Samarcanda – Lungo la mitica “via della seta”

Uzbekistan – La via della seta

Alessandro Magno quando conquistò Samarcanda esclamò: “Tutto quello che ho udito di Markanda è vero, tranne il fatto che è più bella di quanto immaginassi”.

Lunedì 27 ottobre, giornata di trasferimento da Bukhara alla mitica Samarcanda. Partiamo il mattino di buonora per Shakhrisabz, città natale di Tamerlano, che richiede una deviazione rispetto al percorso più diretto. Attraversiamo la lunga periferia di Bukhara, particolarmente squallida. Le case sono alte solo un piano, ma molto trascurate. Man mano che ci allontaniamo dalla città ricompare il deserto con la sua monotonia, ma anche con la sua armonia. Di tanto in tanto si incontra un’oasi: non quelle idilliache, bensì insignificanti agglomerati di case trascurate. Sul tragitto passiamo anche davanti a due impianti di vitale importanza per il paese: uno per l’estrazione dal sottosuolo di gas e l’altro di petrolio. Giunti nella città natale di Tamerlano, che il regime autoritario di Karimov sembra avere adottato come eroe nazionale, ci imbattiamo subito nel monumento dedicato al condottiero. Molte persone sono radunate attorno ad esso, diverse orchestrine suonano motivi uzbeki. È una giornata freddissima, ma le giovani spose avvolte in leggerissimi e scollati abiti bianchi non rinunciano a una foto ricordo davanti alla statua del nuovo eroe, che ha sostituito quella di Lenin.
Condottiero valoroso e intelligente, Tamerlano riuscì a costituire un impero che aveva il suo confine orientale in India, mentre verso occidente arrivava ad affacciarsi sul Mediterraneo. Si creò la fama di uomo spietato e sanguinario, perché le sue campagne consistevano essenzialmente in guerre di occupazione e di saccheggio, piuttosto che nell’organizzazione sistematica, amministrativa e politica dei territori conquistati. Nel suo paese fu però anche un grande mecenate, un protettore di artisti: Samarcanda rimane la sua opera più duratura. Eppure è probabile che Shakhrisabz, la sua città natale, prima di essere distrutta nel XVI secolo dall’emiro di Bukhara, mettesse in ombra la stessa Samarcanda. Del palazzo reale, che richiese 24 anni di lavoro e fu probabilmente il progetto più ambizioso di Tamerlano, rimangono solo alcuni frammenti del gigantesco ingresso alto 40 metri. Oggi si può soltanto immaginare ciò che doveva essere il resto dell’edificio per grandezza e splendore. Proseguiamo la nostra visita incamminandoci verso il mausoleo dove è custodito il corpo di Jehangir, figlio prediletto di Tamerlano morto a 22 anni per una caduta da cavallo e descritto dalla tradizione locale come un eroe mancato. Il monumento è decorato con dipinti della fine del XIV secolo di particolare finezza.
Riprendiamo il nostro tragitto verso Samarcanda scegliendo la strada meno diretta che aggira le montagne. Il percorso è particolarmente suggestivo. Piove e siamo verso sera, d’autunno. Le poche foglie che rimangono sugli alberi sono ingiallite. Il terreno è arido, desertico, ma abitato. Mi colpisce l’armonia di quei paesaggi collinari. Le case sono costruite in argilla e ricoperte da tetti in paglia. Gli uomini si spostano a dorso d’asino o a cavallo. Le donne portano abiti colorati e i bimbi al passaggio del nostro torpedone salutano affettuosamente. Capre e pecore sono ovunque. Quà e la qualche mucca. La luce del crepuscolo, la stagione che annuncia il freddo inverno alle porte e forse il mio stato d’animo mi danno la sensazione di assistere a un presepio vivente, tale è l’armonia dei colori e delle forme. A poco a poco cala la notte e quel paesaggio magico si spegne davanti ai miei occhi. Ma siamo ormai alle porte di Samarcanda, che ci accoglie con le sue smaglianti luci cittadine, per la verità poco affascinanti.

Samarcanda, l’incomparabile
“Samarcanda l’incomparabile”, così titola il capitolo dedicato alla “città dorata” Ella Maillart, la nota viaggiatrice ginevrina che visitò questi luoghi negli anni Trenta, in piena era staliniana. Martedì 28 ottobre dedichiamo l’intera giornata alla visita di questo gioiello dell’Islam. E se ci fosse stato un po’ più di tempo sarebbe stato meglio! Perché Samarcanda è davvero quella città mitica che immaginavo e che sognavo. I suoi monumenti, anche se ormai immersi nel tessuto di una città moderna, sono davvero degni della loro fama. Questa è stata certamente la giornata più straordinaria di tutto il viaggio. Anche Alessandro Magno, quando nel 329 a.C. la conquistò, esclamò: “Tutto quello che ho udito di Markanda è vero, tranne il fatto che è più bella di quanto immaginassi”.
Nessun nome richiama alla mente la “Via della seta” quanto quello di Samarcanda, che si trovava al crocevia delle strade che conducevano le carovane in Cina, India e Persia. Quando Gengis Khan la distrusse completamente nel 1220 avrebbe potuto essere la fine della sua storia, ma nel 1370 Tamerlano decise di fare di Samarcanda la sua capitale e nei successivi 35 anni forgiò una nuova città, che diventò “giardino dell’anima” , “specchio del mondo” e assurse a epicentro culturale ed economico dell’Asia centrale. Tamerlano (1336-1405) è infatti il personaggio attorno a cui ruota tutta la storia dell’epoca d’oro di questa città e dei suoi monumenti. Persino di quelli postumi a Tamerlano. Penso alle due madrasse del Registan, la piazza principale, costruite due secoli più tardi copiando lo stile della Samarcanda di Tamerlano.
Il nostro itinerario inizia il mattino con la visita del mausoleo Guri Amir, che ospita la tomba di Tamerlano, nonché quelle del suo nipote e del suo maestro preferiti. “Chiunque aprirà questa tomba – recava un’iscrizione – sarà sconfitto da un nemico più terribile di me”. Gli archeologi comunisti non si fecero però fermare da questa avvertenza e aprirono il sarcofago per sapere se era vero che Tamerlano, “la tigre zoppa”, era claudicante a causa di una ferita ricevuta in battaglia e per verificare se a suo nipote Ulughbek, quando fu deposto, venne mozzata la testa. Ebbene i due interrogativi ebbero conferma positiva, ma il giorno dopo la scoperta, il 22 giugno 1941, Hitler attaccò l’Unione Sovietica.
Ulughbek successe al trono dello zio e regnò fino al 1449, quando venne deposto da un complotto di fondamentalisti islamici (già allora imperversavano), che non gradivano le sue scoperte scientifiche in campo astronomico. Più famoso come astronomo che come sovrano, trasformò la città in un centro intellettuale e costruì un centro di ricerca astronomico articolato su tre piani con un immenso astrolabio per l’osservazione della posizione delle stelle. È sopravvissuta solo la parte interrata. Il resto è stato distrutto.
Ma eccoci alla visita del luogo certamente più suggestivo di questa incredibile città: Shahr-iZindah, un viale di tombe. Lastricate di maiolica all’interno e all’esterno, disposte in lungo, così da creare un percorso lungo una via, questi sepolcri ricoperti di piastrine che vanno dal blu al verde rendono questo luogo di un fascino incredibile. Tamerlano fece seppellire qui alcune delle persone a lui più care. Il posto era sacro perché ospitava già la tomba di un cugino del profeta Maometto. “La leggenda vuole che il santo – racconta Terzani (op. cit.) – venuto qui a combattere gli infedeli, fosse catturato e decapitato. Ma lui non se ne fece un cruccio. Raccattò la testa che gli avevano appena mozzata, se la mise sotto il braccio e andò a stare in fondo a un pozzo che era lì nei pressi. Il pozzo c’è ancora e la gente dice che il Re Vivente (da qui il nome del luogo) è sempre laggiù che dorme e aspetta l’occasione per uscire e riprendere la sua guerra contro gli infedeli”. Questa destinazione è meta di pellegrinaggi per i musulmani di tutto il mondo: tre viaggi qui equivalgono a uno alla Mecca.
Prima del pranzo visitiamo ancora il museo di Afrosiab. Ospita i frammenti di alcuni affreschi interessanti del VII secolo, che raffigurano scene di caccia, un corteo di ambasciatori e visite di regnanti locali.
Dopo il pranzo a base di spiedini – specialità del luogo – ci rechiamo a visitare la moschea Bibi-Khanim, fatta costruire da una moglie di Tamerlano come regalo-sorpresa durante un’assenza del marito. La moschea, molto ricostruita, è particolarmente imponente e nota per una leggenda, secondo cui l’architetto progettista s’innamorò pazzamente della regina e rifiutò di terminare il lavoro a meno che lei non gli desse un bacio. Tale gesto lasciò un segno sulla guancia della donna e quando Tamerlano lo vide fece giustiziare l’architetto, condannò la moglie a essere murata viva nel suo mausoleo e ordinò che le donne portassero il velo per non rappresentare una tentazione per gli altri uomini al di fuori del matrimonio.
Accanto alla moschea si trova il frenetico e pittoresco, ma particolarmente ordinato, mercato agricolo coperto. Poco distante il souk con la sua offerta di vestiti, scialli, cappelli, turbanti di ogni genere e ogni altra sorta di oggetti. Dulcis in fundo il Registan, la piazza principale di Samarcanda. Nel medioevo era il centro commerciale della città e l’intera piazza era probabilmente occupata dal bazar. Oggi è dominata da tre palazzi e al centro offre ampi spazi. L’edificio principale è la Madrassa di Ulughbek del XV secolo, ai lati altre due madrasse edificate due secoli più tardi riprendendo i modelli architettonici dell’era di Tamerlano.

Il ritorno alla normalità
Mercoledì 29 ottobre lascio a malincuore Samarcanda per l’ultima tappa di trasferimento in torpedone verso la moderna capitale Tashkent, una metropoli di oltre 2 milioni di abitanti, tipica città dell’ex impero sovietico. Il traffico è caotico, ma i numerosi parchi e viali alberati la ingentiliscono. Il centro è monumentale, arredato da palazzi stile regime, fontane e statue di cattivo gusto rappresentanti la madre patria e, naturalmente, l’eroe nazionale Tamerlano. Visitiamo la pulitissima e ordinatissima metropolitana, opera del regime sovietico negli anni Settanta. È monumentale, di stile simile a quella di Mosca e ogni stazione è caratterizzata da un tema legato alla propaganda politica sovietica. È l’unica testimonianza che rimane di quei tempi, oltre al regime di Karimov, che sembra incarnare tutti i difetti di un’epoca terminata solo a parole. Visitiamo alcune moschee e madrasse seicentesche, che sembrano molto ricostruite. Ma dopo Samarcanda il discorso con l’arte islamica è chiuso. Il mattino seguente all’alba parte il nostro volo per Roma e Milano.

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