Il Far West – Nelle terre dell’emarginazione degli indiani del nord America

Il Far West – Nelle terre degli indiani d’America
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La conquista del West da parte dei visi pallidi ai danni degli indiani, il lento scorrere delle carovane che si spostavano da est verso ovest attratte dalla speranza di una vita migliore, gli epici scontri tra la tribù dei Sioux e il Settimo cavalleggeri del generale Custer, la corsa all’oro tanto gravida di conseguenze, fanno da sfondo storico all’itinerario nel nord ovest degli Stati Uniti.
Due popoli, due culture, si sono affrontati e scontrati: da una parte guerrieri sobri e ascetici, scolpiti dal vento, figli dei monti e delle praterie, dall’altra l’avanzare del progresso, laico, borghese, mercantile, industriale e democratico, forgiato e scolpito nell’acciaio e animato dal carbone. Persero i pellerossa che concepivano una vita dipendente e sottomessa alla natura, ritmata dalle stagioni e da tradizioni secolari. Vinsero gli uomini bianchi, che volevano dominare e sfruttare il territorio: con ogni mezzo e ad ogni costo. Quando la ferrovia portò il progresso e l’ordine sociale venne imposto dai tribunali che applicavano le leggi dell’uomo bianco, gli ultimi guerrieri indiani furono rinchiusi nelle riserve. Riserve destinate ai nativi americani che esistono ancora oggi.
Quando ci si inoltra in questi territori si entra in un altro mondo: povero, caratterizzato da auto sgangherate, da abitazioni trasandate, da persone emarginate. Segno che a distanza di un secolo e mezzo da quel confronto impari, l’integrazione degli indiani nella civiltà americana non è compiuta.
I rapporti tra l’uomo bianco e i nativi americani per lungo tempo furono pacifici. Questo avvenne fino a quando i visi pallidi erano rappresentati da un numero contenuto di esploratori, “trapper” o “mountain man” (uomini sensibili alla natura come gli indiani), pacifici missionari (“black rober”, vesti nere), artisti in cerca di ispirazione. Ma quando il numero di emigranti iniziò ad aumentare a dismisura e, soprattutto, quando le terre sacre degli indiani furono invase da cacciatori di pellicce e da cercatori d’oro senza scrupoli, le relazioni amichevoli si trasformarono in ostilità; dopo il 1860 le tribù indiane iniziarono ad attaccare le carovane di pionieri che si dirigevano verso ovest. Era lo scontro tra due civiltà: una radicata da secoli nel territorio e profondamente attenta alle leggi della natura, l’altra preoccupata soprattutto di conseguire guadagni senza preoccuparsi della distruzione di quegli equilibri naturali che per secoli avevano garantito cibo e attività vitali agli indiani.
La svolta decisiva fu rappresentata dal “Gold Rush” (la corsa all’oro); il governo degli Stati Uniti, che in un primo tempo cercò di contenere l’aggressività dei cercatori d’oro, nel 1875 decise di voltare le spalle agli indiani rimangiandosi importanti promesse fatte. Questo portò alla vivace reazione dei pellerossa che decimarono il Settimo Cavalleggeri a Little Big Horn (1876) e alla successiva vendetta dell’uomo bianco, che culminò quattordici anni dopo nel massacro di Wounded Knee, dove, come scrisse più tardi il condottiero Alce Nero “morì il sogno di un popolo”.

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