Birmania, dilemma etico per il turista

Birmania – In fuga lontano dalla globalizzazione
Birmania – Un passo nella storia
Birmania – Un lago, un mondo
Birmania – Un paese sospeso tra storia e futuro

Riteniamo che sia troppo presto per il turismo, gli investimenti e gli aiuti… – affermava nel 1995, dopo il colpo di stato militare, il premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi. Finché arriva denaro, lo Slorc (ndr. il partito dei militari) non sarà mai incentivato al cambiamento“.
Nutro un profondo rispetto per la Signora (così viene chiamata Aung San Suu Kyi in Myanmar), ma non sono d’accordo con lei – scriveva nel 2004 un sostenitore della Lega Nazionale per la Democrazia. Se avessi modo di parlarle so che mi ascolterebbe. Il boicottaggio generale non è possibile”. Purtroppo la Signora è tuttora perseguitata dalla giunta militare, le è impedito di partecipare alla vita politica. I militari sono al potere da quasi cinquant’anni. Nel 1990 concessero le elezioni, ma quando la Lega Nazionale per la Democrazia di Aung San Suu Kyi vinse con l’82 per cento dei voti non rispettarono il verdetto del popolo.
E allora, data questa situazione, è il caso di visitare la Birmania? È il problema di coscienza con cui mi sono scontrato prima di decidere di partire per questo splendido ma sfortunato paese. La guida Lonely Planet nelle prime pagine del volume dedicato al Myanmar, si pone lo stesso interrogativo e spiega le ragioni della pubblicazione. “Pensiamo – si legge nelle pagine iniziali – che il viaggio sia uno dei mezzi più potenti che il mondo abbia a disposizione per la diffusione della tolleranza, della comprensione reciproca e della democrazia… È vero, nel 1995 Aung San Suu Kyi affermò che il paese non era pronto per il turismo, ma aggiunse che ‘i turisti possono aprire il mondo alla gente del Myanmar proprio come la gente del Myanmar può aprire gli occhi dei turisti sulla situazione del proprio paese, se sono interessati a conoscerla’. Siamo d’accordo”, conclude l’autore della guida.
Scorriamo brevemente gli argomenti pro e contro ben riassunti da Lonely Planet. Iniziamo da quelli contrari. Il governo è ricorso ai lavori forzati per costruire le infrastrutture turistiche. Visitare il Myanmar può essere interpretato come una forma di approvazione della dittatura. È impossibile evitare che parte del denaro dei turisti finisca nelle tasche della giunta, che, d’altra parte, mostra ai visitatori solo ciò che vuole. Ecco invece le ragioni dei favorevoli. La maggioranza della popolazione vede di buon occhio i turisti. Nelle zone frequentate dagli stranieri è più difficile che avvengano abusi riguardo ai diritti umani. Se non si viaggiasse in Myanmar, il governo potrebbe decidere di imprimere un ulteriore giro di vite alla repressione. Per la popolazione locale chi visita il paese è fonte di reddito e un mezzo per comunicare con il mondo esterno. Non so quale delle due tesi sia la più corretta, ma molto dipende dalla mentalità, dal modo con il quale ci si avvicina a questo come ad altri paesi con regimi totalitari. “I visitatori che giungono nel nostro paese – ha affermato Aung San Suu Kyi in un’intervista – possono risultare utili a seconda di quello che fanno e di come lo fanno”. Ho trovato in Myanmar gente deliziosa, che ha piacere di incontrare gli stranieri. Da tutte le persone che si sono aperte al dialogo, il governo mi è sembrato mal tollerato e assolutamente impopolare, mentre della Signora tutti parlano con venerazione e rispetto. È vero, i turisti non hanno accesso a tutte le regioni, ma dove arrivano con la giusta mentalità possono portare un’immagine di rispetto e di tolleranza. Questo è il turismo in cui credo.

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Birmania – Birmania, dilemma etico per il turista

È con la cultura che si innesca il progresso, perché senza di essa l’uomo è condannato a vedere nell’altro sempre e solo un nemico”. Questa frase del sociologo algerino K.F. Allam, mi sembra spieghi bene il senso del viaggiare e soprattutto di un viaggio in Birmania, un paese che non è stato ancora colonizzato dalle mode straniere e che ha salvaguardato una propria identità, la ‘birmanità’. Ed è proprio questo il motivo per cui vale la pena di visitare la Birmania.
Sette persone su dieci in Myanmar lavorano la terra. L’11% circa dei 52 milioni di abitanti vive nella capitale, dove non si conosce ancora il fenomeno della migrazione di massa verso la grande città. La vasta pianura centrale con il suolo più fertile del paese solcato dalle acque del fiume Ayeyarwady, lungo oltre duemila chilometri, è sempre stata dominata dal gruppo che nelle varie epoche si è rivelato il più forte: i Bamar o Birmani che con il 68% costituiscono la maggioranza della popolazione. Si ritiene siano migrati anticamente dall’Himalaya e già nell’XI secolo dominavano buona parte del territorio dalla loro capitale Bagan, una delle meraviglie di questo paese. In Myanmar gli etnologi riescono a distinguere ben 135 gruppi etnici differenti, mentre una ricerca fatta negli anni Quaranta aveva recensito 242 lingue e dialetti diversi. Tutti questi popoli si sono stanziati lungo il fiume Ayeyarwadi, sovrapponendosi gli uni agli altri senza però mai meticciarsi completamente e conservando ognuno le proprie identità culturali e linguistiche. L’orgoglio e i pregiudizi tra le varie etnie della Birmania sono spesso causa di tensioni, tanto che una delle maggiori difficoltà incontrate dai governi che si sono succeduti nel paese è sempre consistita nel mantenere la pace e la stabilità dei confini. Anche gli Inglesi, durante la loro dominazione coloniale (1824-1948) riuscirono a stento a mantenere l’ordine, alternando promesse di semi-autonomia all’uso della forza. Come fanno notare gli autori della guida turistica Lonely Planet, “benché sia passato oltre un secolo e il governo sia cambiato, la situazione è rimasta pressoché invariata. Gli scontri tra le truppe a maggioranza Bamar e i gruppi etnici minoritari, protrattisi nei quattro decenni successivi all’indipendenza, sono stati ormai quasi tutti sedati. Le etnie che hanno firmato accordi di cessate il fuoco con le autorità hanno ottenuto in cambio una limitata autonomia economica, mentre quelle che continuano a combattere contro il governo vengono trattate con brutalità”. Diverse regioni considerate ancora ‘calde’ (definite dai locali ‘zone nere’, le più pericolose, e ‘zone marroni’, le meno bellicose) sono tuttora chiuse al turismo. Recentemente però alcune sono state aperte perché il governo ha trovato un compromesso con le tribù locali.
Tutte le persone che ho incontrato si augurano che il governo cambi al più presto, ma quando si parla del futuro molti si dicono preoccupati per l’unità del paese e temono che il Myanmar si possa dividere come è avvenuto tragicamente in Jugoslavia dopo la caduta del regime. Una delle regioni storicamente più autonomiste è quella abitata dall’etnia Shan, a sua volta suddivisa in diverse tribù con lingue e religioni differenti. Si tratta di una terra splendida e con un sottosuolo ricchissimo. È stata la prima destinazione del mio viaggio in Birmania e mi ha permesso, di visitare diversi villaggi di montagna dove si ha davvero l’impressione che il tempo si sia fermato. La stessa atmosfera la si trova anche a Bagan e nelle altre città imperiali e sul lago Inle.