Francia – Nel cuore dello Champagne

Francia – L’incontro con Renoir, De Gaulle e Diderot

Nelle cantine sotterranee dove riposano le bottiglie del famoso vino. Pittoreschi villaggi, grandi personaggi, arte, storia e gastronomia per un viaggio in auto fra magnifici paesaggi e vigneti partendo dal Ticino.

Enologia, gastronomia, arte, natura, storia, pittoreschi villaggi, grandi personaggi. Sono questi i variegati ingredienti di un viaggio nella regione dello Champagne, nel nord-est della Francia. Le strade corrono tra i vigneti offrendo scorci magnifici e attraversando campi coltivati. In primavera molti sono colorati di giallo dai fiori delle piantagioni di colza, altri sono solo arati e mostrano il suolo argilloso tanto apprezzato dalla vigna. Visti da lontano questi paesaggi di campagna sembrano quadri astratti. Nei villaggi le case sono addossate l’una all’altra per lasciare maggior spazio ai vigneti. Nelle città chiese e cattedrali sono maestose, ad iniziare da quella di Reims, una delle più belle di Francia. La loro struttura architettonica propone ampie finestre e rosoni che mettono in risalto le splendide vetrate, una delle prerogative dell’arte locale assieme alle sculture religiose. La storia e la cultura sono generose di testimonianze dai tempi antichi ad oggi: da quando i re francesi si facevano incoronare nella cattedrale di Reims, alle scoperte enologiche del sacerdote benedettino Dom Pérignon, che mise le basi per il successo mondiale dello champagne; dagli armoniosi paesaggi dipinti da Renoir, che in questa regione trascorreva le vacanze, alle meditazioni politiche di Charles De Gaulle ispirate dalla pace della sua villa in campagna, senza dimenticare la straordinaria opera di Denis Diderot precursore della modernità.
L’itinerario è facilmente percorribile in automobile partendo dal Ticino. In circa 7 ore si raggiunge Reims, da cui ci si sposta in seguito verso sud in brevi tappe giornaliere. Il rientro in Svizzera da Langres, la città circondata dalle mura fortificate più ampie d’Europa, comporta invece 5 ore di viaggio.

Le grandi cattedrali
La prima meta del nostro viaggio è Châlons-en-Champagne, che ci sorprende soprattutto per la sua basilica di Notre-Dame de l’Epine. D’ora in poi quando sentirò parlare di una “cattedrale nel deserto” penserò a questa imponente chiesa, realizzata sul modello della cattedrale di Reims, a 8 chilometri da Châlons, in piena campagna. Patrimonio mondiale dell’Unesco, la si scorge da lontano e la sua purezza di stile, secondo gli esperti, esprime la perfezione dell’architettura gotica (inizio XV secolo). Di puro stile gotico è pure la cattedrale di Châlons, dove facciamo il primo incontro con splendide vetrate, che ci accompagneranno durante tutto il viaggio. Notevole anche la chiesa di Notre-Dame-en-Vaux che presenta al suo interno la transizione dal romanico al gotico. In un piccolo museo adiacente sono state raccolte 55 colonne scolpite, di notevole fattura, che appartenevano a un antico chiostro romanico e rappresentano personaggi storici e religiosi.
Meno di un’ora di strada separa Châlons da Reims, dove un angelo sorridente vigila su una delle cattedrali considerate tra le più pregevoli del mondo cristiano, per la sua unità stilistica, per le sue statue, per le sue straordinarie vetrate antiche e quelle più recenti realizzate negli anni Settanta da Chagall, per i suoi ricordi legati alla storia di Francia. La tradizione cristiana di Reims risale al V secolo quando Clodoveo re dei Franchi, dopo avere sconfitto gli Alemanni accettò di farsi battezzare suggellando così l’unione del suo popolo, cioè dei Francesi, al cristianesimo. Nell’ottobre dell’816, nella basilica precedente a quella attuale, avvenne l’incoronazione imperiale di Luigi il Pio. Nell’attuale cattedrale tra il 1223 e il 1825 vennero incoronati ben 33 re francesi. I giorni precedenti la cerimonia risiedevano nell’adiacente Palazzo del Tau (che si può visitare), dove i vescovi andavano a cercare “il re che Dio aveva scelto per i Francesi”.
Nel 1962 la cattedrale di Reims ha vissuto un altro grande avvenimento di portata storica: la cerimonia di riconciliazione, tra Francia e Germania dopo gli avvenimenti della seconda guerra mondiale, voluta da Charles De Gaulle e Konrad Adenauer.
Passeggiare per le vie del centro storico di Reims è molto piacevole, ma non si può lasciare la città senza visitare la splendida chiesa di Saint-Remi, costruita nella prima metà dell’XI secolo, e una delle importanti cantine (Pommery, Taittinger, Veuve Clicquot, Mumm, Ruinart ecc.) che si trovano in collina, poco distante da Saint-Remi. Nei loro sotterranei in passato sono stati scavati 120 chilometri di gallerie, dove viene invecchiato lo champagne. Durante la seconda guerra mondiale questi tunnel servivano da rifugio e hanno ospitato ospedali e scuole. Se non trovate il tempo per visitare una cantina, vi potrete rifare nei giorni seguenti a Épernay, altra grande capitale dello champagne.

A spasso tra i vigneti
Un circuito di un centinaio di chilometri permette di scoprire il Parco naturale regionale della Montagna di Reims, dove vengono coltivate le uve Pinot Noir, Pinot Meunier e Chardonnay dai cui assemblaggi nascono alcuni tra i più rinomati champagne grands cru. Per rendersi conto della vastità della zona bisogna salire sul Faro di Verzenay, da cui il panorama a 360 gradi è fantastico. Ma che ci fa un faro in mezzo alla vigna? Fu l’originale trovata pubblicitaria di Joseph Goulet, che all’inizio del ‘900 lo fece costruire per far conoscere il suo champagne. Durante la seconda guerra il faro fu occupato dai soldati tedeschi che controllavano la pianura, mentre i francesi osservavano i loro spostamenti dalla montagna. Una montagna sui generis, alta appena 300 metri e ricoperta all’estremità da folti boschi, mentre tutt’attorno sulla pianura si sviluppano i vigneti. Accanto al faro è stato creato un moderno museo, che ricorrendo a tecnologie multimediali rappresenta il ciclo delle stagioni nei vigneti e illustra gli aspetti storici ed economici del vino dei re.
Poco distante, nel bosco di Verzy, si possono ammirare rarissimi esemplari di alberi dai tronchi contorti, caratteristica che ancora oggi rimane un mistero. Nella chiesa di Hautvillers, un pittoresco villaggio noto per le insegne che decorano le case indicando la professione delle famiglie d’origine, riposano le spoglie di Dom Pérignon. È grazie alle scoperte di questo frate benedettino, il quale dedicò gran parte della sua vita all’enologia, che nacque lo champagne moderno con le caratteristiche bollicine.

Épernay e la Côte des Blancs
Buona parte degli oltre 300 milioni di bottiglie di champagne prodotte annualmente vengono invecchiate nelle cantine di Reims e di Épernay. Quest’ultima è l’altra grande capitale del vino dei re, con oltre 100 chilometri di gallerie sotterranee. Lungo l’Avenue de Champagne si allineano, come a Reims, le cantine più rinomate. Noi abbiamo visitato quella di Mercier, attratti dalla creatività del suo fondatore Eugène Mercier. La visita è alquanto spettacolare. Con un ascensore panoramico si scende nei sotterranei, dove un trenino attende i visitatori, che anticamente erano invece accolti da carrozze trainate da cavalli. Ma non fu questa l’unica trovata di Mercier. Le pareti dei 18 chilometri di gallerie della sua cantina sono in parte scolpite da un artista di fine Ottocento e all’entrata si può ammirare la gigantesca botte, pure scolpita, che può contenere l’equivalente di 215mila bottiglie e che fu fatta costruire nel 1889 in occasione dell’Esposizione universale di Parigi. Fu trainata da Épernay a Parigi da 24 buoi e 18 cavalli durante un avventuroso viaggio che durò 20 giorni e richiese il rafforzamento di ponti e l’abbattimento di muri lungo il tragitto. Ma fu un grande successo e quindi una straordinaria trovata pubblicitaria. Ancora oggi Mercier è il secondo produttore al mondo di Champagne dopo Moët & Chandon.
A sud di Épernay si estende l’armoniosa Côte des Blancs, dove si coltiva quasi esclusivamente Chardonnay e dove le principali aziende dispongono di ampi vigneti. Negli ordinati villaggi situati lungo questo itinerario si notano una miriade di cantine di piccoli produttori locali. A Vertus ha sede Duval-Leroy, la cantina che produce uno champagne in collaborazione con il campione mondiale dei sommelier, il ticinese Paolo Basso.

La città santa della vetrate
Troyes è considerata la “Città Santa delle vetrate”. Già a partire dal XIV secolo si parla di una “école de Troyes” per lo stile “caratterizzato dai colori vivaci e dal disegno accurato”. Ancora oggi in questa città risiedono alcuni degli atelier di restauro delle vetrate più apprezzati di Francia. Per rendersi conto di questa inestimabile ricchezza basta visitare l’imponente cattedrale di Saint-Pierre-et-Saint-Paul, così come altre sontuose chiese (in particolare Saint-Jean, Sainte-Madeleine, Saint-Pantaléon, Saint-Urbain), dove l’architettura lascia ampi spazi alle finestre e ai rosoni. Dal 2013, inoltre, in un prestigioso antico palazzo è stato aperto il museo “Cité du Vitrail” che presenta una collezione di vetrate unica in Europa. E visitarlo è particolarmente interessante perché si possono osservare questi capolavori da vicino (mentre nelle chiese sono sempre situati molto in alto) per apprezzarne i particolari, simili a quelli di un dipinto, e gli splendidi colori.
Tutte le chiese della regione dello Champagne conservano opere dei maestri vetrai di Troyes; questa città era però famosa anche per le sue botteghe di scultori, che hanno prodotto capolavori sparsi in tutta la zona. Il centro storico di Troyes è a forma di tappo di Champagne e, oltre ad opere d’arte straordinarie (ad esempio l’interessante collezione di pittori fauves visibile al Museo d’arte contemporanea), conserva anche stradine pittoresche (in particolare rue des Chats) caratterizzate da case a graticcio, che presentano la loro tradizionale struttura in legno intervallata da mattoni intonacati.
La città anticamente era famosa per le sue fiere, che nel XII e XIII secolo erano note in tutta Europa. Ma fu anche il luogo dove, il 21 maggio 1420, la regina Isabella firmò un trattato che diseredava il delfino Carlo VII e consegnava di fatto la Francia agli Inglesi, designando Enrico V re d’Inghilterra legittimo erede al trono di Francia. Nove anni più tardi, il 17 luglio 1429 Carlo VII riconquistò il trono di Francia entrando nella cattedrale di Reims accompagnato da una commossa Giovanna d’Arco.

Itinerario
1° giorno (700 km) Ticino – Châlon en Champagne – Reims
2° giorno Reims
3° giorno (100 km) Circuito Montagne de Reims
4° giorno (100 km) Épernay – Côte des Blancs – Mont Aimé – Troyes
5° giorno Troyes
6° giorno (80 km) Troyes – Essoyes – Les Riceys
7° giorno (120 km) Les Riceys – Chaumont – Colombey-les-Deux-Églises
8° giorno (70 km) Colombey-les-Deux-Églises – Langres
9° giorno (450 km) Langres – Ticino

Per saperne di più
Champagne Ardenne Le guide vert Michelin, Nanterre 2014
Borgogna e Champagne-Ardenne La guida verde Michelin, Clermont-Ferrand 2008
Borgogna e Champagne-Ardenne Meridiani, Torino 2002
Francia Lonely Planet, Torino 2015
Champagne-Ardenne (carta geografica) 515 regional France, Michelin

Francia – L’incontro con Renoir, De Gaulle e Diderot

Francia – Nel cuore dello Champagne

I pittoreschi villaggi diventati il “buon ritiro” di personaggi che hanno fatto la storia. Viaggio nella regione dello Champagne verso Essoyes. E poi tappa a Colombey-les-Deux-Églises e infine a Langres, la città natale di uno dei padri del pensiero moderno.

La seconda parte di questo viaggio, pur continuando ad attraversare pittoreschi villaggi di campagna attorniati da campi coltivati e da vigneti, si caratterizza soprattutto per gli aspetti storico-culturali e ci permette di fare tre interessanti incontri con personaggi di grande calibro: Renoir a Essoyes, il generale De Gaulle a Colombey-les-Deux-Églises e infine il filosofo Diderot a Langres.

Nell’atelier di Renoir
In meno di un’ora di automobile da Troyes si arriva a Essoyes, villaggio della moglie di Renoir e della sua cugina Gabrielle, la modella preferita. Qui il pittore trascorreva i mesi estivi. Si possono visitare lo studio e la casa, che si raggiungono con una breve passeggiata lungo le pittoresche viuzze del borgo partendo dalla piazza principale, dove si trova l’Espace Renoir, un’esposizione che ripercorre la vita dell’artista e quella della sua famiglia attraverso riproduzioni di sue opere.
Il figlio Jean Renoir, grande cineasta, nel suo libro “Renoir, mio padre” (Edizioni Adelphi 2015) ripercorre i momenti felici delle estati trascorse in famiglia nel villaggio della Champagne. “Mio padre stava bene a Essoyes, e, mentre ricopriva di colori la tela, si godeva la nostra compagnia e quella degli abitanti del villaggio”. Comunque “lo si vedeva poco. Se ne andava da solo a disegnare nei campi”. La famiglia Renoir trascorreva in campagna ogni estate, ma con il passare degli anni la salute del pittore peggiorava, “si muoveva con sempre maggiore difficoltà… ma mia madre invitava molti amici e circondava mio padre di quella vita che tanto amava e che non poteva oramai più andare a cercare fuori”. “Quando lavorava in casa – prosegue il figlio Jean – noi ci disperdevamo e andavamo a divertirci con gli amici che avevamo in paese. A meno che non fossimo chiamati per posare, non entravamo nello studio. Mia madre, invece, andava spesso a trascorrervi una o due ore”. “Il ritorno da Essoyes era triste – racconta ancora Jean -: il cavallo Cocò ci portava fino a Polisot, a 12 chilometri, dove passava la ferrovia”.
Incuriositi dalla descrizione di una gita della famiglia Renoir a Les Riceys, proseguiamo in quella direzione e la sera ceniamo forse nella stessa osteria in cui Pierre-Auguste “si gustò il pollo in casseruola e i pois mange-tout avec des grelons, ovvero i piselli cotti con il lardo e si bevve più di una bottiglia di Pinot rosato”.

Nell’eremo di De Gaulle
Il mattino ci attardiamo a Les Riceys, un villaggio “avec du caractère” come viene presentato sui cartelloni stradali man mano che ci si avvicina. Sobrio, con case in sasso grigio, alti muretti che demarcano le proprietà come in Toscana, chiese imponenti e romantici ruscelli affluenti della Senna, è un borgo affascinante e famoso per il suo rosato, considerato uno dei migliori di Francia, proprio quello di cui parla Jean quando descrive la gita della famiglia Renoir.
Un centinaio di chilometri su belle strade di campagna ci separano da un altro austero villaggio campagnolo con le case in sasso: Colombey-lesDeux-Églises. Il generale De Gaulle, uno dei padri della Francia moderna, aveva costruito qui il suo eremo nel 1921, a metà strada tra Parigi e le guarnigioni francesi, dove il giovane colonnello, militare di professione, prestava servizio. Dapprima casa di vacanza, in seguito residenza primaria, alla Boisserie De Gaulle ha trascorso i momenti più significativi della sua vita, “alla ricerca di riflessione e di serenità” e ha scritto le sue memorie nello studio con idilliaca vista sulla campagna. Fu pure qui che nel 1958 ospitò il cancelliere Konrad Adenauer per suggellare la riappacificazione tra Francia e Germania “in un ambiente familiare” ritenuto “più significativo del decoro di un palazzo”.
Per sua volontà il generale è stato sepolto a Colombey-les-Deux-Églises in una semplice e austera tomba che reca unicamente la scritta “Charles De Gaulle”. Nello stesso villaggio Georges Pompidou, il politico che gli succedette all’Eliseo, inaugurò nel 1972 un’imponente croce di Lorena alta oltre 44 metri che domina la regione. Risale invece al 2008 il modernissimo museo “Mémorial Charles de Gaulle”, dove si può trascorrere un’intera giornata senza annoiarsi. Visitandolo si ripercorre la storia francese del XX secolo con l’ausilio di foto, filmati, animazioni, che rendono il percorso estremamente interessante.

Un secolo di storia
Si parte dalla prima guerra mondiale quando De Gaulle venne abbandonato dai suoi compagni sul campo di battaglia a Verdun pensando che fosse morto; in seguito fu fatto prigioniero dai tedeschi. Terminata la guerra De Gaulle si oppose alle strategie difensive del ministro Maginot, che sperava di tenere lontana la minaccia tedesca con la famosa linea fortificata che portava il suo nome. Linea che venne facilmente aggirata da Hitler, come De Gaulle aveva temuto, per invadere la Francia nel 1939. E mentre il maresciallo Pétain si apprestava a collaborare con l’occupante, De Gaulle da Londra lanciò un appello per evitare la resa e continuare la lotta contro il fascismo. Lotta che egli proseguì dall’estero: dapprima da Londra, in seguito dai territori delle colonie francesi, creando a Brazzaville, in Congo, la prima capitale della Francia libera, fino alla liberazione di Parigi del 26 agosto 1944. Seguirono l’elezione all’unanimità alla presidenza del governo, le dimissioni da questa carica nel 1946 e il ritorno al potere 12 anni più tardi alla testa del Rassemblement du peuple français. Nel 1968, travolto dai movimenti giovanili, uscì dalla scena politica in seguito alla sconfitta in un referendum che si era trasformato di fatto in una votazione pro o contro di lui. Due anni più tardi, il 9 novembre 1970, la morte.

La città natale di Denis Diderot
La strada che collega Colombey-les-DeuxÉglises a Langres, città natale del filosofo Denis Diderot, passa per Chaumont, un borgo medievale che merita una breve visita. In particolare in una cappella funeraria della basilica di St-Jean-Baptiste si può ammirare un gruppo di undici statue policrome del Quattrocento di grandezza naturale. I personaggi sono di un’espressività notevole, come quelli di un altro gruppo scultoreo considerevole che avevamo ammirato nella chiesa di Saint Jean-Baptiste di Chaource, poco distante da Essoyes. Due esempi eccezionali della ricchezza scultorea della regione.
La grande attrattiva di Langres è invece rappresentata dalla sua cinta muraria fortificata lunga 4 chilometri, che abbraccia tutta la città e offre un piacevole percorso con splendidi punti panoramici sulla regione agricola circostante. La cittadina è graziosa. La piazza principale è dedicata al suo cittadino più celebre, Denis Diderot, che troneggia al centro immortalato in una statua dallo scultore Bartholdi.

Il padre del pensiero moderno
Nel 2013, in occasione del terzo centenario della sua nascita, all’importante filosofo, nella cornice di una splendida residenza, è stato dedicato un modernissimo museo (Maison des Lumières), in cui il visitatore può interagire con il personaggio grazie a moderne tecniche digitali. Si percorre così la vita e l’opera di questo grande uomo destinato dalla famiglia alla vita ecclesiastica, ma che diventerà invece un simbolo del rinnovamento. Osteggiato dalla chiesa e dal potere costituito fino al punto da venire rinchiuso in carcere, attraverso l’istruzione e la cultura Diderot voleva rendere cosciente il popolo e allontanarlo dall’oppressione della fede e del potere dispotico. Grande anticipatore del pensiero moderno, già nel Settecento auspicava l’emancipazione della donna e la democraticizzazione degli studi. Spirito libero, romanziere, critico d’arte, drammaturgo, uomo di scienza, era interessato al progresso scientifico, alla scoperta di nuovi continenti e di culture diverse, alla circolazione delle idee grazie ai nuovi mezzi di trasporto e combatteva ogni tipo di intolleranza religiosa o politica.
Il suo capolavoro fu l’“Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers”: la più importante opera editoriale del suo secolo, che comportò la pubblicazione di 35 volumi sull’arco di un trentennio a metà Settecento. Vi furono coinvolti oltre mille lavoratori tra fabbricanti di carta, tipografi, disegnatori, rilegatori, stampatori e naturalmente gli estensori degli articoli tra i quali figurano personaggi di spicco dell’epoca, ad iniziare da Jean Jacques Rousseau.
L’obiettivo della pubblicazione era quello di cambiare il modo di pensare diffondendo una nuova filosofia. Come? Raccogliendo il maggior numero possibile di conoscenze da trasmettere ai contemporanei e alle future generazioni nella speranza “che i nostri nipoti, diventando più istruiti, siano al tempo stesso più virtuosi e felici”.

Itinerario
1° giorno (700 km) Ticino – Châlon en Champagne – Reims
2° giorno Reims
3° giorno (100 km) Circuito Montagne de Reims
4° giorno (100 km) Épernay – Côte des Blancs – Mont Aimé – Troyes
5° giorno Troyes
6° giorno (80 km) Troyes – Essoyes – Les Riceys
7° giorno (120 km) Les Riceys – Chaumont – Colombey-les-Deux-Églises
8° giorno (70 km) Colombey-les-Deux-Églises – Langres
9° giorno (450 km) Langres – Ticino

Per saperne di più
Champagne Ardenne Le guide vert Michelin, Nanterre 2014
Borgogna e Champagne-Ardenne La guida verde Michelin, Clermont-Ferrand 2008
Borgogna e Champagne-Ardenne Meridiani, Torino 2002
Francia Lonely Planet, Torino 2015
Champagne-Ardenne (carta geografica) 515 regional France, Michelin

India – Le capitali dell’impero Moghul

India – Nel Rajasthan dei maragià

A Delhi, tra antico e moderno. L’emozione davanti al Taj Mahal, una delle sette meraviglie del mondo, con la sua romantica storia d’amore. La città fantasma di Fatehpur Sikri, che fu abitata per soli dodici anni.

Il nostro itinerario in Rajasthan – siamo cinque amici – parte da New Delhi e termina due settimane dopo nella stessa metropoli percorrendo un tragitto circolare di oltre 2mila chilometri a bordo di un piccolo bus, con autista e una guida molto colta. L’operatore è Kel12, la società italiana con la quale viaggio da molti anni.
La circolazione stradale in India è estremamente disordinata. La pavimentazione è spesso carente al di fuori delle autostrade, dove capita però che una mucca (sacra) occupi la corsia di sorpasso.
La prima parte del viaggio, che presentiamo in questa pagina, si sofferma sulle capitali dell’impero Moghul, situate ai confini con il Rajasthan.

Delhi, capitale da secoli
Le due settimane previste per il nostro itinerario ci permettono di effettuare una visita molto (troppo) limitata della Delhi storica, antica sede dell’impero musulmano dei Moghul. Per percorrere le tappe principali della storia indiana visitiamo dapprima il Museo nazionale, che propone una serie di sculture induiste sopravvissute alla furia degli invasori islamici. È d’obbligo un momento di riflessione sulla tomba, molto essenziale, di Mahatma Gandhi, padre dell’India indipendente, una delle più belle figure politiche del XX secolo. Poco lontano sorgono i palazzi amministrativi della capitale, costruiti in gran parte dagli Inglesi per gestire la colonia indiana.
Ma i monumenti più interessanti riguardano il periodo dell’impero islamico della dinastia Moghul. Si tratta del Forte Rosso e delle due moschee: la Jama Masjid, edificata nel XVII secolo, tuttora la più grande e imponente di tutta l’Asia, e il Qutb Minar, uno splendido minareto in pietra arenaria rossa alto 72 metri, risalente al 1199 e appartenente a un’immensa moschea ormai diroccata. Ma come: due moschee? L’India non è il Paese dell’induismo? Sì, ma la sua storia ruota in gran parte attorno all’impero musulmano dei Moghul, che regnarono dal 1526 fino all’inizio del dominio inglese nella seconda metà del XVIII secolo. E ancora prima di loro, già nel XIII-XIV secolo Delhi era governata da un sultano. Le prime incursioni musulmane in India risalgono tuttavia a due secoli prima.

Taj Mahal, storia d’amore
Prima di entrare nel Rajasthan – governato per secoli da principi locali induisti, che se la dovettero vedere dapprima con l’impero musulmano e in seguito con quello britannico – visitiamo Agra, prima sede dell’impero islamico dei Moghul.
Agra è mondialmente nota per conservare una delle sette meraviglie del mondo: il Taj Mahal, “una lacrima sul viso dell’eternità”, un monumento all’amore romantico ed eterno. Il mausoleo che sorge in riva al fiume Yamuna venne infatti costruito dall’imperatore Moghul Shah Jahan per custodire il corpo della sua amata moglie Arjumand Bann Begun. La leggenda racconta che il sovrano avesse incontrato la sua sposa nel bazar reale di Agra, dove le donne di corte una volta all’anno erano solite recarsi per fingere di prendere il posto dei mercanti nella vendita di gioielli e abiti in seta. Il giovane principe sedicenne, figlio dell’imperatore Jahangir discendente di Tamerlano, acquistò dalla ragazza una perla di vetro e il giorno seguente la chiese in moglie. L’imperatore, affascinato dalla bellezza della sposa del figlio, la battezzò con il nuovo nome di Mumtaz Mahal, gioiello del palazzo. Nonostante le sue numerose concubine, Shah Jahan non si separò mai da lei, che lo seguì persino nelle campagne militari e morì dando alla luce il quattordicesimo figlio. Per rendere immortale la bellezza fisica e morale della sua amata, l’imperatore concepì il Taj Mahal, un’opera architettonica perfetta, apice dell’architettura Moghul e simbolo dell’amore eterno. La costruzione richiese 21 anni di lavoro e vennero impiegati 20mila uomini. Davanti alla tomba sorgono meravigliosi giardini suddivisi in quattro quadrati separati da corsi d’acqua, che evocano l’immagine islamica dei Giardini del Paradiso, dove scorrono fiumi di acqua, latte, vino e miele. La piattaforma su cui sorge il mausoleo è attorniata da quattro minareti e culmina in una cupola alta 55 metri, accentuata da una guglia in ottone di 17 metri.
La bellezza del Taj Mahal è emozionante. Di fronte a tanta perfezione si rimane impietriti e senza parole. Davanti al fascino e alla magia di questo monumento non si vorrebbe più andar via.

Forte Rosso, prigione dorata
Ma la storia romantica non finisce qui. Prosegue anche al Forte Rosso, che sorge pure lungo il fiume Yamuna, ma sulla sponda opposta, da cui il Taj Mahal appare in tutto il suo splendore. È da una torre del castello che Shah Hahan dovette malinconicamente osservare il mausoleo dedicato alla sua amata dopo che il figlio Aurangzeb lo spodestò e lo imprigionò. Alla sua morte il corpo fu trasportato lungo il fiume e sepolto accanto a quello della sua compagna.
Il Forte Rosso, che dista 2 chilometri dal Taj Mahal, è una maestosa cittadella imperiale a forma di mezzaluna costruita tra il 1565 e il 1573. I suoi alti bastioni (20 metri) in arenaria rossa circondano la collina su un perimetro di 2,5 chilometri, intervallati da porte d’entrata, che l’imperatore superava a dorso di elefante. I palazzi che sorgono all’interno delle mura sono un ottimo esempio di architettura indomusulmana, la cui caratteristica sta nel coniugare le due tradizioni culturali del paese. Sono costruiti in mattoni e ricoperti di arenaria rossa o di marmo. Solo un quarto della cittadella è aperta al pubblico, le parti rimanenti sono destinate a scopi militari. Si visitano le sontuose residenze degli imperatori e quelle delle loro concubine, nonché gli spazi pubblici in cui il sovrano concedeva udienza e pronunciava truci condanne: come buttare i malcapitati nel pozzo o in una fossa d’acqua con coccodrilli, o ancora in una stanza abitata dai serpenti.

Fatehpur Sikri, la città fantasma
A 40 chilometri da Agra sulla strada che porta a Jaipur si trova Fatehpur Sikri, uno dei luoghi più misteriosi e affascinanti dell’intero viaggio. Si tratta di una vastissima città con sontuosi palazzi imperiali, costruita tra il 1571 e il 1585, che divenne capitale dell’impero Moghul ma fu abitata per soli 12 anni, dopo di che venne abbandonata (sono ancora misteriosi i motivi). La costruzione di questa città, giunta a noi praticamente intatta, fu voluta dall’imperatore Akbar, brillante stratega, fine politico e amante dell’arte e della letteratura, nonostante fosse analfabeta. Siccome i suoi figli maschi morivano tutti in giovane età, temendo che la dinastia Moghul si estinguesse, Akbar si rivolse al santone sufi Shaikh Salim che viveva a Sikri. Questi gli predisse la nascita di un figlio maschio che sarebbe diventato imperatore e avrebbe proseguito la dinastia. Un anno dopo il bimbo nacque e Akbar, in segno di gratitudine, iniziò la costruzione della città a Sikri, luogo di residenza del santone. Trattandosi di una città costruita ex novo, venne pianificata con concetti innovativi cercando di conciliare la grandezza imperiale con il concetto di santità. Akbar, monarca tollerante, era molto interessato alla storia delle religioni, tanto che tentò con scarso successo di proporne una (Din-i-Ilahi) che sintetizzasse islamismo, induismo, giainismo e buddismo.
A Fathepur Sikri si visitano i palazzi privati del sultano e dei suoi principali collaboratori, le sale delle udienze pubbliche e private, gli edifici amministrativi (banca, posta con piccioni viaggiatori, eccetera) e religiosi, le torri, i giardini, i padiglioni per la musica e le danze. Uno dei quartieri più vasti è quello dedicato alle concubine: l’imperatore ne contava oltre 5mila. Erano divise in categorie: quelle di terza, secondaeprimacategoria,nonchétre mogli preferite, una indù, una musulmana e una cristiana. Collezionare donne sembra fosse una vera ossessione per Akbar, che pretendeva dai principi sconfitti le figlie più graziose.

Per capire l’India
Un viaggio in India è un’esperienza davvero interessante per la ricchezza multiculturale del Paese e per tutto quanto ha prodotto sul piano artistico, architettonico e religioso. Un viaggio di due settimane in una singola regione (il Rajasthan) non permette certamente di capire un Paese, ma induce a porsi alcuni interrogativi sorti già dalle letture di preparazione e da esperienze sul posto. Senza alcuna pretesa di spiegare l’India a chicchessia vorrei qui di seguito proporre alcune riflessioni scaturite da questo incontro con il Rajasthan, nel nord dell’India.
La prima osservazione riguarda il rapporto con i musulmani (che rappresentano il 14,2 per cento della popolazione) in una nazione a larga maggioranza induista (79,8 per cento). Una questione che in Rajasthan e in tutta l’India ha profonde radici storiche. Gli islamici invasero infatti il nord del Paese a partire dalla fine dell’XI secolo e lo governarono dal XIII-XIV fino alla dominazione britannica. La regione era suddivisa in reami locali presieduti da principi (maragià) induisti. I rapporti tra le due religioni conobbero momenti alterni, ma il potere imperiale, soprattutto con la dinastia Moghul, rimase sempre saldamente in mano islamica fino all’inizio del colonialismo inglese. I maragià dovettero quindi barcamenarsi per mantenere il loro potere e le loro ricchezze a livello locale. E ci riuscirono. Per questo il Rajasthan abbonda di monumenti storici ben conservati, anche se a pagare il pegno all’impero islamico e a quello britannico sotto forma di tasse furono soprattutto i sudditi. I rapporti tra indù e musulmani in India rimangono tuttora molto delicati, soprattutto dopo l’ascesa al potere nel 2014 del premier neoliberista e nazionalista Narendra Modi, che fonda la sua politica populista sulle origini induiste della nazione.
La seconda riflessione riguarda il sistema delle caste, che suddivide gli induisti principalmente in quattro categorie (sacerdoti, guerrieri, gente comune e servi) e ne prevede una quinta per i fuori casta, che “adempiono funzioni necessarie e sporche che contaminerebbero gli altri uomini”. Storicamente una piaga per l’India, tanto che buddismo e giainismo sono nati anche per contrastare le atrocità di questo sistema rigido di potere che ha ingessato per secoli la società induista (per esempio non è previsto che si possano scalare le caste, così come non ci si può sposare tra caste diverse). A livello legislativo questo sistema è stato abolito, ma nelle campagne sembra che sopravviva con esiti raccapriccianti.
Queste due problematiche – la convivenza tra diverse religioni e il sistema delle caste devono poi fare i conti con l’attuale globalizzazione mondiale, che spesso non facilita le questioni, ma le acuisce. D’altra parte non bisogna dimenticare che la più grande democrazia del mondo – quella indiana con un miliardo e 200mila persone – è estremamente giovane: risale al 1947, anno dell’indipendenza dalla colonizzazione britannica. Una democrazia che ha portato alla ribalta figure importanti come Mahatma Gandhi, Nehru e sua figlia Indira Gandhi, che hanno garantito al Paese leggi moderne. Ma le leggi innovative devono fare i conti con una cultura popolare tuttora fortemente ancorata al passato. Per cui si intuisce come la giovane democrazia indiana debba ancora percorrere una lunga strada. L’avvento al potere di un leader populista e nazionalista come l’attuale premier Modi non raccorcerà certamente i tempi.

Itinerario
1° giorno Milano – Francoforte – Delhi
2° giorno Agra
3° giorno Jaipur
4° giorno Visita alla fortezza di Amber e di Jaipur
5° giorno Deogarth
6° giorno Udaipur e visita al City Palace
7° giorno Jodhur e sosta al tempio Jainista di Ranakpur
8° e 9° giorno Jaisalmer
10° giorno Bikaner, nel deserto del Thar
11° giorno Pushkar e partecipazione alla fiera dei cammelli
12° e 13° giorno Visita della vecchia e nuova Delhi
14° giorno Delhi – Milano

Per saperne di più
Rajasthan et Gujarat Guides Belus, Hachette Livre, Paris 2014
India del nord The Rough Guide, Vallardi editore, Milano 2008
India del nord Polaris, Firenze 2014
India del nord Lonely Planet, Torino 2013
Cinzia Pieruccini e Mamma Congedo, Viaggio nell’India del nord Einaudi Editore, Torino 2010
Giorgio Renato Franci, L’induismo Il Mulino, Bologna 2005
Dietmar Rothmund, Storia dell’India Il Mulino, Bologna 200

India – Nel Rajasthan dei maragià

India – Le capitali dell’impero Moghul

Un viaggio tra splendide dimore, opulenti palazzi reali, fortezze, templi e leggendari tesori. E poi una sosta a Pushkar, ai bordi del deserto, durante la fiera di cammelli più grande al mondo.

Riprendiamo il nostro itinerario in India. Dopo avere visitato le antiche capitali (Delhi, Agra e Fatehpur) dell’impero musulmano Moghul, entriamo nel vivo del viaggio varcando il confine con il Rajasthan, una regione paragonabile all’Italia, sia quanto a popolazione (circa 70 milioni di abitanti), sia per estensione. Il periodo ideale per effettuare questo viaggio va da ottobre ad aprile.
Come abbiamo visto nella prima parte gli islamici invasero l’India del nord a partire dall’XI secolo e la governarono dalla fine del XIII fino alla dominazione britannica. La regione del Rajasthan era suddivisa in reami locali presieduti da principi (maragià) induisti. I signori locali dovettero quindi barcamenarsi per secoli per mantenere le loro tradizioni, il potere e di conseguenza le loro ricchezze a livello locale. E ci riuscirono, per questo il Rajasthan abbonda di monumenti storici ben conservati e mantiene una sua forte identità. In nessun’altra parte dell’India si trova una concentrazione di splendide dimore, opulenti palazzi reali, fortezze, templi e leggendari tesori come in Rajasthan. Immergersi in questa realtà è un’esperienza indimenticabile. A cominciare dai coloratissimi, rumorosissimi e caotici mercati dei centri principali, dove non è possibile camminare spensierati perché una miriade di motorette strombazzanti ti sfrecciano accanto, zigzagando a fatica tra persone e mucche sacre che si nutrono di immondizie. La gente è gentile, non ti senti mai a disagio, ma anzi accolto. Affascinanti gli abbigliamenti, soprattutto delle donne, che accostano, con ottimi risultati, colori sgargianti e si accompagnano a uomini baffuti con turbanti altrettanto variopinti.
Con una legge del 1971 l’allora premier Indira Gandhi ha abolito i titoli e i privilegi dei maragià locali, ridimensionandone drasticamente i diritti di proprietà. La maggior parte di loro si sono allora trasformati in operatori turistici, riconvertendo i loro splendidi palazzi in sontuosi hotel di lusso. Soggiornare in questi luoghi, per chi ne ha la possibilità, fa parte delle attrattive del viaggio.

Jaipur, la città rosa
Trafficata capitale del Rajasthan, Jaipur fu edificata a partire dal 1727 dal maragià Jai Singh II, seguendo un piano ragionato. Monarca illuminato, concepì l’urbanistica della città con strade ampie e diritte che si incrociano ad angolo retto. Ogni quartiere ospita specifiche attività artigianali. Il palazzo reale, in parte ancora abitato dai discendenti della dinastia, è vastissimo e occupa buona parte del centro storico. Se ne visitano alcune fastose sale. Di grande interesse a Jaipur è l’osservatorio astronomico, il più grande dei cinque che Jai Singh fece costruire in India con chiari intenti didattici. Gli strumenti sono infatti di dimensioni colossali e tuttora funzionanti. Ma il simbolo della città è costituito dal cosiddetto Palazzo dei Venti, costruito a fine Settecento per permettere alle concubine del maragià di assistere alla vita della città. Si affaccia infatti sull’animatissimo mercato, che occupa gran parte delle vie del centro storico. Il soprannome di città rosa risale al 1876, quando in occasione della visita del principe del Galles il signore locale ordinò di dipingere tutte le case di rosa. Un regolamento che è rimasto in vigore fino ai nostri giorni.
Di grande interesse è anche la visita di Amber, l’antica città del Cinquecento che si trova a 10 chilometri di distanza e fu abbandonata due secoli più tardi quando venne edificata Jaipur. È circondata da 15 chilometri di mura, che seguono la cresta delle colline circostanti. Si estende attorno al forte mai espugnato di Jaigarh, costruito a nido d’aquila in cima a un colle che controlla la stretta valle di Amber, punto di passaggio obbligato tra Delhi e il Rajasthan, dove transitavano importanti carovane di commercianti. La fortezza, che si raggiunge a dorso di elefante, ospita la sontuosa reggia dei maragià alleati all’impero Moghul.

Udaipur, la città bianca
Romantica città bianca, che si affaccia sulle rive del lago Pichola incorniciato da maestose colline, viene anche definita la Venezia d’Oriente per la sua caratteristica di affacciarsi sull’acqua. Fondata nel 1568 da Udai Singh II è oggi in parte ancora governata da Arund Singh, settantaseiesimo discendente della dinastia, importante artefice del successo turistico di Udaipur. Un successo di cui siamo rimasti vittime, perché non siamo in pratica riusciti a visitare il complesso reale composto da 11 palazzi e numerose corti collegate tra loro da stretti corridoi. L’eccessivo numero di visitatori, soprattutto indiani che approfittavano di una settimana di vacanza (la festa delle luci) per visitare uno dei luoghi più suggestivi del Paese, ha creato code chilometriche. Ci siamo così limitati ad ammirare dal lago l’imponente palazzo reale in pietra gialla, costruito sull’arco di tre secoli, e a visitare la splendida residenza estiva in marmo, situata su un’isola e trasformata in elegante albergo (Lake Palace); abbiamo passeggiato nel giardino in cui i maragià trascorrevano il loro tempo libero con le concubine, per poi immergerci nel mare di folla del bazar, dove ci siamo pure persi. Ma nessun timore: gli Indiani si fanno in quattro per aiutarti!

Pace e serenità nel tempio giainista
Merita certamente una deviazione, sulla strada tra Udaipur e Jodhpur la visita all’imponente tempio di Ranakpur, straordinaria espressione della fede giainista. Costruito in marmo nel 1439 è il più grande dell’intera India. Nonostante la sua mole – si compone di 29 sale, 80 cupole e 1444 colonne – dall’esterno appare leggero ed elegante. All’interno colpisce l’abilità degli artigiani che hanno scolpito il marmo rendendolo in certi particolari simile a un ricamo. Ogni colonna è diversa dall’altra e propone motivi floreali, geometrici o immagini di divinità. Numerose le statue dedicate a danzatrici, che rappresentano i movimenti della danza sacra e devozionale dei riti giainisti. Nel tempio si respira un’atmosfera di pace e di serenità.

Jodhpur, la città blu
Riprendiamo la strada e dalla quiete del tempio giainista ci immergiamo di nuovo nel caotico traffico indiano. Le motorette sono come mosche: sfrecciano da tutte le parti e nessuno dei loro conduttori indossa il casco. Gli specchietti retrovisori sono un optional, perché chi giunge da dietro annuncia il suo arrivo strombazzando. A Jodhpur prima di raggiungere l’albergo ci perdiamo – ma questa volta solo in senso figurato – nell’animatissimo mercato. L’amplissima zona riservata ai prodotti della terra ci ricorda che il Rajasthan è uno stato a vocazione rurale: tuttora la maggior parte della popolazione lavora nei campi.
Il mattino seguente di buon’ora visitiamo la città blu, che si estende attorno al Forte Meherangarh costruito nella seconda metà del Quattrocento su uno sperone roccioso dal quale si dominano l’abitato e la pianura circostante. La cinta attorno alla città si estende per 10 chilometri con mura alte fino a 36 metri e profonde fino a 21. Un complesso sistema di porte dà accesso alla residenza del maragià che si trovava nella fortezza. Dall’alto il panorama è magnifico. Il colore blu delle case inizialmente indicava le residenze dei brahmani, la casta più elevata, riservata ai sacerdoti, ma con il passare degli anni è stato utilizzato semplicemente per proteggersi dagli insetti. Passeggiando per le tortuose stradine medievali si incontrano numerose haveli, antiche case dei commercianti, che ricordano i fasti del passato di questa città situata all’incrocio fra le due più importanti vie carovaniere del Rajasthan: quella delle spezie, che nel deserto prosegue verso Jaisalmer e il Pakistan, e quella del mare che scende verso il Gujarat.

Jaisalmer, città dorata
Jaisalmer, la città dorata, vista da lontano con la sua cinta muraria che racchiude il centro storico, sembra un miraggio nel deserto del Thar, uno dei luoghi più aridi del pianeta. All’interno dei bastioni si trovano il palazzo reale e numerose lussuose haveli, le antiche case dei commercianti che si arricchirono quando da questi luoghi transitavano le carovane che garantivano i collegamenti tra l’India e l’Asia centrale. Passeggiando per le strette e quiete vie del centro si respira la tipica atmosfera di una città del deserto. Dalle terrazze del palazzo reale lo sguardo si perde nel vuoto e la nostra fantasia evoca il mistero delle piste carovaniere. Gli edifici sono costruiti in arenaria gialla, che con il calar del sole si colorano di oro giustificando il soprannome di città dorata. Assistiamo al tramonto dalle dune di sabbia che raggiungiamo a dorso di dromedario. Il turismo rappresenta oggi la maggiore fonte di reddito di questo luogo misterioso e incantato, certamente una delle mete più affascinanti del viaggio.

Il tempio dei ratti
Uno dei monumenti più bizzarri dell’India e senza dubbio del nostro viaggio è certamente il tempio di Karni Mata, dedicato alla dea protettrice di Bikaner, tappa successiva del nostro itinerario. Nel tempio scorrazzano orde di topi brulicanti che i fedeli venerano come divinità in attesa di reincarnarsi in una vita migliore. I pellegrini offrono mangime ai piccoli roditori ed è ritenuto di buon auspicio mangiare il cibo sbocconcellato dai topi, così come sembra porti fortuna se uno di loro ti cammina sui piedi. Ma attenzione a non calpestarli perché si potrebbe essere costretti a donare la riproduzione in oro del malcapitato per placare le ire della dea protettrice.
Bikaner è un’altra città del deserto, nota soprattutto per il suo magnifico forte costruito sulle rocce che affiorano dal Thar. Anche qui come in altre cittadelle notiamo all’entrata una serie di impronte di mani. Sono quelle delle donne che hanno partecipato a un suicidio di massa previsto da un antico codice cavalleresco indiano. Per non cadere prigionieri nelle mani del nemico gli uomini indossavano abiti color zafferano e si gettavano tra le fila dell’esercito avversario incontro a morte certa, mentre le donne e i bambini spiravano tra le fiamme delle pire.
Nel polveroso museo del palazzo del maragià di Bikaner sono esposti molti regali donati dalla corona inglese (persino un aereo della prima guerra mondiale) in segno di riconoscenza per la sua fedeltà e per aver costituito un battaglione di cammellieri al servizio della regina.

La fiera dei dromedari
Chiudiamo il nostro viaggio in bellezza nella città sacra di Pushkar, che abbiamo la fortuna di visitare durante la fiera annuale dei dromedari. Migliaia di uomini del deserto vi giungono a piedi e sostano sulle aride colline circostanti con i loro dromedari, ma anche con cavalli, mucche e bufali che vengono contrattati durante dodici giorni. Ma la grande festa prevede molto altro: corse di dromedari, esibizioni di incantatori di serpenti e bimbi sui trampoli, recite teatrali e prove di abilità. Numerosissime sono le giostre. Tutto questo è però accompagnato anche da un grande fervore religioso. Pushkar è infatti considerata dagli indù una città sacra, che andrebbe visitata almeno una volta nella vita. Durante questi giorni di festa il misticismo acquisisce una magia particolare e molti pellegrini si immergono nelle acque sacre del lago attorno al quale sorgono centinaia di piccoli templi. Dietro ad essi si espande la città con il suo animato bazar. Le cerimonie religiose con il profumo degli incensi, i canti e le processioni, rappresentano momenti di grande suggestione. Sacro e profano convivono per giorni durante la fiera, senza urtarsi l’un l’altro.
Il nostro viaggio volge al termine e il mattino all’alba, prima di lasciare Pushkar per Delhi visitiamo la collina dove sono ammassati centinaia di dromedari con i loro proprietari, commercianti che trascorrono la notte sotto tende improvvisate. È l’immagine di questo itinerario che mi porterò dentro con maggiore affetto.

Itinerario
1° giorno Milano – Francoforte – Delhi
2° giorno Agra
3° giorno Jaipur
4° giorno Visita alla fortezza di Amber e di Jaipur
5° giorno Deogarth
6° giorno Udaipur e visita al City Palace
7° giorno Jodhur e sosta al tempio Jainista di Ranakpur
8° e 9° giorno Jaisalmer
10° giorno Bikaner, nel deserto del Thar
11° giorno Pushkar e partecipazione alla fiera dei cammelli
12° e 13° giorno Visita della vecchia e nuova Delhi
14° giorno Delhi – Milano

Per saperne di più
Rajasthan et Gujarat Guides Belus, Hachette Livre, Paris 2014
India del nord The Rough Guide, Vallardi editore, Milano 2008
India del nord Polaris, Firenze 2014
India del nord Lonely Planet, Torino 2013
Cinzia Pieruccini e Mamma Congedo, Viaggio nell’India del nord Einaudi Editore, Torino 2010
Giorgio Renato Franci, L’induismo Il Mulino, Bologna 2005
Dietmar Rothmund, Storia dell’India Il Mulino, Bologna 200

Puglia – Nel magico Salento

Puglia – Dall’incanto dei Trulli sconfinando in Basilicata sino alla misteriosa Matera

Da Lecce e poi lungo la costa, un viaggio attraverso regioni dove si parla ancora un dialetto greco, per approdare a Otranto, “la bianca”. Le tappe sulla spettacolare litoranea che percorre il tacco dello “stivale” d’Italia per raggiungere Gallipoli, l’isola fortezza collegata alla terraferma da un antico ponte.

Occorre almeno una settimana per visitare i luoghi più significativi della Puglia, dal Salento al Gargano, con un breve sconfinamento in Basilicata per ammirare Matera, che da sola vale il viaggio. Il nostro affascinante itinerario circolare permette di scoprire le meraviglie del Barocco pugliese soprattutto a Lecce, Nardò e Martina Franca, le magnifiche e austere chiese romaniche sparse su tutto il territorio, borghi orientaleggianti rimasti intatti per secoli con case basse e bianchissime, spettacolari litorali, campagne armoniose popolate da uliveti millenari e vastissimi vigneti, paesaggi di fata come quelli dei trulli di Alberobello. Ma si fanno anche incontri speciali, come quello con Federico II, nipote del Barbarossa, che tanto amò queste terre, dove lasciò numerose testimonianze della sua poliedrica cultura. In particolare quel Castel del Monte, che potrebbe aver progettato lui stesso, ma che avrebbe potuto essere disegnato da un grande architetto del nostro tempo, tanto è essenziale la sua struttura. Se a tutto questo si aggiunge una cucina straordinaria, un’interessante produzione enologica, strutture ricettive di qualità, ci sono tutti gli ingredienti per una vacanza perfetta.
L’itinerario descritto si articola su circa 1.300 chilometri. Bari, da cui prende avvio il nostro viaggio in Puglia, è facilmente raggiungibile in aereo da Bergamo. Giunti sul posto è però indispensabile noleggiare un’auto.

Capitale del barocco
La più bella città italiana si trova in un lontano angolo del tacco: si ha l’impressione che architetti e scultori abbiano ereditato lo spirito e l’ingegno delicato dei greci, che anticamente hanno abitato queste zone”. Così scriveva nel 1717 il teologo irlandese George Berkeley nel suo diario di viaggio del Grand Tour. Sono passati tre secoli, ma lo stupore del turista davanti alle meraviglie del Barocco leccese rimane lo stesso. La città ha mantenuto inalterato il suo stile; si passeggia per una giornata intera nel centro storico, in gran parte pedonalizzato, senza vedere una costruzione moderna. I momenti più suggestivi per visitare Lecce sono il tramonto – quando gli edifici si tingono d’oro – e la notte, grazie a una splendida illuminazione.
La Firenze del Barocco”, come l’ha definita nell’Ottocento lo storico tedesco Ferdinand Gregorovius, è un museo all’aperto. I luoghi di maggiore fascino sono senz’altro la chiesa di Santa Croce, massima espressione del Barocco leccese, e l’imponente e armoniosa piazza del Duomo, salotto della città che si apre tra via Libertini e via Vittorio Veneto. Il Barocco a Lecce rappresenta uno dei momenti più sorprendenti e coinvolgenti dell’arte italiana. È fiorito tra il Seicento e il Settecento per celebrare la potenza e la ricchezza dei nobili latifondisti locali. Palazzi, chiese e conventi sono stati costruiti e ristrutturati interpretando in modo esuberante e fantasioso questo stile. Ne sono scaturiti suggestivi portoni, finestre, altari e facciate eleganti, decorati con incredibili ceselli, colonne tortili, vasi, fiori, frutta e mostri ricavati dalla pietra locale tenera e docile allo scalpello.
Ma la città non si ferma al Barocco. Propone anche testimonianze di epoche più remote come il teatro e l’anfiteatro romani, che si trovano pure nel centro storico.
Uno dei piaceri di un viaggio in Puglia è rappresentato dalla gastronomia. A Lecce c’è solo l’imbarazzo della scelta: noi abbiamo gustato un eccellente pasto nella semplice ma ottima osteria “Semiserio”, situata alle spalle di piazza Sant’Oronzo.

Otranto, l’orientale
La seconda giornata del nostro itinerario è piuttosto impegnativa. Si concentra sulla costa del tacco. Prima di raggiungere il mare facciamo però tappa a Galatina per visitare gli splendidi affreschi nella chiesa di santa Caterina d’Alessandria, considerata uno dei più significativi monumenti dell’arte romanica in Puglia. I meravigliosi dipinti, che ricoprono interamente la basilica, furono realizzati nella prima metà del Quattrocento da pittori di scuola giottesca e raccontano storie del Vecchio e del Nuovo Testamento.
Prima di raggiungere la costa si attraversa una regione dove si parla ancora un dialetto, il griko, che risale ai tempi della colonizzazione dell’antica Grecia. Siccome le rive elleniche distano appena una settantina di chilometri da quelle pugliesi, dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453 arrivarono in Puglia altri cittadini greci che rivitalizzarono l’influenza storica della loro patria importando anche riti ortodossi sopravvissuti per un paio di secoli. Il declino del griko ha coinciso con l’obbligo dell’insegnamento dell’italiano nelle scuole di tutto lo stivale a partire dal Novecento.
Poche decine di chilometri ci separano dalla candida e bianchissima Otranto, la città situata più a oriente d’Italia. Solare e mediterranea, dal cuore bizantino e dalla memoria saracena, circondata da possenti mura, i suoi stretti vicoli convergono verso la cattedrale. Per cinque secoli fu uno dei porti più importanti dell’impero bizantino, punto d’imbarco strategico verso l’Oriente. A testimonianza di quell’epoca rimane la chiesetta di San Pietro del IX-X secolo, officiata per lungo tempo dal clero greco che convisse con quello locale.
A ricordare il periodo saraceno rimane un triste episodio. Nel 1480 Otranto fu assediata da un esercito di 18mila musulmani. Dopo quindici giorni capitolò. Ottocento residenti, che si erano rifugiati nella cattedrale, vennero trucidati dopo essersi rifiutati di convertirsi all’Islam.
Lo splendido centro storico custodisce un’opera d’arte unica in Occidente: il mosaico della sua cattedrale romanica, risalente al 1163, sopravvissuto alla furia dei Turchi. Misura 54 metri di lunghezza e 28 di larghezza e si compone di 600mila piastrine. Il soggetto è un albero della vita, sorretto da due elefanti, attraverso il quale viene rappresentata la cultura del tempo, frutto di un’originalissima sintesi tra la tradizione locale e quella orientale. Presenta temi biblici, come quelli della torre di Babele o del diluvio universale; storici, come il trionfo di Alessandro Magno; e altri decisamente popolari, che raccontano la vita dei contadini, dei cacciatori, storie di animali e segni zodiacali. Per evitare spiacevoli disguidi meglio verificare gli orari di apertura, perché la chiesa fa una lunga pausa dalle 12 alle sino alle 15.

Lungo la costa del “tacco”
Riprendiamo il tragitto seguendo la litoranea che si snoda verso Marina di Leuca e propone uno dei più spettacolari paesaggi costieri della penisola. Là dove le acque dell’Adriatico s’incontrano con quelle del mar Ionio si ammirano bellissimi panorami sugli scogli. In particolare dal castello di Castro, un borgo medievale che offre anche una bella passeggiata lungo le mura.
All’estrema punta del Salento si raggiunge il santuario di Santa Maria di Leuca, che sorge a picco sul mare, in un luogo dove anticamente si pensava che finisse la terra (finis terrae). Secondo la tradizione, la basilica sarebbe stata fondata da San Pietro, che dopo aver convertito la popolazione trasformò un tempio pagano dedicato a Minerva in un luogo di culto cristiano. Meta di pellegrinaggio, distrutto a più riprese, si presenta oggi nella versione del 1720, quando fu ricostruito dopo le incursioni saracene.
Proseguiamo verso Gallipoli sulla strada nell’entroterra (S274), più veloce della poco spettacolare litoranea.

Gallipoli, la “città bella”
Il centro storico della bianchissima e orientaleggiante Gallipoli, caratterizzata come Otranto da case basse e vicoli stretti, si trova su un’isoletta collegata alla terraferma da un ponte edificato nel Seicento. La “Città bella”, dal greco kalé polis, circondata da possenti mura, acquista ancora maggiore fascino di notte, sia per la discreta illuminazione, sia perché ci sono meno turisti. È davvero piacevole perdersi nel labirinto di viuzze su cui si affacciano chiese e palazzi barocchi. Vale la pena pernottare nel centro storico, dove si trovano due affascinanti alberghi (Relais Corte Palmieri e Palazzo Mosco Inn) situati in antichi edifici.
Proseguendo in direzione di Matera, distante tre ore di automobile, è d’obbligo una tappa a Nardò, che si contende con Lecce il primato di perla del Barocco. Anch’essa conobbe il suo periodo di massimo splendore nel XVII e XVIII secolo con la presenza di un’università e di accademie letterarie. Colpita nel 1743 da un terribile terremoto venne in seguito in gran parte ricostruita. Per questa ragione conserva un insieme architettonico particolarmente omogeneo giunto fino ai giorni nostri.

Itinerario
1° giorno (150 km) Bari – Lecce
2° giorno (170 km) Lecce – Galatina – Solito – Otranto – Marina di Leuca – Marina di Pesculuse – Gallipoli
3° giorno (170 km) Gallipoli – Nardò – Massafra – Matera
4° giorno (100 km) Visita guidata dei Sassi di Matera – Matera – Altamura – Castel del Monte – Montegrosso
5° giorno (241 km) Montegrosso – Mattinata – Vieste – Peschici – Vico del Gargano – Monte Sant’Angelo – Mattinata
6° giorno (220 km) Mattinata – Trani – Polignano a Mare – Monopoli – Ostuni
7° giorno (80 km) Ostuni – Martina Franca – Locorotondo – Alberobello – Cisternino
8° giono (90 km) Ostuni – Bari

Per saperne di più
Puglia Carta geografica Michelin, Italia 363, Milano 2016
Puglia La guida verde Michelin, Milano 2009
Puglia Lonely Planet, Torino 2015
Puglia Le guide Mondadori, Milano 2015
Puglia Touring Club Italiano, Milano 2004
Puglia Meridiani Anno XXVIII n° 22s6, Milano agosto t2015
Italie du Sud Guides Bleus, Vannes 2015
Italia La guida Michelin 2016, Alberghi e Ristoranti, Milano 2016
Salento Touring Editore, Milano 2015
Basilicata Touring Club Italiano, Milano 2004
Salento Meridiani Anno XXIII n° 189, Milano giugno 2010

Puglia – Dall’incanto dei Trulli sconfinando in Basilicata sino alla misteriosa Matera

Puglia – Nel magico Salento

Visitare la città dei sassi è un’esperienza indimenticabile, che da sola vale un viaggio. Alla scoperta di Federico II e del suo Castel del Monte. Le spettacolari coste del Gargano, con la cattedrale di Trani a picco sul mare, per terminare ad Alberello, un autentico paesaggio di fate.

Prosegue il nostro viaggio in Puglia. Dopo aver visitato il Salento con Lecce, capitale del Barocco pugliese, i borghi orientaleggianti di Otranto e Gallipoli e lo splendido litorale del “tacco”, il nostro itinerario circolare in automobile sconfina in Basilicata per visitare Matera, proseguendo poi verso il Gargano e ritornando lungo la costa adriatica con tappa a Trani per terminare il viaggio nel paesaggio fatato di Alberobello.

Una inattesa rinascita
Ero stato assieme a mia moglie a Matera oltre trent’anni fa. Avevamo provato un sentimento di desolazione, quasi di angoscia, di fronte ai “Sassi”, le case-grotta allora abbandonate. Eravamo curiosi di vedere come era cambiata la città in questi decenni e siamo rimasti stupiti. Da vergogna nazionale, come era stata definita all’inizio degli anni Cinquanta, oggi è diventata patrimonio mondiale dell’Unesco. Nel corso degli ultimi decenni le sorti di Matera si sono ribaltate: come mai? Lo si può spiegare rileggendo la storia recente. A portare alla ribalta nazionale e internazionale il suo degrado, quando intere famiglie vivevano nelle case-grotta assieme ai loro animali, fu lo scrittore Carlo Levi con il suo romanzo “Cristo si è fermato a Eboli”, nel quale denunciava la condizione dei contadini del Mezzogiorno italiano. Matera assurse a simbolo della povertà nell’Italia del sud. Per rimediare a questa situazione, nel 1952 il governo democristiano di Alcide De Gasperi votò una legge che prevedeva il risanamento dei “Sassi” in due fasi: dapprima il trasferimento dei 16-20mila abitanti in nuovi quartieri e in seguito il recupero del patrimonio architettonico, nel frattempo abbandonato ed espropriato dallo Stato. Una nuova legge, varata nel 1986, decretò che i “Sassi” potevano essere concessi a costo zero per 99 anni a privati, a condizione che li ristrutturassero rispettando precise condizioni. Oggi circa il 60 per cento delle casegrotta ospita residenti, commerci, strutture ricettive e culturali. La città nel 2015 ha conosciuto un incremento turistico del 44 per cento. Il recupero in corso è attuato con estremo garbo e nel rispetto dei valori del passato, tanto che nel 1993 Matera è stata iscritta dall’Unesco nell’elenco dei beni culturali mondiali e nel 2019 sarà capitale europea della cultura. La visita ai “Sassi” è un’esperienza umana e spirituale unica, è come sfogliare un libro di storia dal vivo. Sì perché le colline delle Murge sono state abitate sin dalla preistoria e nel corso dei secoli hanno visto passare greci, romani, bizantini, normanni, francesi, spagnoli.
La regione dei “Sassi” è tappezzata di scale, porte, finestre, balconcini, case sovrapposte le une alle altre, dove le terrazze sono spesso in corrispondenza al tetto di abitazioni sottostanti. Un labirinto di dimore disposte a gruppi attorno a cortili dove si trova il pozzo comune per recuperare l’acqua piovana attraverso un ingegnoso sistema di canalizzazioni. Si potrebbe dire che si tratta di una città sotterranea, perché dietro alle facciate in mattoni si nascondono profonde grotte scavate nella tenera roccia calcarea.
Nella parte alta della città, sopra i “Sassi” si trovano chiese romaniche ed eleganti palazzi barocchi, costruiti soprattutto tra il Cinquecento e il Settecento, dove vivevano le classi abbienti.
Di fronte alla città, nel Parco della Murgia Materana, si possono visitare antichi villaggi di pastori o di comunità di monaci, pure scavati nella roccia, con romantiche chiesette rupestri (talune affrescate). Dal Parco si gode un panorama straordinario sui ”Sassi” e sulla città alta.
La bellezza di Matera è stata immortalata da grandi registi cinematografici come Pier Paolo Pasolini (Il Vangelo secondo Matteo), i fratelli Taviani (Allonsanfan), Francesco Rosi (Cristo si è fermato a Eboli), Giuseppe Tornatore (L’uomo delle stelle), Mel Gibson (La Passione di Cristo).
Matera merita un soggiorno di una, meglio due notti. Vale forse la pena di visitarla con una guida del posto, soprattutto il Parco della Murgia Materana. Luigi Mazzoccoli, per esempio, che ci ha fatto scoprire la sua terra come fosse un vecchio amico (tel. 0039347 0622542 e-mail info@guida-matera.it). Se ne avete la possibilità soggiornate inoltre all’hotel Sextantio che dispone di splendide camere ricavate da antiche case-grotta; ma anche molti altri alberghi e bed&breakfast offrono questa esperienza.

Castel del Monte
Tornando in Puglia, la prossima meta del nostro itinerario è Castel del Monte, designato dall’Unesco, come Matera, patrimonio dell’umanità. Di forma ottagonale, scandito agli angoli da otto torri anch’esse ottagonali, presenta una pianta essenziale, che avrebbe potuto essere disegnata da un grande architetto del nostro tempo. La struttura ottagonale si suppone che derivi da un compromesso tra il quadrato, che rappresenta l’uomo e la terra, e il cerchio, che corrisponde al cielo e a Dio. Il castello è stato edificato con l’utilizzo di tre pietre: una calcarea di colore beige, la breccia corallina del vicino Gargano ed eleganti marmi venati di grigio importati dall’Oriente. La costruzione durò vent’anni e sulla sua destinazione – a scopi difensivi o ritrovo di caccia? – gli storici discutono tuttora. Non si sa nemmeno chi sia stato il progettista, ma si pensa che avrebbe potuto essere lo stesso committente Federico II di Svevia, imperatore del Sacro Romano Impero e nipote del Barbarossa: un incontro davvero interessante. Personaggio poliedrico, considerato “grande cavaliere dell’intelletto”, fu importante statista e innovatore in campo legislativo. Innamorato del sud Italia – trascorse l’infanzia in Sicilia – e della Puglia, alla sua corte ospitò letterati, matematici, astronomi, musicisti e medici.

Sulla litoranea nel Gargano
Proseguiamo verso nord alla scoperta del Parco nazionale del Gargano, che ammiriamo in un primo approccio dalle torri del castello di Monte Sant’Angelo – un’altra creazione di Federico II – da cui il panorama è davvero eccezionale. Ma prima di raggiungere la costa percorrendo la spettacolare S89, che porta a Mattinata, visitiamo il santuario, uno dei più antichi della cristianità e anch’esso patrimonio dell’umanità. Secondo la tradizione, nell’anno 490 l’arcangelo San Michele, capo delle milizie celesti, sarebbe apparso al vescovo di Siponte. Per celebrare l’avvenimento fu edificata una chiesa, in parte scavata nella roccia, che all’epoca delle crociate divenne una tappa obbligatoria sulla via verso la Terrasanta.
Giunti a Mattinata, per ammirare i magnifici paesaggi costieri è necessario seguire le indicazioni “litoranea” che portano sulla statale P53. La tratta più spettacolare è quella tra Mattinata e Vieste, passando dalla Baia delle Zagare e deviando sulla P54 verso Pugnochiuso e le due torri a picco sul mare di Portogreco e Campi. Ritornati sulla P53 si ammirano splendidi panorami anche da Testa del Gargano. All’entrata di Vieste, a Pizzomunno, si viene accolti da un singolare scoglio isolato sulla spiaggia che sembra una scultura moderna. La bianca cittadina con pittoreschi vicoli offre belle vedute sul mare, in particolare dal castello di Federico II. A questo punto vale la pena tornare a Mattinata percorrendo un tratto di Foresta Umbra: boschi fittissimi di faggi, aceri, pini, tigli, querce e castagni.

La cattedrale in riva al mare
La tappa successiva del nostro itinerario è Trani, città particolarmente amata da Federico II, con il castello e la cattedrale in riva al mare, un pittoresco porto con un bel nucleo medievale alle spalle e alcune vie signorili con palazzi seicenteschi. L’Adriatico è splendido. Tanto che la principessa Diana nel 1981, durante il suo viaggio di nozze con Carlo d’Inghilterra, lo definì di seta. Ed è proprio sul blu di queste acque che si staglia la cattedrale, ambasciatrice del romanico pugliese con la sua sobria austerità. Solitaria, in riva al mare, è dedicata a san Nicola. Fondata nell’XI secolo è stata costruita sopra la precedente basilica di santa Maria, dietro al cui altare si apre la cripta di san Nicola. A sua volta Santa Maria poggia sull’Ipogeo di san Leucio del V secolo. Si tratta insomma di tre chiese sovrapposte.

Borghi incantati
Il nostro percorso circolare continua verso Polignano a mare, una delle località più fotografate dell’intera costa adriatica. Il suo candido e pittoresco centro storico, di origine greca, arroccato sulle scogliere a picco sul mare presenta uno splendido quadro d’insieme. Le case basse imbiancate a calce sono addossate l’una all’altra e si affacciano su una ragnatela di viottoli. Molte sono provviste di terrazze con vista sul mare azzurro tanto caro a Domenico Modugno, il cittadino più celebre del borgo. La falesia è caratterizzata alla sua base da numerose grotte erose dal mare. Il moto ondoso offre uno spettacolo spumeggiante con suoni impetuosi.
Ciò che sorprende di questo viaggio in Puglia è certamente la bellezza dei numerosi borghi e cittadine. Un’altra perla è Ostuni, che sorge su una collina a pochi chilometri dal mare, circondata da uliveti centenari che affondano le loro radici nella terra rossa. Il centro storico della cosiddetta “città presepe” è racchiuso da mura e torrioni cilindrici. Per sfruttare lo spazio all’interno della muraglia protettiva anche qui le case sono addossate le une alle altre e collegate tra loro da archi e scalinate in un tortuoso dedalo di vicoli, molti dei quali a fondo cieco. Splendida la quattrocentesca facciata della cattedrale che sorge sulla cima della collina, a cui si accede dalla via principale che si snoda fra palazzi signorili.
La Masseria Cervarolo, situata a 7 chilometri da Ostuni sulla strada per Martina Franca è un ottimo luogo dove pernottare. Si tratta di una struttura cinquecentesca convertita in elegante dimora di campagna con raffinati arredi di artigianato pugliese. Tre camere sono situate in altrettanti trulli, che facevano parte del complesso. Ottima anche la cucina e la selezione di vini locali.

La terra degli ulivi
Ed eccoci immersi allora nella magica zona dei trulli, che si estende tra Cisternino, Locorotondo, Alberobello e Martina Franca (Valle dell’Itria). Una campagna armoniosa e fertile, dalla terra rossa cosparsa di ulivi e di trulli che attribuiscono un tocco fiabesco al paesaggio intervallato da villaggi rupestri e borghi medievali. Tra questi ultimi spiccano Cisternino, spettacolare punto panoramico sulla valle dei trulli con il suo antico fascino un po’ orientale, e Locorotondo, con le basse case bianche raccolte in tondo (da qui il nome) attorno all’imponente chiesa matrice di san Giorgio.
Una svagatezza, una dolcezza del vivere che sembra impressa nei suoi lineamenti”. Così lo scrittore Carlo Castellaneta ha definito Martina Franca, unica città della Valle dell’Itria. Il centro storico, cinto da bastioni, conserva nelle vie centrali un pittoresco complesso barocco e rococò. Man mano che ci si allontana dalle vie “nobili” i palazzi signorili lasciano il posto alle piccole case bianche e basse tipiche della regione.

La capitale dei trulli
Il nostro viaggio in Puglia si conclude in un paesaggio incantato. Se nella valle dell’Itria si incontrano piccoli agglomerati di trulli dispersi nella campagna, ad Alberobello essi formano invece un vero e proprio villaggio protetto dall’Unesco come patrimonio dell’umanità. Nella capitale dei trulli questi camini delle fate sono infatti addossati l’uno all’altro. Il bianco delle pareti cilindriche contrasta con il grigio dei tetti in pietra. Gli ambienti interni sono a pianta quadrata con nicchie e vani lungo le pareti. Tutte le stanze comunicano con quella del trullo centrale, come si può ben vedere nel Museo del Territorio, che racconta la storia di queste costruzioni. La città è disposta su due colline: quella di Aia Piccola, che ospita 590 trulli adibiti soprattutto ad abitazione, e quella del più vasto Rione Monti, una zona che mantiene il suo fascino nonostante quasi tutti i trulli siano stati destinati a scopi turistici.
Curiosa è l’origine di queste abitazioni. Si racconta che un ingegnoso conte di Acquaviva, soprannominato il Guercio di Puglia, non possedendo l’autorizzazione regia per fondare un nuovo villaggio, emanò un decreto con il quale impose ai suoi contadini di costruire abitazioni a secco, senza l’uso di malta, cosicché, in caso di ispezioni governative le case avrebbero potuto essere smontate e poi riedificate.

Itinerario
1° giorno (150 km) Bari – Lecce
2° giorno (170 km) Lecce – Galatina – Solito – Otranto – Marina di Leuca – Marina di Pesculuse – Gallipoli
3° giorno (170 km) Gallipoli – Nardò – Massafra – Matera
4° giorno (100 km) Visita guidata dei Sassi di Matera – Matera – Altamura – Castel del Monte – Montegrosso
5° giorno (241 km) Montegrosso – Mattinata – Vieste – Peschici – Vico del Gargano – Monte Sant’Angelo – Mattinata
6° giorno (220 km) Mattinata – Trani – Polignano a Mare – Monopoli – Ostuni
7° giorno (80 km) Ostuni – Martina Franca – Locorotondo – Alberobello – Cisternino
8° giono (90 km) Ostuni – Bari

Per saperne di più
Puglia Carta geografica Michelin, Italia 363, Milano 2016
Puglia La guida verde Michelin, Milano 2009
Puglia Lonely Planet, Torino 2015
Puglia Le guide Mondadori, Milano 2015
Puglia Touring Club Italiano, Milano 2004
Puglia Meridiani Anno XXVIII n° 22s6, Milano agosto t2015
Italie du Sud Guides Bleus, Vannes 2015
Italia La guida Michelin 2016, Alberghi e Ristoranti, Milano 2016
Salento Touring Editore, Milano 2015
Basilicata Touring Club Italiano, Milano 2004
Salento Meridiani Anno XXIII n° 189, Milano giugno 2010

Barolo – La terra del vino dei re e re dei vini

Da uno splendido paesaggio nasce il Barolo, “vino dei re”

Un itinerario nelle Langhe, a sud di Alba, tra armoniose colline su cui sorgono villaggi con graziose chiesette addossate a poderosi castelli. Dove la vigna è protagonista del paesaggio e della cultura.

Un itinerario nella terra del “vino dei re e del re dei vini”: il Barolo. Nelle Langhe a sud di Alba, il nostro percorso si snoda tra armoniose colline battute dal vento. Sul crinale sorgono villaggi con graziose chiesette addossate a poderosi castelli. Protagonista del paesaggio è la vigna “che sale sul dorso di un colle fino a incidersi nel cielo” con i suoi filari ordinati come “quinte di una scena favolosa, in attesa di un evento” (Cesare Pavese, “Feria d’agosto”). La stagione migliore per visitare questa incantevole regione è l’autunno, quando i vigneti si tingono di un tripudio di colori, che vanno dal giallo al rosso. Ma è affascinante anche in primavera, quando le nebbioline del mattino si alzano lentamente e le colline appaiono come “se si togliesse loro il vestito da sotto in su” (Beppe Fenoglio, “I ventitrè giorni della città di Alba”), così come in estate, quando il sole avvolge la vigna portandola a maturazione.
Già Plinio diciassette secoli fa scriveva che le argille attorno ad Alba erano adatte alla vite. Secondo gli storici, per trovare le origini del vino Barolo bisogna però risalire al XIII secolo, quando i membri della famiglia Falletti, acquistando un castello dal comune di Alba, divennero Marchesi di Barolo. A intuire l’enorme potenzialità viticola della regione fu agli inizi dell’Ottocento una nobildonna francese, Juliette Colbert di Maulévrier pronipote del famoso ministro delle finanze di Re Sole, che sposò nel 1807 il Marchese di Barolo Carlo Tancredi Falletti. Juliette comprese che per rivelare tutte le qualità tipiche del suolo e del vitigno era necessaria una lunga fermentazione e un prolungato affinamento in botti di legno.
La tradizione narra che re Carlo Alberto di Savoia (1798-1849) rimproverasse la marchesa “imperocché mai gli aveva fatto gustare quel famoso vino del quale tanto aveva sentito parlare”. Cosicché, secondo la leggenda, la marchesa caricò una lunga fila di carri trainati da buoi con 325 carrà, piccole botti, una per ogni giorno dell’anno, escluso il periodo della Quaresima. Ogni botte, di circa 500 litri ciascuna, conteneva vino proveniente dalle diverse tenute della proprietà. La soddisfazione di Carlo Alberto fu tale che decise di acquistare il castello di Verduno con gli annessi vigneti e affidò la vinificazione delle uve a un generale e famoso enologo, Paolo Francesco Staglieno, il quale introdusse nuovi metodi di vinificazione. Alcuni anni più tardi fu un altro sovrano, Vittorio Emanuele II, a dare lustro all’etichetta acquistando pure lui un’importante tenuta: quella di Fontanafredda a Serralunga d’Alba, nel cuore della regione, alla quale è legata la piccante storia di cronaca rosa che legò il re alla Bella Rosin.
Un’altra famosa figura della storia d’Italia lega il suo nome al Barolo: il conte Camillo Benso di Cavour, proprietario del castello di Grinzane e dei contigui vigneti, che a metà Ottocento modernizzò la produzione e commercializzò il Barolo rendendolo famoso nelle corti di tutta Europa.

Tra le colline del Barolo
Il Barolo viene vinificato in undici comuni: Barolo, Castiglione Falletto, Serralunga (dove si produce esclusivamente questo vino), Monforte d’Alba, Novello, La Morra, Verduno, Grinzane Cavour, Diano d’Alba, Cherasco e Roddi. Per gli amanti del trekking esistono 250 chilometri di sentieri segnalati che attraversano tutta le regione collegando queste undici località. Anche l’itinerario in automobile che proponiamo in questa pagina tocca tutti i comuni, iniziando a percorrere il perimetro della zona per poi entrare nel cuore della regione e terminare al museo del vino di Barolo.
La nostra prima tappa prevede la visita di un altro interessante museo, dedicato alla storia e allo sviluppo del “vino dei re”, oltre che del tartufo. Il percorso inizia infatti dalla visita di Grinzane e del suo imponente castello, che fu abitato dal 1832 al 1849 dal grande statista Camillo Benso di Cavour, padre dell’unità d’Italia. L’ottima audioguida del museo racconta l’impegno del conte di Cavour per rinnovare la produzione del Barolo e per diffonderlo in tutto il continente. La maestosa costruzione, realizzata attorno alla torre centrale della prima metà dell’XI secolo, ospita ogni anno un prestigioso premio letterario e l’asta mondiale del tartufo, che si tiene a fine ottobre-inizio novembre e alla quale sono collegati via internet gourmet da tutto il mondo: l’anno scorso ha fruttato oltre 300 mila euro.
Si prosegue in direzione di Sinio, dove il locale castello ospita un interessante albergo gestito da una cittadina italo americana. Si prosegue, lungo una strada romantica, verso Serralunga, un piccolo borgo ad anelli concentrici, che si arrampica a spirale sulla collina fino al suo imponente e slanciato maniero duecentesco, che dal terzo piano offre un panorama straordinario sui dolci declivi della Langa, punteggiata da paeselli. La tappa successiva è Monforte d’Alba, dove una ragnatela di viuzze culmina in un’antica torre campanaria. Novello è caratterizzato dal castello in stile neogotico, dalla parrocchiale barocca e dalla Bottega del vino ospitata nella cripta di una chiesa sconsacrata. A Cherasco, capitale italiana delle lumache, il castello visconteo rievoca il passato di piazzaforte militare dei Savoia. La graziosa cittadina propone ampie strade porticate con nobili architetture, che vanno dal medioevo all’età barocca. Il nostro circuito perimetrale ad anello si conclude a Verduno e a Roddi, dove dai rispettivi manieri si aprono splendidi panorami su Langhe, Monferrato e Alpi.
A questo punto l’itinerario prosegue penetrando nel cuore della regione, dapprima a Castiglione Falletto, quindi all’antico borgo medioevale di La Morra, che si distende a ventaglio e offre panorami mozzafiato sul borgo di Barolo, ultima tappa del nostro percorso. Situato in una conca aperta, tra armoniose colline, le sue case sono addossate all’importante castello dei Falletti, Marchesi di Barolo, che diedero il nome al “vino dei re”. Un interessante e innovativo museo, con ottima audioguida, si sofferma sul vino nella storia e nell’arte, in cucina e nel cinema, nella musica e nella letteratura, nei miti universali e nelle tradizioni locali. L’esposizione è anche un omaggio alla storia del castello e ai personaggi illustri che lo hanno abitato: la nobildonna francese Juliette Colbert che divenne marchesa di Barolo e fu la prima, come abbiamo visto, a intuire nella prima metà dell’Ottocento le grandi potenzialità di questo vino e il patriota Silvio Pellico, uno dei grandi protagonisti del Risorgimento italiano, che qui fu bibliotecario dei Falletti e di cui sono conservate intatte la camera e lo studio.
L’itinerario si conclude nel modo più appagante negli scantinati del castello, che tennero a battesimo questo vino leggendario e che oggi ospitano l’Enoteca Regionale del Barolo, rappresentativa degli undici borghi della regione, con una vastissima scelta di etichette e di annate memorabili.

Soggiornare al Castello come a casa di amici
Quando arrivate al Castello di Sinio avete l’impressione di essere accolti a casa di amici. Suonate a un cancello che si affaccia sulla piazza del borgo, vi aprono, salite per un centinaio di metri in auto ed entrate nell’incantevole corte del maniero: ad attendervi c’è la proprietaria Denise Pardini con il suo staff, che vi spiega tutto della regione e dei suoi straordinari vini. L’albergo ha una ventina di camere, a prezzi accessibili per quanto offre, e dal mercoledì alla domenica sera la signora Denise vi delizia con la sua cucina tipica piemontese, ritoccata con un pizzico di modernità. “Conosco bene le ricette tailandesi, cajun e marocchine, ma in questa regione non mi permetterei mai – afferma – di allontanarmi dalla tradizione”. La carta dei vini è notevole e oltretutto la signora conosce tutte le bottiglie e le relative annate perché le ha acquistate lei stessa dai produttori, così come ogni piatto presentato in tavola esce dalle sue mani. Un posto davvero unico e particolare, come la storia della sua affascinante proprietaria.
Denise Pardini è nata a San Francisco da una famiglia lucchese di emigrati italiani. Le sue prime esperienze in cucina risalgono all’età di sette anni, quando talvolta preparava il pranzo ai suoi sei fratelli. La passione per l’enogastronomia la spinge verso la ristorazione e la induce ad aprire due ristoranti nella metropoli californiana: uno di cucina italiana. Dopo qualche anno cambia vita e si dedica al marketing nella vicina Silicon Valley. “A quei tempi – ricorda – era ancora possibile vivere nuove esperienze anche senza una formazione specifica”. Raggiunge posizioni al vertice in due aziende informatiche. Nel 1990 si prende un anno sabbatico, che decide di trascorrere in Italia approfondendo la lingua italiana parlata nell’infanzia in famiglia, ma ormai quasi dimenticata. Visita la Toscana, sua terra d’origine, le Marche, l’Umbria, il Lazio per poi approdare in Piemonte, dove viene a sapere che il castello di Sinio è in vendita. È amore a prima vista, “anche se si trovava in condizioni pietose”. Dedica quindici anni della sua vita e investe tutti i suoi averi nel progetto di trasformarlo in un elegante ma familiare albergo, che ha aperto i battenti nel 2005. Da dieci anni questo castello è un’oasi di accoglienza: provare per credere!

Itinerario
L’itinerario visita 11 comuni in cui viene prodotto il vino Barolo; ha una lunghezza di un centinaio di chilometri e richiede circa due giorni. Si incontrano nell’ordine: Grinzane Cavour, Diano d’Alba, Serralunga (passando per Sinio), Monforte d’Alba, Novello, Cherasco, Verduno, Roddi, Castiglione Falletto, La Morra e Barolo.

Per saperne di più
Piemonte Guida d’Italia, Touring Club Italiano, Milano 1976
Piemonte, Valle d’Aosta Guide d’Italia, Touring Club Italiano, Milano 2001
Italia La Guida Michelin 2015 (alberghi e ristoranti)

Da uno splendido paesaggio nasce il Barolo, “vino dei re”

Barolo – La terra del vino dei re e re dei vini

Da oltre trent’anni frequento l’Enoteca Bava a Cannobio sul Lago Maggiore e dal suo titolare Giuseppe Bava ho imparato ad apprezzare il vino e a capire che i gusti evolvono. La grande passione dell’amico Giuseppe è sempre stata il Barolo, che io non ho mai saputo apprezzare più di tanto. Ogni volta che ci incontravamo per una degustazione mi diceva: “Vedrai che prima o poi arriverai a capire questo grande vino”. Non vi dico la sua soddisfazione quando ho iniziato a gradire il cosiddetto “vino dei re”. “Certo – mi dice Giuseppe – ci hai messo molti anni, ma il Barolo è un punto di arrivo, non di partenza. Comunque chi ama il vino prima o poi finisce per capirlo”. “A un cliente giovane – afferma Francesco, uno dei due figli che lavorano con Giuseppe – non offrirei mai un Barolo. Inizierei con altri vini, più facili”. Come i Chianti o i cosiddetti Supertuscan? “Sono vini che hanno un raggio di gradimento più vasto, mentre il Barolo è un po’ come il Bourgogne, difficile da vinificare e anche da gustare”. Ma, chiedo ancora a Giuseppe Bava, non è che i Baroli moderni siano più semplici rispetto a quelli classici? “Quelli di oggi sono pronti per essere bevuti, mentre quelli classici andavano invecchiati per dare il meglio. Sono però del parere che il vino vada acquistato per essere bevuto, non per finire in cantina, per cui credo che nella vinificazione del Barolo siano stati compiuti grandi progressi negli ultimi trent’anni. Anch’io preferisco ai classici i moderni, che per altro sopportano benissimo anche l’invecchiamento”.

Pure Paolo Basso, il campione del mondo dei sommelier, non ha dubbi in proposito: “In trent’anni – afferma – il Barolo ha fatto passi da gigante”. Come mai? “Fino agli anni Ottanta erano in pochi a vinificarlo. Tutto è cambiato quando alcuni giovani enologi, preparati, diplomati, con grande talento, hanno creato le loro cantine di produzione e hanno saputo andare oltre al cosiddetto Barolo classico – dietro al quale talvolta si nascondevano anche palesi difetti – pur rimanendo fedeli alla tradizione. Più che di vini moderni – aggiunge Basso – parlerei di prodotti più professionali che migliorano invecchiando”. Anche se lei consiglia di non conservare troppo a lungo i vini in cantina. “Diciamo che un Barolo entra nella sua pienezza dopo 10 anni. È come con le persone: si può essere simpatici da giovani, così come quando si raggiunge la maturità”. Non manca chi rimpiange i vecchi metodi di produzione… “Sa, è un po’ come chi preferisce alle auto moderne quelle d’epoca, che sono scomode, pericolose e inquinanti, ma magari ricordano loro gli anni spensierati della giovinezza”. Come considera il “vino dei re” a livello internazionale? “Come uno dei grandi al mondo, che oggi, grazie alla qualità e a un marketing intelligente, non può mancare sulla carta di un grande ristorante”. E quanto all’abbinamento con il cibo? “Certamente si accorda con i gusti della tradizione piemontese carni a lunga cottura e tartufi – o simili”. Qui vi presento un itinerario nella regione del Barolo

Stati Uniti – Viaggiando nella Storia

Stati Uniti – I miti dell’America
Stati Uniti – La metropoli che inventò i grattacieli

Da Philadelphia, culla della Nazione, a New Orleans, uno dei principali porti delle navi dei negrieri. Poi, lungo le rive del Mississippi visitando le grandi piantagioni dove lavoravano decine di migliaia di schiavi.

Il nostro viaggio inizia nella culla della storia a stelle e strisce: Philadelphia. La città dove nel 1774 si tenne il primo congresso tra i coloni della Nuova America per discutere dei loro rapporti con la corona inglese. Dove nel 1776 il secondo congresso decretò la separazione dalla Gran Bretagna e il 4 luglio adottò la dichiarazione d’indipendenza. Dove nel 1787 venne ratificata la costituzione americana (proprio qui si trovano tutti i documenti originali). Queste tappe fondamentali della storia statunitense si celebrarono nell’Indipendence Hall e dal suo campanile si udì la campana, la Liberty Bell, suonare a festa.
Nel nucleo più antico di questa storica città è stato istituito l’Indipendence National Historical Park, il miglio quadrato più ricco di storia di tutta l’America, costituito da dodici isolati con case in mattoni rossi, nei quali si possono ripercorrere le tappe salienti della nascita della nazione, dal 1776 al 1800, anni durante i quali Philadelphia fu capitale del paese.
Il luogo più magico, dove vennero prese le decisioni più importanti, è l’Indipendence Hall. Accanto si trovano la Congress Hall, dove si tennero le riunioni della prima camera dei deputati e del primo senato e la Old City Hall, sede della prima corte suprema. Non distante è stato costruito un museo per accogliere la Liberty Bell, la campana che scandì i momenti salienti della nascita della nazione, assurta in seguito a simbolo della libertà, anche durante la guerra di secessione per la liberazione degli schiavi.
Non lontano dal centro storico, immersa tra costruzioni moderne, si trova Elfreth’s Alley, una pittoresca viuzza, considerata la più antica degli Stati Uniti, che fu abitata fin dal 1727. Philadelphia offre anche interessanti musei, in particolare il Museum of Art (splendida collezione di arte europea dal 1850 al 1900), e un nuovo centro urbano situato sull’altra sponda del fiume Delaware, con un’imponente City Hall in stile Secondo Impero francese completata nel 1901.

New Orleans culla del jazz
Il nostro viaggio prosegue in aereo verso New Orleans (circa 3 ore di volo), un’altra città che svolse un ruolo importante nella giovane storia americana. Il suo porto, assieme a quello di Charleston (situata a nord est), fu infatti uno dei principali punti di approdo degli schiavi provenienti dall’Africa e dalle colonie francesi a partire dall’inizio del XVIII secolo. Alcuni di loro acquistarono la libertà e – assieme agli abitanti di origine francese e spagnola residenti nel Quartiere Francese – diedero origine alla cultura creola, che tanto influenzò la musica e la gastronomia cittadine, frutto di un crogiuolo di razze e di culture. Gli anglo-americani, che arrivarono verso metà Ottocento, vennero mal tollerati e invitati a insediarsi in “nuovi” quartieri nati attorno al centro storico.
La musica jazz nacque a New Orleans, in questo clima culturale, verso la fine del XIX secolo, influenzata soprattutto dalle popolazioni di cultura africana e si affinò all’inizio del Novecento nei bar e nei bordelli del Quartiere Francese.
New Orleans è una città diversa da tutte le altre degli Stati Uniti. Grazie alla sua mentalità festaiola, si dice che i suoi abitanti prendano la vita con calma (The Big Easy). Distrutta a due riprese nel Settecento da due devastanti incendi (1788 e 1794), la sua architettura tradisce origini europee, piuttosto spagnole che francesi, adattate a un clima subtropicale. Questo si spiega con il fatto che nel 1760 Luigi XV cedette la città con i vasti territori attorno a suo cugino spagnolo Carlo III, il quale la governò fino a pochi mesi prima che Napoleone vendesse per 15 milioni di dollari l’amplissima regione, a cui apparteneva anche New Orleans, al presidente americano Thomas Jefferson.
Fondata nel 1718 su un territorio paludoso, la città deve il suo sviluppo alla posizione vicino alla foce del Mississippi, il fiume più lungo degli Stati Uniti (3778 chilometri). Oggi la sua economia si basa sui pozzi di petrolio del Golfo del Messico e sul turismo (è una delle città più visitate del paese).

Il Quartiere Francese
Nel 2005 l’uragano Katrina ha distrutto l’80 per cento di New Orleans. La città sorge infatti un metro e mezzo sotto il livello del mare e i suoi argini sono stati sopraffatti dalla violenza delle acque. Solo il Quartiere Francese, il centro storico, è stato risparmiato dagli allagamenti. Ed è soprattutto qui che si concentrano le visite turistiche. Lo si può comodamente percorrere a piedi in lungo e in largo in una giornata (musei a parte). Cuore del centro è la francese Place d’Armes, poi ribattezzata Jackson Square in onore di un eroe della liberazione. Sulla piazza si affaccia la cattedrale d’ispirazione neogotica ricostruita nel 1794. Accanto sorgono due palazzi gemelli. Il Cabildo, eretto dal governo spagnolo nel 1799, e il Presbytère edificato nel 1813 per ospitare i vescovi della Louisiana. Oggi il primo fa parte del museo storico cittadino e il secondo presenta un’interessante mostra sul Mardi Gras, il famosissimo carnevale di New Orleans. Sui due lati di Jackson Square si allineano altri due edifici gemelli del 1840 commissionati da una baronessa dopo un viaggio in Europa. I loro balconi in ghisa costituirono un esempio per molti altri palazzi cittadini. Sul quarto lato della piazza scorre il Mississippi, che si può ammirare da un belvedere. Poco lontano sorge il French Market, mercato cittadino nell’antichità, oggi trasformato in centro commerciale con ristoranti.
Ma per scoprire New Orleans bisogna camminare con il naso per aria lungo Royal street, Bourbon street e Lachartres street, risalendo anche le vie perpendicolari a queste tre strade parallele. Si ammirano splendidi palazzi cittadini, molti dei quali, come vedremo in seguito, edificati dai ricchissimi proprietari delle piantagioni di cotone lungo le rive del Mississippi, che amavano trascorrere lunghi periodi in città. Oltre i confini del Quartiere Francese, anticamente abitato soprattutto dai creoli, sorgono le zone costruite dagli angloamericani. L’urbanistica è sempre squadrata ma le case sono lontane le une dalle altre e sono caratterizzate da una loggia sull’entrata. Presentano quelle architetture romantiche che sono passate nell’immaginario collettivo come le classiche case dell’America d’inizio Novecento. È piacevole passeggiare per questi quartieri, soprattutto alla vigilia del 4 luglio, festa dell’indipendenza, quando molte case sono addobbate a stelle e strisce.

Le piantagioni lungo il Mississippi
Il nostro viaggio prevede il trasferimento in automobile da New Orleans a Chicago attraversando gli stati della Louisiana, Mississippi, Tennessee, Kentucky, Indiana e Illinois. Ci rechiamo così all’aeroporto di New Orleans per noleggiare un’automobile, un comodo suv della Dodge. La prima tappa è la cosiddetta River Road, la strada che percorre le rive del Mississippi su entrambe i lati per quasi 200 chilometri da New Orleans a Baton Rouge, lungo la quale si trova una splendida collezione di case coloniche delle piantagioni. Prima della guerra di Secessione (1861-1865) ce n’erano più di 2 mila. Oggi alcune sono state trasformate in musei. L’architettura di queste imponenti residenze, costruite con il lavoro degli schiavi, è in stile europeo, ma adattato al clima subtropicale. L’entrata principale era rivolta verso il fiume per poter accogliere gli ospiti che arrivavano in barca. Per prevenire il propagarsi degli incendi le cucine erano staccate dalla costruzione principale. Gli arredamenti ricordano quelli delle antiche ville aristocratiche e nobiliari europee di campagna. Molte residenze comprendevano un’ala separata, la cosiddetta garçonnière, dove andavano ad abitare i giovani uomini della famiglia al compimento dei 15 anni.
Le spartane case degli schiavi sorgevano a distanza. Si possono spesso visionare documenti sull’acquisto degli schiavi, con indicato il prezzo e le caratteristiche della ‘merce’ umana.
Visitiamo tre piantagioni. Le caratteristiche generali sono le stesse, anche le storie dei loro fondatori di origine europea sono simili, ma ogni “plantation” offre spunti diversi di riflessione.
Laura Plantation è l’unica che propone visite guidate anche in lingua francese. La sua storia è interessante perché la conduzione era stata affidata a donne della famiglia. La regola voleva che per garantirne la continuità la proprietà fosse in mano al figlio più promettente. E qui in ben due occasioni il testimone toccò a due donne, giudicate più idonee, nonostante ci fossero figli maschi a disposizione. Questa piantagione, come molte altre, proseguì la sua attività anche dopo la guerra di Secessione (1861-1865) che decretò la fine della schiavitù. Gli schiavi diventarono però uomini liberi solo sulla carta. Attraverso il sistema della mezzadria i neri continuavano infatti a coltivare la terra ed erano costretti a cedere la gran parte del raccolto al proprietario. Che per giunta li ripagava con gettoni che potevano utilizzare solo al negozio della ‘plantation’, gestito naturalmente dalla proprietà.
A pochi chilometri si può visitare la splendida Oak Plantation, residenza di campagna che veniva abitata per otto, nove mesi all’anno. I suoi proprietari, come quasi tutti i signori delle piantagioni, si trasferivano infatti per lunghi periodi nelle loro ricche residenze a New Orleans o a Natchez, che avevano caratteristiche architettoniche più cittadine. Molto spesso compivano anche lunghi viaggi in Europa. Colpiscono a Oak Plantation gli splendidi viali di accesso alle entrate anteriore e posteriore della casa colonica costituiti da querce centenarie che offrono un quadro indimenticabile.
Un centinaio di chilometri più a nord in direzione di Natchez, a Francisville visitiamo Rosedown Plantation, con il suo bel giardino all’italiana. Ma ciò che più colpisce è l’arredamento. Se in molte altre residenze i mobili non sono più quelli originali, ma sono stati sostituiti con altri dell’epoca, qui il tempo sembra essersi fermato: tutto è rimasto intatto!

Natchez, una perla
Anche se non molto nota Natchez è una vera perla degli Stati Uniti, che custodisce lo splendore architettonico del sud del primo Ottocento, cioè del periodo precedente la guerra di Secession. L’urbanistica è squadrata e urbana come quella di New Orleans, ma le case non sono una a ridosso dell’altra come nelle grandi città e come nel Quartiere Francese. I quartieri sono costituiti da splendide ville con parco caratterizzate da architetture classiche e austere. Passeggiando per le vie del centro si può percorrere un viaggio a ritroso nella storia immaginando quello che doveva essere questa regione nella prima metà dell’Ottocento. Alcune residenze sono diventate musei e si possono visitare. Nel centro cittadino vanno segnalate la graziosa Rosalie e l’imponente Stanton Hall, che si trovano ai due estremi della città. Camminando tra una e l’altra e seguendo una piccola guida distribuita sul posto si possono ammirare le vie più suggestive. Lontane dal centro, immerse in immensi parchi, sorgono invece Rosalie e l’incompiuta Longwood.
A differenza delle residenze che abbiamo visitato nelle ‘plantation’ queste sono ville di città, non di campagna, ma anch’esse si ispirano all’architettura europea. Le storie dei loro proprietari sono molto interessanti. Ascoltandole ci si rende conto come tutto da queste parti sia sempre da riferire alla guerra di Secessione (1861-1865) che contrappose il sud schiavista al nord modernizzatore. Questa regione, prima del conflitto, vantava più milionari di qualsiasi altra parte degli Stati Uniti eccetto New York. Dopo la guerra, con la vittoria dei nordisti e l’abolizione della schiavitù tutto cambiò e molte famiglie persero le loro immense fortune, accumulate sullo sfruttamento degli schiavi. Interessante a questo proposito la storia del proprietario di Longwood, filonordista: come spesso accade nelle guerre civili fu osteggiato dapprima dai sudisti e in seguito anche dai nordisti. Perse così tutta la sua fortuna e non riuscì a ultimare il suo progetto megalomane che prevedeva un’enorme e originalissima casa ottagonale che culminava con una cupola. Anche il ricchissimo proprietario di Stanton Hall, che per la sua residenza fece arrivare dall’Europa gli oggetti più assurdi, perdette tutti i suoi averi in seguito alla guerra.

Itinerario
1° giorno Zurigo-Philadelphia
2° giorno Philadelphia-New Orleans
3° giorno New Orleans
4° giorno (330 km – 4h) New Orleans – River Road – Natchez
5° giorno Natchez
6° giorno (800 km – 9h) Natchez – Nashville (per la Natchez Trace PKWY)
7° giorno (350 km – 4h) Nashville – Lexington
8° giorno (130 km – 2h) Lexington – Frankfort – Louisville
9° giorno (500 km – 5h) Louisville – Chicago
10°-15° giorno Chicago
16° giorno Chicago – Locarno

Per saperne di più
Usa Est La guida verde Michelin, Milano 2009
Stati Uniti centrali The Rough Guide, Milano 2009
Stati Uniti orientali Lonely Planet, Torino 2012
Chicago Lonely Planet, Torino 2014
T. Harry Williams, La guerra civile americana, in Storia del mondo contemporanea Milano 1982

Stati Uniti – I miti dell’America

Stati Uniti – Viaggiando nella storia
Stati Uniti – La metropoli che inventò i grattacieli

Elvis Presley, la musica country, Abramo Lincoln, uno dei padri della nazione, e l’enfant terrible Muhammad Ali, la corsa di cavalli del Kentucky Derby, sono solo alcuni dei grandi simboli che incontriamo nel nostro viaggio da New Orleans a Chicago, attraversando da sud a nord il cuore del paese.

Il nostro viaggio da New Orleans verso Chicago attraversando il centro degli Stati Uniti prosegue verso Nashville, la capitale della musica country e del Tennessee, un altro stato profondamente conservatore, tanto che il parlamento ha recentemente approvato un progetto di legge per rendere la Bibbia testo ufficiale dello stato. Una strada panoramica di 643 chilometri, facilmente percorribili in un giorno, collega Natchez a Nashville. L’arteria, chiusa al traffico commerciale, senza semafori e – attenzione – senza stazioni di benzina, segue un’antichissima pista tracciata da bufali e cacciatori preistorici. La Natchez Trace Parkway, questo è il nome della strada, è curata dal National Park Service e l’erba ai lati è rasa come nei parchi cittadini. Si guida per ore immersi nel verde incrociando poche automobili, qualche motociclista, alcuni ciclisti e senza incontrare nessuna zona abitata, salvo abbandonare la Trace per raggiungere qualche villaggio dove rifocillarsi e soprattutto fare il pieno di benzina. Fino a metà Ottocento, quando i battelli a vapore iniziarono a navigare nelle due direzioni lungo il Mississippi, questa pista era battuta da 10 mila viaggiatori all’anno. Si trattava di coraggiosi avventurieri del Kentucky e in genere del nord, che trasportavano merci lungo il fiume fino a New Orleans, dove vendevano anche le loro chiatte per il legname e ritornavano a casa percorrendo la Trace, perseguitati da maltempo, animali selvatici, indiani ostili e terreno accidentato.

La città natale di Elvis Presley
Poco oltre metà strada tra Natchez e Nashville una piccola deviazione porta a Tupelo, la città natale di uno dei miti dell’America moderna: Elvis Presley. Entrando in città numerosi cartelli stradali indicano “birthplace” (luogo di nascita), dando per scontato che tutti sappiano di chi. Su una collina appena fuori città, in un quartiere povero, sorge la casa della famiglia Presley, dove Elvis nacque l’8 gennaio 1935 assieme al suo gemello Jesse che morì subito dopo avere assaporato la luce del mondo. Si tratta di una piccola abitazione lunga e stretta, costituita da due sole stanze, che i genitori costruirono nel 1934. Il mobilio è stato ricostituito con mobili dell’epoca, così che l’arredamento risulti identico a quello del giorno in cui nacque Elvis. Suggestiva è anche la visita della chiesetta frequentata dai Presley, che è stata trasferita qui dalle vicinanze. Ci si siede sui banchi e ai lati scendono degli schermi su cui viene proiettato un filmato che ripropone l’atmosfera delle tonanti cerimonie religiose a cui assistette il giovane Elvis, ritmate da quei gospel che tanto influenzarono la sua musica in seguito. Il piccolo museo colloca il periodo della gioventù di Elvis nel contesto storico locale e nazionale, illustrando la vita del sud negli anni antecedenti la seconda guerra mondiale. La continuazione della storia incredibile che trasformò un giovane camionista in uno dei miti dell’America moderna la si può seguire al Country Music Hall of Fame & Museum di Nashville, che dedica un’intera sezione a Elvis, mostrando video dei suoi concerti, esponendo le sue chitarre, i suoi stravaganti vestiti e perfino la sua Cadillac con le maniglie d’oro.
Raggiungiamo Nashville in serata. Pernottiamo in un’antica stazione in stile liberty trasformata in albergo. È il 4 luglio, festa dell’Indipendenza. La città, culla del country, è addobbata a festa. Musica nei bar, nei locali notturni della centralissima Broadway Road e in piazza, dove si tiene uno splendido spettacolo di fuochi pirotecnici accompagnati dall’orchestra sinfonica cittadina. Nei locali notturni la musica imperversa fino all’alba. Ne giriamo alcuni: animatissimi. Tutti con musica di buon livello. Ricordate il film “Le ragazze del Coyote Ugly” dove le avvenenti cameriere ballano in modo sfrenato e sexy sul bancone di un bar da cowboy? Ebbene quel locale si trova proprio qui a Nashville.

La culla del country
Nashville è considerata la culla della musica country, nata all’inizio del Novecento come risultato dell’interazione tra le tradizioni musicali folk britanniche e irlandesi importate dai coloni anglosassoni con gli inni spiritual e gospel cantati dagli schiavi afroamericani e dai loro discendenti. Una trasmissione radiofonica (The Grand Ole Opry) trasmessa sin dal 1925 da un’emittente di Nashville e tuttora molto ascoltata negli Stati Uniti ha scoperto in quasi un secolo di storia i grandi cantanti di questo genere. Tanto che gli artisti country potevano dire di avere raggiunto il successo solo dopo avere superato l’esame dell’Opry e aver suonato nel prestigiosissimo Ryman Auditorium, un’ex chiesa in mattoni rossi, che si trova nel centro città e dove si tenevano i concerti. Oggi anche i 2 mila posti messi a disposizione in questa sala non sono più sufficienti e alcuni concerti si tengono in un nuovo gigantesco teatro fuori città.
Ma anche lungo tutta la centralissima Broadway vi sono bar dove musicisti di talento suonano dopo il tramonto. Nel vastissimo Country Music Hall of Fame & Museum il genere viene rivisitato in tutti i suoi aspetti, le sue tendenze ed evoluzioni. Raccoglie cimeli di grandi star (abiti, stivali, strumenti, persino automobili), filmati, fotografie e registrazioni, che si possono ascoltare in sofisticate cabine.
È davvero peccato avere poco tempo a disposizione, ma il nostro viaggio verso Chicago è ancora lungo. La nostra prossima tappa ci porta nel Kentucky, la terra dei cavalli purosangue. Ma prima di raggiungere Lexington ci imbattiamo in un altro mito: quello del presidente Abramo Lincoln.

Lincoln, padre della democrazia
Una deviazione di pochi chilometri dalla statale US-31 East ci porta al National Historic Site dove si trova una riproduzione simbolica della capanna in cui il 12 febbraio 1809 nacque Abramo Lincoln, il padre dell’America moderna, il presidente che sconfisse il fronte sudista nella guerra di Secessione (1861-1865) e decretò la fine della schiavitù. La capanna in legno è racchiusa all’interno di un Memorial Building, monumentale ricostruzione di un tempio greco in granito e marmo con 56 gradini, che simboleggiano gli anni della vita di Lincoln, assassinato a Washington il 14 aprile 1865. La capanna dove Lincoln trascorse la sua adolescenza (pure riprodotta) si trovava a pochi chilometri di distanza dal luogo di nascita, in un’altra splendida zona di campagna.
Risalgono a questo periodo i suoi primissimi di schiavi incatenati e spinti a forza lungo la strada. “Il compito di Lincoln, – scrive T. Harry Williams nel Volume X di “Storie del mondo contemporaneo” della Cambridge – il più difficile che sia toccato a uno statista americano, era quello di conservare la nazione. Egli doveva ricostruire l’Unione (dalla quale gli Stati schiavisti del sud si erano scissi ndr.), dirigere la guerra civile e nello stesso tempo dar vigore all’unità di propositi del popolo”. Ci riuscì grazie alle sue “qualità di statista – forza morale e intellettuale, profonda comprensione dello spirito della sua epoca e dell’opinione pubblica, straordinaria abilità politica – e alla volontà di impiegare queste qualità nella realizzazione del suo proposito”. Ma Lincoln possedeva anche “un’altra qualità dello statista, la passione. La sua era la passione della democrazia – conclude T. Harry Williams – del più grande esempio mondiale di democrazia, l’Unione americana, quella che egli chiamava l’ultima, la migliore speranza della terra”.

Nel regno dei cavalli
Proseguiamo verso Lexington nel Kentucky, considerata “la capitale mondiale del cavallo”, attraversando il cosiddetto Bluegrass Country. Deve il suo nome al fatto che in primavera i pascoli fioriscono di minuscoli boccioli azzurri. È un susseguirsi di prati ondulati, punteggiati di allevamenti di cavalli – sembra che ce ne siano oltre 450 – recintati da steccati bianchi, con al centro belle dimore coloniche. In questa regione si pratica l’allevamento da oltre 250 anni. Il Kentucky Horse Park, situato sui terreni da pascolo di un ex allevamento, è il luogo in cui si celebra il cavallo in tutte le sue forme: un grande museo ne illustra la storia e l’evoluzione, la Parade of Breeds (Parata delle razze) presenta alcune delle 50 razze di cavalli ospitate nel parco, nella Hall of Champions vengono invece fatti sfilare alcuni grandi campioni documentando i loro successi con filmati. La visita permette anche di girare liberamente per le scuderie che ospitano centinaia di purosangue.
Gli amanti delle corse non possono mancare di visitare a Louisville, che dista circa un’ora di automobile, il Churchill Downs dove il primo sabato di maggio si celebra uno degli appuntamenti ippici più importanti al mondo: il Kentucky Derby, il più vecchio evento sportivo degli Stati Uniti, praticato sin dal 1875, con in palio un premio di 1 milione di dollari. Si può visitare l’ippodromo dove in 2 minuti i campioni percorrono i 2 chilometri della corsa e il cavallo vincitore viene sommerso da una pioggia di petali di rosa. Un museo racconta la storia dei cavalli e dei fantini più celebri, mentre un video a 360 gradi permette di vivere l’atmosfera che si respira in quel luogo il primo sabato di maggio, quando l’élite della società del sud si dà appuntamento per assistere al grande evento, preceduto da un festival che dura ben due settimane.

Alì, l’enfant terrible
La simpatica Louisville è famosa anche in quanto città natale di Muhammad Alì, figura carismatica, provocatoria e controversa sia dentro il ring che fuori. Il suo impatto mediatico non ha avuto eguali nel mondo sportivo. Detentore del titolo mondiale dei pesi massimi a intervalli tra il 1964 e il 1978, campione olimpionico nel 1960 a Roma, Muhammad Alì è stato personaggio importante anche per il suo attivismo politico contro la segregazione razziale e molto discusso per la sua decisione di abbracciare la religione mussulmana nel 1975 abbandonando il suo nome di nascita di Cassius Clay. Il suo rifiuto nel 1967 di arruolarsi per il Vietnam e la sua conseguente condanna che lo tenne lontano per 4 anni dal ring lo resero un’icona della controcultura americana degli anni Sessanta. La fondazione da lui creata ha costruito un vastissimo museo, dove si possono ripercorrere le tappe fondamentali della sua movimentata vita utilizzando i più moderni ritrovati della multimedialità. La fondazione ha come scopo di “preservare gli ideali del suo fondatore, di promuovere il rispetto, la speranza e la comprensione e di indurre adulti e bambini a realizzarsi al meglio (to be as great as they can be)”.
Poco distante dal Muhammad Alì Center, sulla Mainstreet di Louisville, si trova il museo del baseball, che espone all’entrata un’enorme mazza alta 36 metri.
Il nostro viaggio prosegue verso Chicago, che dista circa 500 chilometri, percorribili su comode autostrade.

Itinerario
1° giorno Zurigo-Philadelphia
2° giorno Philadelphia-New Orleans
3° giorno New Orleans
4° giorno (330 km – 4h) New Orleans – River Road – Natchez
5° giorno Natchez
6° giorno (800 km – 9h) Natchez – Nashville (per la Natchez Trace PKWY)
7° giorno (350 km – 4h) Nashville – Lexington
8° giorno (130 km – 2h) Lexington – Frankfort – Louisville
9° giorno (500 km – 5h) Louisville – Chicago
10°-15° giorno Chicago
16° giorno Chicago – Locarno

Per saperne di più
Usa Est La guida verde Michelin, Milano 2009
Stati Uniti centrali The Rough Guide, Milano 2009
Stati Uniti orientali Lonely Planet, Torino 2012
Chicago Lonely Planet, Torino 2014
T. Harry Williams, La guerra civile americana, in Storia del mondo contemporanea Milano 1982