Due volti diversi per gli Stati Uniti

New York – Le mille storie diverse che vivono in una sola città
New York – Alla scoperta degli itinerari dei nostri antenati emigranti
New York – New York riassume il mondo moderno

Vi ho parlato del mio amore per l’America aperta e “liberal” dei Roosevelt, dei Kennedy e ora anche di Obama, un Paese che a tratti ha perseguito e persegue gli ideali di libertà e ha cercato e cerca di garantire ai suoi cittadini pari opportunità di partenza. In modo certamente meno ideologico, questo paese ha rappresentato per molti ticinesi, nel periodo a cavallo tra Otto e Novecento, la speranza di una vita migliore. Si veda a questo proposito l’articolo scritto da mia moglie Carla, nel quale narra la storia dei suoi antenati che hanno lasciato la Verzasca in cerca di fortuna oltre Oceano. Dopo due settimane calcati nella stiva di una nave sono giunti, come molti altri, nel Mondo Nuovo accolti dall’imponente mole della Statua della Libertà. Un monumento emblematico dell’America migliore, quella carica di valori su cui si sono costruite le nostre moderne democrazie. Ma purtroppo c’è stata ed è sempre in agguato anche un’altra America, quella che ha tradito questi suoi ideali per seguire una squallida realpolitik, quella che ha sostenuto spietate dittature in tutto il mondo ed ha contribuito a rovesciare governi democraticamente eletti per sostituirli con feroci giunte militari. Sono queste le due Americhe con cui si è confrontata la mia generazione. Per questo in certi momenti della mia vita ho amato questo paese e in altri l’ho detestato. Quando ero ragazzo, avevo undici anni, J. F. Kennedy è stato eletto presidente. Era il mio primo incontro con la politica. Un bell’incontro. Mi ero comprato il libro con i suoi discorsi e avevo fatte mie molte delle sue idee. Poi l’assassinio. Quel giorno lo ricordo come fosse oggi, sebbene siano passati quasi cinquant’anni. Mentre scrivo mi vengono ancora i brividi alla schiena. Ricordo che piansi moltissimo. Per me era un sogno infranto. Ma poi la speranza tornò con suo fratello Bob. Quando anche lui fu assassinato piansi meno ingenuamente e provai una forte rabbia. Avevo 19 anni: aveva vinto l’America negativa, buia, quella dei potenti che non volevano il progresso e che ricorrevano addirittura al crimine di stato per garantire i loro interessi. Qualche tempo dopo, mentre studiavo scienze politiche a Firenze, fu questa America che con i suoi servizi segreti aiutò a rovesciare Salvador Allende e a portare al potere una delle più odiose dittature dei nostri tempi, quella di Pinochet e dei suoi militari. Per me fu il colpo di grazia. Sperai allora che il progresso potesse giungere dalle nuove interpretazioni del socialismo: quelle dei paesi dell’Europa del nord e quella del compromesso storico di Enrico Berlinguer, che voleva unire le forze progressiste italiane di radice antifascista. Con l’America mi riconcilio a tratti, quando sale un presidente del partito democratico. Apprezzo Obama, che penso stia facendo il possibile in un mondo difficile, dove i valori dell’America aperta e “liberal” trovano tanta difficoltà ad affermarsi. Il mio pensiero torna allora ai nostri emigranti che agli albori del Novecento lasciarono un Ticino non in grado di garantire loro un futuro e partirono all’avventura per un mondo nuovo. Penso alla nostra politica nei confronti degli stranieri, a certe sparate della Lega e dell’Udc e mi vergogno, anzi mi indigno. Un Paese come il nostro, che ha lasciato partire tanti giovani, un secolo più tardi dimentica le sue radici storiche e umilia gli stranieri, siano essi esuli politici oppure gente alla ricerca di un futuro vivibile. Li dileggia nonostante ci aiutino a costruire il nostro benessere. Mi vergogno e mi arrabbio con la mia generazione, che sembra non essere riuscita a trasmettere nemmeno questi valori ai giovani che si accalcano alle urne per votare Lega e Udc. È la chiusura verso quegli ideali rappresentati dalla Statua della Libertà che accoglieva i nostri emigranti nel Mondo Nuovo.

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