutte le altre sono state distrutte. Anche l’affascinante impronta barocca ha tristi radici storiche. Gli edifici costruiti nelle epoche precedenti sono infatti andati distrutti nel corso di sanguinose guerre e da un terribile incendio all’inizio del ‘600. Ma nel corso del XVII secolo una regina italiana, Bona Sforza, diede un nuovo impulso alle arti invitando architetti e pittori dall’Italia, che conferirono alla città un carattere barocco a noi familiare. Purtroppo le pene inferte dalla storia a questa città sono proseguite anche nel periodo sovietico. Lo testimonia un imponente edificio, che sorge lungo una delle vie più eleganti della città (Viale Gedimino), sede del famigerato KGB sovietico. Nelle pietre sulla base del palazzo sono incisi i nomi dei giovani prigionieri politici, quasi tutti ventenni o poco più, eliminati in nome della rivoluzione sovietica.
A 100 chilometri da Vilnius sorge un’altra fiera città lituana: Kaunas, che nel ‘900 in tristi circostanze fu capitale provvisoria del paese. Oggi conta 400mila abitanti e rappresenta il volto autentico di una Lituania periferica rispetto ai paesi dell’Europa occidentale, ma piena di dignità, determinazione e compostezza. Il suo municipio, chiamato affettuosamente “cigno bianco” per il colore e la slanciata torre della facciata, è l’emblema del grazioso e piccolo centro storico di impronta medievale, che ospita anche un’imponente cattedrale gotica.

Riga, metropoli europea
La lettone Riga è un’importante metropoli dell’Europa settentrionale ed è certamente la più occidentale delle tre capitali baltiche. Ha un piccolo centro storico denso di atmosfera soprattutto la notte, ma è bella anche fuori dalla città vecchia. Tutti i principali stili architettonici hanno lasciato splendide testimonianze: dall’arte medievale allo Jugendstil, quest’ultimo tra i più affascinanti e i meno conosciuti d’Europa. L’edificio più rappresentativo del centro storico è certamente il duomo, che si affaccia sull’omonima suggestiva piazza. Propone tutti gli stili possibili acquisiti nel corso dei secoli ed è famoso per il suo straordinario organo con quasi 7 mila canne: uno dei più potenti al mondo. Splendidi di notte, i due palazzi trecenteschi della Confraternita delle Teste Nere deludono di giorno, perché rivelano di essere un falso storico: distrutti nel corso dell’ultima guerra sono infatti stati completamente ricostruiti. A nord est del centro si estende un quartiere ottocentesco con ampi viali ricavati dall’abbattimento delle mura, com’è avvenuto a Vienna, a Barcellona e in altre importanti capitali europee. Anche Riga ha il suo Gaudì: si chiama Eisenstein ed è il padre del celebre regista cinematografico della “Corazzata Potiemkin”. I suoi palazzi in stile Liberty colpiscono per la creatività e la fantasia. I restauri della maggior parte di questi edifici sono già ultimati, altri sono in corso. Ammirando queste opere d’arte rimanete incantati, stupiti. Ma anche le altre numerose costruzioni in stile Liberty presenti nella Riga d’inizio ‘900 sono affascinanti.
A Riga potete visitare anche uno dei mercati più grandi e più antichi d’Europa. Risale alla fondazione della città nel XIII secolo. Oggi è ospitato in cinque enormi hangar di Zeppelin vicino alla stazione ferroviaria. Ogni capannone offre un genere alimentare.

Tartu e Tallinn, le perle estoni
Prima di giungere a Tallinn, certamente la più affascinante delle tre capitali baltiche, il nostro itinerario prevede una breve sosta a Tartu, una cittadina universitaria estone che lascia bene intuire l’incredibile atmosfera che ci attende nella capitale. Il centro storico di Tartu è piccolissimo: si riduce a una piazza e a poche vie che portano all’ottocentesca università e alle rovine della cattedrale in collina. L’elegante municipio in stile barocco olandese si affaccia sull’omonima piazza, sulla quale si allineano eleganti edifici in stile neoclassico pietroburghese.
Ed eccoci a Tallin. “Case alte e strette dai frontoni appuntiti o a gradoni o terminanti in armoniose volute si allineano su vie anguste, alle quali chiese monumentali e improvvise piazzette danno spesso respiro; mura intervallate da torri dalla caratteristica copertura, miracolosamente intatte, cingono una piccola città piena di fascino che si stenta a considerare reale”. Questa azzeccata descrizione proposta dalla guida del Touring rende bene l’idea di questa città dove non ci si stanca mai di passeggiare, soprattutto la notte, perché si ha la sensazione di tuffarsi in un’altra epoca.
Anche a livello di opere d’arte l’offerta è interessante e ci ricorda l’importante passato storico di questa città anseatica. Di notevole fattura una pala d’altare di un artista di Lubecca, capitale della Lega Anseatica, e la quattrocentesca “Danza macabra”di Bernt Notke, che ci ricorda come umili e potenti siano tutti uguali di fronte alla morte. L’imponente cattedrale ortodossa, costruita dai russi alla fine dell’Ottocento sulla romantica collina all’interno della città vecchia, da cui si gode una splendida vista, è considerata dagli abitanti di Tallin come una prevaricazione zarista. Tanto che ancora fino a qualche anno fa si parlava di demolirla. E’ un segno dei difficili rapporti con i russi, che per secoli dominarono questa città. La nostra guida ci ha portati con orgoglio a visitare anche lo “Stadio della canzone di Tallinn”, dove nel 1990 trecentomila persone si incontrarono per chiedere pacificamente l’indipendenza cantando melodie della tradizione estone.

Le dune del Sahara lituano amate da Thomas Mann
Sull’aereo che ci porta da Milano a Vilnius quattro giovani comunicano a tutti in modo particolarmente rumoroso che si recano in Lituania per le vacanze di mare e soprattutto alla ricerca di ragazze. In effetti nei tre paesi baltici si vedono splendide gambe molto allungate. Non so quale esito abbiano avuto le aspirazioni dei nostri compagni di viaggio, ma un fatto è certo: l’estate scorsa il tempo era migliore lassù che in Italia. Tutto il periodo del nostro soggiorno, nella seconda metà di agosto, quando il sole riscaldava il termometro toccava i 30 gradi.
Palanga è la località di mare più gettonata, con numerosi locali notturni. È una sorta di Rimini del nord, con ampi viali alberati.
Ma non è naturalmente questo il mare di cui intendo parlare, né quello di Jurmala vicino a Riga, considerata la Costa Azzurra lettone, bensì quello dell’aristocratica penisola di Neringa in Lituania, una delle mete più spettacolari del nostro itinerario, oggi parco nazionale. “Neringa è così sensazionale che bisogna vederla, come l’Italia o la Spagna, se all’anima si vogliono offrire immagini meravigliose”. Così si esprimeva Wilhelm Von Humboldt nel 1901. Thomas Mann, quando visitò la penisola per la prima volta nel 1929, ne rimase talmente affascinato che decise di costruirsi una villetta di vacanza a Nida, con una splendida vista sul mare e sulle dune. La sua casa oggi ospita un piccolo museo. Il noto filosofo francese Jean Paul Sartre negli anni Sessanta chiese un permesso speciale al leader sovietico Khruscev, che gli venne accordato, per trascorrere alcuni giorni sulle dune con la sua compagna Simone De Beauvoir.
Secondo una leggenda lituana la penisola fu creata dalla materna gigantessa del mare Neringa con diverse bracciate di sabbia portate amorevolmente nel suo grembiule per formare un porto protetto per i pescatori locali. Di fatto la penisola si formò 5 o 6 mila anni fa quando le onde e i venti del Mar Baltico fecero accumulare la sabbia nelle acque poco profonde vicino alla costa. La penisola, una lingua di terra larga non più di 4 chilometri, è una striscia ondulata su cui si innalzano imponenti dune di sabbia, alte fino a 50 metri, alcune delle quali talmente spoglie da avere un aspetto totalmente sahariano, altre invece ricoperte da un fitto tappeto di pini verde scuro, affusolate betulle argentee e sottili tigli affamati di terra. Sul bordo orientale della penisola si trovano alcuni villaggi sparsi che, da sempre,vivono del pesce presente nelle ricche acque della “laguna”. Le case in legno sono tipiche del nord, dipinte con delicati colori pastello. La costa occidentale è invece una lunga e sottile striscia di sabbia punteggiata di spiagge. Con il massiccio disboscamento effettuato nel XVI secolo per ricavare legname, le sabbie della costa sono rimaste in balia dei forti venti e hanno cominciato a spostarsi avanzando alla velocità di circa 20 metri all’anno: dal XVI al XIX secolo hanno inghiottito ben 14 villaggi. Oggi le sabbie scivolano a un ritmo ancora più intenso: la preziosa bellezza di questo luogo rischia così di andare perduta per sempre.
Le dune più suggestive le trovate a sud del villaggio di Nida, nei pressi della Valle della morte. Qui il paesaggio assomiglia talmente a quello sahariano che i tedeschi costruirono alla fine dell’Ottocento un campo di concentramento (da qui la denominazione) per i soldati francesi, nell’intento di vendicare i soldati del Kaiser detenuti dai francesi nel deserto del Sahara. Un’altra passeggiata indimenticabile la potrete effettuare a partire dal parcheggio situato un paio di chilometri a nord del villaggio di Pervalka. Si cammina per circa mezz’ora in una valle tra alte dune di sabbia per raggiungere una collinetta sulla sponda orientale, dalla quale si ammirano le due sponde del mare. Con il bel tempo i tramonti sono particolarmente romantici e spettacolari.

I massi erratici del parco nazionale
L’itinerario proposto nei paesi baltici, che dura appena dieci giorni, prevede la visita di un altro parco nazionale in Estonia: Lahemaa, che si trova una cinquantina di chilometri ad est di Tallinn, sulla strada per San Pietroburgo. Non ha certo la spettacolarità di Neringa, ma è interessante per vedere un mare tipico del nord, dove gli alberi arrivano a pochissimi metri dall’acqua in un paesaggio, per la verità, piuttosto monotono. Nel parco è possibile compiere numerose passeggiate scandite dalla presenza di enormi massi erratici, che non si capisce da dove vengano, visto che attorno non ci sono né rocce, né montagne. Due brevi passeggiate sono consigliate: una che parte dal villaggio di Altja verso la spiaggia, dove si trovano ancora alcune antiche case in legno di pescatori (30 minuti andata e ritorno) e una da Käsmu verso la punta dell’omonima penisola, dove si ammirano alcuni massi erraticifiniti nel mare.

Tra le antiche case in legno dei contadini
Le strade nei tre paesi baltici sono diritte, tagliate in mezzo alle foreste o alla campagna. Le tre nazioni sono scarsamente abitate. La densità demografica è tra le più basse d’Europa con circa 40 abitanti per chilometro quadrato, contro i 190 dell’Italia. La stragrande maggioranza della popolazione vive nelle città. Il paesaggio è piatto e monotono. Le antiche case dei contadini in legno non hanno sopravissuto alle insidie del tempo e si possono vedere quasi esclusivamente nei parchi etnografici di Riga e di Tallinn, dove sono stati trasportati antichi edifici in legno dalle varie regioni e ricostruiti, proprio come abbiamo fatto noi svizzeri al Ballenberg. Anche nei rari villaggi le case in legno non hanno resistito alle intemperie dei freddi inverni nel corso dei secoli. Le guide turistiche sono molto generose di lusinghieri aggettivi quando descrivono i villaggi di campagna, ma spesso francamente a sproposito. Gli unici che meritanodi essere visitati sono Kuldiga e Cesis in Lettonia.

Villaggi rurali di altri tempi
Le viuzze e le raccolte piazze di Kuldiga sono gli scenari prediletti dai cineasti lettoni per i film di soggetto storico. La cosiddetta “città d’oro” adagiata sulle rive del Venta 150 chilometri a ovest di Riga, ha un passato glorioso: fece parte della Lega anseatica, grazie al suo fiume navigabile. La grande guerra del nord all’inizio del ‘700 ne interruppe lo sviluppo. Preservato dall’industrializzazione il villaggio si è conservato quasi intatto fino ad oggi con le sue costruzioni in legno tipiche dei paesi del nord: la più antica risale alla fine del XVII secolo. In un’atmosfera romantica propone uno spaccato di vita rurale di altri tempi. Sulla strada tra Riga e Tallinn vale la pena di fare una breve sosta per visitare un altro interessante borgo di campagna: Cesis, meno affascinante del precedente, ma anch’esso con un passato importante di membro della Lega anseatica.

I nobili vivevano in sontuosi palazzi
Se rare sono le testimonianze della vita contadina, lo stesso non si può dire per le residenze dei nobili e dei possidenti terrieri situate lontano dalle città. Un’interessante gita di una giornata con partenza da Riga permette di scoprire opere sontuose di architetti e artisti italiani che avevano operato a San Pietroburgo. Le più straordinarie sono certamente i palazzi di Rundale e di Jelgava progettati da Francesco Bartolomeo Rastrelli, autore del famosissimo Palazzo d’inverno a San Pietroburgo. L’ar­chitetto portò con sé le maestranze che già avevano rea­lizzato nella capitale russa le sue grandi opere. Da San Pietroburgo giunsero un migliaio di operai, stuccatori, decoratori e arredatori. A dipingere le pareti e i soffitti furono chiamati Francesco Martini e Carlo Zucchi, gli stucchi furono affidati al berlinese Johann Michael Graff. Il risultato è di un’intensità eccezionale e costitui­sce uno dei migliori esempi di barocco in Lettonia con all’interno anche elementi rococò. La visita degli interni stupisce per l’estrosità e la creatività, ma anche per il grande rigore architettonico. Il parco disegnato dallo stesso Rastrelli andò distrutto ed oggi lo si sta ricostruen­do in base ai progetti originali. Ancora più imponente del palazzo di Rundale è quello di Jelgava, che nei sot­terranei ospita la cappella funeraria con 21 sarcofaghi dei duchi di Curlandia. I due palazzi sono legati alla fi­gura di uno di questi duchi (von Bühren) e alle sue vi­cende sentimentali con la zarina Anna Ioannovna nipote di Pietro il Grande. Quando Anna morì e le succedette Elisabetta il duca venne mandato in Siberia. I lavori di costruzione nei due palazzi vennero sospesi per oltre vent’anni, fino a quando sul trono salì Caterina la Gran­de e von Bühren poté tornare dalla Siberia.
A pochi chilometri di distanza, una sobria risposta allo sfarzo di questi due palazzi è certamente proposto dalla residenza estiva neoclassica della principessa Charlotte von Lieven, progettata da un altro grande architetto dell’epoca: Giacomo Quarenghi. Il palazzo le fu dona­to nel 1795 da Caterina la Grande come riconoscimen­to per i servigi resi in qualità di governante dell’impe­riale progenie. Gli interni, dalle sfumature pastello ocra, rosa e acqua del Nilo comunicano un senso di eleganza. La sala della cupola, con i suoi straordinari effetti luminosi, si dice sia stata progettata sul modello del Panteon di Roma. Il giardino all’inglese, con il pra­to e le piante sullo sfondo, mette in risalto la qualità ar­chitettonica di questa villa oggi adibita ad albergo, do­ve vi consiglio di fermarvi per una notte se ne avete la possibilità.
Un’altra incantevole opera risalente all’epoca zarista è il palazzo che lo zar Pietro il Grande fece costruire al­l’inizio del ‘700 per la moglie Caterina. L’elegante co­struzione barocca, poco distante dal centro di Tallin, af­fascina per il contrasto tra il rosso delle pareti e il bian­co degli stucchi delle finestre e delle balaustre. Fu pro­gettato dall’architetto italiano Niccolò Michetti. Poco distante si nota la semplice casetta in legno abitata dal­lo zar all’epoca della costruzione del palazzo.
A una cinquantina di chilometri da Tallin, immersa nel­la campagna, è interessante visitare la lussuosa residen­za di una famiglia di proprietari terrieri, i von Pahlen, appena restaurata. La sontuosa tenuta, provvista di un laghetto con la relativa casa per i bagnanti, uccelliere, scuderie, giardino d’inverno eccetera, contrasta con le case in legno dei contadini che non hanno resistito alle intemperie, ma che si possono vedere nel parco etno­graficodi Tallin.

L’itinerario

1° giorno
Lugano-Vilnius

2° giorno
Visita di Vilnius

3° giorno
Vilnius-Kaunas (100 km)
Kaunas-Klaipedia (200 km)
Klaipedia-Neringa (40 km)
Neringa-Klaipedia (40 km)

4° giorno
Klaipedia-Palanga (27 km)
Palanga-Liepaja (74 km)
Kuldiga-Talsi (53 km)
Talsi-Riga (110 km)

5° giorno
Gita a Riga-Bauska-Pilsrundave-Mezotne-Tervete-Zalenieki-Dobele-Jelgava-Riga

6° giorno
Visita di Riga

7° giorno
Riga-Cesis (85 km)
Cesis-Valmiera (43 km)
Valmiera-Tartu (135 km)
Tartu-Paide (100 km)
Paide-Tallinn (86 km)

8° giorno
Visita di Tallinn

9° giorno
Parco Nazionale Lahema (200 km)

10° giorno
Tallinn-Lugano

Una gita romantica alle Isole Borromee

Il lago Maggiore risplendeva in mezzo ai monti color azzurro cupo, e sull’acqua posavano deliziose isolette, ma il cielo non era chiaro, anzi era nascosto dalla foschia come in Danimarca. Solo verso sera il vento la portò via, e l’aria tremolò trasparente e pura nel cielo che sembrava profondo tre volte quello di Danimarca. Lungo la strada pendevano tralci d’uva, come per una festa; più bella di così non ho mai visto l’Italia”. Così descrisse le isole Borromee sul lago Maggiore Hans Christian Andersen, che vi trascorse “alcune giornate di sole e notti di luna nell’isola Bella”, come fa notare in un suo scritto Raffaele Fattalini, attento studioso del lago. E in effetti la prestigiosa guida Michelin verde, che per me rimane sempre la migliore, attribuisce alle Isole Borromee tre stelle, cioè il massimo punteggio come ai luoghi più prestigiosi d’Italia. Questo splendido angolo di lago entusiasmò anche Richard Wagner, che scrisse: “La visita delle isole mi incantò talmente, che non potevo nemmeno rendermi conto come fossi arrivato a tanta delizia e che cosa adessso ne dovessi fare”.
Bisogna dedicare una giornata a questa gita. Le isole si raggiungono in battello da vari approdi del lago Maggiore, ma in particolare da Stresa, dove un servizio di barche private garantisce continuamente il collegamento con le isole e tra un’isola e l’altra. Le tre isolette sono molto differenti tra loro. La più clebrata delle tre è l’isola Bella, famosa per il barocco nell’architettura, nelle sculture e nell’arte del giardinaggio. Abitata da pescatori venne acquistata e trasformata nel 1632 in “luogo di delizie” per volontà del conte Carlo III Borromeo, come omaggio alla moglie Isabella d’Adda (da qui il nome). Nel compatto palazzo a quattro piani si tenne, dieci anni dopo Locarno, la “Conferenza di Stresa” con Laval, Mac Donald e Mussolini, che sulla base della collaborazione italo-franco-britannica avrebbe dovuto garantire la pace europea. Il giardino del palazzo, articolato su dieci terrazze a forma di piramide tronca, è considerato uno dei capolavori dell’arte dei giardini all’italiana di epoca barocca. Le vedute sul lago e sulle sponde sono magnifiche. Splendido anche il giardino botanico dell’Isola Madre, ricco di piante rare e fiori esotici. Attorno al settecentesco palazzo si aggirano pavoni, fagiani e pappagalli in libertà. “E’ il luogo più voluttuoso che abbia mai visto”, osservò Gustave Flaubert. “La natura vi affascina con mille sensazioni strane e ci si sente in uno stato sensuale e delizioso”.
La più pittoresca delle tre isolette è certamente quella dei Pescatori con le sue caratteristiche vie strette e tortuose, che danno al villaggio un simpatico carattere di disordine edilizio. Ospita anche un romantico alberghetto (il ristorante propone piatti legati al territorio), il “Verbano”, dove potrete trascorere la notte e gustare l’isola la sera, dopo che tutti i turisti se ne saranno andati. E’ un’esperienza davvero indimenticabile.

Il fascino discreto del Lago d’Orta

Le muse stanno appollaiate / sulla balaustra / appena un filo di brezza sull’acqua / c’è qualche albero illustre / la magnolia il cipresso l’ippocastano…” Sono i versi di una lirica di Eugenio Montale intitolata “Sul lago d’Orta”. Anche lui, come molti altri letterati, rimase ammaliato dal fascino misterioso che rapisce chi si affaccia su questo lago, meta dell’itinerario di oggi, che si può effettuare in una giornata, ma meglio in due, con pernottamento a Orta San Giulio. Per giungervi si percorre la sponda piemontese del Lago Maggiore fino a Fondo Toce. Arrivati a Verbania vale la pena di fare una piccola deviazione di pochi chilometri per visitare il romantico villaggio di Mergozzo, che si affaccia su un minuscolo lago omonimo. Pochi chilometri più avanti possiamo vedere le cave di Candoglia, dalle quali è stato estratto il marmo rosa donato, nel 1390, da Gian Galeazzo Visconti alla Fabbrica del Duomo di Milano.
Un delizioso piccolo lago ai piedi del Monte Rosa, un’isola adagiata in acque calme, civettuola e semplice, naturale eppure adorna, solitaria e ben accompagnata: eleganti boschetti, statue d’un bell’effetto. Intorno, rive allo stesso tempo silvestri e coltivate: il grandioso e i suoi tumulti al di fuori, dentro le proporzioni umane”. Ci appaiono così, come descritte da Honoré de Balzac, le quiete rive del lago d’Orta.
Per visitare Orta San Giulio bisogna contare una mezza giornata abbondante, ma è piacevole trattenersi anche più a lungo. È un incantevole villaggio formato da un dedalo di stradine, che dalla collina scendono al lago. Le pittoresche piazzette, le case in pietra, gli eleganti palazzi barocchi, valorizzati dall’assoluta assenza di traffico motorizzato, non mancano di affascinarci. Mentre beviamo un aperitivo nella piazza principale Mario Motta, dove ogni mercoledì si tiene un animato mercato, davanti a noi si erge il piccolo e grazioso palazzo della Comunità, costruito nel 1582. Dall’approdo raggiungiamo, in cinque minuti di motoscafo, l’isola di San Giulio, considerata il gioiello più prezioso. Secondo la leggenda fu fondata nel 390 da San Giulio, di cui si conservano le spoglie, che l’avrebbe liberata dai serpenti fondandovi una chiesa. A forma ellittica, è molto piccola (lunga 275 metri e larga140) e interamente occupata dalla bella basilica romanica, dall’ex seminario, ora convento, e dalle discrete ville con i loro giardini. Se la si visita all’infuori degli orari di punta, affascina per l’intimità e il mistico silenzio.
Torniamo al villaggio e dalla piazza saliamo verso la scenografica chiesa settecentesca di S. Maria Assunta. Lungo via Corinna Caire Albertoletti si allinea una suggestiva serie di antichi edifici. Proseguiamo la salita che ci porta in pochi minuti al Sacro Monte. Si tratta di un luogo idilliaco, che domina il borgo e il lago dall’altezza di 400 metri. In un bosco di pini e faggi con piante secolari ventuno cappelle, sapientemente distribuite a spirale sulla collina, raccontano la vita di San Francesco, con statue in cotto dipinto e affreschi. Il luogo, con splendidi panorami sul lago, ispira pace e meditazione, soprattutto in autunno.
Se decidete di fermarvi per una notte vi consiglio di trascorrerla all’albergo San Rocco (tel. 00390322 911977), situato in riva al lago con una splendida vista sull’isola di San Giulio, e di cenare al Villa Crespi (tel. 00390322 911902): due stelle della prestigiosa guida Michelin.

Turchia – Ai confini dell’Europa tra luoghi della Bibbia e popoli in fuga

Questo itinerario, che si articola nel centro e nel sud-est della Turchia, presenta due centri di interesse particolare: la suggestiva montagna di Nemrut, simbolo della Turchia orientale, con le sue enigmatiche statue giganti risalenti a duemila anni fa e la Cappadocia con i suoi spettacolari paesaggi unici al mondo. Non presenta solo questo, ma anche le città bibliche (Harran e Sanliurfa) in cui visse Abramo, la capitale dei curdi Diyarbakir, la città di Konya, dove nel 1200, Mevlâna Gialâl Ud-Din Rûmi fondò l’ordine monastico dei Mevlevi, conosciuti in Occidente come Dervisci danzanti.

Il nostro viaggio inizia da Sanliurfa. La città è costituita da antiche case in calcare, costruite una a ridosso dell’altra per proteggere nella stagione calda i passanti dal sole cocente. Ne nasce un dedalo di viuzze particolarmente affascinanti nei pressi dell’animato bazar, che occupa buona parte del centro storico. Dalla fortezza (Kale), da cui si gode una splendida vista sulla tranquilla città, secondo la leggenda, precipitò Abramo, nativo di Urfa. Per la religione islamica Abramo è infatti un grande profeta. Secondo la leggenda distrusse alcune divinità pagane nell’antica Urfa provocando l’ira di Nimrod, il re assiro locale, il quale ordinò che fosse immolato su una pira funeraria. Dio però intervenne e trasformò il fuoco in acqua e i carboni ardenti in pesci. Abramo precipitò nel vuoto dalla collina su cui sorge la fortezza e fu accolto sano e salvo su un letto di rose. In quel luogo sacro si trovano un magnifico roseto e due vasche rettangolari “abitate” da carpe satolle e intoccabili. Attorno alcuni edifici religiosi.
La città è davvero accogliente. I suoi abitanti sono ospitali e cercano il dialogo. Ci si sente a proprio agio nello splendido e curatissimo giardino situato sotto la fortezza. Per chi ama i bazar arabi sarà poi piacevolissimo perdersi per le pacifiche viuzze di questo immenso mercato voluto da Solimano il magnifico nel Cinquecento.
A una trentina di chilometri da Sanliurfa, poco distante dal confine con la Siria, si trova Harran, la città di Abramo. Ciò che maggiormente affascina sono le cosiddette case ad alveare, il cui modello risale al III secolo a.C. Si tratta di una sorta di trulli in terra e paglia, dove la gente viveva fino a pochi anni fa. Oggi fungono da ripostigli o da bar e negozi per i turisti.
Gli abitanti si sono trasferiti in anonime, ma più comode abitazioni moderne. Particolarmente suggestive sono le rovine della fortezza (Kale), costruita sul culmine di una collina e della moschea (Ulucami) dell’VIII secolo.

Nella Turchia dei Curdi
La seconda giornata del nostro itinerario è piuttosto impegnativa. Se ne avete la possibilità sarebbe meglio suddividerla in due tappe, fermandosi a Diyarbakir per la notte. Si parte il mattino presto per Mardin (175 km). Questa antica città, sovrastata da un castello, domina le vaste pianure assolate della Mesopotamia, che si estendono fino alla Siria. Le sue vie fiancheggiate da
case in pietra dal colore del miele, che digradano lungo il fianco della collina, come fa notare la guida Lonely Planet, ricordano vagamente gli antichi quartieri della città di Gerusalemme. La parte antica della città si estende su una lunghezza di circa 1 km. Una delle attrattive principali di Mardin è costituita dall’ampio e disordinato bazar, che purtroppo però di domenica, quando noi siamo arrivati, è chiuso. Interessante la visita delle moschee, delle scuole coraniche e dell’ufficio
postale ricavato da un caravanserraglio. Si prosegue per Diyarbakir, costruita sulle sponde del fiume Tigri, che dista circa 100 chilometri. Con le sue mura in basalto offre un’atmosfera tipicamente orientale. La città è nota in Turchia soprattutto per
essere stata il centro del movimento di resistenza curdo, attivo soprattutto tra il 1980 e il 1990, ma recentemente di nuovo rivendicativo. La città nel corso degli ultimi decenni si è sviluppata a dismisura diventando una metropoli popolata da diverse etnie e tribù.
La principale attrattiva di Dyarbakir è costituita dalla sua grande muraglia in basalto, eretta probabilmente in epoca romana. Le mura oggi visibili, lunghe quasi 6 chilometri, risalgono però all’inizio dell’era bizantina (330 – 500 d.C) e sono straordinarie, sia viste dal basso, sia ammirate dall’alto dei bastioni. Si dice siano seconde solo alla Grande Muraglia cinese. Il massiccio
perimetro murario di basalto nero è intervallato da numerosi bastioni. L’atmosfera che si respira qui è ben diversa da quella
della tranquilla Sanliurfa. Nel breve tempo di una visita abbiamo assistito a vari episodi di violenza, che riguardavano però gli abitanti del luogo, non i turisti. Due giovani si sono presi a sassate, un adulto – forse derubato – ha estratto una rivoltella per minacciare un ragazzo, alcuni bimbi a cui abbiamo dato delle monete, si sono azzuffati per appropriarsene. Purtroppo, essendo domenica, anche qui il bazar era chiuso, ma le guide assicurano che passeggiandovi “si captano immagini, suoni, fragranze e corpi in movimento, che sembrano preludere all’universo brulicante del continente asiatico”.
Si prosegue quindi per Katha (170 km). La strada indicata su molte carte geografiche ancora in circolazione non esiste più. È stata inondata dopo la costruzione della diga Hataturk, che ha permesso di irrigare vastissime zone della pianura mesopotamica. Si deve quindi attraversare in traghetto (che parte circa ogni ora) il fiume Eufrate per raggiungere la sponda opposta e proseguire per Katha.

Alba indimenticabile sul Monte Nemrut
Durante la notte si sale con piccoli autobus e poi a piedi sul Monte Nemrut, per assistere all’alba, con il sole nascente che illumina le imponenti statue di pietra. Si tratta di uno dei momenti più suggestivi del viaggio. Questo luogo costituisce la principale attrattiva della Turchia orientale. Le enigmatiche statue che campeggiano sulla cima del monte sono diventate un simbolo di questo paese. Lo straordinario paesaggio circostante, i reperti storici e l’innegabile aura di misticismo che
aleggia sul sito fanno di questo parco archeologico un luogo imperdibile. Con il piccolo bus, in un’ora circa, si arriva a 600 metri dalla vetta, che si raggiunge poi in 20 minuti a piedi. “La cima – spiega la guida Lonely Planet – assunse la sua forma attuale quando un re megalomane dell’età pre romana commissionò la costruzione di due ampie terrazze artificiali e vi fece costruire diverse statue monumentali che lo raffiguravano insieme alle divinità (sue ‘parenti’) ed in mezzo un tumulo di massi di roccia alti 50 metri. È ipotizzabile che sotto queste tonnellate di pietra si trovino le tombe del re e di tre membri femminili della sua famiglia, ma nessuno può dirlo con certezza. I terremoti hanno decapitato gran parte delle statue e oggi molti di questi busti colossali siedono davanti alle loro teste, alte 2 metri, che si trovano in basso”. Si tratta di un’esperienza davvero emozionante. Quando arrivate sulla cima è ancora notte e vi trovate di fronte massi di pietra assolutamente insignificanti. Man mano che passano i minuti quelle pietre si animano. Emergono dal buio della notte per presentarsi con tutto il loro fascino assorbendo i colori dell’alba.
Terminato questo spettacolo si scende per riprendere la strada verso Katha. Ma le sorprese non sono finite. Dopo pochi chilometri si visita Eski Kale (Arsamela). Un sentiero porta ad alcune stele, di cui una perfettamente conservata raffigurante Mitra (o Apollo), dio del sole, con un copricapo dal quale si irradiano i raggi. Raggiunta la cima piatta della collina, da cui si gode una magnifica vista, si scorgono i resti delle fondamenta della capitale di Mitridate. Proseguendo in direzione di Katha a Yeni Kale si ammirano da lontano le rovine di un misterioso castello dei mamelucchi del XII secolo, costruito sulla cresta di una roccia con la quale si è perfettamente mimetizzato. Dopo pochi chilometri la strada attraversa il fiume Cendere su un moderno ponte. Sulla sinistra si ammira invece un imponente ponte romano a schiena d’asino, risalente al II secolo a.C., costruito in onore dell’imperatore Settimo Severo. Raggiunta Katha vi attende ancora una lunga trasferta (circa 7-8 ore) prima di arrivare in Cappadocia, altra meta spettacolare del nostro viaggio. Le strade sono scorrevoli, i paesaggi montagnosi affascinanti.

In Cappadocia tra i “camini delle fate”
Alla visita della Cappadocia, meta principale del nostro viaggio, dedichiamo tre giorni: il tempo appena necessario per visitare in torpedone i luoghi principali di questo spettacolare angolo di terra. Dopo questa visita avrete voglia di ritornare per percorrere a piedi queste valli incantate. I tour “mordi e fuggi” normalmente si trattengono in Cappadocia un solo giorno.
Nel cuore della Turchia si estende questo paesaggio lunare, uno scenario surreale di antiche chiese e case ricavate nella roccia, villaggi pittoreschi ricchi di tradizioni. Lo splendido paesaggio è costituito da friabile tufo vulcanico scolpito dall’acqua e dall’erosione nel corso dei millenni. Anche la luce è spettacolare e regala struggenti sfumature dal bianco abbagliante al senape, passando per il rosso mattone, con la cima innevata del Monte Argeo, che si staglia sullo sfondo.
La Cappadocia, un tempo cuore dell’impero ittita, divenne un regno indipendente e infine una vasta provincia romana citata più volte nell’Antico Testamento.
Un’occasione da non perdere è l’escursione in mongolfiera, sebbene il costo sia piuttosto elevato: 150 euro per persona, per un’ora di volo. Si parte all’alba per ammirare i cosiddetti “camini delle fate” assorbire i colori del primo sole. L’abilità del conduttore di nazionalità inglese è davvero eccezionale: scende tra le rocce per sfiorarle e poi riprendere quota. Lo spettacolo è indescrivibile. Un’altra interessante proposta durante il soggiorno in Cappadocia consiste nella danza dei dervisci, che si tiene ogni sera nelle suggestive sale interne del carravanservaglio di Avanos. L’esibizione è interessante, composta e non eccessivamente turistica.

L’itinerario classico
Nel museo all’aperto di Göreme, dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco, potete ammirare un gruppo imperdibile di chiese, cappelle e monasteri bizantini scavati nella roccia. La visita richiede dalle due alle tre ore. Il villaggio di Uchisor è da manifesto turistico. Salendo verso la piazza principale si scopre un paesaggio entusiasmante. Dal castello la vista sulla valle, come scrive la Guide Bleu “vous coupera le peu de souffle qui vous restera après l’ascension”. Altra tappa imperdibile è Zelve, che dal IX al XIII secolo fu ritiro monastico. Venne quindi abitato dalla gente del luogo fino al 1952, data in cui la stabilità geologica della valle fu giudicata inadeguata per consentire l’insediamento umano. Oggi, con le sue abitazioni rupestri, le cappelle, le piccionaie e una spartana moschea provvista di minareto a colonnette, è un paesino museo, dal quale avete l’impressione che gli abitanti siano partiti il giorno prima.
Ma il luogo forse più suggestivo di questa prima giornata è la cosiddetta Valle delle Fate, dove potete passeggiare a lungo, perdendovi tra le rocce forgiate dall’acqua e dal vento, che costituiscono un incredibile museo di sculture naturali. Ne rimarrete incantati e vi pentirete di non avere più tempo da trascorrere in quel luogo fatato.

Città sotterranee di 4’000 anni fa
La seconda e la terza giornata sono invece dedicate alla scoperta di una Cappadocia meno turistica. Il secondo giorno inizia con la visita delle due città sotterranee di Kaymakli e di Derinkuyu. In Cappadocia sembra che siano state scoperte a tutt’oggi un’ottantina di città sotterranee. Le più antiche risalgano all’epoca ittita, ossia a 4000 anni fa. Sembra comunque sicuro che fossero occupate già nel VII secolo a.C. Ne parla anche lo storico greco Senofonte. In tempo di pace gli abitanti di questa regione vivevano in superficie coltivando la terra, ma quando correvano il pericolo di un’invasione si rifugiavano nelle loro abitazioni trogloditiche, dove potevano vivere in tutta sicurezza anche per sei mesi consecutivi. Kaymakli è scavata su otto livelli, di cui cinque accessibili, Derinkuyu è invece costruita su sette livelli. Proseguiamo in direzione di Nigde per raggiungere il monastero di Eski Gümüsler. È scavato nella roccia e vanta alcuni affreschi bizantini, realizzati tra il VII e l’XI secolo, tra i meglio conservati della Cappadocia.
Si continua verso Yesilhisar, dove si svolta a destra per Soganli, un luogo di grande suggestione, ma discosto dai più frequentati itinerari turistici. La visita delle due vallate, con le loro antiche chiese rupestri, che in epoca romana ospitarono alcune necropoli e in epoca bizantina furono abitate da monaci, richiederà un paio d’ore. Si prosegue quindi fino a Damsa, passando per Kocali e Suves. Sul tragitto si incontrano alcuni “camini delle fate” e alcune chiese rupestri. A Damsa, in una bella oasi, si ammirano la moschea e un edificio diroccato dell’epoca selgiuchide, probabilmente una medersa (scuola coranica). A Cemil si visita la chiesa di St. Etienne. Si giunge infine a Mustafapasa. Fino alla prima guerra mondiale fu un insediamento greco-ottomano. Si tratta di una località piacevolmente tranquilla con belle dimore scavate nella pietra e diverse chiesette rupestri. Di particolare interesse la chiesa di San Basilio del XII secolo, arroccata sulla cima di un dirupo.

I caravanserragli alberghi d’altri tempi
Ultima giornata in Cappadocia. Partiamo in direzione di Konya, ma giunti ad Aksaray raggiungiamo, a 45 chilometri, la valle di Ihlara: una zona remota, che un tempo si chiamava Peristrema e rappresentava uno dei luoghi di ritiro preferiti dai monaci bizantini. Di quell’epoca sono sopravvissute decine di chiese rupestri decorate con dipinti. Percorriamo solo la parte centrale della valle che collega i villaggi di Ihlara e di Belisirma. Ci vogliono circa tre ore a piedi. Informatevi sullo stato della strada prima di partire. Proseguiamo in direzione di Konya, che si trova a circa 150 chilometri. A 42 chilometri da Aksaray, nel desolato villaggio di Sultanhani, si visita l’omonimo caravanserraglio selgiuchide. Fu costruito nel 1229, durante il regno del sultano selgiuchide Alaettin Keykubad I, e dopo i restauri, effettuati nel 1278 in seguito a un incendio, divenne il più grande caravanserraglio della Turchia. Di caravanserragli è cosparso il paese. Si trattava di una sorta di albergo, dove i commercianti che trasportavano merci dall’Europa all’Oriente e viceversa potevano sostare gratuitamente e al sicuro per la notte con i loro animali da trasporto (cammelli, muli, asini e cavalli).

Konya, la capitale dei Dervisci danzanti
Ed eccoci giunti a Konya, storica capitale dei Selgiuchidi e città del Mevlâna. Agli inizi del 1200 la dinastia selgiuchida contenne definitivamente i crociati sulle coste. Raggiunse un accordo con i bizantini, egemonizzò i propri concorrenti e fondò un sultanato autonomo scegliendo Konya – città esistente all’epoca romana – come propria capitale. Nel 1200 il mistico persiano Mevlâna Gialâl Ud-Din Rûmi scelse di fermarsi a Konya, dove fondò l’ordine monastico dei Mevlevi, conosciuti in occidente come Dervisci danzanti, sciolti da Atatürk nel 1925. Figura di rilievo del mondo islamico Mevlâna fu il portatore di una corrente mistica che conseguiva la sublimazione dell’anima con una danza rituale resa frenetica dal ritmo delle percussioni. Punto cruciale della visita il Museo Mevlâna, che ospitava un tempo il convento dei Dervisci rotanti, che è visibile da una certa distanza per la sua inconfondible cupola ricoperta di splendide maioliche turchesi. Di particolare interesse anche la tomba di Mevlâna, che risale all’epoca Selgiuchide. Konya offre anche altri interessanti monumenti, come la moschea Alaettin di origine selgiuchida, il museo Karatay (attualmente in restauro) con la sua straordinaria collezione di ceramiche, la scuola di ceramica Sircali con le sue splendide maioliche turchesi e il museo archeologico con il suo particolare sarcofago romano di Sidamara (250 d.C.), che presenta straordinari rilievi raffiguranti le fatiche di Ercole. Interessante anche la visita del bazar, che mantiene un certo fascino, malgrado la modernizzazione della città.

Guide consigliate
– Le Guide Mondadori, Turchia, Milano 2004
– Touring Club Italiano, Guide d’Europa, Turchia, Milano 2003
– Touring Club Italiano, L’Europa e i paesi del Mediterraneo, Turchia, Cipro, Malta, Milano 2006
– Qui Touring Speciale Mondo, Turchia, Milano 2005
– Lonely Planet, Turchia, Torino 2005
– Les Guides Bleus, Turquie, Paris 1978
– Clup. Guide, Turchia, Milano 1994

Itinerario
1° giorno: Volo Milano-Istanbul-Gaziantep. Trasferta a Sanliurfa in torpedone.
2° giorno: Sanliurfa e Harran.
3° giorno: Spostamento in torpedone a Mardin (175 km da Sanliurfa), quindi a Diyarbaki. Si prosegue per Katha.
4° giorno: Visita del monte Nemrut. Si prosegue per la Cappadocia.
5° giorno: Visita della Cappadocia.
6° giorno: Visita della Cappadocia.
7° giorno: Visita della Cappadocia.
8° giorno: Konya.
9° giorno: Konya-Istanbul-Milano.

Un tuffo nel passato dell’antica Ragusa

Vi suggerisco oggi un vero gioiello architettonico, forse il più prezioso dell’Adriatico dopo Venezia: Dubrovnik, l’antica Ragusa. È una meta scomoda da raggiungere in automobile, ma da giugno a fine settembre Darwin Airline offre collegamenti settimanali da Lugano, Ginevra e Zurigo. Clima dolcissimo, città molto tranquilla anche di sera, Dubrovnik è la meta ideale per un fine settimana, soprattutto in settembre. Quando cala la notte e se ne vanno i turisti che visitano la città in giornata, l’atmosfera diventa magica: le pietre quasi bianche, lucidate dai secoli, con cui sono pavimentate le strade riflettono la luce dei discreti lampioni. Vi sembrerà di tornare indietro nel tempo, perché la notte cancella ogni segno della modernità. Percorriamo allora assieme il suggestivo centro storico immergendoci nel passato e immaginando come scorreva la vita quando Ragusa era un’importante Repubblica marinara (1358-1806).
Entriamo dalla Porta Pile. Anticamente, quando arrivava il buio si sollevava il ponte levatoio e si chiudevano le porte della città. Di fronte alla porta si innalza la rotonda fontana di Onofrio, coronata da una cupola che sembra ricordare la vicinanza dei turchi e dove i ragusei venivano per approvvigionarsi di acqua. In faccia sorge il monastero francescano, di stile tardo romanico, che ospita una delle farmacie più antiche del mondo, dove, si dice, venivano distribuiti medicamenti a tutta la popolazione: indipendentemente dal ceto sociale. Incamminiamoci ora lungo la romanticissima Placa, denominata anche Stradun, l’asse che collega le due principali porte della città. Sulla via si affacciano numerose botteghe: immaginiamo esposte le merci di un tempo, a testimonianza dell’importanza che il commercio rivestiva per l’antica Repubblica. In una viuzza laterale una ruota incastrata in una finestra, oggi murata, ci ricorda il drammatico problema dei figli illegittimi. La ruota permetteva di far passare il neonato all’interno dell’edificio, dove veniva accolto dalle religiose. Proseguiamo il nostro percorso nel tempo e arriviamo in Piazza della Loggia, dove si teneva un affollato e rumoroso mercato. Sulla piazza si affacciano anche il Palazzo Sponza, dove venivano svolte le pratiche doganali, e la chiesa di San Biagio, patrono e protettore della Repubblica.
Poco distante si trova il palazzo del Rettore: residenza del personaggio chiave della Repubblica. A pochi passi sorge la cattedrale, sede del potere ecclesiastico, con il suo prezioso tesoro, che custodisce i famosi reliquiari di San Biagio. Raggiungiamo ora il porto antico, luogo eletto di una Repubblica marinara, protetto dal quattrocentesco “Forte San Giovanni”. La Repubblica giunse ad avere una flotta mercantile di 250 navi. Prima di giungere all’altra porta della Città (Porta Ploce) passerete davanti al monastero dei frati domenicani: dall’esterno sembra una fortezza integrata nel sistema difensivo delle mura, mentre all’interno propone un leggero ed elegante chiostro. Non lasciate la città senza averla visitata dall’alto percorrendo gli oltre due chilometri di mura, con incredibili panorami sul centro storico e sulla splendida costa.

Tra medioevo e rinascimento

Dopo la proposta imperniata sulla regione del Chianti , rimaniamo in Toscana, ma ci spostiamo a sud di Siena. La gita dura unagiornata in partenza da Firenze.
Prendete la superstrada che collega Firenze a Siena e uscite a Monteriggioni, prima tappa del nostro itinerario. E’ uno dei borghi medievali più affascinanti della Toscana. Adagiata su una dolce collina della campagna senese, Monteriggioni appare già da lontano con le sue mura che si stagliano nel cielo e che racchiudono un minuscolo villaggio costruito attorno a un’unica via, a cui si accede da due porte.
Raggiungete, a una trentina di chilometri a sud di Siena, l’abbazia di Monte Oliveto Maggiore, immersa in un raro bosco di cipressi. Il monastero benedettino in mattoni rosa fu fondato nel Trecento. E’ famoso per i magnifici stalli cinquecenteschi del coro e per lo straordinario ciclo di affreschi di fine Quattrocento, dipinti da Luca Signorelli e da Sodoma, che narrano la vita di san Benedetto. Passando per il piccolo borgo agricolo di Buonconvento, situato sull’antica via Cassia, a una ventina di chilometri scorgerete da lontano Montalcino con la sua cinta muraria del Duecento e la rocca trecentesca, famoso in tutto il mondo per il suo straordinario vino, considerato uno dei più prestigiosi d’Italia. Ogni autunno, in occasione della Sagra del tordo, i quattro quartieri del borgo si sfidano in una gara di tiro con l’arco in piazza del Popolo, davanti all’austero Palazzo Comunale del ‘200.
A una decina di chilometri a sud di Montalcino si trova la suggestiva abbazia benedettina di Sant’Antimo, che sorge nei campi tra gli ulivi e i cipressi in un tipico angolo di campagna toscana. Costruita nel XII secolo, costituisce un bell’esempio di stile romanico. Risaliamo circa 35 chilometri in direzione nord ovest per raggiungere l’incantevole Pienza, adagiata anch’essa su una collina che si erge sull’armoniosa campagna. E’ famosa soprattutto per la sua piazza centrale, considerata un esempio perfetto di unità stilistico-urbanistica del Rinascimento. Quando Enea Silvio Piccolomini, nativo di Pienza, uomo di lettere e di grande cultura umanistica, venne eletto pontefice nel 1458 affidò all’architetto fiorentino Bernardo Rossellino, allievo dell’Alberti, il progetto utopico di creare una “città ideale” dell’Umanesimo. Capolavoro del Rossellino è considerato il Palazzo Piccolomini, che si affaccia sulla piazza e propone uno dei primi giardini pensili, da cui si gode una splendida vista sul vasto scenario della valle dell’Orcia.
Il nostro itinerario si conclude a Montepulciano, un’altra incantevole cittadina tipicamente rinascimentale, che diede i natali a uno dei più squisiti poeti del tempo: Angelo Poliziano, grande amico di Lorenzo il Magnifico. Passeggiando per le vie del centro storico rimarrete affascinati dagli splendidi palazzi, opera del Michelozzo e del Sangallo. Giunti in Piazza Grande non mancate di salire sulla torre per godere un panorama indimenticabile sulla città e i suoi dintorni. Terminata la visita, prima di dirigervi verso l’autostrada del sole per rientrare a Firenze, visitate ai piedi della collina la chiesa della Madonna di San Biagio, capolavoro di Antonio da Sangallo.

Sulle strade del Chianti

La Toscana è una regione che conosco molto bene, perché ho studiato a Firenze e da allora vi torno una o più volte ogni anno. Vi propongo un itinerario circolare di una giornata nei suoi dintorni. Prevede la visita della regione del Chianti, con una brevissima puntata a Siena, da raggiungere il mattino come prima tappa. Seguendo la veloce superstrada ci impiegherete meno di un’ora. Quando arrivate parcheggiate nei pressi dello stadio (è indicato), dove troverete certamente posto. Seguendo il corso principale arriverete in Piazza del Campo, sostando magari per un caffé alla pasticceria Nannini, quella della famiglia della cantante, dove potrete acquistare il famoso panforte. Rimarrete incantati da questa piazza del Trecento, una delle più suggestive d’Italia e del mondo, dove ogni anno si svolge il palio. Proseguite fino alla cattedrale, dove si ammira l’incredibile pavimento del XV e XVI secolo, recentemente restaurato e unico al mondo: presenta 56 riquadri di marmo che raffigurano personaggi mitici, eseguiti a graffito o a intarsio. Apprezzerete anche il pulpito di Nicola Pisano del Duecento e la Libreria Piccolomini affrescata dal Pinturicchio nel Cinquecento. Di Siena avrete avuto solo un assaggio, quanto basta per avere voglia di tornare a visitare meglio questa splendida città.
Lasciamo Siena in direzione di Castelnuovo Berardenga, dove avremo un primo assaggio della splendida regione del Chianti. L’armonia delle dolci colline, la miscela dei verdi scuri dei cipressi, di quelli vivaci della vigna e argentei degli ulivi, il fascino dei borghi medievali, dei castelli, delle abbazie vi stregheranno e nelle giornate buie dell’inverno vi torneranno alla mente questi paesaggi incantati, che non esistono solo in cartolina. Passando per San Gusme, un villaggio agricolo costruito interamente in pietra, giungerete al castello di Brolio, che dall’XI secolo appartiene alla famiglia Ricasoli, noti produttori di vino. Dalle mura, opera di Sangallo, godrete di una vista straordinaria. Proseguendo verso nord, passando per il suggestivo Castello di Meleto (proprietà privata), giungerete a Badia a Coltibuono, un’abbazia dell’XI secolo situata in un paesaggio isolato e montano, dove si produce ottimo olio e vino. Il nostro itinerario prosegue lungo la cosiddetta Via Chiantigiana e attraversa tre incantevoli borghi medievali: Radda in Chianti, Castellina in Chianti (famosa la Via delle Volte: quasi interamente ricoperta, addossata alle mura, permetteva di fare il giro della roccaforte a cavallo) e Greve in Chianti con la sua graziosa piazza a forma di imbuto. Proseguite in direzione ovest per Montefioralle, un piccolo gioiello, dove vi consiglio di percorrere la via principale a ferro di cavallo. Il nostro itinerario si conclude nella splendida abbazia romanica di Badia a Passignano, passando dalle zone di produzione del vino toscano più prestigioso: il Solaia di Antinori.